Questo sito non utilizza cookie di profilazione propri e non utilizza cookie di profilazione di terze parti. Abbiamo anonimizzato Google Analytics, il che ci permette di raccogliere statistiche senza farvi profilare. Da ogni pagina del sito potete accedere alla politica della privacy estesa.
Privacy Policy

Calabria
Italia
Home

STILO


 


*clicca sulle immagini per ingrandirle

Storia

Un borgo e un mistero. Non si sa chi lo abbia Fondato. Non si sa quando. Potrà sembrare incredibile, ma non si sa neppure dove. E non è ancora tutto, perché lo stesso nome di Stilo potrebbe riferirsi a città e paesi diversi, per quanto esistiti, tra il mare e la montagna, nel medesimo tratto della costa calabrese sullo Jonio. "La nobile città di Stilo", si legge nella cronaca di Apollinare Agresta, "è stata tre volte e in luoghi differenti successivamente fabbricata".

Il cronista, abate generale dell'Ordine basiliano, scrive nel 1677. Secondo lui c'è una prima Stilo che sorge sul promontorio Cocinto "un miglio distante dal Mare Jonio, dove oggi si dice Castellone o Rigusa o più volgarmente Capo di Stilo". Poi arrivano i Saraceni e i loro feroci saccheggi inducono gli abitanti a fuggire sul Consolino. Sul monte, tuttavia, la vita è troppo difficile. I contadini non hanno terra piana da coltivare, i commercianti - che vivevano di traffici marittimi - sono troppo lontani dai porti: accade così che Stilo si sposta per la terza volta, ridiscendendo verso la valle. L'abate incorre in più di un errore. Secondo lui, per esempio, le incursioni saracene costringono gli stillitani a riparare sulla montagna "nell'anno di nostra Salute 1024", mentre la situazione è già insostenibile da più di un secolo. E non si tratta di saccheggi, crudeli ma brevi, quanto di tutta una strategia militare e politica che dalla Sicilia ormai conquistata tende a portare la guerra santa musulmana nel cuore stesso dell'Europa: Reggio Calabria cade in mano araba nel 901, e l'emiro Hassan il Kaibita vi costruirà persino una grande moschea. Cosenza è stretta d'assedio nel 902, Catanzaro nel 906. Così, dalla cronaca dell'abate, si direbbe che la seconda Stilo sia sorta sulla cima del monte per poi rifondarsi a valle nell'XI secolo mentre il suo monumento più celebre, la minuscola e La Cattolicasplendida chiesa della Cattolica, risale al IX secolo e la posizione del borgo sulle pendici della montagna, cioè dove si trova ancora oggi, appare documentata già duecento anni prima.

 

E' probabile che tanti equivoci sul nome e sul posto siano nati nelle confuse memorie di una città greca, Kaubonia, che sorgeva sul mare e che fu distrutta da Dionisio, tiranno di Siracusa, nel 389 avanti Cristo. Risorta mezzo secolo dopo, laLe cupole in coppi della Cattolica città passa ai Romani nel 270, Annibale la conquista e ne deporta l'intera popolazione nel 209: da allora Kaubonia, un tempo ricca e potente, decade fino a diventare poco più di una stazione di posta lungo la via Aquilia che unisce Taranto a Reggio. Le incursioni arabe, ma forse più ancora il flagello della malaria, faranno il resto e gli abitanti di Kaulonia abbandoneranno definitivamente la costa sistemandosi nell'interno: Stilo sarebbe così semplicemente la nuova Kaulonia, per quanti altri nomi - Aulonia, Valbonia, Stilide, Consilino, Cosilino, Cocinto - possano essere stati tramandati a confondere chi va cercando una traccia dell'origine.

 

Certo è che si tratta di origine nobile e antica.Altrettanto certamente, quelli di Stilo ne hanno conservato e ne conservano tuttora, in piena era spaziale, un'impronta prodigiosamente intatta. Il forestiero, specialmente se scende dal Nord, può farne esperienze sorprendenti. Scortato dai suoi fedeli pregiudizi, egli sale dalla costa al borgo, immaginando di trovare, comunque, il profondo Sud abbandonato e superbo, gli uomini diffidenti seduti al caffè, le donne vestite di nero che -ad ogni buon conto-si rifugiano in casa coi bambini appena arriva qualcuno da fuori. Incontra invece una gente diversa che lo accoglie con il primo, inaspettato dono di un sorriso, disponendosi subito ad aiutarlo in ogni modo possibile. A questa sorpresa che viene dal rapporto privato, si aggiunge quella del rapporto pubblico. Il comune, per esempio, ha una sede modesto ma di tutto decoro, gli uffici sono puliti, gli impiegati addirittura lavorano, i cittadini aspettano il turno per sbrigare le proprie faccende e farsi le proprie ragioni con tanta tranquillità che viene da chiedersi come possa tutto questo accadere in Italia, e per giunta nella Italia del Sud, Ma è soltanto l'inizio.

 

A Stilo, per esempio, c'è un solo albergo e può succedere che il forestiero non trovi da dormire. Un vero problema in effetti non c'è perché in mezz'ora si può ritornare sulla costa jonica, dove in qualche modo si trova sempre da sistemarsi. Ma può anche succedere che questa gente straordinaria non intenda permettere tanto disturbo. Il forestiero sarà allora accolto nella casa di quello che lo ha incontrato per la strada pochi minuti prima, e l'invito sarà fatto con tanto garbo che egli non si troverà in alcun imbarazzo. Scoprirà invece, stupefatto, il piacere di una ospitalità che non è sentimento improvviso dunque anche fragile, ma tradizione e forse sarebbe meglio dire religione di un costume civile: costume greco, naturalmente, questo è Omero in differita tremila anni dopo ma il colore è ancora quello della quarta ginnasio e soltanto gli Dei sanno perché questi uomini sono rimasti identici nel pacato discutere, queste donne nell'andare e venire offrendo il meglio delle loro case, e i bambini nell'ascoltare in silenzio, mentre scende la notte delle mille e una storia. La prima comincia d'estate. Si sa persino il giorno, è il 13 di luglio del 982. Ottone II di Sassonia ha passato le Alpi deciso a fermare perIl portale del duomo. Lo stemma imperiale sopra l'ingresso testimonia l'ammirazione di Ottone per Stilosempre l'avanzata degli Arabi recuperando anche le province pugliesi e calabresi che gli ha portato in dote la principessa greca Teofano, ma che di fatto sono in mano ai Longobardi e ai Bizantini. L'esercito imperiale schiera il fior fiore della cavalleria tedesca e svedese, cui si sono aggiunte le truppe scelte dei vescovi di Colonia, di Magonza, di Cambrai e di Verdun, mentre l'abate di Fulda e il vescovo di Augusta cavalcano, nelle superbe armature ageminate, alla testa dei loro reggimenti. La formidabile macchina militare travolge ogni resistenza e nella primavera del 982 conquista Taranto, rimettendosi in moto verso l'ultimo Sud. L'atmosfera è quella di una crociata e la vittoria finale sembra già decisa da Dio. Tra maggio e giugno cadono Rossano, Crotone, Catanzaro.

 

Poco dopo, nella piana di Squillace, gli imperiali mettono in fuga l'esercito di Abu-i-Kasim, l'emiro di Sicilia, che si è alleato, nel nome di un interesse finalmente comune, con i generali di Bisanzio. L'emiro ripiega su Stilo, ma Ottone lo insegue e lo affronta, convinto di dargli il colpo di grazia. Lo scontro ha le misure grandiose della canzone di gesta, Duemila cavalieri teutonici alla carica sbaragliano il nemico arrivando di slancio fino alle bandiere della guardia reale, che si è disposta in quadrato per difendere la sacra persona dell'emiro. Il cronista tedesco Ditmar e quello arabo Athir raccontano quasi con le stesse parole la fine gloriosa di Abu-i-Kasim che si batte con leggendario ardimento fino a che un cavaliere tedesco, passandogli accanto al galoppo, gli tronca di netto la testa con un colpo di spada. Urlando di terrore, gli arabo-bizantini fuggono cercando scampo nei boschi di San Leonte, di Costantino, di Prano, località tutte in quote più alte del campo della battaglia: e di qui vedono gli imperiali che si abbandonano alla ebbrezza del trionfo. C'è chi sta depredando i corpi dei caduti, c'è chi canta, chi si ubriaca, chi se ne va in cerca di un poco d'ombra nel caldo soffocante, Quasi tutti si sono liberati delle pesanti armature, lo sbando è totale. Ed è dunque il momento giusto. Nel nome di Allah e per vendicare l'emiro, gli Arabi si accordano segretamente e piombano tutti insieme sugli imperiali, facendone strage prima che neppure possano tentare una difesa. Le sorti della battaglia si rovesciano, adesso sono gli imperiali a cadere. Muoiono combattendo cinque principi della famiglia di Capua, il vescovo di Augusta, il marchese Trasmondo di Toscana, centinaia tra i più bei nomi della cavalleria europea. Altri, a migliaia, finiscono prigionieri: tra questi il vescovo di Vercelli che verrà tradotto ad Alessandria d'Egitto e impalato, mentre lo stesso imperatore Ottone II si salva a stento fuggendo sul cavallo e con le vesti di un suo fedelissimo, l'ebreo Calonimo, che si farà uccidere al posto di lui. Finisce così, con un massacro, il sogno imperiale della conquista mediterranea. Ma finisce anche quello arabo di sottomettere la capitale cristiana: la dinastia degli emiri di Sicilia è al tramonto, adesso è l'ora dei Normanni. Siamo nella seconda metà dell'XI secolo, Stilo è una ricca cittadina cinta da solide mura e gelosa della propria indipendenza: resiste, unica città del Sud nella storia della grande invasione, per più di sei anni e quando è costretta finalmente a sottomettersi può ancora trattare con gli invasori salvando qualche diritto. Il castello che Ruggero il Normanno costruisce sulla vetta del monteI ruderi del Castello di Stilo sulla cima del monte ConsolinoConsolino rappresenterà anche vantaggi politici ed economici per tutto il borgo.

 

"Il castello", scrive l'abate Agresta, "era in quel tempo preggiatissimo ai Re, e godeva di molti privilegi". Storia e leggenda si confondono. Si racconta di memorabili assedi, finiti sempre con la sconfitta degli assedianti per il valore delle guarnigioni e talvolta anche per intervento soprannaturale, come quando San Giorgio non soltanto resuscitò i soldati morti, ma ne moltiplicò anche l'immagine, sgomentando gli assalitori che ogni giorno ne vedevano sempre di più sulle mura. Si racconta di Carlo d'Angiò che fa mozzare le mani e i piedi a centinaia di stillitani, incarcerati dopo la rivolta del borgo e ripresi dopo un tentativodi fuga. I ribelli moriranno dissanguati nelle orrende segrete del castello: per quanto se ne sa, l'unica prigione del mondo che sarebbe stato inutile chiudere a chiave perché era scavata, poco sotto le mura, in una vertiginosa parete di cinquecento metri a picco sul versante opposto a quello del borgo. Si entrava e si usciva, così, attraverso un'unica apertura soltanto quando si era calati oppure issati dall'alto con una fune. Oppure si saltava nel vuoto per morire sfracellati, ma avendo messo fine alle torture. Ben pochi tornavano vivi, dalla prigione del castello. Ma tra questi si ricorda una nobile matrona, di nome Regina, di cui si diceva in paese che avesse avuto per magìa una gallina tutta d'oro, e capace di fare ogni giorno un uovo ancora d'oro. Il ribaldo governatore Costa Peloga circuisce la donna a cui vuole strappare il segreto, ma la donna non parla e il prepotente la fa bastonare a sangue rinchiudendola nel castello. Il nipote di lei, Costa Condomicita, viene a saperlo e da Crotone, dove si trova alla corte del duca, ritorna a Stilo inviando rispettosamente ricchi doni al governatore come se nulla fosse accaduto. Ma subito dopo si accorda con tredici amici, invitati al sontuoso banchetto: quando si alzano da tavola, il complotto è già ordito. All'alba, i congiurati si presentano al palazzo del governatore e appena le guardie hanno aperto la porta irrompono nella stanza da letto di lui levando i pugnali. Con un balzo, lo sventurato raggiunge la finestra e si getta su un terrapieno tentando di salvarsi fuggendo ma è raggiunto, legato e "condotto al popolo dalle mani del quale ricevette la morte dopo i peggiori oltraggi". Costa Condomicita viene eletto governatore, la matrona è immediatamente liberata.

 

E la cronaca non dice più nulla della prodigiosa gallina che per la gente minuta covava le uova d'oro, ma per qualcuno capace di leggere nei simboli nascondeva forse qualche altro e anche più prezioso segreto. Così si racconta la storia di San Giovanni Teresti, che vuol dire "Il mietitore" perché, per miracolo, ottenne da Dio di mietere in un attimo tutto il grano dei campi di Monasterace ripagando in questo modo, cristianamente, i contadini che lo avevano deriso. San Giovanni Teresti era figlio di un conte che viveva a Cursano, nel territorio di Stilo. Il padre era morto combattendo contro i Saraceni e la madre, che aspettava il bambino, era stata portata come schiava a Palermo dove "uno dei principali cittadini" - si legge negli Atti dei Bollandisti - "volle prenderla in moglie attratto dalla di lei bellezza e nobiltà". Cresciuto come gli infedeli, il fanciullo apprende però dalla madre la verità sulle proprie origini e i princìpi della religione cristiana. Apprende anche che nel palazzo di Cursano è sepolto un tesoro legittimamente suo. Il fanciullo, ardente di fede, si mette in mare sopra una piccola barca e arriva sulla costa di Stilo dove, dopo mille avventure e terribili prove, riesce a prendere il battesimo e a diffondere la fede compiendo ogni sorta di miracoli. Infine ritrova anche il tesoro nascosto, e ne fa dono provvidenziale all'Ordine basiliano di cui è umile monaco: come testimonia frà Stefano Barbaro di Stilo che afferma di aver tradotto la storia da un antichissimo codice manoscritto in greco e in latino "nell'anno della testa schiacciata al Serpente 1624, il giorno 14 giugno ".

 

A Giovanni Teresti, monaco e santo, gli stillitani hanno dedicato una chiesa. A Tommaso Campanella,La chiesa sconsacrata di San Domenico, dove dimorò Tommaso Campanellamonaco ma eretico, hanno fatto un monumento: doveroso tributo al filosofo, ma forse più ancora all'uomo libero, scomodo e fiero, che si batte fino in fondo per le proprie idee. Tommaso Campanella, per troppi anni liquidato abbastanza superficialmente come il campione dell'utopia, è oggi una riscoperta. Piace come rivoluzionario, tante volte perseguitato e condannato dal potere. Piace come personaggio, che difende Galileo e pretende di essere nominato consultore del Sant'Uffizio: proprio quello che lo ha messo alla tortura e costretto a fingersi pazzo per sfuggire al patibolo dove sono finiti tanti suoi amici del fallito colpo di Stato quando non hanno avuto morte ancora più atroce, come Giovanni Battista Vitale, squartato e trascinato per le strade da un cavallo alla frusta. E ancora piace come l'uomo dell'Altra Dimensione, il taumaturgo che passa per la campagna di Stilo risanando i malati e che, guardandosi l'unghia del mignolo, si mette in contatto col demonio: così almeno si dice, come si dice che è stato lui a far uscire il Tevere dagli argini per inondare tutte le chiese di Roma nel Natale del 1599, mentre "una Cometa Marziale et Mercuriale scorreva in cielo da ponente a levante, et apparivano più visioni che a Gerusalemme al tempo di Tito". Come ancora si dice che mangiando un'erba stregata raccolta sul Consolino egli abbia conosciuto tutti i segreti dell'alchimia, tanto da poter modellare una testa parlante, il magico Golem degli ebrei. Cinque secoli prima di lui un altro monaco ribelle, Gerberto da Belliac, aveva fuso in oro un Golem che gli obbediva come lo Spirito di Aladino. Fu il Golem a promuovere Gerberto vescovo e poi papa, col nome di Silvestro II? E Campanella fu un filosofo o un mago? Stilo, ancora un mistero. E pensare che di misterioso questo incantevole borgo ha soltanto il dono di credere ancora in qualche cosa, quelle poche, ferme, semplici cose che una volta bastavano per vivere una vita migliore.

Qualche notizia

torna inizio

Tra l'8 e il 9 luglio del 1940, davanti a Punta Stilo, si affrontarono le navi da guerra dell'Italia e della Gran Bretagna e forse fu l'unica volta che, al Nord, si sentì parlare di questo posto meraviglioso sulla costa del mar Jonio, a Metà strada circa tra Catanzaro e Reggio Calabria. Stilo paese, tuttavia, si trova nell'entroterra. Lo si raggiunge, risalendo da Reggio o scendendo Un convento, oggi sede delle scuoleda Catanzaro in un paio d'ore di automobile oppure prendendo il treno e la corriera: chi è disposto a noleggiare una vettura può accorciare i tempi servendosi dell'aere (scalo di Lamezia o di Reggio Calabria). Ma chi si muove sulle proprie quattro ruote deve mettere in conto che da Roma a Reggio sono 800 km e da Milano addirittura 1389.

- Artigianato
Prodotti tipici sono le pezzare, fatte di ritagli come i più noti pezzotti della Valtellina e le coperte di janestra (ginestra macerata sotto le pietre del fiume), ceste da panni o da pane in aggiastru (olivo selvatico), sculture in legno, terrecotte dipinte, ricami.

- Escursioni
Per chi ha buone gambe, al castello normanno, dal quale si gode una vista indimenticabile su tutta la zona fino al mare.
Più comodamente, in auto, dirigendosi lungo la statale verso Serra San Bruno, si raggiungono: la Ferdinandea (residenza estiva di Ferdinando re di Napoli), i conventi basiliani di San Giovanni Vecchio e di San Leonzio e ,in un'ora di strada stretta ma tra boschi incantevoli, la certosa di San Bruno che, eretta dopo la morte di San Brunone, alla fine del XII secolo, fu ricostruita nel Cinquecento. Venne distrutta quasi completamente nel terremoto del 1873 e ricostruita all'inizio del 900 in stile neogotico, ma del periodo cinquecentesco conserva buona parte della facciata.
A Serra San Bruno da visitare la bella chiesa barocca dell'Addolorata, che conserva un notevole ciborio di marmi e pietre preziose del XVII secolo

- Cucina
Pasta senza uova filata a mano su uno stelo d'erba detto "u junco" e condita con ragù di carne di capra cucinata con erbe selvatiche e pomodori.
Capra stufata con altre delizie della cucina locale: melanzane ripiene al pecorino, pomodori secchi, salami e capicolli al peperoncino, sottaceti con finocchio selvatico.
Tra i dolci da segnalare i piparelli (farina, zucchero e cannella), i Pitti di San Martino (impasto di fichi secchi con noci, mosto cotto e miele), le cuzzupe (farina, uova, lievito naturale: la ricetta è antichissima, viene dall'Oriente)

torna inizio