Tema
La donazione degli organi



La vita quotidiana spesso mi porta a confrontarmi con la sofferenza, con la tragedia di una malattia incurabile o di una troppo prematura morte.

Ho sempre e comunque avvertito un senso di inadeguatezza della proposta terapeutica, ma in realtà il mondo materiale affonda le sue radici nel campo dove puoi trovare le ragioni più vere della gioia e del dolore, della vita e della morte: il mondo dello spirito.

In primo luogo, uno degli insegnamenti più importanti che il Maestro di tutti i Maestri, il Cristo, ci ha lasciato: i valori dello spirito devono totalmente dominare e guidare i valori della materia, in secondo luogo, e conseguentemente, si può affermare che esiste una profonda unità tra spirito e materia e cioè, nel nostro caso, ogni parte del nostro organismo ha in sé un contenuto spirituale necessario, sicché non si può fare a meno di pensare che ogni cosa che accade a livello fisico non riconosca una causa spirituale.

La deduzione necessaria a queste due affermazioni di principio è che la morte esiste solo come fatto biologico, fisico, seppur tragico, ma non appartiene al mondo dello spirito.

La vita terrena o comunque fisica, materiale, è per ogni entità spirituale umana un necessario momento sperimentativo, che si ripete più volte e ha precise finalità evolutive, ma non esaurisce la vitalità dello spirito che è eterna.

Il mio timore, insomma, è che, spinti dal successo terapeutico ad ogni costo ed anche dal clamore sensazionalistico che i mass-media esercitano intorno alla problematica dei trapianti, non si diriga la ricerca medica verso la prevenzione ,ma piuttosto verso la più "spettacolarizzata" meta della sostituzione dell'organo ammalato.

Se così fosse, avremmo un'altra applicazione della consumistica "cultura del pezzo di ricambio": come per i televisori, che non si cerca più di riparare l'elemento elettronico danneggiato, ma si butta via l'intera scheda e la si sostituisce con un'altra, così con l'uomo: ammalatosi uno o più organi non ci si preoccuperà più di curarli, tanto basterà sostituirli con altri ancora efficienti, è sufficiente avere a disposizione un opportuno serbatoio di fornitori di organi.

E qui sorgono altri problemi.

Ho sentito in televisione che è stata scartata per ora la sciagurata ipotesi di clonare il proprio corpo per creare un essere vivente "di scorta", essendo ancora a livello sperimentale l’utilizzazione di organi artificiali e di animali per la "produzione" di organi geneticamente accettabili da parte del nostro organismo; allo stato attuale gli organi necessari per i trapianti possono essere reperiti solo espiantandoli da altri esseri umani, dichiarati, come previsto dalla legge, clinicamente e strumentalmente morti da un punto di vista cerebrale, ma dotati ancora di valida attività cardiaca.

Questa condizione di "morte cerebrale" è allo stato attuale delle conoscenze della medicina irreversibile e pertanto si differenzia nettamente dai vari stati di coma, che per quanto gravi siano, possono essere reversibili.

Ma un essere, di cui non siamo capaci di rivelare più alcuna attività cerebrale, è veramente morto o non può essere che i medici, a quel determinato stadio della malattia o del trauma che ha colpito quel soggetto, non sono ancora capaci di intervenire efficacemente e, quindi, in realtà non è un essere veramente morto?

Ho sentito, sempre in televisione, le numerose esperienze di premorte vissute da diversi individui, che dichiarati clinicamente deceduti, sono poi tornati in vita; questo a mio parere sembra mettere in dubbio la capacità di porre con certezza la diagnosi di morte.

Inoltre stanno emergendo sempre più evidenze sul fatto che non può ritenersi del tutto certa la teoria secondo la quale esclusivamente nel cervello umano risieda la coscienza, l'anima o che altro dir si voglia.

Pare, invece, che questa, in realtà, pervada l'intero organismo e che attraverso tutta la sua interezza essa compia l'esperienza materiale e, quindi, non potrebbe considerarsi in effetti morto un corpo, che ancora possiede vitali organi che sono in grado di ospitare l'anima. Insomma rischiamo inconsapevolmente di tramutare la donazione d'organo, un estremo atto di generosità e di amore, in un omicidio involontario.

C'è inoltre da chiedersi: perché secondo la concezione antiabortista, è un delitto eliminare il prodotto del concepimento anche in fasi estremamente iniziali, quando certamente non v'è traccia di alcuna attività organica e tantomeno cerebrale, e non è considerato invece analogamente l'eliminazione di un essere organicamente completo, seppur menomato in alcune sue funzioni?

E poi, si può veramente e cristianamente vivere la propria tragedia di ammalato in attesa di trapianto, sperando di sopravvivere grazie alla morte di un altro individuo e su questo, quindi, creare un sistema terapeutico?

In un mondo anormale come il nostro, con i valori che rispettano la vita in caduta verticale, è facile che una concezione come i trapianti d'organo generi situazioni diaboliche: la disperata voglia di sopravvivere ad ogni costo su questa terra, una certa disponibilità economica, la presenza di uomini disperati e di altri senza scrupoli hanno creato l'infame commercio clandestino degli organi e così assistiamo inorriditi a uomini che vendono per sopravvivere i propri organi, a bambini sudamericani orfani o rapiti che vengono allevati e venduti a poche decine di milioni per fornire organi da trapiantare.

Se, come ci ha insegnato Cristo, riuscissimo a far dominare i valori spirituali sulla materia, anche la nostra scienza probabilmente sceglierebbe soluzioni e campi di ricerca che producano risultati totalmente a favore della vita e, forse, tutta la sofferenza di questo mondo, le malattie, la morte ci sembrerebbero meno assurde.

A coloro che sono in attesa di trapianto, oltre la mia solidarietà posso solo offrire l'invito a condurre una profonda e libera ricerca spirituale, che porti loro a scoprire il vero senso della vita e della morte