Il Mondo Industrializzato

Il mondo industrializzato è di fronte ad un grosso problema: le risorse primarie di cui necessita per sostenere il suo sistema non sono infinite, e questo stesso sistema produce una quantità di rifiuti e di prodotti inquinanti sempre crescente.

La prosperità dell’occidente è messa a serio repentaglio proprio dal principio su cui si basa: il consumismo.

Le potenze industrializzate monopolizzano le risorse e le ricchezze costringendo la stragrande maggioranza della popolazione mondiale alla precarietà e, in molti casi, alla fame.

Ecco il 2000, e solo vent’anni fa sembrava che il terzo millennio avrebbe portato pace, progresso, uguaglianza sociale.

Ma ora è tempo per un cambiamento di rotta sostanziale, al fine di scongiurare il pericolo del collasso ecologico e sociale a livello globale.

1 - I Problemi.

L’economia del mondo industrializzato è basata su un concetto fondamentale: il consumo.

La produzione di beni è chiaramente legata alla richiesta degli stessi.

Questo processo naturale si è degenerato fino a far si che il mercato stesso crei i bisogni e sia totalmente privo di controlli, dando vita alla società che è definita consumistica.

Ma si capisce facilmente che questo sistema sia destinato al tracollo: la terra non potrà assorbire ancora per molto i danni causati dalle discariche e dagli scarti dei processi di produzione.

L’altra faccia del consumismo è certamente l’accaparramento delle risorse, che ha scatenato nel passato, e scatena tuttora, guerre e violenza.

Non a caso le più grandi potenze coloniali del passato erano anche le più grandi potenze industriali: le colonie erano doppiamente vantaggiose in quanto creavano nuovi mercati, oltre ad assicurare grandi quantità di materie prime.

E questo non vuol dire che oggi le cose vadano meglio: il colonialismo d’oggi è soltanto più subdolo ed è attuato attraverso il totale controllo economico d’intere nazioni da parte di alcune multinazionali Europee, Americane, Asiatiche. Stati Africani e Sudamericani ne sono esempi lampanti.

Quest’iniqua spartizione delle risorse crea una serie sconfinata di drammatici problemi, primo fra tutti quello dell’immigrazione.

È Infatti inaccettabile che noi ergiamo le barriere dei confini a gente che, di fatto, cerca di appropriarsi di una parte di ricchezza che per diritto gli spetta.

La problematica più specifica dell’inquinamento chiaramente è legata a doppio filo al tema della distribuzione e all’uso più sensato delle risorse.

Per comprendere meglio il sistema capitalistico basato sull’industrializzazione bisogna comprendere meglio i processi di per cui si “innesca” la macchina industriale.

Secondo la teoria di Walt Whitman Rostow (1916), il processo d’industrializzazione di un paese può avere successo se la sua economia presenta alcune caratteristiche fondamentali, tra cui un elevato livello di produttività del settore agricolo, l’esistenza di mercati efficienti e un governo stabile.

Questi requisiti sono alla base della fase di “decollo” dell’economia, che copre un periodo di circa 20-30 anni. Il “decollo” industriale da il via a due processi a grave impatto ambientale: l’inquinamento da prodotti di scarto delle industrie e l’urbanizzazione selvaggia.

L’Italia ha conosciuto uno sviluppo economico capillarizzato legato all’industrializzazione solo nel secondo dopoguerra.

È quindi una nazione “giovane” in questo campo, soprattutto se confrontata con colossi economici come Stati Uniti, Francia, Inghilterra, ma non per questo sfugge a questo schema di sviluppo: basti pensare alle industrie dei primi anni ’50 e al loro “scarso” interesse per l’ambiente, o alla scellerata urbanizzazione romana e milanese dello stesso periodo.

Oggi la sensibilità nei confronti dell’ambiente (sorta negli anni ’70) ha prodotto una serie di leggi di salvaguardia dell’ambiente che limitano i danni nei confronti dell’ecosistema. Ma l’accumulo di “violenze” nei confronti della natura perpetrati negli ultimi 200 anni ha minato seriamente le risorse terrestri e le sue capacità di ripresa. È giunto il momento di pensare seriamente ad una “rivoluzione” profonda nei sistemi stessi di produzione, che si possono attuare soltanto attraverso un cambiamento nel sistema sociale e nelle sue richieste.

2 - La soluzione

Il problema è grave, ma la sua soluzione è, almeno sul piano teorico, semplice.

La legge imperante nel mondo industrializzato d’oggi potrebbe essere descritta semplicemente con “Etica dello spreco”.

La massima realizzazione di questa deleteria “etica” è il consumismo: si comprende facilmente la totale pazzia di un sistema che spinge a comprare oggetti pressoché inutili al solo scopo di sostenere il mercato e le industrie che, a loro volta, durante la produzione di questi beni avvelena il pianeta e i suoi abitanti. Con questo discorso non si vuole certo “ demonizzare ” il progresso e la tecnologia, ma i metodi produttivi. La risposta a questo problema è una sola: un profondo cambiamento di rotta profondo e complessivo che assicuri al pianeta un futuro. Questo traguardo si può raggiungere soltanto attraverso la riorganizzazione dei sistemi di produzione nell’ottica dello Sviluppo Sostenibile e della ridistribuzione delle risorse su scala mondiale. Su questa linea si raggiunge quindi una sorta di “Etica della condivisione” che, oltre a disinnescare la “bomba” ecologica, riassesta gli equilibri di giustizia sociale a livello globale.

3 - Sostenibilità e Sviluppo Sostenibile

Il concetto sostenibilità (Klaasen e Opschoor 1991) si può essenzialmente riferire a tre campi:

1. Crescita Economica (non devono variare i livelli di produzione)

2. Sviluppo Economico (non deve variare il benessere della comunità a livello globale)

3. Uso delle risorse (non deve aumentare il prelievo dallo stock delle riserve naturali complessive)

I primi due punti, quindi, sottolineano la primarietà del benessere dell’umanità, mentre il terzo è strettamente legato all’autorigenerazione delle risorse naturali.

Altro importante studio sullo sviluppo sostenibile viene dall’Istituto Wuppertal. Le affermazioni in esso principali sono:

- Le generazioni future devono avere uguale accesso alle risorse (la Natura deve rimanere intatta.)

- Ogni persona ha il medesimo diritto ad un ambiente intatto e alla stesso tempo ha diritto ad utilizzare le risorse globali nei limiti in cui non comprometta l’ecosistema.

A partire da queste priorità si possono formulare quelli che sono definiti come “criteri della sostenibilità” e che dovrebbero essere le linee guida d’ogni intervento umano nella biosfera:

1. Una risorsa rinnovabile non può essere sfruttata oltre la sua capacità di rigenerarsi

2. Non si possono immettere nell’ambiente più sostanze di quanto esso riesca ad assorbire.

3. I flussi di prelievo e d’immissione d’energia e di materiali devono essere ridotti a livelli di minimo impatto ambientale.

Quindi lo sviluppo deve essere in primo luogo equilibrio, che, a sua volta può essere raggiunto attraverso un’attenta pianificazione da parte degli stati. È proprio in quest’ottica che l’ONU creò nei primi anni Ottanta la “Commissione Mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo” che produsse, nel 1987, il rapporto “Our Common Future”. Il rapporto sottolinea la stretta correlazione tra ambiente e sfruttamento dei paesi del sud del mondo. Ecco, infatti, l’inizio del testo

Esiste un chiaro legame tra i problemi ambientali e la distribuzione della ricchezza e della povertà nel mondo”.

Le conclusioni del rapporto sono chiare: scopo precipuo degli stati è

“…rendere [possibile] lo sviluppo sostenibile, assicurando il soddisfacimento dei bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Il concetto di sviluppo sostenibile implica dei limiti, non limiti assoluti, ma quelli imposti dal presente stato dell’organizzazione tecnologica e sociale nell’uso delle risorse ambientali e dalla capacità della biosfera di assorbire gli effetti delle attività umane”.

Il punto centrale della relazione è, certamente, quello di affermare il diritto di ogni essere umano ad essere partecipe delle risorse e ad avere pari opportunità di sviluppo. In questi tempi di globalizzazione e di liberismo che si potrebbe definire selvaggio, visto i danni che causa alle fragili economie del terzo mondo, è quasi inconcepibile una soluzione di questo tipo, che fa appello a principi di condivisione, di aiuto che mal si addicono al sistema capitalistico.

4 – Conclusioni

È giunto il momento dell’Etica della condivisione quindi, ma un tipo di etica profondamente nuova, che pone in primo piano non l’Uomo ma la Natura, di cui l’Uomo è solamente una parte minoritaria, che però ha in sé le capacità di distruggere l’ambiente senza il quale non può pensare di vivere. È quindi il tempo per l’Etica basata sulla consapevolezza della potenza distruttiva dell’Uomo, un’Etica basata su quello che Hans Jonas chiama “Principio di responsabilità”. L’Uomo deve andare oltre se stesso e la sua tensione non deve essere al dominio, ma alla salvaguardia, che si attua attraverso un progressivo spostamento dall’antropocentrismo al biocentrismo, o meglio, all’ecocentrismo. Il pianeta Terra è ormai ad un bivio: è palese che il ritmo di sviluppo odierno sarà sopportabile dall’ambiente ancora per poco. Da un lato c’è il baratro dell’autodistruzione, dall’altro c’è la dura riorganizzazione, su scala globale, dei metodi di produzione. È solo attraverso l’informazione e l’educazione capillarizzata che è possibile sperare di riuscire nello scopo di bloccare la nostra corsa cieca verso il baratro. Lo stile di vita occidentale ci ha abituati ad essere poco avvezzi ai sacrifici, ma qui ne va del futuro del mondo. Saremo capaci di adeguarci alla realtà?