Fotosintesi: le tappe della sperimentazione scientifica

Fotosintesi:
le tappe della sperimentazione scientifica

Il primo approccio scientifico allo studio della fotosintesi si deve al medico olandese Jan-Baptista Van Helmont, che verso la metà del XVII° secolo tentò con un semplice esperimento di rispondere alla domanda:
visto che le piante, a differenza degli animali, non mangiano, da dove traggono il nutrimento che permette loro di continuare a crescere per tutta la vita?

In quel tempo era diffusa, anche in ambienti scientifici, la convinzione che le piante sottraessero l'energia alla terra.

Van Helmont affrontò il problema piantando un germoglio di salice di 2,3 kg in un ampio vaso contenente 90,8 kg di terra asciutta. Coprì poi la terra per impedire alla polvere di depositarvisi, e innaffiò la pianta per cinque anni con acqua piovana. Alla fine, la massa del salice era aumentata di 74,5 kg, mentre il terreno aveva perso soltanto 56 grammi.
Van Helmont concluse che la pianta aveva tratto l'energia per una simile crescita ponderale dalla sola assimilazione dell’acqua.

Un primo passo era stato compiuto: Van Helmont aveva identificato una delle fonti di nutrimento delle piante, ma ignorava un'altra fonte, altrettanto importante, dato che, all'epoca, non si sapeva nulla dei gas contenuti nell’aria.

Nel 1771, lo scienziato e religioso inglese Joseph Priestley pubblicò i risultati di un suo singolare esperimento.

Priestley, visitando una fabbrica di birra, era stato così colpito dal ribollire della miscela di malto, da voler studiare i gas liberati nel processo di fermentazione e i loro effetti sugli esseri viventi. Aveva ben presto scoperto che sia un topo, sia una candela accesa, quando erano posti in un vaso chiuso, alteravano l'aria che vi era contenuta trasformandola in "aria impura", con l'emissione di sostanze analoghe a quelle liberate nella fermentazione. L'aria impura, comunque venisse prodotta, non era più in grado di sostenere la respirazione di alcun animale, né l'accensione di altre candele.

Oggi sappiamo che la respirazione di un animale (come pure fanno i fenomeni della combustione e della fermentazione) modifica la composizione dell'aria consumando l'ossigeno e producendo anidride carbonica.

Quando Priestley mise nel vaso chiuso una piantina di menta, convinto che anch'essa, come il topo, non sarebbe sopravvissuta nell'aria impura, con sua grande sorpresa vide che, non solo la piantina viveva, ma la sua presenza aveva la prerogativa di rigenerare l'aria, purificandola e riportandola alle condizioni iniziali. In altri termini, questa era la prova che gli animali e le piante alterano la composizione dell’aria circostante in modi complementari.

Oggi, sappiamo che una pianta in attività fotosintetica consuma l'anidride carbonica ed emette ossigeno.

In successivi esperimenti, svolti qualche anno dopo, Priestley fu il primo a descrivere il gas che conosciamo col nome di ossigeno.

Nello stesso periodo, Jan Ingenhousz, un medico e fisico olandese che viveva alla corte austriaca, scoprì che le piante hanno bisogno di luce solare per "nutrirsi". Inoltre, osservò che le foglie e i rami verdi delle piante, esposti al sole, emettono gas: egli pose, infatti, alcuni rami di salice sott’acqua in luce intensa, ed essi si coprirono di bollicine di gas.

Sulla base dei sui esperimenti e di quelli degli altri ricercatori dell'epoca, Ingenhousz, già nel 1796, fu in grado di scrivere una prima equazione generale della fotosintesi:

piante + anidr. carbonica ------luce-----> materia org. + ossigeno

Verso la fine del diciannovesimo secolo, il fisiologo vegetale tedesco Julius Sachs, osservando al microscopio una foglia durante la fotosintesi, vide per la prima volta crescere i granuli di amido all'interno dei cloroplasti. Egli ne dedusse che, almeno in parte, la materia organica prodotta dalla fotosintesi doveva essere costituita da carboidrati.

Da allora, furono fatte numerose altre scoperte che permisero di conoscere più dettagliatamente il processo fotosintetico, fino agli esperimenti dei più recenti anni trenta e quaranta che, grazie all'uso degli isotopi radioattivi, stabilirono senza alcun dubbio che l’ossigeno gassoso rilasciato durante la fotosintesi proviene dall’acqua e non, come si credeva, dall’anidride carbonica.