Raccolta di Temi vari





Scrivi un breve testo in cui siano presenti una ragazza ventenne studentessa universitaria di lingue, un marocchino, il cugino drogato di lei di 25 anni, una zia zitella di lei di 40 anni, l’assistente del professore di inglese di 35 anni. La storia deve essere ambientata a Milano, oggi


Scrivi un racconto nel futuro


“... Era una notte buia e tempestosa...”
Racconto breve, intreccio libero, io narrante, in prima persona (per esempio un veccio racconta del suo passato)


Vivere a scuola: quali problemi?


Un fatto, un episodio, un segno della nostra vita contemporanea che vi consenta di essere ottimisti circa il futuro


“L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa o attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune, e se, per ipotesi, li muovesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di esseri ragionevoli e liberi”. Giovanni XXIII


E’ tempo di fare un bilancio della vostra esperienza liceale: senza polemiche sterili, ma con sincerità: qual è la vostra valutazione di questo importante biennio della vostra carriera scolastica?


Sempre più spesso nel mondo scolastico (ma non solo) c’è notizia di un certo insistente malessere tra ragazzi (ma, soprattutto tra le ragazze): disaffezione alla scuola, abulia, depressione o altro: che cosa sta succedendo? E’ fisiologico che avvenga questo? Quali le cause, le negligenze, le colpe?


Scrivi un breve testo in cui siano presenti una ragazza ventenne studentessa universitaria di lingue, un marocchino, il cugino drogato di lei di 25 anni, una zia zitella di lei di 40 anni, l’assistente del professore di inglese di 35 anni. La storia deve essere ambientata a Milano, oggi.

Martedi 2 Aprile

Forza! Devo affidare tutto ciò che penso a questo pezzo di carta; ma come è difficile. Spesso i pensieri sono così chiari e limpidi nella mia mente e i sentimenti così profondi e sinceri, ma non riesco proprio ad affidarli a questo foglio. Deve essere per forza la vergogna. Ma io con te non voglio avere alcun timore, perché so che mi rimarrai fedele per sempre, che potrò raccontarti tutto ciò che sento, che desidero, che sogno...

Bene; ora che è meglio che mi presenti. Mi chiamo Monica (il cognome non te lo dico, perché tra noi non ci devono essere queste formalità: io sarò la tua Monica e basta) ed abito in un quartiere nella periferia di Milano.

Ho 20 anni e studio lingue all’Università. Sono abbastanza soddisfatta della mia vita e spero di riuscire a diventare una buona insegnante di lingue alle superiori. Ho sempre adorato gli adolescenti, la loro insicurezza, la timidezza. Mi fanno tanta tenerezza e vorrei cercare di aiutarli e penso che il modo migliore per farlo sia quello di istruirli. Ma prima di inzupparli nel mare delle nozioni che sto ora apprendendo per loro, vorrei insegnargli ad amare. Non so ancora che metodo utilizzerò, ma so che lo farò; soprattutto perché nessuno mi ha mai fatto imparare cosa significhino le parole amicizia, affetto, comprensione, tolleranza. Ho dovuto provare tutto sulla mia pelle e anche se so che questo aiuta a crescere, non potrò mai dimenticare certe esperienze che ho avuto quando frequentavo il liceo.

La cosa che più mi trascino da quel periodo della mia vita è la paura di coloro che non conosco, e specialmente degli extracomunitari, neri, mulatti, asiatici o arabi che essi siano. Ho paura di tutti loro.

Proprio questo pomeriggio ho potuto constatare tutto ciò che ti ho appena esposto. Ero in centro, nella piazza del Duomo e stavo aspettando il mio ragazzo. Come ben tu saprai, in quella zona circolano molti marocchini (anche se non sono tutti del Marocco, qui vengono chiamati così) ed io ero terrorizzata. Paolo non arrivava più e stavo quasi decidendo di entrare in un bar ad aspettarlo, tanto per non stare lì in mezzo a tutta quella gente. Ad un tratto ho scorso un extracomunitario che mi si stava avvicinando. Ho sentito il mio cuore che pompava sempre più velocemente e i suoi battiti nella mia gola. Volevo andarmene, ma non ci riuscivo: avevo le gambe paralizzate dalla paura. Ho cercato di fare l’indifferente e credo di esserci riuscita, perché lui mi ha superato ed è entrato nel bar in cui volevo aspettare Paolo. Per fortuna proprio in quel momento lui è arrivato e siamo andati a fare un giro in centro.

Questa sera, però, proprio mentre cercavo le chiavi dell’auto, ho notato una busta nella mia borsetta: nessuno oggi è stato nei suoi paraggi tranne Paolo. Credendo che l’avesse scritta lui, l’ho aperta commossa ed ho letto queste parole:
" Io avere visto te tante volte fuori del duomo e io ho preso te in amore. Tu domani dovere venire al duomo da sola ed io portarti a casa mia e farti felice. Tu dovere accettare: non sapere cosa perdere"

Mi sono terribilmente spaventata e mi sono guardata in giro: nessun marocchino in giro. Ma ho acceso la macchina e sono partita a tutta velocità verso la casa di Paolo, ma lui non era in casa: certo, ora mi ricordo il perché: è all’allenamento di basket! Va bé. Allora ho chiamato zia Celeste. Zia Celeste è la sorella della mia mamma; ha 40 anni, ma non è sposata, perché è convinta che sia più divertente prendere in giro gli uomini, che farsi prendere in giro da loro. Le ho raccontato tutto l’accaduto e lei mi ha consigliato si sbarrarmi in casa e di aprire solo a Paolo, quando tornerà verso le 10. Non mi ha potuto consolare oltre perché doveva andare a trovare Christian, il mio cuginetto preferito e il suo nipotino preferito. Insomma, dalla descrizione che ti ho fatto ti sarai immaginato un bel bambino; ma lui è un bellissimo ragazzo di 25 anni, ma che purtroppo ha avuto qualche problema con le droghe che circolano nelle scuole e nelle discoteche. E’ appena uscito da questo terribile tunnel ed ha bisogno di continuo di qualcuno accanto. Domani sera toccherà a me.

Sono terrorizzata. Che faccio se LUI mi ha seguito e ora attende solo si sfondare la porta? Non ne posso più di questa attesa. Paolo, dove sei? Che ore sono? Bene, sono già le 10 meno 5: dovrebbe essere qui a momenti. O mio Dio, hanno suonato il campanello; speriamo sia lui.

Paolo se ne è appena andato. Gli ho raccontato tutto l’accaduto e lui voleva rimanere qui a dormire da me. Ma non credo sia necessario ed ho rifiutato, anche se mi è costato molto. Gli voglio troppo bene e se lo vorrei sempre accanto a me, non voglio diventare troppo ossessiva. Ora vado a letto, perché domani mattina ho lezione presto. Ciao.

Mercoledì 3 Aprile

Oggi sono alquanto scioccata ed ora ti spiego il perché. Questa mattina ho avuto lezione di inglese, ma il prof. titolare non c’era e così è venuto solo quello che generalmente è il suo assistente. Questo è un bell’uomo di circa 35 anni: in un certo senso gli sono affezionata. Eravamo in sole due allieve, ma abbiamo cominciato la lezione lo stesso. Dopo circa un’ora, la mia compagna si è sentita male ed è andata a casa. Ci siamo ritrovati soli io e Stefano. Lui ha continuato imperterrito per circa un quarto d’ora, quando mi si è avvicinato, si è seduto accanto a me ed ha cominciato a compiere dei gesti che non sto qui ad elencarti, soprattutto per vergogna. Io ho cercato di oppormi, prima a parole e poi anche con la forza, ma non è servito a nulla. Mi ha baciata per molto tempo e mi ha pure proposto di passare la sera con lui, ma io ho rifiutato, per vari motivi. Prima di tutto io voglio bene a Paolo e a nessun altro; poi questa sera sono a casa di Christin. Finalmente mi ha lasciata e sono scappata a casa e mi sono chiusa dentro. Ho telefonato a zia Celeste e le ho raccontato tutto, ma lei mi ha detto di non preoccuparmi e di chiedere di poter cambiare classe. E’ convinta che Stefano, vedendo il mio cambiamento di corso mi lasci in pace. Speriamo! Ora vado da Christian. Ciao!

Mio Dio! Christian è morto! Morto ti dico! Ora ti spiego come è successo. Appena entrata in casa di mio cugino ho sentito un odore di spinello insopportabile e la musica a tutto volume. Lui era sdraiato sul letto completamente fuori. Mi sono avvicinata e gli ho parlato per un po’. Ma lui non dava alcun cenno di capire cosa gli dicessi. Ad un tratto si è seduto e mi ha guardato per molto tempo. Poi ha cominciato a parlarmi e mi ha confessato una cosa terribile. Ha detto che tutte le notti faceva sogni erotici con me come protagonista, che vorrebbe diventare il mio fidanzato segreto ed ha tentato di baciarmi. Io sono fuggita in preda al panico, sono saltata sull’autobus per andare a casa. Ma chi c’era sull’autobus? Il marocchino che ieri mi ha fatto quella proposta allettane. Mi si è avvicinato, mi ha sfiorato, ma per fortuna eravamo già arrivati ad un’altra fermata ed io sono scesa di corsa. Sono stata per più di venti minuti ad aspettare un’altra filo, quando un’auto mi ha accostato e mi ha fatto cenno di salire. Io naturalmente non l’ho fatto ed allora il conducente è sceso: era Stefano. Mi sono fidata di lui e il mio prof. mi ha accompagnato a casa. Ha tentato di salire nel mio appartamento, ma per fortuna ho schiacciato in tempo il pulsante dell’ascensore e mi sono chiusa in casa. Subito ho telefonato a Paolo che mi ha detto di aspettarlo. Allora ho chiamato la zia Celeste che mi ha informato della triste verità. E’ tutta colpa mia! Sono un’assassina!

Ho preso un po’ di calmanti e mi sono addormentata. Ma verso mezzanotte mi sono svegliata e Paolo non era ancora arrivato. Ho guardato fuori dalla finestra ed ho visto un po’ di trambusto. Mi sono sentita svenire. Ma stranamente non mi sono fatta prendere dal panico e sono scesa. Lo spettacolo che è apparso ai miei occhi è stato orribile. C’erano tre uomini stesi nel cortile del condominio e purtroppo Paolo era tra i tre. Aveva tutti i vestiti inzuppati di sangue, ma gli occhi erano ancora aperti: si leggeva in essi un’espressione stranissima, tra l’odio, la soddisfazione e il terrore. Fuori di me mi sono spostata di pochi passi ed ho riconosciuto Stefano. Questi sembrava essere intatto, ma purtroppo era morto anche lui. Il terzo uomo era il marocchino di ieri ed era ancora vivo. Lo hanno trasportato subito in ospedale e domani darà la testimonianza della morte del mio adorato Paolo e di Stefano.

Ti prego, aiutami Tu a perdonarlo!
E’ inutile cercare di dormire! Troppe cose sono accadute in due giorni. Sto diventando pazza: sto pensando di farla finita, di raggiungere le tre persone a cui voglio più bene in assoluto. Ma non posso. Io ho un compito da svolgere: ci sono tanti ragazzi che attendono il mio aiuto, il mio amore, la mia comprensione. Non posso abbandonarli. Devo trovare la forza di andare avanti, di superare questo difficilissimo momento. Devo farcela, per loro!

Scrivi un racconto nel futuro

5 Maggio 2050

Ciao bellissima!

Come te la spassi? A me non va troppo bene. Sono appena tornata da un’avventura a dir poco fantastica, ma tristissima. Hai presente il DR Paladetti? Ma sì, quello che vive ancora come se fossimo ancora negli anni ’90. Bè, è stato lui che mi ha fatto vivere quest’indimenticabile esperienza. Ora ti spiego tutto.

Stavo comunicando via Internet al Municipio (che, fra parentesi, adesso non è più a Parigi, ma si è spostato a Zurigo) di mandarmi il passaporto per andare a trovare Diego a Bologna, quando Paladetti si è agganciato alla comunicazione. Ho dovuto parlare con la voce, perché lui diceva che era più comodo. Mi ha chiesto se volevo andare a fare con lui una visitina al passato, negli anni ’90. Mi sono subito incuriosita ed il giorno dopo siamo partiti. Ci è bastato sederci su delle sedie particolari e chiudere gli occhi. Il viaggio è durato molto, se si pensa alla velocità delle nostre navette. Ho potuto notare che più ci avvicinavamo al 1996 e più viaggiavamo lentamente. Paladetti mi ha detto che in quegli anni gli uomini non erano ancora capaci di manovrare il tempo a loro piacimento e che questo andava lentissimo, mentre i loro ritmi di vita erano frenetici.

Siamo atterrati in quella che era la loro Milano. Sono rimasta stupefatta: pensa, ho ammirato per la prima volta nella mia vita il colore del cielo: è azzurro. E poi ho visto il sole, le nuvole, gli uccellini e gli alberi. Le auto formavano code ai semafori di appena qualche centinaio di metri e le persone non usavano la mascherina antigas della D&G. Sicuramente starai pensando che la usavano di un’altra marca meno pregiata... invece no. Non la usavano affatto! Riuscivano a respirare benissimo anche senza: probabilmente esisteva ancora l’aria...

Siamo stati in metropolitana: mamma mia come era scomoda! Si stava tutti in piedi, appiccicati l’uno all’altro e per di più era lentissima.

Abbiamo poi deciso di andare a San Remo, dato che era tempo di Festival. Eh si, c’era già a quei tempi! Ma non è servito il passaporto, perché non ci sono stati i controlli di dogana né per uscire da Milano né per superare il Po ed entrare in Liguria. Allora l’Italia era ancora tutta unita. Ma pensa te che bello. Una volta arrivati abbiamo notato che i fiori che usavano erano veri, colorati e profumati. Prova ad indovinare chi presentava già allora? Baudo. Ma il loro Baudo era con i pochi capelli neri e senza barba. Che uomo in confronto al quasi centenario calvo e barbone che abbiamo qui nel 2030. Nel 1996 ha vinto un certo Ron. Ma non è questo che importa più di tanto. La cosa stranissima è che esistevano persone che cantavano perché gli piaceva la musica (o al massimo per fare soldi) e non perché erano uomini dello Stato che usavano come testo delle canzoni i loro programmi politici! I cantanti di allora erano pure bravi: altro che l’ultimo CD che è uscito qui da noi! Quella si che era musica. E già che siamo in questo argomento ti voglio far venire il nervoso: ho comprato i primi album degli Articolo 31 e di Eros. E originali.

Ci siamo poi spostati verso il Sud della penisola, ma che fatica! Dovevi trascorrere ore e ore nelle caldissime auto dell’epoca, ma quando si arrivava a destinazione la felicità era grandissima. Una cosa bellissima che ho visto è il mare e lì ho fatto il bagno senza bisogno di alcuna protezione particolare. Il sole non procurava ustioni gravissime come oggi: negli anni ’90 era sufficiente spalmarsi una crema solare. Nel mare l’acqua era di mille colori stupendi e dentro non c’erano mostri come ci sono oggi nelle nostre specie di vasche artificiali. Paladetti mi ha riferito che i nostri mostri si stavano creando proprio in quegli anni come risposta alle esplosioni nucleari nel fondo degli oceani.

Poco dopo siamo scesi ancora di più lungo la penisola italiana e siamo giunti a Roma. Che città fantastica che era. Le opere d’arte erano conservate tantissimo e meglio che si poteva ed erano ancora tutte italiane. Il Colosseo era ancora nella città: arrivarono successivamente i Francesi che lo smontarono pezzo per pezzo e lo rimontarono nei pressi di Parigi. In quegli anni la popolazione si stava preparando per il Giubileo del 2000 e molti reperti archeologici erano in ristrutturazione e quindi non ti so dire niente di più.

Per concludere la nostra gita siamo andati a Venezia con il treno. Ecco, questo era un mezzo di trasporto abbastanza comodo. Questa città non era ancora affondata anche se era già molto rovinata.

Poi siamo dovuti ritornare qui nel 2030. Quest’esperienza mi ha fatto riflettere tantissimo. Perché i nostri antenati non hanno cercato di mantenere il loro bel mondo? Perché lo hanno rovinato in tutti i modi possibili? La gente allora non era cattiva come oggi, anche se si stava avviando a diventarlo. C’era ancora qualcuno che credeva nella generosità, nella fratellanza e di odio ce n’era ancora poco in confronto ad oggi. Come mai le persone sono così peggiorate?

Ora do ragione alla mamma quando dice che ha tanta nostalgia degli anni ’90. Bisogna essere in tantissimi per cercare di migliorare il mondo almeno adesso, dato che i nostri predecessori non lo hanno fatto in tempo. Dobbiamo farlo, è un nostro dovere, affinché le popolazioni del futuro non si trovino in una situazione peggiore della nostra.

Non lo credi anche tu?

Baciotti virtuali

tua Federica

“... Era una notte buia e tempestosa...”
Racconto breve, intreccio libero, io narrante, in prima persona (per esempio un veccio racconta del suo passato)

Era una nottata tranquilla. Una dolce brezza soffiava tra le chiome che si muovevano dolcemente come se seguissero un ritmo continuo. Tutto sembrava quieto, ma un’automobile della polizia in un giro di ricognizione, voltato l’angolo della strada ci sorprese mentre stavamo rapinando la banca in fondo alla via. Subito i poliziotti si recarono sul posto; ma noi erano appena fuggiti a bordo del nostro camioncino bianco, forse perché ci eravamo accorti in tempo degli agenti. L’auto della polizia si lanciò all’inseguimento. Con una scatenata corsa riuscimmo a scappare. Sul camioncino erano in tre: io, Marco, poi Giorgio ed Efrem, detto Ciccio. Stavamo cercando un posto dove rifugiarci. Vagammo per ben due ore e finalmente riuscimmo a trovare una casa su uno scoglio, proprio a picco sul mare. Io, che ero il capobanda, non ero del posto e proposi di rifugiarci lì, ma Giorgio e Ciccio me lo sconsigliarono:

“Marco è meglio cercare un altro posto” suggerì Ciccio

“Già. Si dice che in quella casa viva lo spettro di Carlo” aggiunse Giorgio spaventato.

“Ma cosa dite. Gli spettri non esistono - li rassicurai deciso - ma vi permetto di raccontarmi la leggenda di questo fantasma, se questo può rendervi meno paurosi”

“Si dice che un tempo in quella casa abitava lord Carlo con la sua famiglia. Egli viveva felice: aveva una bella e brava moglie, tre figli magnifici e intelligenti, era ammirato e rispettato da tutti. Una notte, però, un pazzo andò in casa sua e uccise tutti, tranne lord Carlo. Ora la storia io non la conosco bene, ma si dice che questo aristocratico, prima di uccidersi, dichiarò vendetta a tutte le persone che avrebbero messo piede nelle sue proprietà. Molta gente è entrata, ma nessuno è più ritornato! Marco, io non voglio entrarci!” concluse Ciccio.

“Ma vi assicuro che non c’è nessuno in quella casa. Andiamo!” ordinai.

Ci incamminammo. Il vento si era alzato impetuoso, la luna era scomparsa e grossi nuvoloni neri correvano per il cielo cupo. Ciccio e Giorgio riuscivano malamente a camminare. Anche io, però, nel fondo del mio cuore, avevo un po' di tremarella. Entrammo. Vedemmo un bel salone con i mobili ricoperti di polvere, ed un bel camino. Vicino ad esso c’era ancora della legna.

“Ciccio accendi il fuoco, mentre noi andiamo nella stanza accanto” decisi. La camera vicina era una cucina. Il tavolo era colmo di avanzi alimentari che emanavano un odore disgustoso, ricoperti di muffa e di mosche. Ciò significava che davvero lord Carlo si era ucciso, naturalmente non pensando di riordinare la casa. Al momento non pensai che era impossibile che quegli alimenti fossero ancora lì, dopo tanto tempo. Ma i miei compagni avevano cominciato a spaventarmi sul serio. Tornammo nel soggiorno e vedemmo Ciccio che fissava il ritratto di un uomo: doveva essere il padrone di casa.

“Cosa guardi?” chiesi

“ Mi è sembrato che il tipo abbia mosso gli occhi” rispose

“Chi? Il quadro? Ma allora tu sei proprio tutto scemo! Come può un quadro muovere gli occhi?!!!” lo rimproverai

“Forse hai ragione tu” si rassegnò il mio compagno.

Ci avvicinammo al fuoco, ci riscaldammo e mangiammo i panini che Ciccio portava sempre con se, per i casi di necessità. Successivamente decidemmo di andare a riposare. Salimmo le scale pericolanti. Arrivati in cima vedemmo un lungo corridoio di cui non scorgemmo la fine. Dato che dovevamo passare la notte in quel luogo per amore o per forza, ci scegliemmo una camera; giusto per non dormire per terra.

Fuori il tempo era peggiorato. L’acqua di un acquazzone spaventoso penetrava dalle fessure delle finestre e dal tetto. Il mare infuriato sbatteva le proprie onde contro gli scogli, frantumandole. Il vento ululava continuamente tra le grotte marine e le insenature della costa. Lampi improvvisi illuminavano il cielo, seguiti da tuoni assordanti. Nella casa le porte sbattevano furiose, i vetri delle finestre tremavano ininterrottamente e i noi non riuscivano a prendere sonno. Scendemmo in salotto. Alimentammo il fuoco ormai quasi spento e ci sdraiammo sui divani saturi di polvere. Giorgio notò che il quadro dove era raffigurato lord Carlo era vuoto; cioè che il ritratto del lord non era più all’interno della cornice. Ma si convinse che stava sognando e non disse nulla.

D’un tratto si sentirono dei passi nel corridoio seguiti da un fastidiosissimo rumore di catene. Eravamo atterriti. Non riuscivano a muoverci e così attendemmo la fine. Questa, però, non arrivò. Quando il rumore cessò, decidemmo di salire nel corridoio per controllare cosa fosse successo. Io ero il primo della fila, seguito da Ciccio e per ultimo c’era Giorgio. Io ed Efrem andammo avanti, mentre l’ultimo si voltò un attimo verso il cupo corridoio: un lampo inatteso lo illuminò e il mio compagno si trovò faccia a faccia con uno scheletro che stringeva in una delle mani un coltello. Il mio compagno urlò, sperando nel nostro perfetto udito, ma lo spettro lo aggredì. Gio mi seguito mi ha riferito che emanava un puzzo di marcio e le sue ossa erano viscide e gelatinose. Dopo una breve lotta lo scheletro scappò, come se Giorgio lo avesse spaventato. Lui, però, cercò di correre ad avvertirci:

“Marco, Ciccio! Sono stato aggredito da uno scheletro!” Non volevamo credergli, ma la ferita che riportava sulla gamba dimostrava che aveva detto la verità. Lo aiutai a scendere in salotto, seguito da Ciccio. Ma anche lui venne attaccato, questa volta dall’alto. Non si ferì, ma rimase quasi soffocato dal fetore dello scheletro. Comunque riuscimmo a scappare nella notte tempestosa e buia. La pioggia scendeva in continuazione. I fulmini avevano incendiato gli alberi del giardino della villa che ora bruciavano scoppiettanti. Il mare era in burrasca e non dava cenno di voler smettere. La furia della natura sembrava si scatenasse tutta in quella notte.

Fuori dalla casa la polizia ci attendeva nelle loro auto. Dovevamo scegliere: o la morte o la galera. Decidemmo di consegnarci ai poliziotti. Una volta in macchina chiedemmo agli agenti come sapevano dove ci eravamo rifugiati. L’agente si mise a ridere e quando si fu calmato ci rispose:

“Lo spettro, non era altro che un pupazzo lanciato su di voi da lord Carlo. Egli vive nel castello e collabora con noi da anni. Infatti tutti i ladri della zona si rifugiano nella sua abitazione sperando di sfuggirci. Dopo aver subito il trattamento del padrone di casa, si consegnano tutti nelle nostre mani, proprio come avete fatto voi. Noi siamo fuori ad attendervi da ieri sera. Per ora avete battuto il record di permanenza nel castello, se questo può rallegrarvi.”

Vivere a scuola: quali problemi?

E sì, sono già passati ben 11 mesi da quando varcai per la prima volta le porte di questo edificio. Ricordo come ero insicura e titubante di fronte ad una vita scolastica che mi aspettavo completamente nuova e diversa da quella che avevo vissuto fino a poco tempo prima. Ed in effetti è stato proprio un brutto colpo.

Tra noi compagni i rapporti non erano tra i più belli, perché non ci conoscevamo: ognuno andava per la sua strada, indifferente agli altri. Si pretendeva di giudicare solo dall’aspetto fisico e dai pochi interventi che venivano fatti in classe. Tra di noi si comunicava poco e quando parlavamo l’unico argomento erano i compiti assegnatici. Io ero particolarmente chiusa in me stessa, per colpa del mio carattere che è sempre poco socievole all’inizio di una nuova amicizia. Col tempo, fortunatamente, dalla mia corazza, si è aperta una finestrella ed ho cominciato a comunicare con i miei compagni. Ho scoperto con mia meraviglia di non essere sola a battermi per salvarmi nella tempesta della vita scolastica, ma che siamo tutti nella stessa barca. Mi ha dato molta forza il sentirmi parte di un’unica grande famiglia. Da quel momento ho guardato i miei compagni con una visione nuova ed ho scoperto che ognuno ha qualcosa di buono da insegnarmi. Così ho cominciato ad essere più aperta e sono entrata nella vita di classe. Non si può dire che eravamo amici, ma lo stavamo diventando. S’erano formati gruppettini composti da poche persone, quasi sempre vicini di banco, che passavano insieme la ricreazione, si telefonavano, si aiutavano. Verso metà anno è arrivata una nuova compagna dal Copernico e la classe ha reagito molto bene a questo nuovo arrivo. Credo proprio che Elena si sia trovata bene, perché tutti noi abbiamo cercato di aiutarla a recuperare quello che non era stato svolto nell’altra scuola e ad ambientarsi nella nostra. Alla fine dell’anno era sorto un problema abbastanza grave: i professori erano convinti che nella nostra classe ci fosse troppa tensione; ed avevano trasmesso anche a noi questa convinzione. Dico “trasmesso” perché noi non ce ne eravamo neanche accorti, non la consideravamo una cosa strana. In questo periodo ci siamo sentiti veramente uniti, contro le persone che ci accusavano di essere anormali. Abbiamo cominciato a parlare veramente, abbiamo anche litigato, e siamo diventati amici, nel vero senso della parola. Regnavano ancora i gruppi, ma nelle ore buche spesso ci trovavamo tutti seduti per terra a chiacchierare del più e del meno. E’ stato soprattutto negli ultimi giorni di scuola che mi sono accorta che eravamo una classe speciale. Speciale perché avevamo i nostri problemi, individuali e collettivi, ma ci volevamo bene. L’ultimo giorno di scuola è stato bellissimo, poiché buona parte della classe ha confessato di essere tristissima per la tanto attesa separazione estiva.

Durante l’estate si è organizzata una gita a Gardaland, ma sfortunatamente eravamo in soli 5 compagni di classe: i migliori, tra parentesi.

Quest’anno abbiamo perso due compagni, ma ne abbiamo guadagnati tre. Le cose sono cambiate rispetto all’anno precedente. Le cose sono cambiate, non siamo più una classe speciale. Siamo cambiati nel senso che siamo più divisi e uniti nello stesso tempo. Più divisi perché si sono formati due gruppi. Questo fatto, secondo me, può essere considerato il problema più grosso della nostra classe. I ragazzi con interessi comuni si sono divisi dagli altri che avevano interessi diversi dai loro. Il fumo, in questo caso, è l’interesse comune di un gruppo; ma sotto il fumo credo che ci sia un modo di pensare e un modo di affrontare la vita scolastica diverso da quello dell’altro.

Ho detto che siamo più uniti perché si discute di più. Ci siamo dati da soli questa opportunità, perché la maggior parte della classe ha scelto di non seguire il corso di educazione religiosa e così trascorriamo un’ora insieme parlando del più e del meno. Mercoledì scorso, quando sono tornata da un giretto per l’edificio scolastico con Michela, mi si è presentata davanti agli occhi un’immagine bellissima. Molti miei compagni erano nell’ingresso, seduti sul tavolo, sulle sedie o appoggiati ai caloriferi e parlavano, si ascoltavano, ridevano. A me e a Michela si è colmato il cuore di gioia e anche un po’ di commozione, perché ci siamo sentite parte di una classe unita.

Ho riscontrato anche un altro problema. Durante le discussioni, sia con i professori che senza, espongono solo alcuni le proprie idee e queste, in genere, valgono per tutta la classe. E’ bello vedere che qualcuno non ha peli sulla lingua, che sa cosa vuole, che è estroverso, ma purtroppo ci sono anche le persone codarde. Queste spesso hanno paura di manifestare ciò che pensano, nel timore di essere giudicati male. Questa parte della classe, che è la più grande, vorrebbe intervenire, ma i più estroversi non gliene danno la possibilità. Ho assistito più di una volta ad lotte verbali. Ci si azzanna, ci si picchia, ci si umilia a parole, per poi essere convinti ancora della propria idea iniziale. I più deboli in questo campo non hanno il coraggio di entrare nell’arena e se ne stanno in disparte, sugli spalti. Questo non è giusto. Non è giusto che solo in pochi decidano per tutta la classe, spesso neanche interpellandola. Per migliorare questa situazione credo che bisognerebbe aiutare le pecorelle, incitandole ad esporre il proprio parere, tenendo in gabbia i leoni.

Ci sono poi altri problemi, ma non li considero importanti al punto tale da essere esposti. Si possono benissimo risolvere con la semplice educazione e con il rispetto degli altri. In una classe normale deve essere questa la prima legge: il rispetto degli altri e delle loro idee.

Un fatto, un episodio, un segno della nostra vita contemporanea che vi consenta di essere ottimisti circa il futuro

Dopo che alla sera ho seguito in televisione un qualsiasi telegiornale, alla fine mi verrebbe da concludere che il mondo in cui viviamo non abbia di meglio da presentare che guerre, azioni terroristiche, violenza sui minori, sulle donne e via dicendo.

Ma è la televisione il solo mezzo con il quale possiamo farci un’idea dei nostri tempi? Certo che no, essendo questa, come gli altri mass media, interessata più che altro a fare spettacolo, a fare sensazione e per questo cerca di colpire innanzitutto con le brutte notizie, ritenute più adatte ad incuriosire il pubblico. Se però vogliamo vedere le cose in modo più obiettivo e cercare nei fatti ciò che è positivo conviene guardare altrove e precisamente nella vita reale, fra le persone che ci vivono intorno ogni giorno.

Io penso che fra i segni che ci incoraggiano a sperare per il futuro vi sia il numero sempre più alto di giovani che ogni giorno si dedicano al volontariato. Molti di loro hanno già un lavoro o degli impegni nella vita; però nel tempo libero o nei giorni festivi trovano il modo di indirizzare le loro energie e il loro impegno verso le persone meno fortunate, messe agli angoli dal resto della società.

Il volontariato è un modo splendido di vivere la solidarietà, di viverla non a parole, come molti fanno, ma nei fatti concreti. In tal modo molti giovani operano nella assistenza agli anziani o nelle comunità per tossicodipendenti. Oppure portano aiuto ai barboni che vivono per strada. Altri si dedicano a soccorrere persone ammalate o portatrici di handicap. Oppure si impegnano in attività educative verso i ragazzi. Altri ancora cercano di raccogliere diversi materiali, i cui proventi sono destinati alle popolazioni del Terzo Mondo.

L’elenco potrebbe continuare e mostrerebbe quanto vasto sia il campo delle necessità umane. I giovani occupati in tali situazioni sono l’esempio più chiaro di cosa significhi vivere la propria vita al servizio degli altri. L’altruismo è un grandissimo valore, nettamente superiore al suo contrario, l’egoismo, che fa vivere una vita chiusa e ripiegata su se stessi.

Se nel mondo attuale, pur così pieno di segnali preoccupanti, trova comunque spazio un fenomeno come quello che ho descritto, ciò non può che renderci ottimisti. E’ una piacevole sorpresa un mondo nel quale le persone si rendono meno lontane e meno indifferenti le une alle altre.

“L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa o attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune, e se, per ipotesi, li muovesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di esseri ragionevoli e liberi”. Giovanni XXIII

L’autore della frase che sto analizzando (Giovanni XXIII) mi porta a riflettere sul rapporto tra i cittadini e l’autorità e sul modo in cui raggiungere il bene comune. Si tratta di una riflessione di tipo politico, ma non solo, poiché si estende anche a considerazioni più ampie, riguardanti il comportamento dell’uomo in generale.

E’ necessario che in qualsiasi società umana esista una qualche forma di autorità, senza la quale ognuno agirebbe esclusivamente seguendo i suoi interessi e il suo istinto. L’autorità serve dunque, ma per mantenere un controllo e un equilibrio tra gli uomini, che tenderebbero altrimenti a sopraffarsi l’un l’altro.

Spesso però il potere tende a superare questi limiti e a diventare tirannico e oppressivo; in questo caso esso cerca di dirigere la vita sociale con mezzi forti, basati sulla violenza e sulla costrizione. Questo è un tipo di autorità molto infelice che raggiunge i cuoi scopi con le minacce, il terrore e punizioni esageratamente severe. Questo è il clima politico che viene regolarmente instaurato nelle varie forme di dittatura e di stato totalitario e ne sono stati esempi il fascismo, il nazismo e il regime che dominava fino a pochi anni fa in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est. Sotto regimi di questo tipo viene imposto agli uomini di credere in una sola idea. Viene tolta la libertà di pensiero, così come le altre libertà: quella di stampa, di associazione, la libertà religiosa ecc. Quando il potere è così concepito, è difficile che esso permetta una vita degna e civile e tutto ciò che può ottenere dagli uomini, lo ottiene forzandoli con il timore. Si può parlare in tal modo di vita sicura e costruttiva?

Ma anche là dove gli uomini agiscono solo per ottenere ricompense in denaro o premi di vario tipo, non ci può essere un giusto tipo di società. Infatti ciò che rende valide le nostre azioni è proprio il fatto che esse siano svolte liberamente, senza essere obbligati o attirati con la speranza di ricompense. E’ migliore la società in cui ognuno compie i suoi doveri verso lo stato e verso gli altri solo perché si sente di doverlo fare.

Così ho finito per toccare il tema della libertà e non può essere diversamente, quando si parla di progetti per meglio vivere; non vi è nulla per gli uomini che sia più alto della libertà e più degno di loro.

E’ tempo di fare un bilancio della vostra esperienza liceale: senza polemiche sterili, ma con sincerità: qual è la vostra valutazione di questo importante biennio della vostra carriera scolastica?

Caro Diario,

Oggi è l’otto Marzo 1997. Dato che sono a casa QUASI in vacanza, che cosa ho fatto? Sono andata a rivedermi le tue vecchie abitazioni. Quanto tempo è già passato dal giorno in cui varcai per la prima volta le porte della mia attuale scuola. Ti ricordi come ero insicura e titubante di fronte ad una nuova vita scolastica? Me l’aspettavo completamente nuova e diversa da quella che avevo vissuto fino a poco tempo prima. Ora posso dire che questa scuola ha soddisfatto quelle che si usa chiamare “le mie aspettative”. In verità, quando ho scelto questo indirizzo, non avevo le idee molto chiare in proposito. Credo di avertelo già raccontato: stavo sfogliando il libretto che ci aveva consegnato l’insegnate ed mi sono come sentita attratta da questa sperimentazione. Mi piacevano molto le lingue, andavo bene nelle materie scientifiche, ma amavo molto anche quelle letterarie: cosa potevo desiderare di più?

Non conoscevo nessuno a cui appoggiarmi, qualcuno da cui avere qualche informazione. Pensa: non ho neppure visitato l’edificio, parlato con qualche insegnante: niente di niente. Eppure non mi sono trovata male, non mi pento della mia scelta. Non conoscendo la scuola, fortunatamente non ho nemmeno sentito i commenti che si fanno in genere in città; mi sono scontrata contro di essi solo nelle prime settimane di frequenza e li considero infondati, perché qui ho incontrato quasi tutte persone normali. Certo i geni con ottimi voti ci sono anche qui, ma sono una minoranza rispetto alla massa.

Ci sono varie cose che ho imparato venendo a scuola. Io penso che frequentare nuovi compagni e il discutere con loro su vari argomenti contribuisca al mio accrescimento. La vita scolastica, infatti, mi dà la possibilità di confrontare spesso le mie opinioni con quelle dei compagni; da questo sto sperimentando un principio fondamentale: il rispetto delle idee altrui. In effetti il dialogo e la discussione sono utili solo se nessuno impone le proprie idee. Purtroppo non è raro che durante i dibattiti, sia con i professori che senza, espongono solo alcuni le proprie idee e queste, in genere, valgono per tutta la classe. E’ bello vedere che qualcuno non ha peli sulla lingua, che sa cosa vuole, che è estroverso; ma purtroppo ci sono anche le persone codarde. Queste spesso hanno paura di manifestare ciò che pensano, nel timore di essere giudicati male. Questa parte della classe, che è la più grande, vorrebbe intervenire, ma i più estroversi non gliene danno la possibilità. Ho assistito più di una volta ad lotte verbali. Ci si azzanna, ci si picchia, ci si umilia a parole, per poi essere convinti ancora della propria idea iniziale. I più deboli in questo campo non hanno il coraggio di entrare nell’arena e se ne stanno in disparte, sugli spalti. Questo non è giusto. Non è giusto che solo in pochi decidano per tutta la classe, spesso neanche interpellandola. Per migliorare questa situazione credo che bisognerebbe aiutare le pecorelle, incitandole ad esporre il proprio parere, tenendo in gabbia i leoni.

Come ben sai, sono sempre vissuta in un piccolo paese di campagna dove i miei orizzonti erano molto ristretti; la cerchia dei miei amici era limitata ai ragazzi del paese e questo non offriva grandi occasioni di crescita. Certo non mancavano circostanze in cui si incontrava gente nuova, ma anche le loro idee erano chiusa come le nostre. L’occasione per aprirmi la mente si è presentata scegliendo una scuola a Brescia. Avevo molta paura del mio impatto con la città. Sono sorti tanti piccoli problemi, ma che ho saputo affrontare e superare. Di conseguenza mi sono sorpresa nello scoprire che anche i problemi apparentemente più difficili possono essere risolti. Infatti se nella vita ci arrendiamo davanti ad un problema fin dall’inizio non otterremo mai grandi risultati e non realizzeremo nessuno dei nostri progetti. Inoltre è necessario porsi di fronte agli avvenimenti senza nervosismi, ansie e preoccupazioni, ma con la necessaria calma. Mi rendo conto che questo non è sempre facile, anzi il più delle volte risulta piuttosto difficoltoso; mi sto comunque convincendo che nessun problema sia irrisolvibile.

Questo ho imparato in questi due anni. Sono cresciuta, non solo sul piano prettamente didattico, ma come persona. La scuola mi ha offerto e sono certa che continuerà ad offrirmi stimoli molto validi per la mia formazione culturale ed umana.

Sempre più spesso nel mondo scolastico (ma non solo) c’è notizia di un certo insistente malessere tra ragazzi (ma, soprattutto tra le ragazze): disaffezione alla scuola, abulia, depressione o altro: che cosa sta succedendo? E’ fisiologico che avvenga questo? Quali le cause, le negligenze, le colpe?

Sempre più spesso c’è notizia di un insistente malessere tra i ragazzi. Per me, che ho quindici anni, non è una semplice notizia, ma la pura realtà. Posso provare sulla mia pelle cosa significhi l’abulia, cosa significhi l’odiare la scuola. Io non amo particolarmente la scuola perché mi toglie troppo tempo; quando ad esempio avrei voglia di uscire con i miei amici ovviamente non posso, perché devo stare in casa a studiare.

In certi momenti, i più difficili, vorrei smettere con questa “storia”; ma poi, se torna il lume della ragione, mi accorgo che questa è la mia strada. Se lasciassi la scuola, che cosa potrei fare? Credo che i ragazzi di oggi tentino di lasciare un po’ troppo da parte i sacrifici, per un qualcosa di molto ambiguo, come è il futuro dei nostri giorni. In molti puntano al piacere o al benessere immediato, che può essere costituito dai soldi guadagnati con un umile impiego. Questo denaro viene speso in cose alquanto futili, al giorno d’oggi però importanti, per alcune persone addirittura essenziali.

In una società così superficiale, come si può pretendere che i giovani stiano attenti a quanta cultura possono acquisire, quando poi esistono tutti i divertimenti possibili e immaginabili? A partire dal sesso fino alla droga, con la quale si giunge ahimé agli eccessi. Tutto questo menefreghismo che v’aleggia tra di noi è portato dalla scomparsa di quei valori su cui un tempo si basava la vita stessa.

Credo però che tutti i ragazzi di oggi siano alla ricerca di unione e altruismo. Penso che sia questo uno dei motivi per cui molti giovani vanno in discoteca. Là stanno con altre persone e non temono i giudizi degli altri: tutto è lecito e concesso. Forse noi vogliamo semplicemente fuggire, evadere da una realtà pesante, troppo dura per chi non ha idee ben chiare e per chi non ha un carattere forte abbastanza per sopportare le critiche altrui.

Non so se le origini di questo fenomeno si possano trovare anche nel fisico. E’ certo che molti giovani non si trovano bene nel proprio corpo, forse a causa delle continue e veloci trasformazioni che questo subisce nell’età adolescenziale. Non credo che però ci sia un nesso logico tra l’abulia e la disaffezione alla scuola e l’insoddisfazione data dal proprio aspetto.