Caprera e Maddalena

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Giuseppe Garibaldi

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DESCRIZIONE

CapreraQuando, nel 1855, Garibaldi vi si stabilì, Caprera era disabitata: vi sorgeva una sola, vecchia costruzione. Oggi l'isola, che ha una superficie di circa 16 Km quadrati, non supera i 150 abitanti.
per raggiungerla si parte da Palau (Sassari), con i frequentissimi traghetti della Tirrenia o di altre compagnie di navigazione che, in circa 15 minuti, portano alla Maddalena; da qui, attraverso la diga del Passo della Moneta, si giunge a Caprera.
La visita guidata alla casa di Garibaldi, restaurata e trasformata in un museo, è possibile dal martedì al sabato ore 9-13,30; la domenica ore 9-12,30. Oltre all'edificio centrale, la "Casa Bianca" si possono visitare tutte le strutture del cosiddetto Compendio Garibaldino, l'insieme di quelle che furono le proprietà del generale: il cortile con il grande pino dedicato alla figlia Clelia, l'abbeveratoio, il frantoio, il mulino, la stalla, la "casa di legno", la "casa di ferro", la rimessa delle barche. E poi ancora il frutteto, il mulino a vento e il forno. La tomba, posta al termine di un lungo viale, è formta da un blocco di granito, ai cui lati sono i sarcofaghi dell'ultima moglie, Francesca Armosino, e dei figli Rosa, Anita, Manlio, Clelia e Teresita.

Nell'insenatura di Stagnali, zona sud dell'isola, si trova un imponente forte della Marina italiana che risale alla fine dell'800: è abbandonato, ma interamente percorribile.

Alla Maddalena è interessante il museo archeologico navale Nino Lamboglia, unico nel suo genere, che ospita tra l'altro i resti di una nave romana naufragata nel II secolo avanti Cristo al largo dell'isola di Spargi. Il museo è aperto tutti i giorni, tranne il lunedi, dalle 9 alle 13.
Il monte Guardia Vecchia, che con i suoi 156 metri è il punto più alto dell'isola, è occupato sulla sommità da un torrione piemontese ottagonale detto appunto forte di Guardia Vecchia.

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Vasta la scelta di specialità gastronomiche, cominciando dai piatti di mare: arselle e cozze, spaghetti con i gamberi, con l'aragosta o la bottarda essiccata.

Per l'artigianato ci sono numerosi negozi in cui è possibile trovare i prodotti tipici locali: dai tappeti lavorati a mano agli oggetti in corallo.

Il 22 luglio festa patronale di Santa Maria Maddalena, con processione sulle barche da Cala Gavetta al pontile dell'Ammiragliato. In agosto, sempre alla Maddalena, sagra del pesce e "il caracolo", festival canoro in dialetto locale.

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Giuseppe Garibaldi

La casa dell'Eroe dei due mondi immersa nel verde della naturaE' una casa semplice quella in cui il generale trascorse gli ultimi ventisei anni della sua vita. Bianca, in muratura, con il tetto a terrazza, simile a parecchie delle abitazioni che egli ebbe occasione di vedere nei lunghi anni passati a Montevideo e negli altri luoghi in cui combattè per la libertà dei popoli sudamericani. Garibaldi cominciò a costruirla nel 1856, pochi mesi dopo il suo arrivo a Caprera. L'anno precedente, con l'eredità lasciatagli dal fratello Felice, aveva deciso di acquistare metà dell'isola. Per qualche tempo, lui e il figlio Menotti, che allora aveva sedici anni, dormirono in un ovile restaurato. Poi costruirono una casetta di legno, conservata ancora oggi, iniziando allo stesso tempo l'edi-ficazione della "Casa Bianca", completata dopo un anno.
Fu a quel punto che Garibaldi decise di stabilirsi definitivamente nell'isola. Era contento di fare vita solitaria in quel luogo in gran parte disabitato e sassoso. Poteva coltivare la sua passione per la caccia e per la pesca, amava quella natura selvaggia e incontaminata. Oggi però Caprera è diversa: non più arida come allora, ma coperta da una fitta vegetazione. Ed è stato proprio Garibaldi a darle questo volto nuovo. Garibaldi che, come testimoniano i numerosi documenti conservati nell'archivio comunale della Maddalena, accompagnava sempre alla sua firma la qualifica di "agricoltore". Nell'isola, il generale fece crescere piante di ogni tipo: cipressi, frassini, pini, acacie, così poco comuni nell'arcipelago maddalenino. Coltivava un oliveto di circa cento alberi, un piccolo orto e un vigneto dal quale ricavava un vino di ottima qualità. Ma Garibaldi era anche allevatore: nella sua fattoria, come risulta da una Descrizione di Caprera fatta da Achille Cagnani nel 1875, c'erano 400 polli e 150 buoi, 214 capre, 25 capretti, 50 maiali, 60 asinelli. Le sue cavalle preferite si chiamavano Marsala e Caprera, mentre i quattro asini, a conferma, se fosse ancora necessario, del suo acceso anticlericalismo, avevano per nome Pio IX, Immacolata Con-cezione, Napoleone III e Oudinot.
Giuseppe Garibaldi a Caprera in una foto del 1861Garibaldi amava la tranquillità, gli piaceva coltivare la sua terra e i suoi hobbies, ma in fondo si annoiava. Mikhail Bakunin, il grande anarchico russo che fu suo ospite nel 1864, rilevò un senso di profonda tristezza e in qualche momento anche di sconforto nello stato d'a-nimo di Garibaldi, il quale gli confidò un giorno di es-sere stanco della vita e d'essere disposto a sacrificarla per la patria e per la libertà di tutti i popoli". L'isola diventa in sostanza il ritiro in cui attendere l'occasione di nuove imprese, un punto di partenza per la realizzazione degli ideali ai quali consacrò la sua vita. Dopo l'annessione del regno delle Due Sicilie e l'intervento regio scrive: "Io deposi a mano di Vittorio Emanuele la Dittatura, che m'era stata conferita dal popolo, proclamandolo re d'Italia. A lui raccomandavo i miei valorosi fratelli d'armi, desioso com'ero di ripigliare la mia solitudine".
E si ritira ancora una volta a Caprera, ma pieno di un'amarezza che invano tentava di nascondere. Con la sua presenza, comunque, l'isola non era più la terra disabitata d'un tempo. C'erano i suoi parenti, oltre a una schiera di collaboratori. I tre figli Ricciotti, Menotti e Teresita, la governante, il maggiordomo, due camerieri, due domestiche, un mezzadro e alcuni contadini. E poi ancora cinque ex garibaldini che gli davano una mano nella conduzione della casa, Giovanni Basso, suo segretario privato e vecchio compagno d armi, e Lauro, Faseri e Il pino che fu piantato per la nascita della figlia CleliaPastori, che lo aiutavano a rispondere alle tante lettere che riceveva ogni giorno. Soprattutto a partire dal 1860, Caprera fu meta continua di visitatori, provenienti da varie parti d'Italia e del mondo. Non giungevano a migliaia come oggi, ma abbastanza numerosi da convincere qualcuno ad aprire un albergo, e gli affari prosperarono. Alcuni erano ospiti illustri: un emis-sario di Abramo Lincoln, ad esempio, arrivò nel periodo della guerra di Secessione per offrirgli un alto incarico nelle forze nordiste. C'erano inviati del governo, esponenti repubblicani, amministratori locali. Bakunin, accompagnato dalla moglie Antonia, dichiarò che il sistema di vita degli abitanti gli sembrava rispecchiare il modello di una "repubblica democratica sociale".
Quelle terre dalle quali, grazie all'eroico intervento di Domenico Millelire, era stato tenuto lontano Napoleone, avevano accolto Giuseppe Garibaldi come un amico, un cittadino comune. La gente vedeva il generale impegnato a coltivare il suo orto, a curare gli animali della sua fattoria, o lo scorgeva intento a pescare. Era uno come tutti gli altri, un uomo disposto a intrattenersi a pranzo con i pa-stori che spesso lo invitavano nei loro ovili. Una persona, comunque, degna del massimo rispetto non solo per l'impegno sostenuto lungo tutto l'arco della vita nella lotta per l'unità nazionale, ma anche per le sofferenze che dovette patire, in particolare da quando rientrò sull'isola dopo la ferita di Aspromonte.
Furono questi, forse, gli anni più difficili e tristi per lui. La convalescenza fu molto dolorosa: il fornitissimo armadietto dei medicinalidovette aspettare tredici mesi perché si formasse la cicatrice. Alle conseguenze della ferita d'Aspromonte, si era aggiunta un'artrite che lo limitava nelle capacità di movimento. Negli ultimi anni aveva un bisogno continuo di assistenza. Rosita, la seconda figlia avuta da Francesca Armosino, morì nel 1870; c'era Clelia, mentre Manlio nascerà nel '73. Anche se le sue forze venivano meno, Garibaldi cercava di coltivare ancora il suo orto, ma trascorreva anche parecchio tempo a scrivere. A dire il vero, i suoi romanzi "Clelia" e "Cantoni il volontario" non riscossero grande successo. Più interessanti sono invece le Memorie.
Più volte i medici avevano tentato di convincerlo a scegliersi una residenza con un clima più mite di Caprera, per evitare che le sue condizioni fisiche peggiorassero. Ma lui non poteva ormai rinunciare a quella solitudine, a quella pace profonda. Così come non poteva neppure separarsi da quella casa che lui stesso aveva costruito e a cui era tanto affezionato.
Oggi la "Casa Bianca" è diventata un museo, che raccoglie le testimonianze più significative dell'esistenza del generale. L'utilizzo originario dei vari locali è rispettato abbastanza fedelmente. Nell'atrio dell'edificio principale sono state collocate la bandiera dell'Uruguay, paese per la cui libertà Garibaldi combatté con successo, e quella, nera, dei reparti d'assalto. Vi sono poi armi di vario tipo, tra cui soprattutto fucili e sciabole, la cassa da campo e una carrozzella, donatagli nel 1880 dal comune di Milano. Sulla sinistra, si accede alla camera La camera da letto di Garibaldi e Francesca Armosinomatrimoniale, sul cui letto ortopedico l'eroe trascorse, negli ultimi anni, buona parte delle sue giornate. L'armadio è in radica di noce, il comodino fu realizzato dallo stesso Garibaldi. L'arredamento è completato da una scrivania e da una pianola. Alle pareti ci sono i ritratti dei figli, oltre a una foto del matrimonio con Francesca Armosino. La camera accanto è quella in cui alloggiava Manlio, l'ultimo nato tra i suoi figli. Qui è sistemato un armadio di grande pregio del Settecento. All'interno di una teca, un elmo e una corazza che un garibaldino aveva donato a Manlio. Vicino alla stanza di Clelia c'è la cucina: un vasto ambiente dominato dal camino di pietra. In un'altra stanza sono stati sistemati alcuni oggetti personali di Garibaldi: un tavolo rotondo, un'angoliera, una credenza e un divano Luigi Filippo. Alle pareti, una copia dei celebre dipinto di Pietro Bouvier raffigurante Garibaldi e il maggiore Leggero che trasportano Anita morente. Vi sono poi il dipinto Fuga di Anita da Mustrada e una copia realizzata da Vincenzo Stagnani, del ritratto di Don Giovanni Verità, di Silvestro Lega. In una vetrina sono sistemati i vestiti del generale: la camicia rossa, il mantello bianco con il giustacuore, il poncho di colore aragosta a righe verticali chiare. Altri oggetti sono stati collocati nelle bacheche: fra questi, l'acciarino che Antonio Meucci donò a Garibaldi, oltre a una molto dubbia "pallottola di Aspromonte" Nel salotto, due mobili con i libri, una specchiera, un cassettone, uno scrittoio e la poltrona di pelle, dono della regina Margherita. Al centro della stanza in cui il generale morì, sotto una teca è stato sistemato il letto, circondato da una balaustra. L'armadietto dei medicinali, un tavolino, una carrozzella e un camino completano l'arredamento. Un orologio, sopra l'architrave della porta, segna l'ora della morte, le 18,20. Una bronchite aveva posto fine alla sua esistenza il 28 giugno -gno del 1882. Nel testamento aveva chiesto di essere cremato. Ma questa disposizione non venne rispettata. Garibaldi fu sepolto con i familiari, verso il mare, dove oggi è la sua tomba, vigilata da due sentinelle.

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