Omero
Odissea

L'Antefatto

Sull’Olimpo

Telemachia

Feaci

Ulisse a Itaca

I VIAGGI DI ULISSE

Ciconi

Lotofagi

Polifemo

EOLO

Lestrigoni

Circe

Scilla, Cariddi

Calipso

Itaca


L’Antefatto

L'antefatto del poema è, in fondo, la vicenda stessa dell'Iliade: la guerra  di Troia . Alla guerra ha partecipato Ulisse (Odisseo),re di Itaca , che con la sua astuzia e il suo coraggio ha avuto un ruolo determinante, dopo la morte di Achille, nella conquista della città.

Sua è stata l'idea di costruire il cavallo di legno che ha permesso di distruggere Troia. Ora la guerra è finita da dieci anni, tutti gli eroi greci sono tornati alle loro città o sono morti nel viaggio di ritorno. Solo Ulisse non è ancora tornato in patria.

E' trattenuto infatti nella lontana isola di Ogigia dalla bella ninfa Calipso che si è innamorata di lui.   

Sull’Olimpo

Il poema inizia sull’Olimpo. Gli dei, radunati attorno a Zeus, discutono sul destino dell’eroe. 

Il poeta mette subito in campo le due forze divine che hanno determinato le disavventure e le fortune di Ulisse: Poseidone, dio del mare, nemico acerrimo dell’eroe, e Atena che invece lo ama per la sua saggezza e lo protegge.

Gli dei decidono che è giunto il momento che Ulisse torni in patria.

Telemachia

L'azione si sposta tra i mortali ad Itaca, dove solo la moglie e il figlio di Ulisse, Penelope e Telemaco, sperano ancora nel ritorno dell'eroe, lontano ormai da vent'anni e di cui da dieci anni non si hanno più notizie. Numerosi giovani principi (i Proci) incalzano Penelope perché si risposi e Telemaco decide di compiere un viaggio a Pilo e a Sparta per chiedere a Nestore e a Menelao se hanno notizie di Ulisse.

Prima Nestore e poi Menelao accolgono il giovane con affetto e simpatia ma non sanno dargli informazioni precise. Solo Menelao narra di aver saputo che Ulisse è vivo, trattenuto lontano dalla ninfa Calipso.

Feaci

Ulisse intanto parte dall'isola di Ogigia su una zattera che Calipso gli lascia costruire per ordine degli dei.

Una tempesta, sollevatagli contro da Poseidone, lo fa naufragare sulle coste della terra dei Feaci.

Viene trovato da NAUSICAA, figlia del re Alcinoo, e guidato a corte. Accolto benevolmente, nel corso di un banchetto, sentendo narrare dall'aedo Demodoco le vicende della caduta di Troia, si commuove, rivela agli ospiti la sua identità e, su loro richiesta, inizia a narrare le sue disavventure.

Ulisse a Itaca

I Feaci decidono di ricondurre Ulisse alla sua isola. Lo imbarcano su una nave appositamente costruita e lo depongono addormentato con ricchi doni sulla spiaggia di Itaca.
Su consiglio di Atena, Ulisse non si reca a corte ma, vestito da mendicante, va alla stalla di Eumeo, il guardiano dei porci che gli è rimasto fedele. Questi lo accoglie fraternamente pur senza riconoscerlo e gli narra la situazione dell'isola : la regina è fedele al re lontano, ma i Proci la insidiano corteggiandola e il giovane Telemaco è partito per Pilo e Sparta alla ricerca di notizie sul padre.

Telemaco intanto è tornato, evitando con l'aiuto di Atena un agguato teso dai Proci e, subito, si reca da Eumeo. Ulisse, accompagnato da Eumeo, giunge davanti alla reggia; qui vede il suo vecchio cane Argo il quale riconosce il padrone e, subito dopo, vinto dall'emozione e dalla vecchiaia, muore. Poi, sempre travestito da mendicante, entra nella sua casa dove viene insultato e maltrattato dai Proci. Partiti i Proci per la notte, Telemaco e Ulisse nascondono tutte le armi esposte nella sala del palazzo.

 L'eroe incontra Penelope, ma non le si rivela. Viene poi riconosciuto dalla vecchia nutrice Euriclea.Penelope comunica ad Ulisse, che per lei è ancora un semplice mendicante, che proporrà ai Proci una gara: dovranno tendere l'arco che solo suo marito sapeva usare e tirare una freccia attraverso gli anelli di dodici scuri.     
Tornano i Proci che nuovamente insultano Ulisse e Penelope si presenta loro proponendo la gara.

Tutti accettano, ma nessuno riesce a superarla. Interviene allora Ulisse che tende l'arco senza fatica tira la freccia attraverso gli anelli. Telemaco si presenta accanto al padre brandendo l'asta. La vendetta ha inizio. Ulisse uccide Antinoo, il capo e il più prepotente dei Proci. Poi si rivela ai giovani principi terrorizzati: è la strage.

 Aiutato da Telemaco, da Eumeo e dal pastore Filezio che hanno chiuso le porte della sala per impedire a chiunque di fuggire, Ulisse uccide i principi e le ancelle che si erano rivelate infedeli.  Il canto XXIII è occupato dall'incontro tra Penelope e Ulisse. La regina si rifiuta di riconoscere lo sposo fino a quando questi non le ricorda come aveva costruito il loro letto nuziale, intagliandolo dalle radici e dal tronco di un colossale ulivo. Penelope esprime con il pianto la sua gioia e Ulisse può finalmente abbracciare la sposa cara e fedele.

La dea Atena, per rendere più lunga e dolce la notte, ferma per qualche tempo la dea Aurora ritardando l'inizio del giorno. il dio Hermes conduce agli Inferi le anime dei Proci che narrano ad Achille e ad Agamennone la loro vicenda. Ulisse intanto si è recato dal padre Laerte che, da quando il figlio è partito, si è ritirato a vivere come un contadino in campagna. Il poema si chiude con l'incontro tra Ulisse e i parenti dei Proci intenzionati a vendicare i giovani uccisi dal re. Ancora una volta interviene Atena che, sotto le spoglie del saggio Mentore, riporta la pace tra Ulisse e la sua gente.

I VIAGGI DI ULISSE

CICONI

Il racconto di Ulisse prende le mosse dalla partenza da Troia delle sue dodici navi, con le quali l'eroe e i suoi compagni si dirigono innanzi tutto verso il paese dei Ciconi (una tribù della Tracia orientale, per cercare le provviste necessarie per il viaggio di ritorno.

Gli Achei mettono a sacco la città di Ismaro, i cui abitanti si sono rifugiati sulla montagna. Ulisse dice ai suoi uomini di affrettarsi, ma essi si attardano a bere e a gozzovigliare. Intanto i Ciconi si sono radunati, e il loro esercito si scaglia sugli achei, che sono costretti a fuggire.

Essi mettono la prua a sud, con l'intento di virare all'altezza di capo Malea e di risalire quindi verso Itaca.

Lotofagi

Un violento vento di settentrione li spinge oltre capo Malea, fino all'isola di Citera.

Ulisse e i suoi uomini rimangono in mare ancora nove giorni e poi approdano in Libia nel paese dei lotofagi, i cui abitanti si nutrono unicamente dei frutti del loto.

Alcuni compagni di Ulisse mangiano  questo frutto e perdono ogni ricordo del loro passato e delle loro case e ogni preoccupazione per l'avvenire: non desiderano altro che restare nel paese dei Lotofagi e nutrirsi dei loti.

Allarmato da questo atteggiamento, Ulisse ordina al resto dei suoi uomini di ricondurre a bordo con la forza i loro compagni, che vengono incatenati sulle loro rispettive navi.  

Polifemo

Le navi raggiungono un gruppo di isole fertili, nelle quali c'è abbondanza di acqua dolce, si vedono molte capre selvatiche, ma non abita un solo essere umano. Vedendo a una certa distanza un'isola più importante, Ulisse decide di raggiungerla. A tale scopo si imbarca con dodici uomini e si porta dietro un otre pieno di vino di Ismaro, un vino tanto forte quanto dolce. Quell'isola è ricca di prati lussureggianti su cui pascolano grassi armenti. In una caverna gli uomini scoprono alcuni recinti tenuti in maniera perfetta nei quali sono racchiuse delle pecore.

Lungo i muri s'allineano scansie piene di formaggi. I marinai si sentono a disagio, vorrebbero prendere qualche forma di formaggio e andarsene. Ma Ulisse è curioso di vedere chi sia il pastore di quegli armenti. Perciò si nascondono tutti nella caverna e nell'attesa si nutrono di un agnello trovato in un vicino recinto. Scesa la sera, Ulisse e i suoi uomini vedono entrare nella caverna un gigante, con un solo occhio in mezzo alla fronte, che spinge davanti a se un gregge di pecore e porta sulle spalle pesanti tronchi di pino. È un ciclope. Egli chiude la caverna con un macigno enorme e accende un fuoco. Le fiamme illuminano Ulisse e i suoi compagni. L'eroe cerca di rispondere con calma alle domande del ciclope, perché è consapevole del pericolo che corre. Invoca Zeus, dio dei viaggiatori e protettore degli stranieri, e ricorda al ciclope le leggi dell'ospitalità. Senza parlare del resto della sua flotta, racconta al gigante che la loro nave è stata fatta in pezzi da Poseidone.

Il ciclope ascolta Ulisse e gli dichiara di infischiarsene di Zeus e degli dei. Ciò detto, afferra un marinaio in ciascuna mano e, mentre gli altri lo guardano inorriditi, spacca loro il cervello contro il muro e li divora uno dopo l'altro.

Nel corso della notte Ulisse è tentato di uccidere con un colpo di spada il gigante addormentato. Ma in tal caso lui e i suoi amici si troverebbero rinchiusi per sempre nella caverna, perché non sono in grado di spostare il macigno che blocca l'entrata.  La mattina dopo, il ciclope divora altri due marinai, poi esce dal suo antro per portare gli animali al pascolo, rimettendo a posto con cura il macigno che blocca l'ingresso. Durante la sua assenza, Ulisse escogita un audace piano d’evasione.

Il ciclope ha lasciato nella caverna un enorme tronco d'olivo. L'eroe e i suoi compagni lo appuntiscono, e quando la sua punta è ben aguzza la induriscono nelle braci del fuoco che cova sotto la cenere. Al calar del sole il ciclope ritorna e divora altri due uomini. Ulisse gli si avvicina con una ciotola di vino di Ismaro.

Il gigante lo assaggia, poi lo tracanna golosamente e ne reclama dell'altro. Quindi chiede a Ulisse quale sia il suo nome per poterlo ringraziare degnamente per quel vino delizioso. Offrendogliene un'altra ciotola, Ulisse gli dice di chiamarsi Nessuno.  Con la mente già annebbiata dal vino, il ciclope dichiara che ricompenserà Nessuno divorandolo per ultimo. Poi cade a terra. Ulisse e i suoi amici rendono allora incandescente la punta del tronco, quindi la conficcano violentemente nell'unico occhio del ciclope.

Le urla di dolore del gigante fanno tremare le pareti della caverna. Ulisse e i suoi compagni si rifugiano tremanti lontano dal mostro accecato, chiedendosi in che modo questi reagirà. Alle sue grida, gli altri ciclopi che vivono nei dintorni accorrono e chiedono a Polifemo - di cui Ulisse viene così a conoscere il nome - per quale ragione turbi quella notte tranquilla.

Con voce rotta Polifemo risponde che Nessuno voleva ucciderlo. I ciclopi ribattono che se nessuno gli ha fatto del male, saranno stati certamente gli dei a punirlo, e in tal caso loro non possono far niente per aiutarlo. All'alba Polifemo apre l'entrata della caverna per portare il suo gregge al pascolo.

Ulisse e i suoi compagni riescono ad aggrapparsi così bene sotto il ventre delle pecore, che le mani del gigante cieco, che tastano il dorso degli animali via via che questi escono dalla caverna, non riescono a scoprirne la presenza. Una volta al sicuro a bordo della sua nave, Ulisse chiama con alte grida il ciclope e gli rivela il suo   vero nome.

Basandosi sulla direzione da cui arriva la voce, Polifemo gli lancia addosso enormi macigni e manca di poco la nave. Allora lancia a Ulisse un solenne avvertimento: poiché i ciclopi sono figli di Poseidone, il dio del mare sentirà il lamento di Polifemo. Il mare sarà eternamente nemico di Ulisse.

EOLO

Ulisse e i suoi amici piangono i loro compagni morti, poi riprendono il mare e arrivano all'isola galleggiante dove dimora Eolo, re dei venti.

Per aiutare quei navigatori, Eolo chiude in un otre di cuoio, che affida poi a Ulisse, tutti i venti contrari, e lascia libera soltanto una brezza favorevole, che spingerà gli achei verso Itaca.

Ulisse carica a bordo il prezioso otre, spiega la vela e non lascia il timone né di giorno né di notte. Dopo dieci giorni di navigazione avvista finalmente le sponde di Itaca e si addormenta.

Ma, ahimè, i suoi compagni, immaginando che l'otre di cuoio contenga un tesoro donato da Eolo, decidono di aprirlo approfittando del sonno dell'eroe: i venti contrari si scatenano fuori dell'otre e sospingono le navi lontano da Itaca verso le Eolie. Qui il dio dei venti, adirato respinge Ulisse e gli rifiuta il suo aiuto. Abbattuti, demoralizzati, Ulisse i suoi compagni riprendono il mare.

Lestrigoni

Abbattuti, demoralizzati, Ulisse i suoi compagni riprendono il mare. Dopo sei giorni di navigazione, approdano nell'isola dei lestrigoni. Undici delle dodici navi entrano nel porto, ma Ulisse, reso circospetto dalle precedenti avventure, decide di ormeggiare la sua imbarcazione in un'ansa fuori mano. Questa diffidenza gli salva la vita, poiché i lestrigoni si nutrono di carne umana.

Dall'alto delle scogliere essi gettano grossi massi sulle navi ancorate nel porto, poi trafiggono a colpi di lancia i mafinii prima di divorarli. Ulisse riesce a levare in tempo gli ormeggi della propria nave e a fuggire. Con la flotta ridotta a una sola nave, il cui equipaggio è sopraffatto dal dolore, Ulisse arriva alla fine all'isola di Ea.

Coperta da una fitta foresta, l'isola sembra disabitata. Salito su una roccia, Ulisse vede una valle, al centro della quale si erge un palazzo. Una metà del piccolo drappello viene mandata in ricognizione, mentre gli altri marinai rimangono a bordo. Gli esploratori vedono degli strani animali che errano attorno al palazzo: leoni, orsi e lupi che, lungi dall'attaccare i visitatori, tengono a dimostrare la loro amicizia, come cani festosi al ritorno del loro padrone.

Circe

Gli esploratori vedono degli strani animali che errano attorno al palazzo: leoni, orsi e lupi che,lungi dall'attaccare i visitatori,tengono a dimostrare la loro amicizia, come cani festosi al ritorno del loro padrone.

All'interno del palazzo risuona una voce melodiosa. Dopo un po' i marinai vedono venire verso di loro la signora del palazzo, la bella Circe dai capelli scuri, la maga Circe, figlia di Elio.Tutti i marinai entrano dietro di lei nel palazzo: tutti tranne uno,Euriloco, il capo di quel piccolo gruppo, preoccupato dal comportamento insolito degli animali selvatici che li hanno accolti.

Euriloco vede Circe offrire cibo e vino ai suoi compagni e subito, sotto i suoi occhi inorriditi, questi si trasformano in porci. Circe li fa uscire rapidamente dal palazzo, li spinge verso  una stalla e getta loro sdegnosamente ghiande.Euriloco ritorna di corsa verso la nave per avvertire Ulisse.

Sdegnando gli avvenimenti dei suoi amici, questi si dirige verso il palazzo di Circe, armato della propria spada. Lungo il cammino incontra Ermes.

Il giovane dio lo mette in guardia contro i sortilegi della maga e gli dà un'erba magica che annullerà gli effetti dei malefici di Circe.Dopo aver mangiato quell'erba, Ulisse entra nel palazzo e accetta l'ospitalità della maga.Beve il vino che lei gli versa e sorride del suo stupore quando lo tocca con la sua bacchetta senza nessun risultato.

Ulisse allora estrae la spada e la punta minacciosa verso la maga. Circe riconosce di avere di fronte chi è più forte di lei e restituisce la loro forma umana non solo i marinai di Ulisse ma anche agli altri prigionie che erano stati tramutati in bestie feroci. Invitati al palazzo,Ulisse e tutti i suoi compagni prolungheranno di un anno quel soggiorno incantato.

Tuttavia, cedendo alle istanze dei suoi amici, l'eroe decide di lasciare l'isola di Ea e i suoi raffinati piaceri. Ulisse chiede a Circe di mantenere la promessa e di indicargli la via migliore per arrivare ad Itaca, e rimane deluso quando la  maga gli consiglia di visitare prima gli inferi e di consultarvi l'ombra dell'indovino Tiresia: sarà lui a indicargli quello che deve fare.

La nave solitaria e il suo equipaggio ripartono ancora una volta,lasciandosi dietro uno dei marinai,Elpenore, che, avendo bevuto più del dovuto, si è addormenta.

Scilla, Cariddi

La nave di Ulisse ritorna nell'isola di Ea, dove finalmente l'eroe, come aveva promesso, può dare una sepoltura degna a Elpenore. Prima della loro partenza Circe mette in guardia Ulisse contro i sortilegi delle sirene, contro i pericoli di Scilla e Cariddi e contro quelli dell'isola del Sole.

 Per evitare che i suoi marinai vengano attirati dal canto melodioso delle sirene, Ulisse fa loro colare cera nelle orecchie. Lui invece si fa legare saldamente all'albero della nave, e nonostante le sue preghiere i suoi compagni non lo sciolgono, ma continuano a remare senza fermarsi in quei luoghi pieni di minacce. Tuttavia perdono sei uomini nello stretto che separa Cariddi da Scilla, e ci vuole loro un coraggio sovrumano per sfuggire al mostro che attende al varco i navigatori (vedi Argonautiche, libro IV). Alla fine giungono all'isola di Trinacria, dove pascolano gli armenti del Sole.

Calipso

Obbedendo agli ordini di Zeus, Ermes arriva intanto a Ogigia e ingiunge a Calipso di permettere a Ulisse di lasciare l'isola per ritornare a Itaca. La bella ninfa è a un tempo triste e adirata: non é forse stata lei a salvare la vita di Ulisse,quando scoprì l'eroe allo stremo delle forze, aggrappato all'albero di una nave? E ora che lei lo ama, gli dei dell'Olimpo vorrebbero separarla da lui!

Ma, pur essendo una dea, Calipso è costretta a cedere. La ninfa dà dunque a Ulisse i mezzi per costruirsi una nave e gli indica dove trovare gli alberi più solidi. In capo a cinque giorni Ulisse è pronto a partire su una zattera.

Calipso gli dà viveri, e l'eroe la lascia a cuor leggero, felice di poter tornare a Itaca. Ma durante la navigazione lo vede Poseidone. Il dio del mare, che desidera vendicarsi di Ulisse che gli ha accecato il figlio, il ciclope Polifemo, scatena una violenta tempesta. La dea marina Leucotea viene in aiuto a Ulisse, dandogli il suo velo.

Mettendolo intorno alla vita, Ulisse sarà sicuro di non annegare mai. Però non dovrà avere indosso nessun'altra veste, e toccata terra dovrà gettare di nuovo il velo in mare. La tempesta infuria con accresciuta violenza: Ulisse ha appena il tempo di togliersi le vesti e di cingersi col velo.

Tramortito, l'eroe viene spinto su una costa rocciosa e deve raccogliere tutto quel che gli resta delle sue forze per evitare di essere sfracellato sugli scogli.

Feaci

Ulisse  partito dall'isola di Ogigia su una zattera viene sorpreso da una  tempesta, sollevatagli contro da Poseidone che lo fa naufragare sulle coste della terra dei Feaci.  Alla fine raggiunge la foce di un fiumicello e, sfinito, si addormenta.

Nell'isola di Scheria la principessa Nausicaa, la graziosa figlia del re Alcinoo, scende verso la spiaggia con le sue ancelle su un carro leggero carico di panni del palazzo. Giunte sulla sponda di un fiume dalle acque impetuose, le fanciulle lavano i panni, poi vanno a stenderli sul greto per farli asciugare al sole. Il rumore dei loro passi sveglia Ulisse. Le fanciulle fanno colazione, poi giocano a palla. Ulisse, che non si è ancora ripreso del tutto dalle sue emozioni, crede di vedere un gruppo di ninfe. Chiunque esse siano, pensa l'eroe, è meglio farsi vedere e si fa avanti. Spaventate alla vista di quello straniero, le fanciulle fuggono. Anche Nausicaa rimane sorpresa, ceno, ma lei è la figlia di un re, e si rivolge a Ulisse. Questi le risponde come se si trovasse dinanzi alla dea Artemide in persona. Nausicaa ha pietà di lui e richiama le ancelle. Queste gli danno da mangiare e gli trovano una tunica e un mantello, quindi gli danno dell'olio finissimo.Nausicaa e le sue ancelle rimettono la biancheria nel carro e si preparano a rientrare in città. Nausicaa chiede a Ulisse di seguirle a una cena distanza, poiché, essendo lei l'unica figlia del re, la gente potrebbe malignare vedendoli assieme. Egli arriva dunque solo a Scheda al palazzo del re dei Feaci, Alcinoo, e della sua sposa, la regina Arete.

Ulisse viene ricevuto con cortesia e con generosità dai suoi ospiti, ai quali non rivela però il proprio nome. Egli ammira la ricchezza e la prosperità della loro isola, e racconta al re e alla regina le sue avventure: come la bella Calipso l'abbia tenuto prigioniero, come egli abbia potuto lasciare l'isola di Ogigia, come la tempesta scatenata da Poseidone abbia fatto affondare la sua zattera, come il velo di Leucotea l'abbia salvato da sicura morte.

Alcinoo promette di dare a questo viaggiatore smarrito una nave per riportarla in patria per quanto lontana essa possa, perché i Feaci sono abili marinai. Una nave con equipaggio di volontari viene messa a disposizione di Ulisse. Atena infatti aveva attraversato la città, annunciando che il nuovo amico del re era così forte e bello da far pensare a un dio.

La sera, al palazzo, il rapsodo cieco Demodoco canta le gesta degli eroi davanti a Troia. Ulisse non riesce a nascondere la propria emozione ed il proprio dolore. Vedendo lo stato d’angoscia dell'ospite, Alcinoo lo prega di raccontare tutte le sue avventure.

Il re Alcinoo e la sua corte rimangono silenziosi. Il racconto di Ulisse li ha avvinti, immergendoli in un'atmosfera d'incanto. Alla fine il re prende la parola e promette a Ulisse che i Feaci lo riporteranno a Itaca. Il giorno dopo, Ulisse si congeda dai suoi ospiti così generosi e, carico di doni, si imbarca per tornare in patria. La nave raggiunge Itaca poco prima dell'aurora. I Feaci sbarcano Ulisse in una baia riparata e lasciano l'eroe.

Itaca

Il giorno dopo, Ulisse si congeda dai suoi ospiti così generosi e, carico di doni, si imbarca per tornare in patria. La nave raggiunge Itaca poco prima dell'aurora. I Feaci sbarcano Ulisse in una baia riparata e lasciano l'eroe. Adirato nel vedere che i Feaci hanno ricondotto Ulisse nel suo paese, Poseidone rivolge la propria collera contro quel popolo generoso: nel momento in cui la nave tocca l'isola di Scheria, la fa diventare di pietra e la fissa come una roccia nel mare. Alcinoo raccoglie a malincuore l'avvertimento di Poseidone. D'ora in poi rinuncerà ad aiutare i viaggiatori, e per placare il dio del mare gli offre in sacrificio dodici splendidi tori.

Nel frattempo Ulisse si è svegliato, ma non sa dove si trova. Presentandosi a lui sotto le sembianze di un pastore, Atena gli spiega di averlo avvolto in una nube di nebbia, in modo da poter concertare insieme un piano senza essere visti da nessuno. La dea poi lo rassicura: si trova proprio a Itaca. Gli spiega la situazione che regna al palazzo e lo traveste da vecchio mendicante perché nessuno possa riconoscerlo. Quanto a lei, andrà a Sparta per far ritornare Telemaco. Ulisse, da parte sua, deve andare a trovare Eumeo, il capo dei suoi guardiani di porci, che gli è rimasto fedele.

Eumeo sente i suoi cani abbaiare furiosamente a uno straniero e si precipita a farli tacere. Vedendo un vecchio stanco per un lungo viaggio, lo invita a riposare con lui. Ulisse, che si è presentato come soldato cretese appartenente all'esercito che accompagnò Idomeneo a Troia, è commosso dalla bontà di quel leale servitore. Egli passa la notte coperto dal mantello che Eumeo gli ha prestato prima di andare a sorvegliare i suoi animali.

Atena arriva a Sparta e ingiunge a Telemaco di tornare immediatamente a Itaca, dove la pressione dei pretendenti alla mano di sua madre Penelope si sta accentuando pericolosamente.

Inoltre i proci hanno progettato di tendergli un'imboscata. Telemaco si congeda allora da Menelao, che l'ha ospitato in maniera tanto calorosa. Lungo il cammino essi vedono un'aquila che tiene fra gli artigli un'oca bianca. Dopo essere passata sopra di loro, l'aquila risale con la sua preda. Menelao l'interpreta come un felice presagio: Ulisse ritornerà nel suo regno e si scaglierà come un'aquila sui proci. Prima di imbarcarsi a Pilo, Telemaco accoglie a bordo Teodimeno, un fuggiasco di Argo.

Nella capanna di Eumeo Ulisse dichiara la propria intenzione di recarsi in città per trovarvi un lavoro onesto. Eumeo lo dissuade, perché rischierebbe di venire a lite coi servitori dei proci, che riderebbero dei suoi capelli bianchi. Gli consiglia piuttosto di attendere il ritorno di Telemaco. Mentre prepara il pasto, Eumeo racconta a Ulisse la propria storia. Ancora bambino, era stato venduto come schiavo, ma aveva avuto la fortuna di essere comprato dal buon re Laerte, padre del loro re scomparso, Ulisse.

Intanto Telemaco approda a Itaca evitando l'imboscata dei proci.

Ulisse ed Eumeo stanno consumando il loro pasto, quando si odono dei passi. Ma i cani non abbaiano: deve trattarsi di un amico. Eumeo esce in fretta: i cani stanno facendo festa a Telemaco. Il vecchio guardiano dei porci si affretta a dargli buone notizie di sua madre e lo fa entrare nella sua capanna. Qui Telemaco vede uno straniero che si alza cortesemente al suo avvicinarsi e gli offre il suo posto. Eumeo gli spiega che si tratta di un soldato cretese che si è battuto davanti a Troia. Telemaco giura di essere mortificato di non poterlo ospitare, a causa del disordine che regna nella sua casa. Ma finché resterà con Eumeo, Telemaco gli offrirà vesti nuove e cibo.

Eumeo convince Telemaco a lasciarlo andare a rassicurare Penelope e Laerte sulla sua sorte. Atena dichiara a Ulisse che è venuto il momento di farsi riconoscere dal figlio. Ciò detto, lo sfiora con la mano, ed ecco che il vecchio coperto di stracci torna a essere Ulisse, vestito di abiti di lino fine, e i capelli grigi lasciano il posto a quelli castani. Telemaco assiste stupefatto a quella trasformazione.

Ulisse gli rivela di essere suo padre. L'emozione gli lascia appena la forza di abbracciarlo prima di scoppiare in lacrime.Padre e figlio mettono a punto il loro piano d'azione. Dopo la presunta morte di Ulisse, il numero dei pretendenti è andato sempre aumentando, attualmente sono più di un centinaio, senza contare i loro servitori. Telemaco tornerà subito al palazzo e farà togliere tutte le armi che vi si trovano, tranne due spade, due lance e due scudi, che metterà in luogo sicuro. Quando verrà il momento di agire, Ulisse l'assicura che Atena darà il segnale. Da parte sua, Ulisse si presenterà al palazzo travestito da mendicante. Telemaco non dovrà assolutamente tenere conto degli sgarbi di cui il padre potrebbe essere oggetto. E nessuno dovrà sapere che è Ulisse.

Nel frattempo, Atena ha ridato a Ulisse l'aspetto di un mendicante, in modo che Eumeo ritrovi lo stesso uomo che aveva lasciato. L'indomani mattina Telemaco si affretta ad andare dalla madre per accordarsi con lei.

Ulisse ed Eumeo arrivano al palazzo. Mentre camminano vengono insultati da un capraio, Melanzio. Nel cortile Ulisse si commuove alla vista del suo vecchio cane Argo. Riconosciuto il padrone, il fedele animale trova solo la forza di rialzarsi per un attimo e poi ricade a terra, morto.

Telemaco, che spiava il loro arrivo, si alza da tavola al loro avvicinarsi e riempie di cibo un piatto che fa portare ai due vecchi.

Poi autorizza Ulisse a chiedere l'elemosina a coloro che sono riuniti nella grande sala. Tutti i proci gli danno qualche avanzo, tranne Antinoo, che l'insulta e lo colpisce con uno sgabello. Ulisse non fa una mossa e maledice Antinoo, predicendogli che morirà prima del giorno del suo matrimonio.

Penelope viene a sapere che un ospite è stato oltraggiato e chiede a Eumeo di condurle quel mendicante forestiero. Eumeo le raccomanda prudenza: i proci - e in particolare il malevolo Antinoo sarebbero tentati di vendicarsi se venissero a sapere che la regina ha ricevuto quello strano mendicante.

È meglio attendere il calare del sole, così i proci non lo verranno a sapere. Un nuovo venuto fa il suo ingresso nel vestibolo: è Armeo, che i proci hanno soprannominato Iros con burlesca allusione a Iris, la messaggera degli dei, perché egli suole portare i loro messaggi. Con un cenno del capo i proci gli ordinano di cacciare Ulisse dal posto dove si è seduto in un angolo del portico. Il brutale Ijos grida a Ulisse di uscire, altrimenti lo caccerà lui stesso. Antinoo e gli altri proci, divertiti da questa disputa, fanno cerchio attorno ai due uomini. Con loro grande sorpresa, Ulisse accetta di battersi con Armeo. Antinoo propone come ricompensa al vincitore un cosciotto di capretto. Ulisse chiede semplicemente che nessuno si intrometta fra loro.

Ulisse si alza e si libera dei suoi stracci. Ameo si rende conto dell'errore che ha commesso: quel "vecchio" ha le spalle larghe, le braccia forti e le gambe nervose.

Ma è troppo tardi per rifiutare la lotta. Ulisse lo getta a terra senza sforzo, lo trascina fino alla porta e gli ordina di rimanere seduto sulla soglia per cacciarne i cani e i porci, perché quello è il suo mestiere.

Allora si fa avanti Anfinomo quello fra i proci che aveva respinto la proposta di uccidere Telemaco e offre a Ulisse del pane e del vino, poi beve alla sua salute. Tale cortesia commuove Ulisse, il quale cerca di avvertire il giovane del pericolo che lo minaccia, ma il destino di Anfinomo è segnato e, senza capire l'allusione dell'eroe, il giovane ritorna al suo posto.

Penelope allora tenta un'altra manovra. Si presenta nella grande sala, seguita dalle sue ancelle, e dichiara ai proci che, se le loro intenzioni sono serie, è bene che essi si dichiarino secondo le usanze e le offrano doni. Essi invece sono venuti a mani vuote. Come può lei credere alla loro sincerità?

Seduto nel suo angolo, Ulisse è affascinato dalla presenza di spirito di Penelope e ne apprezza i risultati: i proci fanno gara di generosità e le offrono magnifici doni.

Al calar del sole vengono accese le torce che servono per illuminare la grande sala, e alcune serve del palazzo si accalcano intorno ai proci. Adirato da questo spettacolo, Ulisse ordina a una di queste donne, Melanto, di servire la sua padrona e non coloro che la perseguitano. Melanto e le altre domestiche dicono a Ulisse di tacere, se non vuole che qualcuno gli colpisca il capo con mani pesanti. L'autorità naturale di Ulisse traspare nonostante il suo travestimento: la sua voce tonante e le sue minacce terrorizzano le donne che fuggono di corsa. Eurimaco uno dei più rozzi fra i proci, propone a Ulisse di prenderlo al suo servizio. Ulisse gli ribatte dandogli dell'insolente e dicendogli che, quando tornerà il re, nessuna porta sarà abbastanza grande da permettergli di fuggire.

Eurimaco getta uno sgabello contro Ulisse, che lo schiva. Scoppia un tumulto, ma Telemaco interviene a placarlo, e i proci se ne tornano alle loro case, alcuni sorpresi, altri furenti.Ulisse è solo nella grande sala. Penelope entra e si siede vicino al focolare. Le domestiche si apprestano a riordinare la sala. Melanto tratta ancora villanamente Ulisse. La regina la rimprovera vivamente. Quindi invita o straniero a sedersi accanto a lei davanti al fuoco, a raccontarle la sua vita. Ulisse non si scopre, ma lascia capire chiaramente alla regina che il suo sposo è vivo e ritornerà certamente ad Itaca. Penelope gli promette una bella ricompensa se questa sua predizione si avvererà. Poi manda le ancelle a preparare un bagno e le stanze per il suo ospite. Pur ringraziandola della sua benevolenza, Ulisse si dichiara imbarazzato all'idea di spogliarsi davanti alle graziose ancelle della regina, e chiede a Penelope se non vi sia nel palazzo una persona della sua età che si possa occupare di lui. Penelope manda allora a chiamare Euriclea, la vecchia nutrice devotissima a Telemaco la quale arriva portando una brocca di acqua calda per lavare i piedi dello straniero. Subito Ulisse si rende conto che la nutrice lo riconoscerà per una cicatrice a un piede, ricordo di una caccia al cinghiale. Euriclea ,la vede: seduta dinanzi al suo padrone, sul suo viso si leggono insieme la gioia e lo stupore. Per fortuna Ulisse volge le spalle a Penelope, e riesce a persuadere la nutrice a tacere. E mentre la regina si intrattiene con le ancelle, l'eroe confida a Euriclea i propri piani. Penelope dichiara allo straniero che, se sarà costretta a sposare uno dei proci, sceglierà colui che dimostrerà di possedere la stessa forza e la stessa abilità del suo sposo scomparso. L'arco di Ulisse è sempre al palazzo: è lo stesso arco col quale egli si esercitava a scoccare le sue frecce facendole passare attraverso dodici asce a due lame allineate.

Durante la notte, Atena si presenta a Ulisse, gli dice di avere fiducia negli dei e gli dà un sonno tranquillo.  Pieno di speranza, Ulisse si prepara ad affrontare la giornata. Eumeo arriva al palazzo, portando tre bei porcellini per il banchetto del giomo.

Penelope entra nella grande sala, portando l'arco e le frecce di Ulisse. La seguono le sue ancelle con le asce di cui si serviva Ulisse. La regina affida l'arco ai proci perché provino la loro forza. Nel frattempo Ulisse si fa riconoscere da Eumeo e da Filezio, ai quali rivela i propri progetti. Nessuno dei proci riesce a tendere l'arco. Per nascondere l'imbarazzo, Antinoo dichiara che quello non è il momento più propizio per il tiro con l'arco, perché è il giorno consacrato al divino arciere, Apollo. Ma Ulisse si alza e chiede il permesso di provare l'arco a sua volta. I proci sono indignati. Telemaco prega la madre di ritirarsi: superando la propria sorpresa, Penelope obbedisce. I proci proclamano la loro collera di fronte all'audacia di quel mendicante coperto- di stracci. Ciò nonostante, Eumeo allinea le asce, poi dà l'arco a Ulisse ed esce in fretta. I Proci sono stupefatti: Ulisse è riuscito a tendere il grande arco. La sua freccia, con sicurezza infallibile, attraversa le asce. Poi lo sentono dire a Telemaco: "è il momento " e Telemaco, armato di spada e di giavellotto, si mette al suo fianco. Il tuono di Zeus rimbomba nel cielo.

Ulisse mette un'altra freccia al suo arco e la scocca dritta nella gola di Antinoo dal cuore selvaggio, che muore sul colpo. I proci cercano disperatamente le proprie armi, ma Telemaco le ha fatte portar via. Le frecce si vanno esaurendo e Ulisse teme di venire alla fine sopraffatto dal numero soverchiante dei proci. Ad un tratto, fra la sorpresa di tutti, nella grande sala compare Mentore. Ma non si tratta del precettore di Telemaco, bensì di Atena, che ne ha assunto le sembianze. La dea viene a ridare coraggio a Ulisse, e i quattro amici, riconfortati, si battono con rinnovato ardore. Atena si unisce a loro, creando delle diversioni e deviando la traiettoria delle armi dei proci, che non colpiscono altro che le pone o le travi. Presto la lotta finisce. Gli unici a essere stati risparmiati sono Femio, il rapsodo, e Medonte, l'araldo dei proci, perché né l'uno né l'altro hanno partecipato alla spoliazione del regno di Itaca o hanno insultato Ulisse. Euridea ha udito il rumore della battaglia. Telemaco va a cercare la nutrice e la conduce davanti al padre, che è in piedi nella grande sala coi suoi due fedeli servitori. Euridea è tentata di gridare tutta la sua gioia per il trionfo del suo padrone, ma Ulisse le impedisce di rallegrarsi apertamente davanti a tutti quei morti. Le chiede invece di portargli le serve che l'hanno insultato: i. tre uomini porteranno via i cadaveri dei proci e le donne puliranno la sala. Poi moriranno. Telemaco, pieno di odio per quelle donne, che hanno disonorato la dimora dei suoi genitori, le impicca. Anche Melanzio viene ucciso brutalmente.

Euriclea si affretta a portare a Penelope la lieta novella. La regina non crede alle proprie orecchie e scende nella grande sala, ora vuota e silenziosa. Si siede accanto al fuoco e guarda Ulisse, muta. Nonostante le insistenze di Telemaco, Penelope rimane immobile, incredula. Allora Ulisse si allontana. Ma anche quando si ripresenta vestito da re, la regina rimane insensibile. Ulisse chiede allora di preparargli un letto da qualche pane, visto che la sua sposa non vuole riceverlo. Penelope chiede a Euridea di far portare fuori della camera il grande letto che Ulisse aveva fatto con le proprie mani. Furente, Ulisse risponde che è impossibile spostare quel letto, poiché uno dei montanti non è altro che un olivo perenne, intorno al quale il letto era stato costruito. La regina crolla piangendo, perché ora sa che Ulisse è ritornato.

Ritornata la calma nel palazzo, ritrovato l'amore della moglie, ad Ulisse non resta che rimettere ordine nel suo regno e far visita al padre Laerte. Quindi Ulisse e Telemaco, accompagnati da Eumeo e Filezio, cercano il modo di evitare lo spargimento di sangue che si profila minaccioso dopo la morte dei proci, le cui famiglie chiederanno certamente vendetta. Infatti una folla rumoreggiante si è raccolta in quello stesso momento nella città. Eupite, padre di Antinoo, accusa Ulisse di assassinare, appena tornato a Itaca, gli uomini della sua razza, non contento di aver portato i giovani più valorosi a combattere una guerra inutile contro Troia. La folla è influenzabile e gli dà ragione; sono molti coloro che hanno perduto un membro della propria famiglia. Medonte e Aliterse arrivano sul posto e spiegano all'assemblea che era stata una follia autorizzare i padri o i figli a spogliare la casa di Ulisse. Ma Eupite ha la meglio, e alla testa di una folla in armi marcia fino alla casa di Laerte, dove sa che si trova Ulisse. Laerte, le sue guardie e gli amici di Ulisse sono soltanto dodici. Adirato per il modo in cui Eupite ha eccitato la folla contro il proprio re, Laerte gli lancia un giavellotto che lo uccide sul colpo. Ulisse guida il contrattacco, mentre Atena lancia un urlo terribile, che semina il panico fra gli assalitori e li fa indietreggiare per il terrore. Per impedire un'altra carneficina, quanto mai inutile, interviene Zeus, che manda un fulmine davanti alla figlia e le ordina di far cessare i combattimenti: la pace va restaurata. Atena placa l'ardore bellicoso degli antagonisti; il massacro è evitato e la pace è ripristinata.