Messico

Messico (Estados Unidos Mexicanos; Stati Uniti Messicani), repubblica federale dell'America centrale, delimitata a nord dagli Stati Uniti d'America, a est da Stati Uniti, golfo del Messico e mar dei Caraibi, a sud da Belize e Guatemala e a ovest dall'oceano Pacifico.

L'autorità federale si estende anche a un certo numero di isole al largo della costa, comprese le quali la superficie territoriale complessiva è di 1.964.382 km².

Capitale e città più grande del paese è Città di Messico.

TERRITORIO  
Morfologicamente il paese è dominato dalla presenza del vastissimo Altopiano Centrale, fiancheggiato dalle due elevate catene montuose della Sierra Madre Occidentale e Orientale, che si ergono a picco sulle strette pianure costiere collocate rispettivamente a ovest e a est.

I due sistemi orografici si snodano in direzione sudorientale fino ad incontrarsi, presso la regione denominata La Junta, a formare la Sierra Madre del Sud, ovvero un dedalo di montagne di origine vulcanica, tra cui si situa il picco più alto del Messico (vedi Sierra Madre), posto nell'istmo di Tehuantepec, tra il golfo omonimo e la baia di Campeche.

L'Altopiano Centrale, che costituisce la prosecuzione delle alteterre degli Stati Uniti sudoccidentali, copre più della metà dell'area totale del paese digradando da ovest verso est e da sud verso nord, dove si apre l'ampia depressione Bolsón de Mapimí; nella regione centrale, infine, si trova la Valle del Messico detta anche altopiano di Anáhuac.

Le pianure costiere sono generalmente basse, piatte e sabbiose, anche se la costa pacifica si presenta occasionalmente interrotta da promontori rocciosi. A partire dall'estremo lembo nordoccidentale si estende la lunga (1225 km) e stretta penisola di California, attraversata longitudinalmente dal proseguimento delle catene costiere californiane. La penisola dello Yucatán, invece, che forma la propaggine sudorientale del paese, è costituita da una piatta e uniforme pianura.

Il paese può contare su un numero ridotto di grandi fiumi, dei quali pochi sono navigabili. Il più lungo corso d'acqua è il Rio Grande (chiamato Rio Bravo del Nord) che segna parte del confine con gli USA; sempre nella regione settentrionale si trova il Conchos, mentre a sud scorrono il Balsas Pánuco, il Grijalva e l'Usumacinta. Il più grande bacino d'acqua interno è il lago Chapala, posto nell'area occidentale.

Le coste offrono pochi porti naturali tra cui, nel golfo del Messico, Tampico, Veracruz Llave e Coatzacoalcos (Puerto México); sul litorale pacifico, invece, si incontrano: Acapulco de Juárez, Manzanillo, Mazatlán e Salina Cruz.

Clima

Pur attraversato dal Tropico del Cancro, il paese ha un clima che in genere varia a seconda dell'altitudine; nelle cosiddette tierras calientes, che includono le pianure costiere dal livello del mare fino ai 900 m circa, le temperature variano dai 16 ai 40 °C. Nelle tierras templadas, che comprendono la fascia tra i 900 e i 1800 m, le medie si attestano tra i 17 e i 21 °C, mentre si abbassano (tra i 15 e i 17 °C) procedendo verso le tierras frías che si estendono dai 1830 ai 2745 m.

A Città di Messico le medie di gennaio e luglio sono di 12,6 e di 16,1 °C, mentre negli stessi mesi a Monterrey si registrano rispettivamente 14,4 °C e 27,2 °C.

La stagione delle piogge dura, indicativamente, da maggio a ottobre e, sebbene le regioni meridionali ricevano dai 990 ai 3000 mm di pioggia annui, gran parte del Messico è soggetta a un clima molto secco. Le precipitazioni medie raggiungono i 600 mm nelle tierras templadas, i 450 mm nelle tierras frías e appena i 250 mm nelle zone aride del nord.

Flora e fauna
Le differenze climatiche si riflettono nella varietà della flora; cactus, yucca, agave e mesquite crescono nelle regioni semidesertiche del nord, mentre le tierras calientes offrono una lussureggiante vegetazione che in alcune zone si infittisce fino a costituire foreste tropicali. Sempre in queste regioni crescono, oltre ai legnami pregiati, palme da cocco, caucciù, mandorli, fichi e olivi. Sulle pendici montane si incontrano boschi di querce, pini e abeti. Infine nelle cosiddette tierras hieladas, ovvero oltre i 4000 m di quota, vivono radi esemplari di vegetazione artica.

Anche la fauna subisce l'influenza delle fasce climatiche; lupi e coyote abitano il nord, mentre nei boschi delle pendici montane trovano riparo ocelot, giaguari, pecari, orsi e puma. In generale si trovano molte varietà di uccelli, di rettili – inclusi tartarughe, iguana e serpenti a sonagli – e, lungo la costa e negli estuari dei fiumi, di pesci.

POPOLAZIONE  
La popolazione, per il 73% concentrata nelle aree urbane. La composizione etnica, piuttosto varia, è data, oltre che da minoranze di amerindi (30%) e di bianchi (10%), da una maggioranza di meticci, discendenti principalmente dalle unioni tra gli amerindi e i colonizzatori europei (60%).

Lingua e religione

Lingua ufficiale è lo spagnolo, parlato dalla maggioranza della popolazione; sono altresì molto diffusi gli idiomi amerindi tra cui si citano il nahua, del ceppo azteco, e il maya, praticati rispettivamente l'uno nelle aree settentrionali, l'altro in quelle meridionali.

Per ciò che riguarda le pratiche di culto, nonostante il diffuso e tradizionale anticlericalismo, il cattolicesimo è senz'altro la religione più diffusa (89,7%); esistono tuttavia minoranze di fede protestante.

Suddivisioni amministrative e città principali

 Lo stato comprende 32 divisioni amministrative, ovvero 31 stati e un distretto federale. La capitale, Città di Messico, è il centro politico e culturale del paese; altre città di rilievo sono Guadalajara, un vitale polo minerario; l'antica Puebla; Ciudad Juárez, centro commerciale e industriale; León e Tijuana.

Istruzione e cultura  

L'istruzione primaria è gratuita e obbligatoria per i bambini dai 6 ai 12 anni di età; dalla metà del Novecento in poi sono state avviate numerose e incisive campagne governative per ovviare al dilagante analfabetismo; i ripetuti sforzi in questa direzione hanno sortito ottimi risultati, tanto che il grado di alfabetizzazione, nel 1995, ha raggiunto l’89,6%.

I più importanti atenei sono l'Università nazionale autonoma del Messico e l'Istituto politecnico nazionale, entrambi con sede nella capitale; vanno citati anche l'Università autonoma del Puebla, oltre a quelle di Guadalajara e di Jalapa.

Il Messico è caratterizzato da una cultura assai eclettica, ove le locali tradizioni degli amerindi si fondono con gli usi coloniali spagnoli e con gli stimoli provenienti dai confinanti Stati Uniti. In particolare la cultura degli indios si tramanda e si conserva nelle aree rurali, in cui vivono i discendenti delle antiche ed evolute civiltà dei maya, degli aztechi e dei toltechi. Nelle zone urbane più sviluppate, invece, prevalgono le influenze europee e americane. La vivacità culturale – non priva di elementi conflittuali – che anima il paese ha spinto molti artisti contemporanei a tentare di produrre una sintesi, capace di armonizzare i vari elementi, fino a individuare uno stile propriamente messicano

Letteratura  

La letteratura in lingua spagnola affonda le proprie radici già nel XVI secolo e molte opere si fondano su temi della tradizione orale delle popolazioni indigene. In seguito alla rivoluzione del 1910, la letteratura ebbe un notevole impulso e tra gli scrittori messicani più importanti del secolo vanno citati i novellisti Mariano Azuela, Martín Luis Guzmán, Andrés Henestrosa, Agustín Yáñez e Carlos Fuentes; i commediografi Víctor Barroso e Rodolfo Usigli, nonché il poeta Octavio Paz, vincitore del Nobel per la letteratura nel 1990, e il saggista Alfonso Reyes. Vedi anche Letteratura latinoamericana; Teatro latinoamericano.

Musica  
Il Messico è altresì caratterizzato da un vivo folclore musicale che, pur mantenendo caratteristiche autonome di regione in regione, si avvale generalmente dell'accompagnamento di strumenti a corda. Come per le altre arti, a cavallo del XX secolo, il crescente sentimento nazionale ha contribuito a orientare la musica "colta" verso le tradizioni locali: in particolare, tra i rappresentanti di questa tendenza, si ricordano Manuel Ponce, José Rolón e Carlos Chávez, al quale si deve la fondazione nel 1928 dell'Orchestra sinfonica nazionale. Vedi anche Musica latinoamericana.

Architettura  

Il periodo coloniale fu teatro di un'esuberante fioritura di stili architettonici, in cui forme gotiche, barocche e neoclassiche convivevano con il gusto del colore e della decorazione tipici degli amerindi; inoltre, alla fine dell'Ottocento, durante il breve regno dell'imperatore Massimiliano d'Asburgo, e in seguito, sotto la presidenza di Porfirio Díaz, fu introdotto lo stile impero. A partire dalla fine della prima metà del Novecento l'architettura nazionale si orientò, invece, verso il funzionalismo, di cui l'esempio più significativo rimane quello della città universitaria della capitale, alla progettazione della quale partecipò Felix Candela, autore anche del Palazzo dello sport per i Giochi olimpici del 1968.

Arte  
L'arte figurativa del periodo coloniale, pur risentendo della tradizione amerinda preesistente, rimase prevalentemente vincolata ai moduli stilistici spagnoli e, soprattutto durante la tarda fase dell'impero, fu caratterizzata perlopiù da una produzione puramente accademica; tra l'Ottocento e il Novecento iniziò tuttavia a svilupparsi una nuova figurazione, assai evocativa e più vicina allo stile locale, grazie a una nuova generazione di artisti tra cui si ricorda soprattutto José Guadalupe Posada. La vera rinascita dell'arte messicana si può tuttavia datare intorno al 1920 quando, in epoca postrivoluzionaria, pittori come Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e José Clemente Orozco crearono immensi affreschi murali che celebravano eventi storici e rivoluzionari, attraverso un originale e possente linguaggio figurativo. Da citare è anche Frida Kahlo, nota soprattutto per i suoi particolari autoritratti, contaminati con motivi folclorici e naturalistici, che, suscitando una specie di effetto onirico, ricordano la produzione surrealista europea. Vedi anche Arte e architettura latinoamericana; Arte e architettura precolombiana.

Biblioteche e musei  

La maggior parte delle biblioteche ha sede presso le università; infatti la Biblioteca nazionale, che ospita una collezione di documenti rari, è affiliata all'Università nazionale autonoma della capitale.

Tra le principali istituzioni culturali si citano inoltre il Museo nazionale di storia e il Museo nazionale di antropologia, entrambi a Città di Messico; infine è da ricordare il Museo archeologico di Mérida, nella penisola dello Yucatán.

ECONOMIA  
Dal punto di vista economico il paese riflette lo stato di transizione da un'economia primaria – basata essenzialmente sull'attività estrattiva e sull'agricoltura – a una fase di semindustrializzazione. Malgrado la stretta e costante dipendenza dagli Stati Uniti, un forte impulso autonomo al settore secondario fu impresso già a partire dagli anni Trenta, e la progressiva crescita produttiva ebbe un'ulteriore impennata negli anni Settanta, in concomitanza con la scoperta di pozzi petroliferi nel golfo del Messico.

Tradizionalmente orientati verso la nazionalizzazione di vasti apparati produttivi, dagli anni Ottanta, in coincidenza di una grave crisi recessiva, i governi messicani hanno dovuto rinunciare a un'economia di tipo protezionistico, cedendo alle richieste del Fondo monetario internazionale (FMI) e aprendo sempre più ai capitali stranieri. La riduzione dell'intervento statale ha però avuto come conseguenza un consistente aumento della povertà, e i già inefficienti servizi sociali si sono rivelati sempre più inadeguati a fronteggiare i problemi causati dall'elevatissimo tasso di disoccupazione e dalla diffusione di malattie endemiche.

Agricoltura  
Circa il 26% della forza lavoro è occupato nel settore agricolo, mentre un'alta percentuale dello stesso è impiegata nelle ejidos, ovvero le cooperative di peones, fondate nel 1915 a seguito della prima grande riforma agraria messicana. Nei primi anni Novanta il governo ha abolito tuttavia un enorme numero di ejidos per poterne privatizzare le terre: il provvedimento, che ha di fatto espropriato milioni di contadini, è alla radice delle rivendicazioni sociali dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale.

L'agricoltura, in generale trascurata a favore dell'impulso dato all'industria nazionale e svantaggiata a causa della siccità, resta un settore piuttosto arretrato; infatti, nonostante i progetti d'irrigazione artificiale e i programmi di valorizzazione del suolo, i prodotti agricoli non coprono il fabbisogno nazionale. Le principali colture includono grano, frumento, orzo, riso, fagioli, patate, caffè, cotone, canna da zucchero; rilevante è senza dubbio il settore della frutticoltura.

L'allevamento costituisce altresì una discreta risorsa economica, soprattutto di bovini, seguiti da suini, ovini, cavalli, asini e animali da cortile.

Risorse forestali e pesca  

Circa il 23% del territorio nazionale è coperto da foreste, tuttavia, a causa dell'eccessivo sfruttamento precedente, il governo ha provveduto a regolamentare severamente il settore. Tra i legnami più diffusi in senso industriale si citano il pino rosso, il mogano, il cedro, il sandalo e il legno di rosa.

La pesca viene principalmente effettuata nel golfo di California e l'industria ittica è in parte controllata da società cooperative che possiedono il monopolio su alcune specie. Oltre ai crostacei, che rappresentano una voce delle esportazioni, il pescato include abaloni, lucci, sardine, alici, tonni, acciughe, ostriche e sgombri.

Risorse minerarie  

Le ricchezze del sottosuolo, varie e ingenti, rappresentano una delle maggiori risorse del paese; oltre all'argento, di cui il Messico è il primo produttore mondiale, si estraggono ferro, fluorite, fosfati, uranio, argento, oro, rame, piombo e zinco, antimonio, grafite, manganese, barite, zolfo e tungsteno. Imponenti sono anche le risorse di gas naturale e di petrolio; quest'ultimo, la cui produzione è controllata dall'agenzia statale Petróleos Mexicanos, viene estratto soprattutto negli stati di Veracruz, Tabasco e Chiapas.

Industria  

L'industria messicana è tra le più sviluppate dell'America latina. Nel corso degli anni Ottanta, ebbero un notevole impulso le cosiddette maquilladoras, ovvero piccole aziende di assemblaggio di prodotti nordamericani, disseminate presso il confine settentrionale. Più di recente il settore dell'indotto USA in territorio messicano si è ulteriormente consolidato, passando dal solo assemblaggio alla produzione stessa di attrezzature meccaniche. In generale oltre ai comparti meccanici ed elettronici, l'economia nazionale può contare su un discreto sviluppo delle industrie chimica, siderurgica, alimentare, cartaria, conciaria e tessile, nonché su impianti per la lavorazione del tabacco e zuccherifici. Tutt'altro che trascurabile è infine il numero di raffinerie.

Il fabbisogno energetico nazionale è soddisfatto all'82% da impianti termici e geotermici, e al 18% da centrali idroelettriche.

Flussi monetari e banche  

L'unità monetaria del Messico è il nuevo peso, suddiviso in 100 centavos, emesso e controllato dalla Banca del Messico. Il sistema bancario commerciale, nazionalizzato nel 1982, fu restituito al controllo dei privati nei primi anni Novanta.

Commercio  
All'inizio degli anni Novanta il volume delle esportazioni bilanciava, a grandi linee, quello delle importazioni. Le maggiori fonti di guadagno, per quanto riguarda il commercio estero, sono costituite da: petrolio grezzo, gas naturale, cotone, zucchero, pomodori, caffè, gamberi, bestiame, argento, zinco, prodotti tessili e chimici, oltre a veicoli e attrezzature meccaniche; questi ultimi costituiscono anche due voci dell'importazione che, a propria volta, comprende anche sistemi per telecomunicazioni, derivati del petrolio, prodotti agricoli, ferro e acciaio. I partner commerciali privilegiati sono in primo luogo gli Stati Uniti, seguiti da Giappone, Germania, Brasile, Canada, Francia, Spagna e Gran Bretagna.

Il turismo, il commercio di frontiera, gli investimenti e i depositi bancari da parte dei lavoratori messicani nei confinanti USA rappresentano importanti fonti di valuta estera.

Trasporti e comunicazioni  

Tra le numerose autostrade che attraversano il territorio, sono da menzionare soprattutto le quattro arterie, situate tra i confini statunitensi e Città di Messico, che costituiscono parte dell'autostrada Panamericana. Il servizio aereo, assai sviluppato, si avvale di moltissimi aeroporti, dove trovano scalo voli sia locali sia internazionali; tra le principali linee aeree si citano l'Aeroméxico e la Compañía Mexicana de Aviación.

ORDINAMENTO DELLO STATO 
In base alla Costituzione del 1917, il Messico è una Repubblica federale ove il presidente, che esercita il potere esecutivo insieme a un Consiglio dei ministri da lui nominati previa approvazione delle Camere, è eletto a suffragio universale ogni sei anni; scadenza con cui vengono eletti anche i 64 membri del Senato e i 500 membri della Camera, i quali congiuntamente formano il Congresso, ovvero l'organo istituzionale cui spetta l'esercizio del potere legislativo. Nessuna delle cariche istituzionali, inclusa quella presidenziale, è rinnovabile per due legislature consecutive.

Per ciò che riguarda il potere giudiziario, il tribunale di grado più elevato è la Corte suprema composta di membri di nomina presidenziale.

Ogni stato si avvale di un governatore – eletto ogni sei anni – al quale spetta l'esercizio del potere esecutivo a livello locale, e di due Camere, i cui membri vengono eletti con scadenze triennali, che si occupano del potere legislativo.

STORIA

 
Il territorio messicano fu sede di alcune tra le più antiche civiltà del mondo; si pensa che tribù di cacciatori-raccoglitori vi abitassero già in epoca paleolitica, e sono stati rinvenuti resti umani risalenti a circa 10.000 anni fa. In epoca più tarda alcune popolazioni seminomadi cominciarono a praticare la coltivazione del mais, della patata e dei pomodori e si sviluppò– sia nelle zone dell'interno sia in quelle costiere – una serie di culture a carattere agricolo sedentario, tra cui quella degli olmechi, che fiorì tra il 1600 e il 600 a.C. e inventò la scrittura ideografica e il calendario. I primi secoli dell'era cristiana videro l'affermazione di alcune civiltà assai avanzate (generalmente organizzate in città-stato, ad esempio l'importante centro di Teotihuacán) come i totonachi e gli zapotechi; straordinariamente sviluppati a livello commerciale, culturale e artistico, questi popoli vennero a contatto con i maya stanziati nelle regioni meridionali. Nel IX secolo fecero la propria comparsa i mixtechi, in breve sopraffatti e scacciati verso sud dalla popolazione guerriera dei toltechi; questi ultimi fondarono un potente stato, che aveva il proprio centro nella città di Tula.

L'impero azteco

Nel XII secolo i chichimechi sconfissero i toltechi; sotto la spinta di nuove genti venute dal nord il regno si frammentò, spianando la via agli aztechi (o mexica), i quali nel 1325, su un'area paludosa del lago Texcoco, fondarono Tenochtitlán (l'odierna Città di Messico) e nel giro di un secolo estesero la loro influenza sull'intero Messico centrale. Il regno azteco, basato su un'organizzazione sociale, politica e religiosa molto complessa, diede vita a una civiltà assai sviluppata, grazie anche all'assimilazione di tradizioni tolteche e chichimeche (Vedi Arte azteca).

Il primo esploratore europeo a visitare il territorio messicano fu Francisco Fernández de Córdoba, che nel 1517 scoprì insediamenti maya nella penisola dello Yucatán; l'anno seguente Juan de Grijalva fu a capo di una spedizione che esplorò la costa orientale del Messico e riportò nella colonia spagnola di Cuba le prime notizie riguardanti il ricco impero azteco. Nel 1519 il governatore cubano Diego Velázquez inviò nella regione un contingente militare, il cui comando fu affidato a Hernán Cortés. Per la storia della conquista spagnola dell'impero azteco e del Messico, vedi Hernán Cortés.

Il periodo coloniale  

Nel 1521 la capitale azteca venne conquistata in via definitiva e nel 1535, con la nomina del primo viceré spagnolo Antonio de Mendoza, la colonia della Nuova Spagna (fondata nel 1520) divenne viceregno; questo espanse, più tardi, i suoi confini e giunse a comprendere gli attuali territori del Texas, New Mexico e California.

Caratteristica preminente della società messicana coloniale fu il massiccio sfruttamento degli indios che, sebbene decimati durante la conquista, rappresentavano pur sempre la maggioranza degli abitanti della Nuova Spagna. La condizione di semischiavitù cui furono soggetti fu il risultato del sistema dell'encomienda, tramite il quale Madrid dava in concessione a nobili, ecclesiastici e militari spagnoli vaste terre con diritto di giurisdizione sugli indios che vi abitavano.

Un ulteriore tratto distintivo del Messico coloniale fu la posizione di grande influenza sociale e politica che assunse la Chiesa cattolica, i cui primi missionari francescani, agostiniani, domenicani e gesuiti arrivarono nel paese al seguito dei conquistadores; nel 1859, al momento della nazionalizzazione dei possedimenti ecclesiastici, essa possedeva addirittura un terzo delle terre dell'intero paese.

Terza importante caratteristica fu la rigida gerarchizzazione sociale tra peninsulares, coloni spagnoli detentori delle principali cariche governative e amministrative; criollos (o creoli), figli di genitori europei nati e cresciuti sul suolo americano, rappresentanti la classe economicamente portante; mestizos (o meticci), gruppo in costante espansione prodotto dall'incrocio tra bianchi e indios, mediamente discriminati e dediti al piccolo commercio; indios, schiavi neri e zambos (incroci tra indios e negri), le categorie maggiormente emarginate e sfruttate.

L'amministrazione del viceregno fu caratterizzata sin dalla sua fondazione da inefficienza e corruzione, elementi che furono spesso motivo di preoccupazione per la Corona spagnola, anche se a nulla valsero le periodiche commissioni di controllo istituite per porvi rimedio. Nemmeno le riforme apportate nella seconda metà del XVIII secolo riuscirono a intaccare la debolezza congenita del sistema e, all'inizio del secolo successivo, il malcostume del governo della Nuova Spagna unito al risentimento dei criollos mise fortemente in crisi i legami di fedeltà della colonia verso la madrepatria. Alle difficili condizioni interne si vennero a sommare le idee politiche liberali provenienti dall'Europa sulla scia della Rivoluzione francese, nonché le ripercussioni della guerra d'indipendenza americana.

L'occupazione della Spagna da parte di Napoleone favorì quindi lo scoppio delle rivolte indipendentiste, in Messico come in tutta l'America latina. Allentatosi il controllo centrale, crebbero le tensioni tra le diverse autorità coloniali, intenzionate ad affermare ognuna la propria supremazia; nel 1808 il viceré (poco più tardi destituito e scacciato da alcuni ufficiali peninsulares) dovette consentire ai criollos una maggiore partecipazione all'amministrazione del paese. Fu durante queste lotte di potere che ebbe inizio la rivolta del popolo messicano.

La guerra d'indipendenza  

Il 16 settembre 1810 il prete Miguel Hidalgo y Costilla diede il via alla rivolta, chiedendo l'abolizione della condizione servile degli indios e delle discriminazioni di casta; inizialmente vittoriosa, l'insurrezione ebbe termine nell'agosto 1811 con la cattura e l'esecuzione del suo leader da parte delle forze monarchiche. La rivolta si riaccese però tra i contadini della Sierra Madre del Sud, guidata da un altro prete, José María Morelos y Pavón, il quale nel 1813 proclamò l'indipendenza del Messico, introducendo l'anno seguente una Costituzione repubblicana; nel dicembre 1815, tuttavia, questi venne catturato e fucilato dall'esercito guidato dal generale creolo Agustín de Itúrbide, che inflisse così un duro colpo alla campagna insurrezionale (che, seppur in tono minore, proseguì comunque sotto il comando di Vicente Guerrero).

Gli avvenimenti che si susseguirono in Europa e soprattutto l'insurrezione spagnola del 1820 mutarono le sorti dell'insurrezione messicana; intimoriti dalla tendenza politica liberale che aveva acquisito credito in Spagna, i capi del governo coloniale, rappresentanti la ricca aristocrazia conservatrice, furono indotti ad assumere le redini del movimento rivoluzionario per operare loro stessi la separazione del viceregno dalla madrepatria. Nel febbraio 1821 il generale Itúrbide stipulò un patto con il capo rivoluzionario Guerrero; l'accordo, noto come piano di Iguala, prevedeva tre punti: indipendenza del Messico, difesa della Chiesa cattolica, uguaglianza tra spagnoli e creoli. L'ultimo viceré della Nuova Spagna, Juan O'Donojú, giunto nel paese nel luglio 1821, fu costretto ad accettare il manifesto di Córdoba, che dava ufficialmente inizio alla storia del Messico indipendente.

L'impero e la repubblica

 
All'indipendenza seguì un lungo periodo di instabilità politica e sociale, causata soprattutto dai problemi ereditati dal regime coloniale. Nel 1822 il generale Itúrbide si autoproclamò imperatore del Messico e si fece incoronare con il nome di Agustín I, ma dieci mesi più tardi venne deposto da una rivolta capeggiata da Antonio López de Santa Anna, suo ex alleato, che proclamò la repubblica. Negli anni successivi la vita del paese fu dominata dalla strenua lotta tra i centralisti (schieramento conservatore formato da alti esponenti ecclesiastici, proprietari terrieri, ricchi creoli e ufficiali dell'esercito, decisi a mantenere una forma di potere centralizzata, non dissimile da quella coloniale) e i federalisti (fazione liberale e anticlericale che si batteva per una federazione di stati autonomi, per l'emancipazione degli indios e per una maggiore giustizia sociale). Nel 1833 venne eletto presidente Santa Anna, centralista molto popolare negli ambienti militari; sotto il suo governo, alle faide interne venne ad aggiungersi il conflitto con gli Stati Uniti, che non fece che accentuare le già enormi difficoltà della nuova repubblica messicana.

La guerra con gli Stati Uniti d'America  

In seguito all'abolizione della schiavitù (1829) e all'intenzione di Santa Anna di accrescere la centralizzazione delle istituzioni dello stato, il Texas (allora sotto giurisdizione messicana) si ribellò e, dopo la vittoriosa battaglia di San Jacinto, nell'aprile 1836 dichiarò la secessione. A causa degli attriti tra messicani e statunitensi e delle continue dispute sul confine texano, nel 1846 gli Stati Uniti dichiararono guerra al Messico, con l'intenzione di annettersi anche i territori della California (vedi Guerra messicano-americana); il conflitto si concluse nel febbraio 1848 con il trattato di Guadalupe Hidalgo, che assegnava agli Stati Uniti immensi territori a nord del Rio Grande; le frontiere assunsero l'aspetto attuale nel 1853, quando gli Stati Uniti acquistarono altri territori del Messico settentrionale.

Nel periodo postbellico il paese dovette far fronte alla difficile opera di ricostruzione. Santa Anna, costretto a dimettersi sull'onda della sconfitta, nel 1853 tornò dall'esilio e con l'appoggio dei centralisti riuscì a farsi rieleggere presidente, ma l'anno successivo fu definitivamente estromesso da un'insurrezione dei liberali riformisti.

Benito Juárez e Massimiliano d'Asburgo

 
Tra i leader liberali della "Reforma" emerse la figura di Benito Pablo Juárez, un indio noto per la sua integrità e fedeltà agli ideali democratici, fra i propugnatori della nuova Costituzione introdotta nel 1857 con cui, prevedendo una forma di governo federale, si disponeva l'introduzione del suffragio universale maschile, la laicizzazione dello stato, la concessione di alcune importanti libertà civili. La Costituzione fu però subito avversata dagli ambienti conservatori che, sostenuti dalla Spagna, scatenarono una devastante guerra civile (detta "guerra dei Tre anni", 1858-1861), che si concluse con la vittoria del fronte liberale, grazie anche all'aiuto statunitense. Juárez, che a partire dal 1858 aveva decretato la nazionalizzazione delle proprietà ecclesiastiche, la separazione tra Stato e Chiesa e la soppressione degli ordini religiosi, venne confermato alla presidenza nel 1861. La sua decisione di sospendere il pagamento degli interessi del debito estero contratto dai precedenti governi, per cercare di risanare le finanze statali, spinse però Francia, Gran Bretagna e Spagna ad accordarsi per un intervento comune finalizzato a salvaguardare i loro investimenti e le loro proprietà in Messico. Una spedizione congiunta occupò la città di Veracruz nel 1862, ma quando divenne evidente che Napoleone III nutriva ambizioni di tipo coloniale, spagnoli e inglesi ritirarono i propri contingenti, lasciando soli i francesi, che, sostenuti dai conservatori, nel giugno 1863 entrarono a Città di Messico, costringendo alla fuga Juárez e il suo governo. Una giunta provvisoria, di stampo fortemente conservatore, proclamò la nascita dell'impero messicano e, su suggerimento di Napoleone III, ne offrì la corona all'arciduca Massimiliano d'Asburgo.

Questi governò il Messico fino al 1865, quando la Francia – sotto la pressione degli Stati Uniti che continuarono a riconoscere Juárez come legittimo presidente – ritirò le truppe dal paese, permettendo alle forze repubblicane di Juárez, guidate dal generale Porfirio Díaz, di riassumere le redini del governo (1867); costretto ad arrendersi a Querétero, Massimiliano venne condotto davanti alla corte marziale e fucilato. Rieletto presidente nel 1871, Juárez morì l'anno seguente e venne sostituito da Sebastián Lerdo de Tejada, il quale rimase in carica fino a che, nel 1877, Porfirio Díaz, a capo di una nuova insurrezione, lo depose.

La dittatura di Díaz  


A eccezione del periodo 1880-1884 (durante il quale il potere era nominalmente nelle mani di un suo assistente), Díaz governò in maniera dispotica sino al 1911. Sotto la sua dittatura, grazie a massicci investimenti statunitensi e britannici, il Messico fece passi da gigante a livello commerciale ed economico, rilanciando il sistema produttivo nazionale: furono creati stabilimenti industriali, una rete ferroviaria e porti ben attrezzati; si intrapresero lavori pubblici; fu resa più efficiente l'amministrazione statale. Nello stesso periodo crebbe un forte malcontento delle classi popolari, escluse dai benefici della crescita economica, che andava a esclusivo vantaggio delle classi alte e in particolare dei proprietari terrieri, ai quali venne permesso di espropriare le terre appartenenti per tradizione alle comunità degli indios. In generale, il dittatore dimostrò una totale noncuranza per le condizioni di vita delle masse popolari, mentre appoggiò fortemente la Chiesa, abrogando la legislazione anticlericale istituita dai precedenti governi.

Nelle elezioni del 1910 Díaz consentì la candidatura di un rappresentante dell'opposizione liberale. Francisco Indalecio Madero non riuscì a battere il dittatore nella contesa elettorale, viziata da brogli; tuttavia divenne il fulcro del movimento rivoluzionario che, anche grazie all'appoggio di Emiliano Zapata e Pancho Villa, nel maggio 1911 obbligò il dittatore a dimettersi e a lasciare per sempre il Messico.

Un periodo di forte conflitto

 
Nel novembre 1911 Madero divenne presidente, ma fu incapace di contrastare gli interessi dell'oligarchia economica e militare e di avviare una politica di riforme; Zapata e Villa, fautori di una politica più radicale, ruppero con il governo e continuarono a richiedere la riforma agraria, mentre Alvaro Obregón avviava la lotta armata nel Nord del paese. Nel 1913 Victoriano Huerta, appoggiato dai grandi proprietari e da potenze straniere quali Gran Bretagna e Francia, rovesciò il governo con un violento colpo di stato in cui Madero trovò la morte. Huerta si trovò subito a fronteggiare la dilagante rabbia popolare e la ripresa del conflitto, guidato, oltre che da Villa e Zapata, da Venustiano Carranza il quale, scacciato Huerta, si pose alla testa di un governo provvisorio.

Tuttavia i combattimenti continuarono. Gli eserciti di Villa e Zapata marciarono congiuntamente su Città di Messico, costringendo Carranza alla fuga. Dopo due anni di guerra civile, nel 1916 il governo di Washington, allarmato circa la sorte delle proprietà statunitensi in Messico, inviò un contingente militare al fine di avere ragione delle truppe rivoluzionarie di Villa. L'intervento statunitense, unito al tentativo di colpo di stato ordito da Díaz, ricompattò il fronte rivoluzionario sotto la guida di Carranza, il quale si pronunciò a favore di radicali riforme sociali e nel 1917 le truppe statunitensi furono costrette a lasciare il paese.

La rivoluzione  

La Costituzione del febbraio 1917 introdusse delle riforme molto avanzate rispetto ai tempi (riforma agraria, esproprio delle proprietà ecclesiastiche, restituzione delle terre comunitarie agli indios, giornata lavorativa di otto ore, protezione del lavoro femminile e minorile, nazionalizzazione delle risorse). Nel maggio dello stesso anno Carranza fu eletto presidente; tuttavia le riforme rimasero perlopiù inapplicate, cosa che provocò nelle classi popolari un profondo malcontento, destinato ad accrescersi quando, nel 1919, Carranza fece uccidere Emiliano Zapata. Nel 1920 la situazione precipitò: i generali Plutarco Elías Calles, Alvaro Obregón e Adolfo de la Huerta deposero il presidente, il quale fu ucciso durante un tentativo di fuga.

Dopo una breve giunta provvisoria guidata da De la Huerta, alla fine del 1920 salì alla presidenza Obregón, che si impegnò in una politica di riconciliazione con gli Stati Uniti, riconoscendo le concessioni alle compagnie petrolifere straniere; in cambio gli USA lo appoggiarono, nel 1924, in occasione di un tentativo di colpo di stato di De la Huerta. Calles, eletto nel 1924, avviò una politica di riforme che, toccando gli interessi dei grandi proprietari e della Chiesa cattolica, ne provocò la violenta protesta.

Il governo di Lázaro Cárdenas  

Obregón venne rieletto nel 1928, ma alcuni mesi dopo fu assassinato da un fanatico religioso; così, negli anni seguenti, sotto la copertura di presidenze provvisorie, il potere effettivo rimase nelle mani di Calles. Nel 1932 il Partito nazionale rivoluzionario (PNR, creato da Calles nel 1929) varò un programma di sei anni finalizzato a istituire il cosiddetto "sistema economico cooperativo volto verso il socialismo", che poté essere messo in atto da Lázaro Cárdenas, divenuto presidente nel 1934. Questi basò la propria politica sulla riforma agraria, l'industrializzazione, l'alfabetizzazione; inoltre, nel 1936, venne promulgata una legge che consentiva l'esproprio delle proprietà private che fossero risultate necessarie per il benessere pubblico e, nel 1937, furono nazionalizzate le ferrovie. Nel 1938, infine, furono confiscate le proprietà delle compagnie petrolifere straniere (l'industria del petrolio venne affidata all'agenzia statale Petróleos mexicanos), provvedimento, questo, che creò non poche ripercussioni sulla vendita del petrolio messicano ai paesi occidentali.

Manuel Ávila Camacho, presidente dal 1940, si orientò verso una linea politica assai più morbida, componendo i contrasti con i cattolici e, grazie ai risarcimenti forniti alle compagnie straniere, inaugurò la collaborazione economica con gli Stati Uniti.

Nel maggio 1942 il Messico dichiarò guerra a Germania, Italia e Giappone, e in conformità con la nuova linea di cooperazione con gli Stati Uniti consentì all'aviazione statunitense di fare scalo sul proprio territorio; negli anni del conflitto i due paesi strinsero inoltre una serie di accordi militari e politici tesi a ottimizzare il rapporto di alleanza strategica.

Il dopoguerra  

Nel giugno 1945 il Messico divenne uno dei primi membri dell'Organizzazione delle Nazioni Unite e nel 1946 Miguel Alemán Valdés, grazie a un programma elettorale che propugnava una più equa distribuzione della ricchezza nazionale e prometteva un'attiva politica di industrializzazione, succedette nella presidenza ad Ávila Camacho. Nelle elezioni legislative del 1949 il partito di governo (ribattezzato Partito rivoluzionario istituzionale, PRI) ottenne una schiacciante maggioranza in Parlamento. La situazione economica migliorò soltanto nel 1950, quando un prestito statunitense permise un progetto di sviluppo dei settori agricolo, energetico e dei trasporti. Nel frattempo, però, a causa dell'immigrazione clandestina (perlopiù stagionale) di un gran numero di lavoratori messicani in territorio statunitense, i rapporti tra i due paesi entrarono in crisi (il problema resta tuttora irrisolto e le dure misure statunitensi verso i clandestini non sembrano scoraggiare il flusso migratorio).

Durante il mandato presidenziale di Adolfo Ruiz Cortines (1952-1958) fu concesso il diritto di voto alle donne, mentre la presidenza di Adolfo López Mateos (1958-1964) fu turbata da scioperi e rivolte di varie categorie di lavoratori, esasperati dall'insostenibile costo della vita.

La storia recente

Le elezioni presidenziali del luglio 1964 furono vinte dal candidato del PRI Gustavo Díaz Ordaz, che impostò la campagna elettorale sulla solidarietà verso i contadini poveri. Nello stesso anno il Messico rifiutò di aderire alla decisione dell'Organizzazione degli stati americani di rompere le relazioni diplomatiche con Cuba, mentre nel 1967 il paese strinse una serie di accordi con i paesi dell'America centrale, nello sforzo di rilanciare la cooperazione economica nella regione.

Nel 1968, durante lo svolgimento dei Giochi olimpici, il governo di Díaz Ordaz represse duramente le proteste degli studenti contro la corruzione del partito di governo e a Città di Messico il brutale intervento delle forze dell'ordine causò centinaia di vittime; malgrado la dura repressione, agitazioni studentesche e sommosse antigovernative proseguirono anche negli anni Settanta.

Eletto presidente nel 1970, Luis Echeverría Alvarez, nei suoi sei anni di mandato, perseguì una strategia di riconciliazione sociale; adottò misure per limitare il controllo straniero sull'economia e per accrescere le esportazioni; allentò inoltre i legami con gli Stati Uniti, mirando a stabilire rapporti di cooperazione economica con i paesi dell'America latina, il Canada, il Giappone e la Comunità Europea. L'economia messicana registrò una forte crescita tra il 1970 e il 1974, per poi arrestarsi bruscamente nel 1975; nel tentativo di ridurre il deficit commerciale, l'anno seguente il governo dovette svalutare del 50% il valore del peso. José López Portillo (candidato del PRI), eletto presidente nel 1976, varò allora un programma di austerità economica (chiedendo agli operai di ridurre le pretese salariali e agli imprenditori di aumentare gli investimenti) che negli anni seguenti portò a un effettivo miglioramento della situazione, nonostante il permanere di un alto tasso d'inflazione.

Nella seconda metà degli anni Settanta il Messico raddoppiò la propria produzione petrolifera e questo, nonostante il forte indebitamento causato dall'acquisto delle attrezzature per gli impianti, permise al paese di godere di una maggiore indipendenza, specialmente rispetto agli Stati Uniti; ma il crollo dei prezzi del petrolio, verificatosi all'inizio degli anni Ottanta, provocò una grave crisi finanziaria, tale da ripercuotersi sulla stabilità sociale. Quando Miguel de la Madrid Hurtado (del PRI) divenne presidente nel 1982, si trovò a governare un paese prostrato da un elevatissimo tasso inflazionistico, afflitto dalla disoccupazione e dagli scontri sociali che nelle campagne opponevano contadini e latifondisti; la decisione del presidente di nazionalizzare le banche per evitare la dispersione di capitali all'estero creò scontento anche tra i settori medio-alti del mondo finanziario. Nel 1985, infine, il paese fu colpito da uno spaventoso terremoto che fece migliaia di vittime e provocò ingentissimi danni, mentre tre anni più tardi l'uragano Gilbert devastò la penisola dello Yucatán.

L'insurrezione del Chiapas  

Nel 1988 il candidato del PRI, Carlos Salinas de Gortari assunse la carica presidenziale, in seguito a elezioni i cui risultati furono fortemente contrastati dalle opposizioni. Il nuovo presidente perseguì una decisa politica di privatizzazione e accentuò il carattere neoliberista della politica economica in modo di attirare capitali stranieri; nell'ottobre 1989 il Messico sottoscrisse con Washington il più grande accordo commerciale e di investimenti mai concluso tra i due paesi, e nel dicembre 1992 sottoscrisse con gli Stati Uniti e il Canada il cosiddetto "Accordo nordamericano per il libero scambio" (vedi NAFTA), entrato in vigore il 1° gennaio 1994. La politica economica liberista di Salinas, pur ottenendo un notevole calo dell'inflazione, non riuscì a ridurre l'enorme debito estero del paese; inoltre, provocò l'estendersi della povertà.

Le precarie condizioni di un'ampia parte della popolazione e la discriminazione subita dagli indios continuò a provocare un forte malcontento in tutto il paese. Con un atto fortemente simbolico, il 1° gennaio 1994, il giorno dell'entrata in vigore del NAFTA, gli indios dell'Esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN) occuparono quattro città nello stato meridionale del Chiapas; il movimento, ispirandosi a Zapata, il leader rivoluzionario d'inizio secolo, reclamava il rispetto dei diritti degli indios, una equa distribuzione della terra, la democratizzazione dello stato.

Lo sfaldamento del regime priista

Nel marzo 1994 il candidato ufficiale del PRI, Luis Donaldo Colosio, venne assassinato durante la campagna elettorale. In agosto, Ernesto Zedillo Ponce de León, nuovo candidato del PRI, vinse le elezioni e subentrò a Salinas nella carica presidenziale. Zedillo si trovò di fronte la peggiore crisi finanziaria della storia messicana, causata principalmente da uno spaventoso debito estero; con il paese sull'orlo della bancarotta, il neopresidente annunciò nuove misure di austerità e ulteriori privatizzazioni, proseguendo sulla via neoliberista instaurata dai precedenti governi. Nonostante un grosso prestito del Fondo monetario internazionale, alla fine del 1995 il Messico era ancora in piena crisi e il 60% della popolazione viveva in condizioni di estrema povertà.

Nel frattempo, dopo un periodo di tregua, nel Chiapas proseguì l'insurrezione contadina guidata dal subcomandante Marcos, il quale acquisì vasta popolarità nel mondo anche grazie al ricorso alla rete telematica di Internet. La lotta tra i guerriglieri zapatisti e il governo messicano si intensificò all'inizio del 1995, quando il governo inviò nel Chiapas l'esercito federale per schiacciare definitivamente il movimento dei ribelli; l'imponente campagna militare, pur avendo permesso di riprendere il controllo di alcune piccole città precedentemente conquistate dagli zapatisti e di far retrocedere le basi dei guerriglieri nelle campagne e nelle foreste dell'estremo sud, non riuscì né nell'impresa di estinguere il fenomeno né, soprattutto, in quella di attenuare il consenso che la rivolta zapatista stava conquistando tra le fasce povere della popolazione messicana, non solo del Chiapas.

Il regime priista (cioè del PRI, il partito ininterrottamente al potere dalla fine degli anni Venti), lacerato dalle lotte tra le fazioni e dalla corruzione, vacillava sotto i colpi di un'opposizione più organizzata ed efficace. Nelle elezioni del luglio 1997, per la prima volta nella sua storia, il PRI perdeva la maggioranza nel Parlamento messicano. Nella stessa tornata elettorale il candidato del Partito della rivoluzione democratica (PRD), Cuauhtemoc Cárdenas, diventava capo del governo del distretto federale di Città di Messico, battendo il candidato del PRI.

Sviluppi recenti  

Dalla crisi del 1995 il Messico non è ancora del tutto riemerso, anche a causa del ribasso del prezzo del petrolio, di cui il paese è esportatore. Agli inizi del 1998, il peso ha perso il 20% del suo valore nei confronti del dollaro; pochi mesi dopo il paese è stato investito dal grosso scandalo del Fondo bancario di protezione del risparmio (FOBAPROA), in passivo di 65 di milioni di dollari versati nel 1995 alle banche a rischio di fallimento. Alla fine di settembre, il piano del governo di convertire in debito pubblico il passivo del FOBAPROA è stato respinto dall’opposizione.

Il processo di transizione politica avviatosi con le elezioni del 1997 è proseguito tra mille difficoltà, causate dalle resistenze del PRI a condividere o a lasciare il potere. Lo scontro è particolarmente evidente nel distretto federale di Città di Messico, di cui dal 1997 è governatore Cuauhtemoc Cárdenas, che si è trovato a operare in un sistema amministrativo dominato dalla delinquenza e dalla corruzione. In Chiapas, il conflitto che oppone le comunità indie e i guerriglieri zapatisti al governo centrale negli ultimi due anni ha rischiato più volte di precipitare. La “guerra di bassa intensità” condotta dall’esercito messicano e dalle truppe paramilitari legate ai latifondisti e al PRI continua a causare l’abbandono di centinaia di villaggi, i cui abitanti si ritirano nella giungla oppure si riversano nelle periferie delle città aggravando i già drammatici problemi sociali del paese. Di questa guerra, l’episodio più grave si è verificato il 24 dicembre 1997 nel villaggio di Acteal, dove 45 persone, in gran parte donne e bambini, sono state massacrate da truppe paramilitari all’interno della chiesa locale. La pressione militare nella regione è in seguito aumentata; nel 1998 il governo messicano ha espulso dalla regione centinaia tra osservatori e volontari e impedito l’ingresso a rappresentanti di organizzazioni umanitarie e religiose. Dopo un lungo periodo di silenzio, che aveva fatto temere la ripresa dell’attività guerrigliera, l’EZLN ha lanciato un referendum in tutto il paese: il 21 marzo 1999, tre milioni di persone in tutto il paese si sono espresse a favore della ripresa dei negoziati, chiedendo l’applicazione degli accordi di San Andrés del 1996, il ritiro dell’esercito e il ripristino delle garanzie costituzionali in Chiapas