Archi e Acquedotti Romani

Quella dei Romani è stata la più grande civiltà che abbia costruito archi e acquedotti. Lo hanno fatto più di duemila anni fa.

Non avevano la nostrate tecnologia, ma ovviarono a ciò con delle incredibili soluzioni idrauliche e meccaniche e con la qualità dei materiali da costruzione.



L'ARCO

Chiamasi "arco" una linea curva che poggia su due elementi verticali, di solito stipiti o colonne.

L'arco può essere a pieno centro o a tutto sesto quando la sua curva è una semicirconferenza, acuto quando è costituita da due archi che s'intersecano formando un vertice alla sommità, rampante quando appoggia su due elementi d'altezza diversa, rialzato, a ferro di cavallo, lobato se diviso in lobi.

Per comprendere al meglio la struttura di un arco è necessario stilarne un vocabolario:

Spalle o piedritti: sostegni verticali (parti di muri, pilastri, colonne) dell'arco su cui sono trasmesse azioni di pressione oblique e divergenti verso il basso, le cui componenti orizzontali prendono il nome di "spinte"

Corda o luce: distanza fra i piedritti

Intradosso: superficie curva inferiore dell'arco

Estradosso: superficie superiore dell'arco, generalmente curva

Archivolti: facce laterali

Chiave: il cuneo centrale con cui termina la costruzione dell'arco

Freccia: distanza verticale tra corda e sommità dell'intradosso

Sesto: rapporto tra la freccia e la semicorda

Larghezza: distanza fra le fronti

Fronte: superficie su cui poggiano gli archivolti

L'ARCO TRIONFALE

Quello trionfale è un arco onorario destinato a celebrare le vittorie militari, il cui impiego fu assai diffuso nell'architettura romana dalla tarda età repubblicana.La sua struttura è a forma di parallelepipedo con uno (per es. l'arco di Tito) o tre (per es. l'arco di Costantino) fornici di passaggio.

Generalmente presenta nella parte alta un'iscrizione esplicativa dell'occasione della costruzione e sulle due facce principali una decorazione ispirata al personaggio di cui si celebrano le vittorie.

L'ARCO DI TITO

L'arco di Tito è d'età Flavia, fu eretto alle pendici del colle Palatino nell'81 d.C. per celebrare le vittorie dell'imperatore e di suo padre, Vespasiano, nella guerra giudaica, con il definitivo assoggettamento della Palestina e la distruzione del tempio di Salomone a Gerusalemme, custode delle più sacre memorie religiose degli ebrei.

L'arco, ad un fornice, è sostenuto da due grossi pilastri (ai cui angoli sono semi colonne scanalate lisce) appoggiati su un'alta base. E' anche alto l'attico che corona l'intero monumento.

Compare qui per la prima volta il capitello composito, formato dalla mistione delle volute di un capitello ionico con le fogli d'acanto di quello corinzio. All'interno dell'arco di Tito, sulle pareti laterali, vi sono due pannelli raffiguranti il trionfo dell'imperatore.

In quello di destra compare Tito, accompagnato da una Vittoria che lo sta incoronando, trascinato da una quadriga. Nell'altro è rappresentato il corteo dei soldati, che recano il bottino depredato nel tempio di Salomone a Gerusalemme, mentre altri soldati alzano delle tavolette ansate, sulle quali sono scritti i nomi delle città vinte.Il corteo sfila davanti agli spettatori e si avvia a passare sotto la porta trionfale.

Questo modo di narrare la gloria dei vincitori ha un'antica tradizione a Roma.Durante i trionfi si usava portare delle tavole dipinte (tabulae pictae) con la rappresentazione dei fatti bellici salienti, così che il popolo potesse avere davanti agli occhi sceneggiati come le vicende pitturate dei cantastorie.

I rilievi dell'arco di Tito sono dunque storici perché, come quelle antiche pitture, narrano fatti di grande rilevanza della storia romana. Ma essi rivestono un'importanza maggiore. Non basta rappresentare fatti di grande rilevanza per fare la storia: occorre collocarli nel tempo e nello spazio. L'anonimo scultore è riuscito ad esprimere il movimento (tempo) entro un determinato ambiente (spazio).Ciò è visibile soprattutto nel pannello con il trasporto del bottino nel tempio. Il corteo si muove, da sinistra a destra, seguendo una linea convessa. Le linee oblique dei corpi esprimono la direzione e il moto. Nell'arco al di sopra delle figure restano zone libere, entro le quali si collocano, dritti e obliqui, gli

oggetti trasportati; esiste un cielo, esiste un'altezza e una profondità, lo spazio

indispensabile per la presenza dei volumi.

Al tempo stesso le figure più arretrate, le cui teste sono appena rilevate sul piano di fondo, appaiono quasi confuse e acquistano lontananza.

Questa verità di rilievo e questo senso di profondità sono in gran parte determinate dalla luce che, a causa della collocazione dei pannelli sotto la volta, non li investe frontalmente ma lateralmente, creando effetti di luce radente che esalta i differenti spessori e sporgenze.

L'ARCO DI COSTANTINO

Accanto al Colosseo, nella valle situata tra il Palatino e il Celio, sorge l'arco di Costantino, il più grandioso di quelli superstiti. Fu costruito in un momento in cui Roma iniziava la sua decadenza a favore di Costantinopoli e fu dedicato all'imperatore da parte del Senato e del popolo Romano per celebrare la vittoria sul suo predecessore Massenzio a Ponte Milvio nel 312 d.C. e terminato nel 315 d.C.

L'arco di Costantino, che raggiunge la ragguardevole altezza di 25 metri, ci è giunto fortunatamente in ottimo stato di conservazione ed ha per gli archeologi un enorme valore soprattutto perché è la testimonianza dell'evolversi di stili decorativi diversi nell'arte romana che in questo monumento vengono messi a confronto diretto.

L'arco è, infatti, formato da rilievi più antichi, provenienti da altri monumenti imperiali precedenti e qui uniti in un unico complesso architettonico a formare come un mosaico con tessere di diversa provenienza e dagli effetti policromi. Probabilmente si procedette in questo modo per risparmiare tempo e non gravare ulteriormente sulle finanze cittadine per quanto riguarda i soggetti della decorazione che si ripetono simili su entrambi i lati seguendo gli stessi criteri tematici e la stessa disposizione.

Sui piedistalli delle colonne vi sono decorazioni d'epoca costantiniana rappresentanti vittorie con trofei e barbari prigionieri e vittorie con barbari e personificazioni delle stagioni che si trovano ai lati del fornice centrale. Ai lati dei fornici minori compaiono divinità fluviali non altrimenti identificabili. Forte è il significato di tutto l'insieme: l'impero romano è assistita dalle vittorie che permettono la sconfitta dei nemici, la vittoria è eterna nel tempo, cioè nel succedersi delle stagioni, e si espande parzialmente sull'intero mondo sconosciuto rappresentato dai fiumi.

Sopra i fornici c'è una fascia continua con la storia della campagna vittoriosa contro Massenzio. Sopra le arcate sono visibili quattro tondi d'età adrianea con scene di caccia e di sacrifici alle divinità. A queste sculture dove c'era l'immagine dell'imperatore precedente venne sostituito con il ritratto di Costantino. Lo stesso avvenne con quattro pannelli dell'attico dedicati dall'imperatore Commodo al padre Marco Aurelio, rappresentanti le vittorie dell'imperatore contro i Quadi e i Marcomanni e separate da quattro statue di prigionieri. Infine sui lati minori compaiono bassorilievi traianei con scene di battaglia sull'attico e più, in basso, due tondi dell'età costantiniana con le immagini del dio Sole e della dea Luna.

GLI ACQUEDOTTI

Il termine "acquedotto" è usato per indicare un sistema di canali o di condotte per il trasporto d'acqua.La necessità di costruire sistemi di trasporto e di distribuzione si ebbe quando le popolazioni agricole dovettero rendere coltivabili terreni in regioni povere d'acqua.Il contemporaneo sviluppo e moltiplicarsi di centri abitati rese indispensabile regolare i deflussi disponibili, con opportune opere (canali, serbatoi, ecc.) la cui edificazione richiese che fossero messe in comune le risorse a disposizione di popolazioni vicine.

La tecnica della Costruzione degli acquedotti raggiunse nell'antichità il massimo livello con i Romani, i quali svilupparono l'esperienza degli etruschi nel campo dell'idraulica.Gli acquedotti Romani trasportavano solo acque sorgive ed erano formati da condotti impermeabilizzati con pozzi d'aerazione aperti ad intervalli regolari nelle volte.La necessità di evitare bruschi dislivelli di pendenza portò alla realizzazione dell'acquedotto sopraelevato e quindi ad una nuova applicazione dell'arco a ponte fluviale.

Solitamente ad un solo ordine d'arcate nelle province gli acquedotti assumevano forme più imponenti con vari ordini sovrapposti.

IL SISTEMA DEGLI ACQUEDOTTI ROMANI

Nella zona compresa tra la Via Tuscolana e la Via Appia Nuova passano ben sette acquedotti antichi: degli undici che rifornivano Roma in età imperiale questi erano senz'altro i più importanti, convogliando il 74% dei 13 metri cubi d'acqua che ogni secondo entravano in città.

L'acqua doveva arrivare a Roma ad una quota piuttosto elevata, per servire tutte le zone della città; unica eccezione era l'Anio Vetus, il più antico, che fu fatto correre tutto sottoterra.

PORTA FURBA, L'ACQUEDOTTO FELICE E LA FONTANA CLEMENTE XII

Il 5 maggio 1585 papa Sisto V, ad appena 10 giorni dall'elevazione al pontificato, intraprese la costruzione di un nuovo acquedotto chiamato acquedotto Felice, dal nome di battesimo del papa; l'opera aveva lo scopo di rifornire la parte alta della città (Esquilino, Vicinale, Quirinale) nonché di alimentare le sei fontane della villa del Papa presso le Terme di Diocleziano.

La direzione dei lavori fu affidata a Matteo Bartolani: quando questi però spese una quantità ingentissima di denaro Sisto V decise di incaricare un secondo dirigente, Giovanni Fontana.

Come per altre opere non si fece scrupolo di demolire importanti resti del passato. Così, per la costruzione dell'acquedotto, Sisto V si servi dei materiali dell'acquedotto di Claudio e degli archi dell'acquedotto Marcio; sopra le fondamenta romane furono così innalzate le nuove arcate, che sono più piccole e rade delle arcate tipiche degli acquedotti antichi e in alto il condotto è coperto con una volta a botte.

Arco di porta Furba.

Sottolinea il passaggio sopra Via Tuscolana dell'acquedotto Felice. L'arco è tutto rivestito di blocchi di peperino, tufo duro di color verdastro e grigio cenere. La chiave di volta, scolpita in entrambi i lati e che raffigura teste di leone, è in travertino, la tipica pietra calcarea proveniente dalle cave di Tivoli, che era utilizzata già al tempo dei Romani. Le iscrizioni, che celebrano la costruzione dell'intero acquedotto, sono scolpite su lastre di marmo .E' tuttora incerta l'origine del nome della porta, una spiegazione deriva dalla presenza di ladri o briganti ("furbi", la latino fur=ladro) che si rintanavano nelle vicinanze.

Accanto alla porta troviamo la fontana in travertino eretta nel 1733 da papa Clemente XII, lo stesso papa della fontana di Trevi; l'acqua, che fuoriesce da un curioso mascherone dalle ali di pipistrello, si versa in una conchiglia. Sopra il mascherone poggia lo stemma cardinalizio di mon. Felice Passerini, allora presidente delle acque; al di sopra, un'iscrizione che ricorda il restauro dell'acquedotto è sovrasta dallo stemma papale.

L'ACQUEDOTTO ANIO VETUS (ANIENE VECCHIO)

L'acquedotto Anio Vetus fu secondo il secondo acquedotto di Roma, costruito dai censori Marcio Curio Dentato e Fulvio Flacco. L'acqua era captata dal fiume Aniene all'altezza all'altezza di Vicovaro, tramite un laghetto artificiale che permetteva la decantazione delle acque.

L'acquedotto seguiva un percorso tortuoso e lunghissimo quasi sempre sotterraneo perché l'Italia non era ancora del tutto pacificata, il che costituiva un pericolo per un acquedotto troppo evidente. Dalle Capannelle il tracciato dell'acquedotto, sempre sotterraneo, corre parallelamente agli altri, e all'altezza di via del Quadraro diventa quasi coincidente con la sede della ferrovia.

In età imperiale l'urbanizzazione intensiva della zona tra Vicovaro e Mandela provocò l'inquinamento dell'acqua, che da allora in poi fu destinata esclusivamente all'irrigazione e alle fontane.

L'ACQUEDOTTO CLAUDIO E ANIO NOVUS

Sia l'acquedotto di Claudio che l'Anio Novus furono iniziati dall'imperatore Caligola e furono completati dall'imperatore Claudio; l'acqua Claudia proveniva da sorgenti d'ottima qualità situate nell'alta valle dell'Aniene.

L'Anio Novus (cioè Aniene Nuovo, per distinguerlo dall'Anio Vetus) captava in origine l'acqua direttamente alle sorgenti del fiume Aniene, e la portava a Roma; una sua diramazione richiese la costruzione di un canale sotterraneo.

La torpidità dell'acqua costrinse gli ingegneri romani, al tempo dell'imperatore Traiano, a depurarla facendola fermare nei tre laghetti artificiali costruiti a suo tempo da Nerone presso Subiaco.

Anche l'acquedotto di Claudio e l'Anio Novus erano dotati di piscine limarie per la depurazione dell'acqua.