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L'isola del Giglio è per grandezza (21 kmq di superficie) e per numero di abitanti, la seconda dell'arcipelago toscano dopo l'Elba.
Il rilievo
più alto, Poggio della Pagana, si eleva fino a 496 metri sul livello
del mare.
Di poco più bassi i Castellucci, rispettivamente 476 e 470 metri.
I nuclei
principali dell'isola sono:
- Giglio Porto, sulla costa orientale;
- Giglio Castello, che si raggiunge lungo una una ripida strada a un'altitudine
di 405 metri: è un paese caratteristico, tutto viuzze, scalee, mura,
archi e antiche case, dominato da una Rocca
con porta del '300; dello stesso periodo sono due affreschi nella chiesa parrocchiale,
che conserva un Cristo in avorio, forse del Giambologna;
- Campese, sul mare, dalla bella spiaggia sabbiosa.
Nonostante
la modestia dei rilievi, il clima dell'interno è anche notevolmente diverso
da quello costiero: secco e molto ventilato il primo, umido ed afoso il secondo.
La temperatura media durante l'inverno va da 2 ai 9 gradi, mentre, durante la
stagione estiva, si mantiene trai 18 e i 25 gradi.
Un primo
fondamentale privilegio dell'isola consiste nella varietà delle coste,
che si sviluppano per 28 km, e quindi nelle diverse possibilità di accesso
al mare. Al Campese, alle Cannelle, all'Arenella, alle Caldane
c'è spiaggia di arena finissima, di tutto riposo per mamme e bambini.
Ma il fondale è subito di roccia e quindi non è torbido come succede
in Versilia, dove la sabbia continua fino al largo.
Tutta roccia, invece, in altri tratti di costa, talvolta contigui alle spiaggie
di sabbia: alla Porta del Lazzaretto, a quella della Gabbianara, alla Cala del
Corvo, alla Punta del Morto, per citare soltanto quelle più facilmente
accessibili, mentre la disponibilità di un natante, anche di un gommone
se il mare è tranquillo, riserva altre mille possibilità di sbarco
in cale e calette solitarie, aperte tra le pareti a picco.
Le lastre di granito, in certi punti, sono così piane ed estese che ancora
oggi portano il nome di "aie", perchè appunto ci trebbiavano
il grano: se ne trovano sul versante orientale dei Poggi del Castello, ai Castellucci,
alla Chiusa, alla Pagana.
Veramente difficile, invece, è l'approdo sotto le grandi scogliere che
strapiombano su larga parte della costa di Ponente: proprio per questo, tuttavia,
è qui che i subacquei pescano in piena libertà.
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Giglio, dal greco igilion, capretta, l'unico animale che riuscisse a nutrirsi - e a nutrire qualcuno - sull'isola: la derivazione è attestata dai documenti più antichi anche se nel V° secolo Rutilio Namanziano ha proposto Giglio da exilium, riferendosi all'ospitalità data ai profughi romani in fuga dopo il saccheggio di Alarico, re dei Visigoti.
L'ipotesi
più diffusa sui primi abitanti dell'isola è che fossero liguri.
Gli abitanti, che alla fine del 700, dopo l'ultimo sbarco dei turchi, sono meno
di mille, diventano quasi duemila nella prima metà dell'800.
La mano passa al regno d'Italia e, mentre per tutti è festa, per il popolo
del Giglio non è quel grande vantaggio: stavano assai meglio con i granduchi
di Lorena.
Il nuovo governo, infatti, sembra aver capito soltanto che l'isola è
un posto sicuro dove confinare i detenuti politici. La Rocca e le torri del
Campese, del porto e del lazzaretto, sono trasformate in prigioni.
Di altri lavori pubblici neppure si parla, mentre i giovani, ai quali la Francia
sta chiudendo anche la tradizionale risorsa della pesca lungo le coste dell'Algeria,
non possono che emigrare nelle Americhe oppure arruolarsi nella Regia Marina:
soluzione, quest'ultima, senza dubbio onorevole, ma disastrosa per le campagne,
già avviate al progressivo abbandono.
Con l'ultima guerra la decadenza sembra ormai irreversibile, ma proprio qui
comincia l'avventura del turismo che oggi rappresenta la maggior fonte di ricchezza
dell'isola.
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Nel pesce, la zuppa è parente stretta del caciucco livornese, ma assai
più leggera anche se altrettanto gustosa: si chiama Calderone, perchè
un tempo si faceva appunto in una grossa pentola, sugli scogli, con il pesce
appena pescato.
Altro piatto forte il coniglio alla cacciatora: si tratta del coniglio sevatico
dell'isola, squisito, in un intingolo a base di pomodoro ed erbe.
Nei dolci, tipico il Pansicato, a base di fichi. Si mette al forno per Natale,
secondola tradizione, ma si trova tutto l'anno.
Il vino dell'isola, famoso fin dai tempi più antichi, è l'Ansonaco,
trapiantato, si dice, da esuli in fuga dalla Sicilia. La produzione un tempo
era abbondantissima (nella prima metà del XVI secolo toccava i 12.000
barili gigliesi, cioè 540.000 litri) e assicurava una florida esportazione.
Con l'inizio del nostro secolo, segnato dalle terribili epidemie provocate dalla
filossera e dalla peronospora, è cominciata la decadenza, ma qualche
vigneto ancora resiste e dona un vino squisito, fra i 16 e i 17 gradi.