GIOVANNI PASCOLI


San Mauro di Romagna, 31 dicembre 1855
Bologna, 6 aprile 1912

Il padre, che è amministratore di una tenuta agricola, viene ucciso in un agguato lasciando orfani i suoi otto figli.

Pascoli ha allora dodici anni e sta seguendo gli studi in un collegio d’Urbino. Negli anni seguenti la sua giovinezza è ancora sconvolta da gravi lutti: muoiono la madre e tre fratelli.

La sua famiglia conosce anche difficoltà economiche ma egli ottiene una borsa di studio per l’università di Bologna dove diventa allievo di Carducci e, nel 1882 si laurea in lettere.

In quel tempo aderisce al movimento socialista e viene condannato anche ad alcuni mesi di carcere; segue un periodo di grave crisi durante la quale si accentua il suo pessimismo riguardo alla possibilità che gli uomini possono incidere sulla storia, ed abbandona la politica attiva.

Dopo avere insegnato latino e greco in diversi licei e università italiane, nel 1906 succede a Carducci come professore di letteratura italiana all’università di Bologna.

Nel frattempo trova il suo rifugio ideale dagli affanni della vita nella casa di Castelvecchio di Barga in provincia di Lucca, dove vive anche la sorella Maria.

Muore a Bologna nel 1912.

LE OPERE

Per il Pascoli l’uomo e il mondo sono avvolti nel mistero, sono minacciati dal male, dall’ingiustizia e dalla morte; né la religione (dopo tante sventure familiari egli si è allontanato dalla fede cristiana e non crede nella provvidenza), né la scienza sono in grado di conoscere e spiegare la realtà.

Solo i poeti possono intuire il significato della vita e scorgere nel mistero del destino umano la verità che sfugge alla maggioranza degli uomini.

Nel poeta, infatti, c’è una parte dell’animo che rimane fanciullino ed è quell’anima di “ fanciullino” che sa capire il segreto delle cose.

Ciò perché il poeta fanciullino conserva l’ingenuità e l’intuizione di un bambino capace di commuoversi di fronte al messaggio che gli mandano le cose, anche quelle più semplici e quotidiane.

La poesia di Pascoli è la poesia delle piccole cose, dei fiori, degli alberi, dei bambini, della casa, degli oggetti e degli affetti familiari… piccole cose che nel loro significato più profondo possono rivelare frammenti di verità.

La poesia di Pascoli è una poesia nuova che si allontana da quella romantica per aderire alla cultura del Decadentismo; infatti nelle sue opere sono presenti molti caratteri del Decadentismo: la sfiducia nei valori della storia e della tradizione, l’individualismo esasperato, la malinconia, la solitudine, l’infanzia sentita come la sola età felice della vita e come rifugio dagli affanni dell’esistenza l’uso di un linguaggio nuovo e originale.

Pascoli, al contrario di Carducci, rifiuta gli schemi metrici della poesia tradizionale e crea strofe e versi di misura inedita; utilizza un linguaggio nuovo fatto di vocaboli tratti dalla vita quotidiana e dal dialetto accostati a termini letterali; mira ad ottenere un’intensa musicalità nei versi, anche con l’uso frequente d’onomatopee: la sua attenzione per poetica di valorizzare gli effetti musicali del verso, tendenza che perdura fino ai nostri giorni.

Le sue raccolte poetiche più importanti sono:

Myricae (1891) – il titolo è costituito da un termine latino che significa “tamerici”, piccoli cespugli di campo; sono i componimenti che gli danno subito fama;

Canti di Castelvecchio (1903) – le poesie delle “piccole cose”;

Odi e Inni (1906), Nuovi poemetti (1909), Poemi italici e Poemi del Risorgimento in cui tratta temi storici e civili.

Tra le opere in prosa:

Il fanciullino (1897) – è una riflessione sul significato della poesia.

La grande proletaria si è mossa – è un discorso pronunciato nel 1911 per appoggiare la guerra di conquista della Libia da parte dell’Italia.