Tema
L'occupazione e la disoccupazione in Europa

Il fenomeno della disoccupazione si presenta come un grave problema sia economico che sociale degli Stati moderni.

Esso comporta dei grandi costi economici rappresentati principalmente dal mancato utilizzo da parte del sistema produttivo di risorse umane esistenti.

Ciò conduce alla mancata produzione di beni e servizi e, più in generale, ad un rallentamento degli investimenti e della crescita economica.

Da un punto di vista sociale la disoccupazione riveste un ruolo altrettanto fondamentale in quanto il lavoro fornisce agli individui e alle famiglie, sia il reddito necessario, sia l'insieme di relazioni sociali che contribuiscono a determinare il benessere personale.

Coloro che si trovano ad essere involontariamente disoccupati non soffrono solo per la diminuzione del proprio reddito, e quindi del proprio tenore di vita, ma subiscono spesso conseguenze rilevanti anche sotto il profilo psicologico.

Per questo motivo persistenti fenomeni di disoccupazione possono causare gravi problemi di disagio sociale quali il disorientamento scolastico e professionale, un elevato tasso di criminalità, l'alcolismo o addirittura un aumento del tasso di mortalità.

Nell'Unione Europea, l'inversione di tendenza iniziata nel 1996 alla recessione economica registrata nei primi anni novanta, ha portato, in generale, ad un'apprezzabile crescita dell'occupazione.

Nonostante ciò, attualmente la disoccupazione, in particolare a livello giovanile, rimane uno dei più gravi e di difficile soluzione tra i problemi europei.

Anche se sono stati fatti grandi progressi nell'affrontare la situazione, nell'Unione Europea si riscontra ancora un tasso medio di disoccupazione piuttosto elevato, pari al 12%.

In realtà il problema non si presenta uniformemente sul territorio ma sono stati individuati tre gruppi di paesi diversamente caratterizzati rispetto alle condizioni di partenza.

Nell'area più avvantaggiata vengono inclusi Danimarca, Regno Unito, Svezia e Austria; sono, invece, considerati in una situazione intermedia Irlanda, Lussemburgo, Germania, Paesi Bassi, Finlandia, Francia e Portogallo, mentre i paesi con maggiori difficoltà risultano essere Italia, Spagna, Grecia e Belgio.

Nonostante l'occupazione complessiva sia recentemente cresciuta, si mantengono elevati i tassi di disoccupazione soprattutto a causa delle barriere d'accesso al mercato del lavoro per le generazioni più giovani.

Nell'intera Unione più del 20% di giovani sotto i 25 anni nella forza lavoro sono attualmente disoccupati, anche se nell'ultimo decennio è stato registrato un rilevante miglioramento dovuto probabilmente a fattori demografici e all'innalzamento del livello d'istruzione.
Sebbene tale dato tenda a dare un'impressione esagerata del numero relativo coinvolto, poiché solo metà dei giovani tra 15 e 24 anni fanno parte della forza lavoro, essendo gli altri impegnati nella formazione, il problema rimane serio.
Questo è specialmente vero per coloro che hanno terminato la propria formazione ma non riescono a trovare lavoro.

In media nel 1995 nell'unione Europea il 54% degli uomini disoccupati sotto i 25 anni in cerca di una prima occupazione avevano avuto precedenti esperienze lavorative.

In realtà, comunque, le percentuali relative variano molto tra i vari stati membri e, mentre in alcuni quasi l'80% dei giovani disoccupati ha già avuto esperienze lavorative, in altri, viceversa, 80% è la percentuale di giovani che non hanno ancora avuto un lavoro.

Per questo motivo anche l'impegno politico dei paesi varia dal tentativo di aiutare i giovani a trovare il primo lavoro a quello di aiutarli a trovare un'occupazione più consona e stabile.

Buona parte della vulnerabilità dei giovani alla disoccupazione dipende dalla natura dei lavori che svolgono, essendo in crescente percentuale temporanei, e dalle imprese dove sono impiegati.
La maggioranza, infatti, trova occupazione in piccole imprese e, per questo, la possibilità di diventare disoccupati è più elevata per questi soggetti che per quelli impiegati in grandi imprese.
Questo avviene in quanto, pur essendo una discreta fonte di nuova occupazione, le piccole imprese sono meno stabili e più esposte al fallimento.

Un altro problema risiede chiaramente nell'istruzione poiché i soggetti che completano la loro formazione scolastica hanno minori possibilità di divenire disoccupati rispetto a coloro che abbandonano la scuola in tenera età.
In questo senso è stato svolto un programma d'innalzamento del livello d'istruzione in tutti gli stati membri dell'Unione che ha avuto particolare successo anche nel nostro paese.

Poiché l'alta disoccupazione giovanile non è solo un problema di tipo economico ma, anche, una grave minaccia alla coesione sociale europea, il "terzo settore" appare come una soluzione unica per entrambi i problemi in quanto costituisce un intreccio tra formazione, lavoro e tempo libero.

Le organizzazioni di terzo settore (associazioni, fondazioni, cooperative sociali…), infatti, sono unite da almeno tre caratteristiche: svolgono attività utili per la società nel suo complesso e per i membri dell'organizzazione, non perseguono il profitto, si avvalgono in forma significativa di lavoro volontario.
Il terzo settore rappresenta l'unica area dell'economia che ha conosciuto un veloce e significativo incremento occupazionale e questo ha spinto i governi europei a adottare politiche specifiche per promuovere questo settore con agevolazioni fiscali, sussidi, contratti di lavoro particolari.

Le suddette iniziative fanno parte di un più vasto programma volto a coordinare le azioni intraprese dai vari stati fissando gli elementi chiave della strategia per l'occupazione, noti anche come i "pilastri d'azione": occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità.
Nel progetto si parla di un miglioramento dell'occupabilità attraverso misure preventive che contrastino la disoccupazione giovanile e quella di lunga durata, il coinvolgimento delle parti sociali e il miglioramento dell'efficacia della formazione e dell'apprendistato.

Per quanto riguarda l'imprenditorialità, essa dovrà essere sviluppata con facilitazioni per l'avvio e la gestione delle imprese, la creazione di nuove attività che forniscano nuovi posti di lavoro e l'adeguamento dei sistemi fiscali in modo da renderli più favorevoli all'occupazione.
In pratica si tratterebbe, quindi, di frenare l'espulsione dei lavoratori delle grandi industrie e rafforzare la crescita delle medie e piccole imprese nell'industria e nei servizi che, come detto in precedenza, sono una delle maggiori fonti d'occupazione.
L'incoraggiamento all'adattabilità delle imprese e dei loro lavoratori dovrebbe essere basato su una più moderna organizzazione del lavoro e una valorizzazione delle risorse umane.

In materia di pari opportunità, infine, sono state studiate misure per conciliare lavoro e vita familiare, incoraggiare il ritorno al lavoro, facilitare l'inserimento delle persone disabili, ridurre il divario occupazionale fra donne e uomini (la disoccupazione femminile è superiore di tre punti percentuali a quella maschile e presenta valori preoccupanti in quasi tutti i paesi dell'Unione).

Per quanto riguarda, in particolare, la situazione Italiana relativa al problema dell'occupazione, abbiamo già visto che il nostro paese risulta essere uno tra quelli con maggiori difficoltà.

Queste sono individuabili, principalmente, nello sviluppo duale dell'economia nazionale e nello squilibrio costitutivo fra Nord e Sud del paese.

In effetti, nelle regioni del Centro-Nord il tasso di disoccupazione scende rispetto al riferimento nazionale al 7% mentre per quelle del Sud supera il 13%. Inoltre, nel nostro paese, così come in Spagna e in Grecia, la disoccupazione si concentra in maniera particolare tra le donne e i giovani.
Quella che viene a prodursi è, in pratica, una divisione su base generazionale tra coloro che hanno la garanzia del pieno impiego, e i non garantiti della disoccupazione e dei lavori atipici, in quanto forme di semioccupazione o d'impiego temporaneo.

Tre sono le principali proposte per risolvere la crisi del lavoro: la riduzione dell'orario di lavoro a 35 ore settimanali, il minimo vitale di sussistenza e il reddito di cittadinanza universale e indipendente dalla prestazione lavorativa. La prima, che è probabilmente quella di più semplice attuazione, consisterebbe in una diminuzione dei tempi lavorativi in modo da ridistribuire il lavoro rimanente.

Una soluzione effettivamente efficace potrebbe anche essere quella di "portare" il lavoro dove manca e, quindi, soprattutto nel Sud, con nuove iniziative imprenditoriali nei territori e nei settori in cui gli investimenti portino maggiori vantaggi.

Per questo motivo sarebbe necessario operare in modo da eliminare i problemi che impediscono questo processo di sviluppo come la criminalità, il costo del denaro, i costi di produzione e il costo del lavoro.

Anche una maggiore flessibilità e la mobilità del lavoro potrebbero essere utili a rilanciare l'occupazione e, per questo, alcuni economisti hanno proposto interventi di vario genere come: la riforma del sistema dell'istruzione e della formazione professionale, una riforma delle modalità di assunzione e di licenziamento che tenda a pareggiare i lavoratori delle piccolo e delle grandi industrie e i settori pubblico e privato, la flessibilità del tempo di lavoro, il contenimento del costo del lavoro.