Cesare Pavese
La Luna e i Falò

Il titolo rivela la natura simbolica del romanzo.

Il falò ha un valore pratico (di fecondità) e insieme religioso, richiama il culto della terra-madre; è un legame con il primitivo e il divino: questi sono rievocati durante la notte di San Giovanni e la sera della Madonna d’agosto quando illuminano le colline.
La luna è una presenza a volte confortante a volte spettrale, di ciclica e cosmica continuità. A essa il contadino affida la riuscita di certe sue opere. Pavese dà alla luna diversi significati simbolici. Nel romanzo troviamo l’immagine della desolazione, della solitudine, dell’impossibilità dei rapporti umani.

Nel romanzo c’è un personaggio, Nuto, che afferma che la luna e i falò sono i simboli congiunti di un immancabile ritorno, di un’attrazione verso le radici e a volte perfino la miseria e il dolore sono invocati pur di recuperare il mito simboleggiato dall’inquietante falò visto sulle colline lontane.

Contesto storico del romanzo: il romanzo si svolge in tre periodi ben distinti: una parte durante i ricordi di Anguilla prima della guerra intorno agli anni trenta, la sua infanzia al Gaminella e alla Mora; la seconda durante i ricordi dell’esperienza in America nel periodo del proibizionismo durante la guerra; e l’ultima in periodo che possiamo definire post-Resistenza con il ritorno alle origini. Però questi periodi non sono disposti dall’autore in ordine cronologico, ma in un modo impreciso.

Contesto storico dell’autore: Pavese vive da piccolino il periodo della prima guerra mondiale; in seguito assiste in Piemonte all’avvento del fascismo fino allo scoppio della seconda guerra mondiale dove assiste all’attività partigiana senza però prenderne parte. Infine dopo la Liberazione del ’45, aderendo all’atmosfera di rinnovamento postbellico, s’iscrive al Partito Comunista. Ne segue il boom economico italiano.

Civetta: la luna e i falò condensa i temi principali dell’ultimo Pavese e s’impone come un autentico classico del Novecento italiano. Mediante una scrittura tramata di cadenze dialettali e organizzata essenzialmente e organizzata essenzialmente come ritmo, lo scrittore accompagna il lettore a una sorta di stupita riscoperta della realtà: non della realtà in quanto tale, ma del simbolo che essa sottintende, del mistero che dietro di essa si cela. Attraverso una storia di terra e di sangue, Pavese ci parla così dell’identico e dell’eterno che appartengono al mito.

Punti nodali: il romanzo è scandito in trentadue capitoli. Ma si possono individuare tre grandi punti focali:

- la prima parte va dall’inizio del romanzo al capitolo tredicesimo e segue il passaggio di Anguilla dall’infanzia all’adolescenza, dal mondo di Gaminella al mondo della Mora;

- la seconda parte dal quattordicesimo al venticinquesimo e segue l’esito tragico del rogo di Valino e poi in un secondo accorto, la non meno tragica e sgranata scomparsa dei personaggi che hanno segnato la seconda crescita;

- la terza dal ventiseiesimo alla fine e segue il racconto degli amori consumati da Silvia e da Irene fino all’epilogo del rogo di Santa.

Temi: uno dei temi che ricorrono più spesso in questo romanzo riguarda il rapporto città-campagna, cui l’immaginazione dell’autore è ricondotta. Ha carattere significativo e implica stati d’animo e modi d’essere ben definiti: “Certamente, di macchie di noccioli ne restavano sulle colline, potevo ancora ritrovarmici; io stesso, se di quella riva fossi stato il padrone, l’avrei magari roncata e messa a grano, ma intanto adesso mi faceva l’effetto di quelle stanze di città, dove si affitta, si vive un giorno…” Per gran parte del romanzo il tema dominante è il viaggio, che ingloba gli altri temi della nostalgia e del ritorno; in seguito si mostra più frequente il tema della Natura e del suo inquietante mistero. Infine non da dimenticare i temi appartenenti al mondo contadino. L’isolamento e le dure necessità che consentivano rarissime occasioni di vedere il mondo esterno: una di queste, se non l’unica, era il servizio militare: “Non andrà neanche soldato e così non vedrà la città”; poi il fatto che sulle colline il tempo non passa: i ruoli, i mestieri, le stesse idee si trasmetto di padre in figlio.

Luoghi: il luogo principale del romanzo è sicuramente il paese di Anguilla e dello stesso Pavese, Santo Stefano Belbo, che viene nominato espressamente solo una volta, nel capitolo XXVIII: “Fatto sta che Matteo, quando lei nella bella stagione tornò, s’era già presa una donna, la figlia del carrettiere di Santo Stefano, e ci passava le notti”. In questo paese delle Langhe delimitato da città come Alba, Canelli e Barbaresco il protagonista vive l’infanzia: prima alla Gaminella, poi alla Mora (nomi di colline non distanti dal paese che danno il nome anche a questi poderi): “La Mora era come il mondo –dissi- era un’America, n porto di mare. Chi andava, chi veniva, si lavorava, si parlava…” Il panorama di queste colline lo possiamo immaginare attraverso una descrizione dello stesso Anguilla: “Guardando verso Canelli […] prendevo in un’occhiata sola la piana del Belbo, Gaminella di fronte il Salto di fianco, e la palazzina del Nido, rossa in mezzo ai suoi platani, profilata sulla costa dell’estrema collina. Tante vigne, tante rive, tante coste bruciate…”. Fra gli altri luoghi c’è la città di Genova dove Anguilla sta un breve periodo per poi imbarcarsi quasi clandestinamente per l’America dove passa il periodo della guerra: “quando avevo mollato la squadra ferrovieri e di stazione in stazione ero arrivato in California e vedendo quelle lunghe colline sotto il sole avevo detto:” sono a casa”.[…] Piantai le campagne e feci il lattaio a Oakland. LA sera traverso il mare della baia, si vedevano i lampioni di San Francisco.”

Tempo: Le vicende del romanzo si svolgono in un tempo non esattamente definito: l’indeterminatezza degli “adesso”, “prima”, “l’altr’anno”, dà l’idea che i personaggi agiscono in un’atmosfera sostanzialmente statica e che la narrazione segue cadenze diverse da quelle dei fatti esterni. Sappiamo solo che l’io narrante ha quaranta anni ed è ritornato al suo paese durante la festa di Ferragosto per passarci quindici giorni. Possiamo capire l’anno della storia attraverso il ritrovamento di alcuni cadaveri: “Mi raccontò che nei giorni del ’45 […] Li abbiamo dissotterrati due anni fa”. Se sono morti nel ’45, si può presumere che la riesumazione sia avvenuta nel ’46 e che la narrazione sia collocabile nell’estate del ’48, dopo le elezioni che videro il trionfo delle forze moderate.

Personaggi: Il protagonista, di cui conosciamo solo il soprannome, Anguilla ha quarant’anni e torna per quindici giorni al suo paese nel periodo della Madonna d’agosto. Si è lasciato alle spalle un lungo soggiorno trascorso in America, dove è emigrato “per la rabbia di non essere nessuno, la smania, più che di andare, di tornare un bel giorno dopo che tutti mi avessero dato per morto di fame”. In America ha fatto lo zappatore, il lattaio, il ristoratore e in tempo di proibizionismo ha spacciato liquori, ha conosciuto fame e miseria, e si è accompagnato a donne con cui ha vissuto in maniera randagia.

L’infanzia e l’adolescenza che Anguilla ha trascorso al casotto di Gaminella e poi alla Mora, sono state accompagnate dall’amicizia di un ragazzo di tre anni più grande, Nuto, il quale ha prima e dopo il ritorno una funzione quasi paterna di guida. Nuto vive al Salto e fa il falegname, ma anche lui alle spalle ha una vita diversamente randagia, perché a suo tempo ha suonato per dieci anni il clarino 2su tutte le feste, su tutte le feste, su tutti i balli della vallata”. Rispetto allo stato perplesso di Anguilla, Nuto rappresenta la maturazione avvenuta. E’ un uomo sposato, ha un bambino, lavora e dà lavoro. E’ saggio e arguto, conosce le storie precise della gente e ha le sue idee precise sul mondo, sulla guerra trascorsa, sulle differenze di classe. Secondo lui la gente nasce tutta uguale, e sono solamente gli altri che trattandoti male ti guastano il sangue e pensa che il mondo sia da rifare.

Tra gli altri personaggi bisogna ricordare i padroni della Gaminella tra cui Padrino e la piccola Giulia e poi i padroni della Mora, il sor Matteo e in particolare le due figlie Irene e Silvia viste da Anguilla come qualcosa di irraggiungibile; inoltre c’è la misera di famiglia di Valino tra cui il figlio zoppo Cinto nel quale Anguilla si identifica.

Messaggio dell’autore: Pavese ebbe chiari i limiti di ogni mitizzazione della campagna: il fatto che Anguilla si comporti in essa da cittadino, tende a sottolineare l’intimo dilemma dell’autore attratto da entrambe le realtà. Il tema del rapporto città-male/campagna-bene lo si legge con chiarezza in “La casa in colina” Inoltre l’autore ci avvertire la necessità e il bisogno di credere in qualcosa che appaghi l’ansia di chi, come Anguilla, gira il mondo, ma in definitiva cerca solo se stesso.

Commento personale: il romanzo mi è piaciuto in modo particolare perché conoscevo gran parte dei paesi nominati essendoci già stato di persona, quindi nella mente cercavo di rivedermi i luoghi.

L’uso frequente dei verbi all’indicativo imperfetto rende la narrazione colloquiale e umile, realisticamente coerente con il narratore-protagonista; come anche l’uso dei passati remoti in successione rapida, conferisce al narrato una definitiva autenticità.

Il linguaggio adattato è molto semplice, ma è frequente l’uso di termini dialettali piemontesi: lo scopo è di rendere più realistica la lettura.