Api

Le Api

L’apicoltura è stata praticata dall’uomo adottando metodi diversi in funzione delle conoscenze tecnologiche, per procurarsi il miele che fino a tempi recenti era l’unico dolcificante noto e largamente impiegato.

Attualmente le api vivono in ogni parte del mondo ad eccezioni che nelle estreme regioni polari. Ancor prima del 1500 erano confinate nel terzo mondo dove erano apparse, evolvendosi e diffondendosi largamente prima della comparsa dell’uomo sulla terra.

L’uomo primitivo apprese a procurarsi il miele saccheggiando i nidi costruiti dalle api nei tronchi degli alberi cavi, negli anfratti e nelle fessure delle rocce.

Un dipinto ritrovato in Spagna Orientale eseguito durante il Mesolitico probabilmente circa 7000 anni avanti cristo, mostra come quegli uomini primitivi praticassero la raccolta del miele.

Attualmente la caccia alle api viene praticata in diverse parti del mondo e il miele può tuttora costituire un cibo di emergenza per popolazioni primitive in tempo di carestia.

La vera apicoltura ebbe inizio, da quando l’uomo riconoscendo l’importanza delle api, ha iniziato a salvaguardare le famiglie d’api che scopriva nei tronchi cavi degli alberi o in altre anfrattuosità curandoli e proteggendoli.

Progressivamente arnie costruite in maniera rudimentale usando materiali diversi (i cosiddetti bugni villici) sostituirono i ricoveri naturali adottati dalle api e vennero riunite per ragioni pratiche e di sicurezza in apiari.

La costruzione delle arnie era condizionata da materiali reperibili in loco e dalla capacità inventiva delle comunità locali.

E’ ormai certo che l’arnia non ebbe un unica origine ma costituì in ogni regione popolata dalle api una evoluzione inevitabile man mano che l’uomo da cacciatore di miele e nomade si trasformava in agricoltore dando inizio a un sistema di vita sedentario.

Dove esisteva disponibilità di legno come per esempio nelle foreste europee la prima arnia fu probabilmente ricavata da un tronco d’albero abbattuto dai fulmini e nel quale le api selvatiche avevano preso possesso.

Un materiale che viene ancora oggi utilizzato è la corteccia di sughero, in Sicilia si usa la ferula e in altre zone tavole assiemate ricavate dai tronchi degli alberi.

In Medio Oriente si utilizzavano vasi in terracotta per alloggiare gli sciami naturali. E poiché l’uomo si dedicò alla produzione di vasellame in terracotta fin dal 5000 A.C. ancora oggi in alcuni paesi del mediterraneo si utilizzano le olle per l’acqua in terracotta come arnie.

Nell’antico Egitto si utilizzavano i tubi di argilla cotta o di materiale diverso, accatastati orizzontalmente.

Le comunità pastorali utilizzavano come arnie panieri di fibra vegetale impastate con argilla per chiudere le fessure. Panieri realizzati con altri materiali come ramoscelli di nocciolo sono stati trovati in Egitto.

Tutti i ricoveri apprestati dall’uomo avevano scopi diversi ed essenzialmente erano rivolti alla protezione delle api dai rigori del freddo, dal caldo torrido, dal vento, dalla pioggia ecc.

Tutte erano dotate di porticine molto piccole in modo che le api potessero difendersi dai naturali nemici.

Le arnie primitive o "Bugni Villici" non consentivano di ricuperare il miele per cui l’uomo primitivo ricorreva all’apicidio. La ragione di queste arnie piccole consisteva nel fatto che le api trovandosi in spazi angusti nel periodo favorevole tendevano a sciamare. Era allora l’unico metodo per ottenere nuove famiglie per rimpiazzare quelle sacrificate con l’apicidio.

Col trascorrere dei secoli l’uomo ha cominciato a proteggersi dalle punture delle api ed usare il fumo per placare l’ira delle api saccheggiate dall’uomo.

Dall’epoca preistorica fino al 1500 il calendario dell’apicoltore è rimasto invariato. In primavera si dedicava alla raccolta degli sciami, al termine del flusso nettarifero mandava a morte le migliori famiglie per ricuperare il miele e la cera. In ottobre alimentava le famiglie più bisognose per farle svernare.

Non potendo fare osservazioni all’interno dell’alveare ben poco si sapeva della loro organizzazione. Si ignorava che il grande Re descritto da diversi autori era in realtà la Regina, né era noto il sesso dei fuchi e delle operaie. Si ignorava l’accoppiamento della Regina con i fuchi e il fatto che le api secernessero la cera utilizzando il miele. Ignoravano inoltre che le api provvedevano attraverso il processo d’impollinazione entomofica incrociata alla formazione dei semi e al miglioramento dei frutti.

L’APICOLTURA DAL XVI SECOLO AL 1851

In oltre tre secoli di storia apistica si sono succeduti avvenimenti di importanza rilevante.

La scoperta del "Pozzo d’Ape" dovuta al pastore di Andover nel Massachussetts, Lorenzo Lorraine Langstrot, la conoscenza scientifica del ciclo biologico delle api legata alla scoperta dell’arnia scomponibile, la diffusione delle api nei due nuovi continenti da uno dei quali doveva venire il maggiore progresso della scienza apistica e dell’apicoltura pratica.

SCOPERTE FONDAMENTALI DELLA VITA DELLE API.

Nel 1586 Luis Mendel De Torres descrive per la prima volta l’ape Regina come ape ovificatrice.

Nel 1609 l’Inglese Chales Butler dimostrò che i fuchi erano maschi.

Nel 1637 Richard Remnat scoprì che le operaie erano femmine imperfette e che possedevano organi riproduttori atrofizzati.

In Italia nel 1625 il principe Cesi, disegnò le strutture delle api servendosi del microscopio.

Nel 1568 il tedesco Nickel Jacob scopriva che le api potevano allevare regine a partire a partire da uovo fecondato o da giovane larva.

Nel 1771 lo sloveno Anton Janscha scoprì i fatti essenziali che portano all’accoppiamento della regina col fuco.

H.C. Hornbostel tedesco ha indagato sulla produzione della cera d’api ottenuta dal miele e secreta dalle ghiandole ceripare che si trovano negli sterniti dell’addome delle api operaie.

L’inglese Artur Dobbs scopriva che il polline raccolto dalle api e trasportato nelle cestelle sotto forma di pallottole impastato con miele altro non è che il seme maschile presente nelle antere dei fiori e che serve a fecondare l’ovulo contribuendo così attraverso il processo di impollinazione alla formazione dei frutti e dei semi.

La funzione delle api come agenti impollinatori è stata descritta con molti particolari da C.K. Sprengel nel 1793 dopo appena un anno dalla pubblicazione del geniale Francois Hubert nato a Ginevra nel 1750 e diventato cieco nella sua prima giovinezza che gettò le basi essenziali della moderna apicoltura.

LE PRINCIPALI RAZZE DI API

Le principali razze di api utilizzate dagli apicoltori a fini produttivi sono quattro. Esse si distinguono per alcune caratteristiche comportamentali morfologiche e biometriche.

Esse sono :

Apis Mellifica Ligustica (SPIN) detta ape gialla o ape dorata. Originaria dell’Italia nord occidentale il suo areale di distribuzione comprende la nostra penisola Sicilia esclusa. L’aggettivo e giustificato dalla colorazione giallo arancione di alcuni tergiti dei segmenti addominali. I dati biometrici che differiscono da razza a razza sono :

  1. lunghezza del tomento
  2. villosità
  3. lunghezza della ligula
  4. indice cubitale

Per quanto attiene le caratteristiche comportamentali e biologici questa razza è caratterizzata da:

  1. scarsa tendenza alla sciamatura
  2. ottima tenuta del favo
  3. discreta docilità ed operosità
  4. attitudine alla propolizzazione
  5. scarso senso dell’orientamento che ha come diretta conseguenza una inclinazione al saccheggio e alla deriva
  6. precoce ripresa primaverile

ottimo adattamento a tutti i climi tranne che a quelli eccessivamente freddi.

Apis Mellifica Mellifica (L.) detta ape nera. Originaria dall’Europa nord orientale il suo areale di distribuzione si estende dalla Penisola Iberica alla Scandinavia e dalle Isole Britanniche alla Russia Europea.

Caratteri fisiologici e comportamentali :

  1. temperamento nervoso e aggressivo con scarsa tenuta del favo
  2. dimensioni corporee superiori alla Ligustica, ma dotata di ligula più corta
  3. scarsa tendenza alla sciamatura e forte inclinazione al saccheggio
  4. ottima resistenza alle basse temperature, con sviluppo primaverile lento e stentato inadatta allo sfruttamento delle fioriture precoci.

Caratteri Bio - Fisiologici ed Etologici comportamentali:

  1. apparentemente più grande della Ligustica, ma ciò è dovuto al rivestimento villoso del corpo che le conferisce una particolare colorazione grigiastra
  2. caratterizzata da una docilità e mansuetudine straordinaria accompagnata ad una ottima tenuta del favo
  3. forte tendenza alla sciamatura accompagnata da una elevata prolificità
  4. fa poco uso del propoli, ed è resistente alle malattie della covata quale peste Americana ed Europea
  5. scarsa tendenza alla deriva a causa del notevole orientamento con scarsa tendenza al saccheggio
  6. resistente alle basse temperature e rapida ripresa della covata primaverile.

Apis Mellifica Caucasica (Gorb) detta ape di montagna. Originaria delle alte vallate del Caucaso Centrale (Api Griziniane e Mingreliane) .
E’ diffusa in tutta la Russia Asiatica.

Caratteri Bio - Fisiologici ed Etologici comportamentali :

  1. è del tutto simile alla Carnica con la lunghezza della ligula addirittura superiore
  2. meno docile e mansueta della Carnica
  3. ottima raccoglitrice di propoli
  4. soggetta all’attacco del nosema.

MORFOLOGIA E ANATOMIA DELL’INSETTO PERFETTO.

Il corpo dell’ape è costituito da un esoscheletro chitinoso la cui rigidità lo fa apparire come scheletro esterno. Tuttavia a livello delle articolazioni l’involucro rimane elastico e sottile. All’interno si trovano numerosi organi con diverse funzioni vitali non ancora completamente noti. Il corpo dell’ape si suddivide in tre segmenti : testa, torace e addome.

LA TESTA

E’ composta da due occhi laterali composti coperti di peli microscopici, composti da circa 3000 faccette (OMMATIDI) per l’operaia e da 6 - 7000 per il fuco. L’occhio dell’ape è sensibile all’ultravioletto e insensibile al rosso che è percepito come nero. Da tre occhi semplici detti Ocelli situati sulla parte superiore della testa per la visione ravvicinata al buio e all’interno dell’alveare.

Due antenne orientabili costituite da un tronco detto Scapo sul quale si innesta una frusta costituita da 12 articoli detto Flagello. Le antenne sono organi di senso. Nel caso dell’operaia contano 2400 placche sensibili mentre nel fuco ne esistono circa 30.000.

La bocca fornita di due mandibole per plasmare la cera, raccogliere il propoli e rompere le antenne dei fiori contenenti il polline. Inoltre esiste una ligula o proboscide che serve ad aspirare il nettare e l’acqua. La lunghezza della ligula può variare come abbiamo visto da 5,5 mm a 7. La ligula dei fuchi è molto più corta di quella delle operie e poco adatta a bottinare il nettare.

All’interno della testa si trovano gli organi di senso e la parte iniziale del tubo digerente nonché le ghiandole ipofaringee e mandibolari necessarie per la secrezione della gelatina reale.

La testa è unita al torace tramite un collo molto corto.

IL TORACE

E’ costituito da tre anelli saldati tra loro. Su ciascun anello si articolano un paio di zampe mentre sul secondo e terzo anello sono articolate due paia di ali membranose. All’interno del torace si trova l’esofago. Si trovano anche i sacchi aerei in comunicazione da un lato con diversi organi (ali e zampe) e dall’altro tramite le trachee con l’esterno. Inoltre esistono dei muscoli verticali necessari ad azionare le ali.

LE ZAMPE

Sono costituite dai seguenti segmenti tra loro articolati :

anca o coxa, trocantere, femore, tibia, tarso.

Il tarso comprende un grande articolo prolungato, da quattro piccoli articoli terminanti con due artigli e una ventosa.

Le zampe anteriori sono munite di un intaglio a lunotto per pulire le antenne.

Le zampe intermedie sono munite di uno sperone per staccare le pallottole di polline delle cestelle, dentro le celle dei favi, all’arrivo nell’alveare.

Le zampe posteriori sono munite di cestelle dove viene accumulato e trasportato il polline sotto forma di pallottole.

Le ali sono membranose, muscolose, cave e trasparenti e tese su una nervatura rigida. Le due ali anteriori sono articolate sul secondo anello o mezzo torace mentre le due posteriori sono articolate sul terzo anello metà torace. Ciascuna ala posteriore è munita sul bordo anteriore di una ventina di uncini che si agganciano ad un apposito canale situato sul bordo posteriore dell’ala anteriore. Formando in volo un corpo unico. La frequenza dei battiti alari di un’ape può variare tra i 180 e250 cicli al secondo.

L’ADDOME

L’addome delle api è costituito da sette anelli. Il primo si articola col torace restringendosi, mentre all’estremità opposta, sull’ultimo anello si trova il pungiglione ( solo nelle femmine operaie e regine) i maschi sono sprovvisti. Sotto l’addome sono situate le ghiandole ceripare necessari alla secrezione della cera per la costruzione dei favi.

Nell’addome sono contenuti molti organi essenziali quali :

La vescichetta melaria, una sorta di ampolla nelle quale le api raccolgono il nettare e l’acqua per trasportarli nell’alveare. Solo una piccola parte passa nello stomaco come alimento per le stesse.

L’intestino medio con funzione digestiva degli alimenti.

L’intestino posteriore comprendente l’ampolla rettale dove si accumulano le deiezioni e vengono trattenute anche per diverse settimane in caso di avverse condizioni atmosferiche prima della loro espulsione.

L’apparato circolatorio per la circolazione dell’endolinfa necessaria ad alimentare i vari tessuti e organi.

Il sistema nervoso costituito come in tutti gli imenotteri da gangli perisofagei e da una catena gangliare ventrare.

I tubi Malpighiani che hanno funzioni escretorie e il compito di convogliarli all’ingresso dell’intestino posteriore.

Le ghiandole velenifere, una alcalina l’altra acida che hanno la funzione di secernere il veleno che viene accumulato nella vescichetta velenifera.

Tale vescichetta comunica col pungiglione sorta di stiletto uncinato che le api usano come difesa contro i nemici.

All’estremità dell’addome tra il 6°e 7° tergite troviamo la ghiandola di Nasanoff, visibile ad occhio nudo quando la sfoderano come richiamo attrattivo con l’emissione di un feromone che esplica questa funzione.

Gli organi riproduttori.

Sono atrofizzati nelle operaie. Nella regina sono costituite da due ovari piriformi a loro volta formati da 180 ovarioli ognuno dove si formano e maturano le uova prima della loro emissione. L’uovo maturo attraversa l’ovidutto dove sbocca il dotto della vescichetta spermatica. Quando l’uovo deve dare luogo alla nascita di un’operaia o di una regina viene fecondato dagli spermatozoi, quando invece deve dar luogo ad un fuco esso passa senza ricevere gli spermatozoi in quanto l’uovo del fuco si sviluppa per partenogenesi.

Nel fuco o maschio l’apparato riproduttore è costituito da due testicoli, due vescichette seminali dove sono contenuti gli spermatozoi e dall’apparato copulatore che si strappa all’atto della fecondazione della regina e il fuco muore.

DESCRIZIONE DELL’UOVO DELLA LARVA E DELLA NINFA

L’uovo. L’uovo dell’ape ha la forma di un fagiolo, di colore bianco perlaceo misura 1,5 mm di lunghezza per 0,3 mm di diametro. Una delle sue estremità, la più sottile, aderisce al fondo della cella tenuta in posizione normale da una gocciolina di liquido adesivo emesso dalla stessa regina, contemporaneamente all’emissione dell’uovo. L’altra estremità ingrossata contiene un piccolo foro, il Micropilo, la cui apertura viene attraversata dallo spermatozoo per la sua fecondazione. L’uovo deposto si adagia dopo tre giorni sul fondo della cella e schiude una larva più piccola dell’uovo stesso.

La Larva di aspetto bianco perlaceo rassomiglia a un piccolo vermiciattolo e appena nata, come accennato, è più piccola dell’uovo. Questa nutrita con gelatina reale ha uno sviluppo rapidissimo tanto è vero che nel giro di 72 ore si acciambella occupando l’intero fondo della cella. La larva subisce nel giro di pochi giorni cinque mute e cioè dopo 0,5 ; 1,5 ; 2,5 ; 3,5 ; e all’undicesimo giorno dopo la percolazione della cella che avviene in tempi diversi a seconda della casta.

Finita di crescere la larva si distende con la testa rivolta verso l’apertura e si trasforma in ninfa. E’ questo uno stadio di rimaneggiamento di tutti gli organi che a seconda della casta portano in tempi diversi all’insetto perfetto. Dalla deposizione dell’uovo allo sfarfallamento i tempi sono diversi per l’operaia il fuco e la regina. L’operaia impiega 21 giorni, il fuco 24 e la regina 16. Dopo questo tempo l’insetto rosicchia l’operco e sfarfalla come insetto perfetto dando inizio alle attività alle quali sono chiamate a compiere.

CASTE E LORO CICLI DI SVILUPPO

Esistono notevoli differenze temporali di sviluppo delle tre caste ; regina operaia e fuco che popolano l’alveare. L’esatta conoscenza di tali differenze è molto importante non solo per l’apicoltore, ma in modo particolare per gli specialisti che si dedicano all’allevamento specializzato delle api regine.

La regina pur essendo tra le tre caste l’insetto più completo e complesso richiede per il proprio sviluppo il tempo più breve essendo l’unica madre di tutto di tutto il suo popolo e dalla quale dipende l’esistenza dell’intera famiglia.

Le operaie nelle varie circostanze di morte o di sciamature devono fare in fretta ad allevarne una nuova. Il rinnovamento della regina in una famiglia di api assume una grandissima importanza e rappresenta una operazione tanto delicata dal cui fallimento può dipendere l’estinzione dell’intera società.

Si giustifica così la notevole differenza tra la durata della vita di una regina e quella di un fuco e di un’operaia.

La regina dopo i voli di ricognizione e di accoppiamento è relegata per tutta la vita all’interno del proprio alveare ed esce solo durante la sciamatura, protetta da un nugolo di api che l’accompagnano.

Inoltre in un alveare orfano (sciamatura naturale morte accidentale) le api per essere certi di avere una nuova regina non si limitano ad allevarne una sola ma arrivano addirittura a costruire 15 - 20 celle reali e alcune razze di api addirittura centinaia con notevoli dispendi di energie pur di arrivare al loro scopo ultimo che è la conservazione della specie.

CICLO DI VITA DELLA REGINA

La regina, madre di tutto il suo popolo, nasce da un uovo fecondato e cioè diploide. E’ deposto in una cella particolare a forma di stalattite detta appunto cella reale. Come abbiamo visto nel prospetto precedentemente riportato il ciclo biologico si conclude in 15 giorni dalla deposizione dell’uovo e al sedicesimo sfarfalla l’insetto perfetto.

Dal quinto al sesto giorno della nascita la regina compie il volo di fecondazione. Tale durata può prolungarsi anche per due settimane in caso di avverse condizione atmosferiche. Se non si accoppia in questo periodo la regina perde l’estro e diventa fucaiola, cioè arrenotica.

Dopo due giorni dalla fecondazione che avviene con più fuchi ( mediamente 6 - 8) la regina inizia la deposizione delle uova. La vita di una regina può durare fino a 5 anni e in casi eccezionali anche di più.

In ogni famiglia di api esiste una sola regina che è a capo di più di 50.000 operaie e di alcuni migliaia di maschi. Una regina depone in piena stagione 1000 - 2000 uova al giorno, qualche ottima regina anche di più.

In una stagione può deporre oltre 200 - 300.000 uova, e deporre oltre un milione di uova durante la propria vita. Ciò rappresenta 900 volte il proprio peso.

Del resto una deposizione giornaliera di 2000 uova corrisponde a un peso di 40 - 0,45 g. il che significa un peso in uova deposte quasi il doppio del peso corporeo della regina che è all’incirca di 0,25 g.

I PRODOTTI DELL’ALLEVATORE

IL MIELE. Secondo la definizione fornita dalla CEE nel regolamento del 19.06.1978 n° 1360, per miele s’intende il prodotto alimentare che le api domestiche producono dal nettare dei fiori o dalle secrezioni provenienti da parte vive di piante o che si trovano sulle stesse che esse bottinano, trasformano combinano con sostanze specifiche proprie immagazzinano e lasciano maturare nei cavi dell’alveare.

Il nettare è una secrezione vegetale zuccherina con una concentrazione che varia dal 10 al 65 -70 %.

La melata è rappresentata dai prodotti del metabolismo di rincoti emitteri che viene emessa sotto forma di goccioline sulle foglie e rami delle piante.

Le api bottinatrici succhiano queste sostanze zuccherine e per quanto riguarda i fiori ne visitano da 100 a 1000 per ogni carico favorendo in questo processo di raccolta l’impollinazione entomofila incrociata con la fecondazione degli ovuli che daranno poi i semi e frutti. Il nettare raccolto costituito prevalentemente da saccarosio mediante l’azione di particolari enzimi (invertasi) viene trasformato in zuccheri invertiti (glucosio e fruttosio o lenulosio accumulato nelle celle, concentrato e sigillato nei favi).

La concentrazione finale in zuccheri e altre sostanze, a seconda dell’origine botanica del miele raggiunge l’80% di sostanza secca e oltre.

Il colore del miele varia a seconda della flora bottinata e va dal colore bianco avorio al bruno scuro (castagno, melata).

Quasi tutti i mieli dopo la fase di estrazione cristallizzano in masse più o meno compatte e con granulometria diversa. Fa eccezione il miele di acacia che rimane liquido per parecchi anni. Ciò è dovuto all’alto tenore in fruttosio di difficile cristallizzazione.

E’ igroscopico e se lasciato esposto all’aria assorbe umidità acidificando. Diversamente il miele conservato in recipienti chiusi e al buio può durare molti anni conservando bene le proprie caratteristiche chimico - fisiche e biologiche.

Ha un’acidità molto bassa.

Tra i tipi di miele ricordiamo il monoflora e il poliflora o millefiori.

Il monoflora deriva dalla raccolta di nettare su piante della stessa specie, mentre il poliflora o millefiori o fiori vari deriva dalla raccolta di nettare su specie diverse di piante. E’ da ricordare infine che le api bottinatrici per produrre un Kg di miele devono compiere oltre 10.000 voli. Tenendo conto che per ogni carico di nettare le api devono visitare da 100 a 1000 fiori è facile intuire quanti fiori vengono visitati e l’equivalente orto floro frutticoli e sementieri ottenuti mediante l’impollinazione entomofila incrociata.

LA GELATINA REALE.

E’ prodotta dalle ghiandole ipofaringee e mandibolari delle api giovani comprese tra i 5 e i 12 giorni di età.

E’ una sostanza che non viene accumulata nell’alveare e viene utilizzata per nutrire tutte le larve per i primi tre giorni e per tutta la vita larvale della regina.

Quest’ultima viene nutrita con pappa reale anche da adulta e questo spiega la notevole prolificità della regina.

Essa contiene : protidi, lipidi, un acido grasso specifico, glucidi (destrosio e lecclosio), vitamine (tiamina, riboflavina, niacina, acido pantotenico, piridossina, biotina, inositol, acido folico) ormoni non identificati ed altre sostanze sconosciute. La ragione per la quale una semplice larva di operai si trasforma in ape regina è proprio dovuto al grande valore nutritivo contenuto nella gelatina reale.

IL POLLINE

E’ l’unica proteina che entra nell’alveare, esso deriva dalle antere dei fiori delle piante fanerogame che le api ricorrendo a strategie diverse, raccolgono sotto forma di pallottole che accumulano nelle cestelle e trasportano nell’alveare. Esso viene stipato nelle celle, impastato con miele e così conservato per usarlo nell’alimentazione delle larve.

Il polline è costituito da granuli di dimensioni comprese tra 20 e 40 micron. Esso è racchiuso nelle antere dei fiori. Nel periodo della fioritura le antere si aprono e le api utilizzano strategie assai complesse raccolgono e ammassano nelle loro cestelle. Il polline altro non è che l’elemento fecondante dei fiori corrispondente agli spermatozoi degli animali. In queste operazioni di raccolta del polline esso può venire volontariamente o involontariamente a contatto con lo stimma del fiore favorendo così l’impollinazione.

Esistono diverse forme e colore dei pollini e in genere sono caratteristici delle piante dalle quali essi derivano.

Per stabilire l’origine botanica di un miele si ricorre spesso all’esame melissopalinologico.

LA CERA D’API

La cera è un estere vale a dire che chimicamente è un prodotto di condensazione tra un alcool e un acido organico.

Essa è secreta dalle ghiandole ceripere situate sugli sterniti dell’addome. La cera è secreta da api giovani la cui età varia dai 12ai 18 giorni.

Le api per produrre un Kg di cera vergine consumano circa 10 Kg di miele. L’apicoltore subisce perdite notevoli per far produrre cera alle api.

E’ in funzione delle sue caratteristiche che la cera resiste all’interno dell’alveare. Essa infatti è insolubile in acqua. Se così non fosse i favi non potrebbero resistere all’eccesso di umidità presente all’interno di un alveare. Tra le caratteristiche fisiche della cera ricordiamo :

il punto di rammollimento che avviene intorno ai 30 - 35 °C

il punto di fusione che si aggira intorno al 62,5 - 62,9 °C

il peso specifico che è inferiore a quello dell’acqua distillata e che si aggira sullo 0,966.

Gli apicoltori ricuperano la cera per fabbricare i loro fogli cerei dai vecchi favi, da ritagli di favi e dalla fusione degli opercoli ottenuti dalla smielatura.

La cera di opercoli che è la più pregiata della cera d’api si ottiene in ragione di 1,5Kg di cera per 100 Kg di miele prodotto.

IL PROPOLI.

Il suo nome alcuni autori lo fanno derivare dal greco ed altri dal latino.

Questa sostanza resinosa viene raccolta sotto forma di pallottole sulle gemme delle piante, pioppi in particolare e sulle piante resinose.

Le api lo usano per rimpicciolire le porticine di entrata nell’alveare allo scopo di difendersi dai rigori del freddo e dai nemici. Lo usano inoltre per consolidare le strutture dell’alveare, quindi come mastice, cemento e vernice all’interno dell’arnia.

Data l’azione antibatterica e antivirale le api quando approntano le celle per la deposizione delle uova o per l’immagazzinare miele e polline, verniciano le cellette con uno strato sottilissimo di propoli rendendole lucide come uno specchio.

La propoli è costituita da una miscela di sostanze resinose gommose e balsamiche.

La quantità di propoli raccolta dalle api è in funzione della specie alla quale appartengono. Esistono delle razze di api che fanno largo uso di propoli come la caucasica, mentre altre ne fanno un uso limitato come per esempio la carnica.

Il propoli è solubile in alcool ma non completamente.

Esistono delle frazioni di componenti che non si sciolgono neppure in alcool a caldo. E’ invece molto solubile in etere cloroformio, benzolo e altri solventi aromatici.

Il propoli ha un notevole contenuto in sostanze batteriche antimicotiche e antivirali.

Il colore varia dal giallo pallido al bruno a seconda della sua provenienza.

E’ fragile alle basse temperature, rammollisce sui 25 °C e diventa plastico intorno ai 35°C.

Il suo punto di fusione si aggira sui 60 - 70 °C.

Il propoli ha diversi impieghi. Gli antichi egizi lo utilizzavano nella imbalsamazione delle mummie.

A Cremona i maestri Liutai lo utilizzavano per verniciare i loro strumenti e per esaltare le qualità musicali dei suoi violini lo Stradivari ne ha fatto larghissimo uso.

IL VELENO D’API.

E’ secreto da due ghiandole una acida e l’altra alcalina. Viene accumulato nella vescichetta velenifera e all’atto in cui l’ape punge viene iniettato nella ferita prodotta dal pungiglione. Dopo aver punto l’ape muore.

Il pungiglione accompagnato dalla sua vescichetta del veleno continua ad iniettare veleno nei tessuti per diversi minuti dopo la puntura. I movimenti peristaltici del pungiglione durano addirittura ore se il paziente non l’elimina prima.

Le quantità prodotte da un’ape si aggirano sull’ordine di 0,1 - 0,3 mg, e variano a seconda della stagione.

Il veleno d’api contiene : acqua, istamina, melittina, una lisolecitina, apamina e due enzimi oltre ad altre sostanze non note. L’apamina agisce sul sistema nervoso centrale. Essa procura nel paziente gonfiore locale, con dolore ed edema.

Sono rarissimi i casi di soggetti allergici e ipersensibili nei quali è possibile registrare choc anafilattico, accompagnato da stato comatoso e morte.

Il veleno d’api possiede proprietà terapeutiche (vasodilatatore, anticoagulante, tonicardio, revulsivo) e viene utilizzato principalmente nella cura delle affezioni reumatiche artrosi e di certe affezioni cardiache mediante apiterapia.

(puntura diretta dell’ape tenuta per le ali con una pinzetta e premuta sull’organo dall’operatore) oppure mediante iniezione di prodotti farmaceutici a base di veleno d’api.