Cimabue

E’ un personaggio chiave nella storia dell’arte italiana. In effetti, si conosce poco di lui dal punto di vista anagrafico.

Si chiamava Cenni di Pepo. Il nome Cimabue è un soprannome e viene dal verbo cimare che in toscano antico significa fronteggiare.

Esprime quindi un carattere orgoglioso, impulsivo.

Fu maestro, secondo l’invenzione di Vasari, che forse ha anche qualche fondamento di verità, di Giotto.

Le opere che si possono attribuire a lui sono circa una decina e spesso sono in condizioni pessime. Possiamo affermare che, dando ragione al Vasari, si è trattato di un personaggio che ha caratterizzato l’arte italiana.

Così come disse Vasari a Cennino Cennini, "l’arte greca trasfigura nell’arte latina, romanza", nasce con lui la lingua figurativa moderna.

Dal giudizio di Giorgio Vasari si legge: "Sebbene imitò l’arte dei greci aggiunse molta perfezione all’arte levandole molte espressioni goffe".

Realizzo cioè molte innovazioni importanti eliminando quelle espressioni ripetitive, secche, astratte dell’arte bizantina.

Il primo a comprendere questo cambiamento è Dante Alighieri.
Di questa opinione si ha traccia nel Purgatorio quando Dante incontra nel canto XI, Oderisi da Gubbio, grande miniatore dei tempi andati. Dante riconosce l’Oderisi come colui che ha illustrato i libri delle generazioni precedenti e l’Oderisi risponde ricordando a Dante che di lui ormai non si parla più.

A quel tempo si parla di Franco Bolognese (un illustratore della generazione successiva) e poi continua citando Cimabue e Giotto dicendo che la fama attuale di Giotto è giustificata dalla fama precedente, ormai oscurata di Cimabue.
Dante quindi certifica che prima di Giotto la grandezza di Cimabue fu fondamentale.

Dante riconosce a questo merito a Cimabue prima ancora di Vasari.

Nella chiesa di San Domenico a Bologna abbiamo una tipica rappresentazione del Cristo del medioevo del ‘300.
Cristo è rappresentato come patients cioè morto e sofferente.
Sopra la testa la classica iscrizione INRI (scritta però per esteso); a sinistra san Giovanni, l’unico degli apostoli che non lo ha mai tradito e a destra la Madonna.
E’ una iconografia classica del 1300. Cristo ha addosso a lui tutti i segni della sua sofferenza. E’ un’opera del 1265 circa.

Cimabue potrebbe essere considerato come un pittore bizantino perché per esempio, nella rappresentazione del corpo di Cristo i particolari delle costole, dei muscoli, dello sterno sono marcati con un precisione chirurgica, ma sono marcati da una astrattezza quasi da ideogramma, cioè "questa è la rappresentazione di un corpo morto e quindi così va realizzata". Sono queste le tradizioni iconografiche bizantine.

Lui però anche se rispetta queste regole introduce alcuni concetti di ordine naturalistico. Sono novità che rappresentano il realismo di un corpo umano attaccato ai chiodi, si vede per esempio il peso del corpo appeso alla croce, la rotazione del corpo, il ventre esposto. C’è una certa volontà di rappresentare la verità.

Nel Cristo di Santa Croce a Firenze (molto rovinato dall’alluvione del 1966) si vede un uomo con caratteri fisici molto addolciti ed umani. Si tratta di un opera di circa 10 anni successiva al Cristo di San Domenico. Si potrebbe dire che per la prima volta su una croce vera è appeso un uomo vero.

Questa è una delle rivoluzioni di Cimabue.
Questo si vede anche nella Grande Maestà conservata agli Uffizi realizzata per la chiesa di Santa Trinità. Si nota qui una certa conquista dello spazio. Il trono sovrasta una spazio inserto sotto di esso nel quale si trovano i profeti Isaia, Abramo, David ecc., cioè coloro che con le loro parole annunciano la venuta del signore. Il trono è poi circondato da angeli che sono dislocati in profondità.
Sembra che il pittore voglia conquistare lo spazio.

Lo stesso vale per il panneggio dell’abito della madonna realizzato ancora con le ageminature bizantine, ma questo non contraddice la ricerca di volumetrie, basti guardare il bambino che da proprio l’impressione di essere seduto sulla madre.
Si guardino i piedi del bambino che si trovano ad una distanza calcolata e rappresentati in modo che diano questa sensazione. Gli angeli riproducono ancora l’iconografia bizantina dell’angelo pretoriano, ma il loro volto è dolce sono partecipi di sostenere il trono della madonna.

C’è poi Assisi un luogo in cui tra 1200 e 1300 si realizza il linguaggio figurativo italiano.

Cimabue lavorò qui tra il 1270 e realizzo la volta dell’altare maggiore della basilica superiore. Rappresenta i quattro evangelisti non con i simboli del tetramorfo (angelo, toro, aquila, …..e non me lo ricordo mai!) ma umana in atto di scrivere.
San Matteo ha un angelo (il suo simbolo) che gli detta i Vangeli, dietro di lui la giudea (in rappresentazione sintetica); ad ogni evangelista è legata una realtà geografica.
San Marco ha dietro di se Roma (è questa una delle prime rappresentazioni della città) si riconoscono Castel Sant’Angelo il Pantheon, San Giovanni in Laterano. Cimabue cerca di far vedere le città con le sue meraviglie architettoniche.
E’ la prima volta che una città viene proposta in modo riconoscibile.

Nel transetto si trova la crocifissione di Cristo che appare come una scena apocalittica. Tutti sono in tumulto. Queste scene purtroppo sono in condizioni pessime perché i colori hanno subito una trasformazione che li fa sembrare un negativo fotografico.

Nel transetto vengono rappresentate molte scene dell’apocalisse. Questo era un tema molto caro a quel tempo. San Francesco era visto come colui che veniva a sradicare i vecchi tempi. Un nuovo vento avrebbe cambiato il mondo.
E’ un movimento che la Chiesa di Roma cercò anche di contrastare.

Accanto alle scene apocalittiche ci sono scene della vita della madonna. Anche se molto rovinate le scene dovevano trasmettere a chiunque un enorme suggestione. Da ciò si capisce la grande rivoluzione linguistica dell’arte figurativa italiana a cui tutti, a cominciare da Giotto, si ispirano.

E’ intensa la ricerca di Cimabue nella rappresentazione delle città. Non sono più puri ideogrammi come nelle rappresentazioni bizantine, ma città reali. Cimabue rappresenta le città così come lui le vede al suo tempo.

In una Maestà che si trova al Louvre, successiva a quella degli Uffizi, si vede che l’iconografica bizantina è completamente trasfigurata. E’ un’opera dominata dalle ombre e dalle luci e alcuni caratteri tipicamente bizantini si sono affievoliti (per esempio le ageminature e l’iconografia degli angeli pretoriani).

Nell’abside del duomo di Pisa c’è un mosaico di Cimabue che rappresenta San Giovanni. Commissionato nel 1301 fu concluso l’anno successivo. E’ una figura completamente moderna rispetto ai canoni della tecnica musiva orientale. La trasfigurazione dal greco al latino si può dire compiuta.