Tema
La Psicoanalisi

LA SOCIETA' INTERNAZIONALE DI PSICOANALISI

Nel 1910 nacque la Società internazionale di psicoanalisi, il cui primo presidente fu Carl Gustav Jung.

Nel frattempo la Psicoanalisi trovava nuovi campi di feconde applicazioni: Reik e l'etnologo Roheim sviluppavano le tesi contenute nel lavoro di Freud Totem e Tabù; Otto Rank faceva della mitologia l'oggetto dei suoi studi.

Il pastore protestante Pfister, di Zurigo, il quale - dice Freud - "trovò conciliabile la psicoanalisi con una forma sublimata di religiosità", applicò la psicoanalisi alla pedagogia. I successi, dunque, non mancavano.

Ma, insieme a questi, arrivarono anche quelle prime clamorose scissioni che dovevano rompere in maniera decisiva l'uniformità della prospettiva freudiana.

La prima scissione si ebbe nel 1911 con Alfred Adler, il fondatore della Psicologia individuale.

Per Adler, in ogni fase del suo sviluppo, "l'individuo è guidato dal desiderio di una superiorità, di una ricerca di somiglianza divina, dalla fede nel suo potere psichico particolare".

La dinamica dello sviluppo dell'individuo si snoda all'interno di un dissidio tra il "complesso di inferiorità" che si scatena davanti ai compiti da risolvere e di fronte alla competizione con gli altri e la volontà di affermare la propria potenza.

Nel 1913, due anni dopo la "secessione" di Adler, si allontanò da Freud anche Carl Gustav Jung (1875-1971), al cui nome è legata la psicologia analitica, caratterizzata, tra l'altro, dall'idea di inconscio collettivo fatto di archetipi e dalla proposta di una teoria concernente i tipi psicologici.

L'INFLUENZA DELLA PSICOANALISI SUL PENSIERO CONTEMPORANEO

Nonostante gli scismi e nonostante critiche provenienti da prospettive politiche, o morali oppure religiose, o anche da altre direzioni dell'indagine psicologica ovvero da concezioni epistemologiche quali quelle delineate poco fa, nonostante, dunque, scismi e critiche, la psicoanalisi  era destinata ad esercitare nel giro di pochi decenni un influsso sempre più massiccio sull'immagine dell'uomo e delle sue attività psichiche e dei suoi prodotti culturali.

Non c'è "fatto umano" che non sia stato toccato e "sconvolto" dalla dottrina psicoanalitica: il bambino diventa un "perverso polimorfo"; il "peccaminoso" sesso della tradizione viene posto in primo piano per spiegare la vita normale e soprattutto le malattie mentali; l'io e il suo sviluppo vengono inquadrati in una nuova teoria; le malattie mentali vengono affrontate con tecniche terapeutiche prima impensate; fatti come i sogni, i lapsus, le dimenticanze, ecc. - generalmente visti come fatti, sì, strani, ma irrilevanti per la comprensione dell'uomo - si tramutano in crepe attraverso cui scrutare il profondo dell'animo umano; fenomeni quali l'arte, la morale, la religione e la stessa educazione vengono illuminati da una luce che molti ancora oggi dichiarano "sconvolgente".

Il costume esce murato dall'incontro con la teoria psicoanalitica e gli stessi termini fondamentali della teoria psicoanalitica ("complesso edipico", "rimozione", "censura", "sublimazione", "inconscio", "superio", "transfert", ecc.) sono ormai pezzi integrati nel linguaggio ordinario e, nel bene o nel male e con più o meno cautela, più o meno a proposito, costituiscono attrezzi interpretativi del più ampio svolgersi della vita.

LA CRITICA PSICONALITICA

In una lettera all’amico Wilhelm Fliess del 1897, dunque fin dall’inizio della sua attività di ricerca sull’inconscio,  Freud dà una prima interpretazione dei meccanismi messi in gioco dall’opera d’arte, riconducendo il successo dell’Edipo Re di Sofocle all’universalità dei sentimenti d’attrazione per la madre: "Ogni membro dell’uditorio è stato, una volta, un tal Edipo in germe e in fantasia e, da quella realizzazione di un sogno trasferita nella realtà, ognuno si ritrae con orrore e con tutto il peso della rimozione che separa lo stato infantile da quello adulto"

Freud cercò dunque molto presto di spiegare i processi emotivi scatenati  dall’opera d’arte, sia nell’artista, sia nel fruitore dell’opera. Si potrebbe affermare che in quell’abbozzo di teoria erano già evidenziate le peculiarità della comunicazione estetica, che la differenziano da altre forme di comunicazione:

  1. l’artista ha la capacità di entrare in contatto con il proprio inconscio

  2. di conseguenza produce nei fruitori un fenomeno d’identificazione che fa riemergere in loro gli stessi materiali rimossi

  3. permette in tal modo la caduta delle barriere della rimozione che separano gli uomini tra loro e che altre forme di comunicazione non riescono a superare

  4. infine produce, attraverso questo processo, la liberazione di tensioni psichiche profonde.

In seguito Freud affermerà che “la rimozione è il pilastro su cui poggia l’edificio della psicoanalisi”. Quel che è rimosso non solo non si annulla, ma si ripresenta trasformato, cioè assumendo altre forme: un sogno, un sintomo, un lapsus, una battuta di spirito, ma anche le opere d’arte ne portano le tracce.

Da queste premesse, Freud fermerà la sua attenzione anche sugli aspetti sociali dell’arte: il piacere estetico è la capacità di plasmare il mondo secondo quei desideri la cui realizzazione è impedita dalla realtà. Infatti la civiltà è perennemente insidiata dal ritorno dei desideri rimossi, indistruttibili nonostante le vicissitudini che subiscono, e solo una loro realizzazione immaginaria, allentando le tensioni provocate dalla continua rinuncia, lascia inalterato il precario equilibrio tra le forze della rimozione e le forze del rimosso. Il desiderio rimosso ritorna anche nell’arte, ma questa volta ha trovato un suo spazio di realizzazione, proprio in virtù della sua forma, che gli consente di “essere senza essere”, uno spazio in cui catturerà altri soggetti di desiderio: i fruitori dell’opera. Si tratta, come sostiene Remo Bodei nell’introduzione alla sua antologia Letteratura e psicanalisi, di “un ritorno del rimosso” (p.6), socialmente accettato e istituzionalizzato.

Nonostante un interesse così spiccato per il fenomeno artistico e letterario, sia negli scritti teorici sull’arte, sia nell’applicazione di queste istituzioni della lettura di testi, è possibile notare, da parte di Freud dei suoi seguaci, una sorta d’appiattimento delle inquietanti scoperte della psicoanalisi: sono persi di vista gli specifici aspetti formali dell’opera letteraria, e si è invece più attenti ai contenuti rimossi.

Quest’impostazione, che per anni ha trionfato nella critica psicoanalitica, è innegabilmente riduttiva, sia nei confronti dell’opera – la cui “forma” è sempre il risultato di un intreccio molto complesso tra l’individualità del singolo autore e una fitta rete di rapporti storicamente determinati- sia rispetto alle potenzialità della stessa psicoanalisi. La psicoanalisi ha infatti costruito gran parte della sua teoria proprio movendosi nel campo del linguaggio, come mostrano testi come L’interpretazione dei sogni, Psicopatologia della vita quotidiana, Il motto di spirito, molte analisi di casi clinici e osservazioni sparse nell’opera di Freud. Ciò vuol dire che i cosiddetti “contenuti latenti” perché rimossi, sono fatti affiorare attraverso la ricostruzione del senso del discorso analizzato, con l’orecchio attento alla struttura sintattica della frase, alla scelta delle parole, alle aggiunte o alle elisioni.

In questa direzione si è mossa, in anni più recenti, quella parte della critica psicoanalitica che ha fatto propri gli apporti di altre discipline che lavorano sul linguaggio, come la semiotica, la linguistica, lo strutturalismo, la neoretorica. E i risultati di questa riflessione sono di notevole rigore, sia metodologico che applicativo. Michel David, che si occupato in particolar modo dell’introduzione della psicoanalisi in Italia, annovera tra i critici che ci sono serviti di tale impostazioni Debenedetti, Agosti, Serpieri, Pagnini, Lavagetto, Rella, Segre, e soprattutto Orlando, che ha proposto un’organica teoria freudiana della letteratura.

Bisogna ricordare come la riflessione freudiana abbia sottolineato il nesso tra inconscio e linguaggio: il linguaggio è il luogo elettivo del lavoro dell’inconscio proprio per il suo carattere metaforico, per la sua connaturata disponibilità, che Freud chiamava “compiacenza della lingua”. Attraverso la figuralità del linguaggio, l’inconscio trova il modo di aggirare gli ostacoli della censura e di esprimersi secondo i suoi meccanismi.  La scrittura letteraria, particolarmente ricca di figure retoriche, facilita l’affiorare di contenuti rimossi (fenomeno che Freud ha definito “ritorno del rimosso”), consentendo all’inconscio di insinuarsi in ogni piega della figuralità del linguaggio.

Il compito della critica psicoanalitica non è quello di scoprire una presunta verità nascosta dietro l’opera, perché ciò che il testo non dice esplicitamente è comunque presente nel suo linguaggio, ma di indagare in profondità con gli strumenti forniti dalla psicoanalisi, ciò che esso dice e non dice, o, in altre parole, dice con quell’ambiguità che è peculiare della creazione artistica e la fa definire polisemica.

Questo “non detto” è stato definito latenza testuale, sulla scia della contrapposizione freudiana tra latente e manifesto, e la psicoanalisi, da sempre avvezza ad evidenziarla nel discorso dell’analizzato, è legittima a farlo anche rispetto al testo letterario. Naturalmente il prodotto letterario possiede una ben maggiore ricchezza e imprevedibilità di riferimenti al contesto storico, rispetto al discorso dell’analizzato, per cui non si tratta di isolare “archetipi”, “simboli” o “complessi” dell’autore o dei personaggi, come molta parte della critica ha fatto spesso, ma di mettere a frutto la lezione di Freud, che per primo ha messo in luce in ogni testo, la continua conflittualità tra la dimensione conscia, cioè i progetto intenzionale e consapevole dell’autore, e la dimensione inconscia, che – seppur personale - affonda le sue radici nei fenomeni di rimozione storicamente presenti nella cultura del tempo.