Edgar Lee Masters
Antologia di Spoon River

Ottant’anni, una vita passata a inseguire la poesia e, dopo averla incontrata per una breve e felice stagione, a rimpiangerla, a cercare con accanimento di ritrovarla.

E. L. M. è l’uomo di un solo straordinario libro, con il passare del tempo più amato all’estero che in patria.

È un attore che appartiene al limbo della letteratura, come notò Mario Praz, al Parnaso Internazionale dei geni d’esportazione.

Ha scritto le poesie che formano l’antologia di Spoon River all’età di 45 anni, nel giro di 8 mesi, tra il maggio del ’14 e i primi giorni del gennaio del ’15.

Quando esce nell’aprile di quell’anno, il volume contiene 213 epigrafi, più la Collina, a mo’ di prologo, scritta per prima a metà maggio del ’14, dopo aver accompagnato al treno la madre venuta a trovarlo a Chicago.

Un insuperabile anno da poeta incastonato in una vita di uomo di legge.

Prima e dopo Spoon River, nonostante la tenacia e la buona volontà, E. L. M. non è più riuscito a produrre nulla di valore.

Sin da giovane aveva scritto poesie, poi pubblicate in volume nel 1898. Nel 1902 aveva portato diligentemente a termine una tragedia in versi, Massimiliano. Nel 1905 aveva dato alle stampe un poemetto storico, il Sangue dei Profeti.

Negli anni successivi aveva firmato con lo pseudonimo di Wester Ford un libro di canzoni e uno di sonetti.

Dopo l’antologia, che lo rese celebre nel mondo, nel ’24 tentò invano di rinverdire il successo con una solita di seguito meno ispirato, di tono più accusatorio, the New Spoon River.

Tra il 1916 e il 1942 scrisse dozzine di raccolte in versi, alcuni lavori teatrali, cinque biografie e un feroce profilo di Lincoln.

Spoon River, dunque: il miracolo. Le brucianti confessioni di uomini e donne, che attraverso la memoria, riesumano la dannazione, il patetico o la miseria della loro vita, una vita perlopiù sprecata, consumata lottando dai desideri e dalla felicità.

Uomini e donne ai quali la morte, come scriveva Malreaux, ha mutato la vita e il destino. Un tragico senso di disfatta emerge dalle loro voci che distillano in poche parole la cruda verità, alzata come bandiera contro “le false cronache delle pietre”, contro la tirannica ipocrisia che ha viziato la loro esistenza.

Quasi tutti i defunti si autodenunciano con una sincerità violenta, commossa e dolente. Registrano il loro fallimento, l’amara constatazione che la realtà contrasta con l’ideale conseguito e con le illusioni. Riflettono il pessimismo dell’autore che, pur tentando di raggiungere ad una “rappresentazione epica della vita moderna”, non dimentica delicatezza e umana ironia nel far parlare il suo popolo di morti. Risulta così un’epica piuttosto dimessa, sobria e pacata, e forse per questo veramente universale.

Masters ha scritto che la lettura dell’Antologia Palatina lo aveva ispirato, suggerendogli una forma che era “qualcosa meno del verso, ma più della prosa”. Dall’esperienza invece, aveva appreso come “teologia, finanza, giurisprudenza, società e le antitesi del bene e del male fossero le stesse in città e in campagna”. La sua ambizione era quella di descrivere il macrocosmo attraverso il microcosmo.

Ha annotato: “il villaggio di Lewinstown mi aveva fornito una chiave per aprire i segreti di tutto il mondo. Mentre la mia carriera di poeta sembrava arenata o del tutto finita, comincia a sognare di scrivere un libro su una cittadina di campagna, ma tale da avere tanti personaggi e tanti fili e tanti modelli da diventare la storia del mondo intero”.

E così, avuto lo spunto dal fiume Sangamon, non dallo Spoon, ha preso 53 nomi della regione di Petersburg e 66 da quella di Lewinstown , ha sviluppato in ritratti intrecciati 19 storie, ha descritto le tombe di Petersburg – ma la collina, quella dove tutti, tutti dormono è di Lewinstown – e ha sigillato in un rosario di parole una straordinaria commedia umana, animata da una forte tensione etica e, per dirla con le parole di Cesare Pavese, da una “umiliata celebrazione dell’energia e della giovinezza di un grande passato”.

Analisi generale del libro

Uscito nel 1943 per volere di Pavese 28 anni dopo la prima edizione americana, l’Antologia di Spoon River è una grande commedia di caratteri, un catalogo esemplare di stati d’animo, un, ironica e commovente enciclopedia di dolori rimpianti ed emozioni.

Sulla collina in riva al fiume, i morti battezzati dalla penna di E.L.M sono inchiodati senza requie all’attimo decisivo della loro esistenza. Portano con sé una situazione, un ricordo, un paesaggio, un’immagine, un gesto: tutti riassunti in breve rosario di parole.

Si svelano come mai era accaduto in vita.

La loro voce, che soffia da dietro le lapidi, denuncia un desiderio di riscatto per non essere stati quello che volevano essere. In queste poesie troviamo persone di tutti i ceti sociali, dai preti agli sceriffi, dal sindaco ad una comunissima persona. Tutti, chi in un modo chi in un altro, si lamentano della passata vita terrena.

I temi e gli ideali principali che si possono trovare all’interno di questo libro sono: il pessimismo, la morte, la rassegnazione e la disperazione. Una cosa da notare è la mancanza della luce divina, cioè Dio.

Per quanto riguarda lo stile, il libro riporta una sintassi prevalentemente semplice senza l’uso di un registro linguistico troppo elevato, infatti quasi tutti i termini sono comprensibilissimi. Infatti ritengo le poesie scritte, composte in un modo molto vicino all’esprimersi dei nostri giorni.

Direi che personalmente è stato un libro che mi ha colpito molto, ne avevo già sentito parlare però non mi ero mai fidato a comprarlo (forse stupidi pregiudizi).

La cosa che mi è subito balzata all’occhio è stata una struttura così strana, la storia di un paesino raccontata da poesie talvolta così struggenti da far riflettere alla vita attuale; esempio eclatante (che mi è rimasto più in mente) è la poesia di Harold Arnett che solo dalle prime parole fa capire quanto triste può essere il seguito: “Nausea, nausea…”.E poi: “Ho tirato il grilletto…tenebra…luce…indicibile rimorso…”.

La poesia che mi ha colpito di più è stata “Asso” Shaw :

Ho mai capito la differenza

tra uno che gioca a carte per soldi

e uno che compra e vende immobili,

uno che fa l’avvocato, il banchiere o qualcosa del genere.

È tutta questione di fortuna.

A ogni modo

tu lo conosci uno onesto negli affari?

Quello starà davanti ai Re!

In questa breve poesia l’autore afferma che nel successo e negli affari quello che conta è la fortuna e che vi è una gran inconciliabilità tra affari e onesta.

In questo riprende un tema che già ritroviamo in altri autori ad esempio, tanto per citarne alcuni, Dante, che nell’Inferno caccia tutti i commercianti e i banchieri e Carlo Marx ne “Il Capitale”.

Nel finale conclude con un’affermazione alquanto improbabile e provocatoria. Secondo l’autore, infatti, colui che riuscirà a conciliare onestà e affari starà davanti ai Re.

Questa poesia mi ha fatto riflettere perché anche al giorno d’oggi, nella nostra società consumistica, successo, denaro, prestigio personale e ricchezza sono valori imperanti. E non importa in quale modo si è riusciti a guadagnarli. Passano così in secondo piano aspetti della vita molto più importanti, come ad esempio l’onestà, la dignità e la responsabilità.