Salvador Dalì

Nacque a Figueras, presso Gerona in Spagna, l'11 maggio 1904 dove morì nel 1989.

Già dalla prima infanzia mostrò di essere dotato di una enorme fantasia.

Era anche in preda a deliranti vaneggiamenti, frutto della propria egocentricità: influenzò molto la sua infanzia e la sua vita artistica, e non lo celò nelle numerose autobiografie, la morte di un fratello omonimo un anno prima della sua nascita: la critica vuole che la pittura divenisse così per Dalí un veicolo per esorcizzare un trauma.

La sua pittura  rappresenta con minuzia ossessiva ogni oggetto entro spazi conclusi dalla linea d'orizzonte; non inventa forme nuove, bensì compone insieme immagini reali collocandole in posizioni irreali, spesso deformandole innaturalisticamente.

Le opinioni su Dalí sono contrastanti: un'abile mestierante, un manipolatore di idee altrui; oppure un genio, uno dei maggiori surrealisti.

Certo fin da giovanissimo si fece un nome nei circoli artistici di Figueras e a diciassette anni persuase il padre a pagargli gli studi a Madrid presso l'Accademia di Belle Arti San Fernando: in questi anni approfondisce la conoscenza delle teorie freudiane, studiate con entusiasmo; sappiamo che tale sentimento non era corrisposto dallo psicoanalista austriaco, che alla vista di molti quadri di Dalì e incontratosi con l'artista stesso, lo definì "un serio problema psicologico".

Giunse a rivalutare il pittore spagnolo, nonostante le eccentricità che glielo avevano reso insopportabile, quando Dalì gli mostrò Metamorfosi di Narciso, nel 1937.

A Madrid Dalì incontrò personaggi come Luis Buñuel, che sarebbe divenuto uno dei più importanti registi d'avanguardia: scrisse per lui due scenografie, quella di L'Age d'or (1930) e di Un Chien Andalou (1928), che lo fece conoscere ai surrealisti francesi: la scena d'apertura, quella dell'occhio tagliato, pone lo spettatore in uno stato di attesa irrequieta e sconcertante, e apre la dimensione onirica in cui il film pare sia stato girato. Assieme ai due artisti e ad altri famosi esponenti di quella irrequieta “generazione poetica del '27” ci furono anche Raphael Alberti e Garcia Lorca, che gli dedicò Ode a Salvador Dalì (1929).

A Parigi incontrò Breton e Picasso ed entrò nel circolo surrealista sostituendo Artaud, allontanatosi per divergenze politiche con Breton. «Le surréalisme? C'est moi», dirà tempo dopo rispondendo implicitamente al titolo di un'opera di Breton (Qu'est-ce que le surréalisme?, 1934)

Tra gli esponenti più famosi più originali della corrente surrealista, Salvador Dalí fu inviso agli altri esponenti del gruppo e in particolar modo al leader stesso, che lo vedeva come un dandy spagnolo dedito a puzzle pittorici.

L’ingresso ufficiale di Dalì ne gruppo  fu nel 1929, anno cui risale una delle pietre miliari della sua opera, Il grande masturbatore.

Nel  quadro sono già presenti numerosi simboli, in riferimento al sogno, ai suoi complessi sessuali, al rapporto con i genitori, alla corruzione del tempo: c’è un profilo deformato che è l’autoritratto di Dalì stesso, che pare una versione ammorbidita delle scogliere di Cadaques; il suo collo si trasforma nel busto di una donna le cui labbra sono indugianti vicino agli ambigui genitali di un busto maschile, le cui ginocchia insanguinate suggeriscono una qualche specie di salasso, forse di castrazione. Le formiche sono la corruzione del tempo, il giglio un simbolo fallico.

È chiaro come tali quadri potessero avere un effetto sconvolgente: inoltre furono subito causa della rottura con la famiglia. La tecnica di Dalì, che andava pian piano delineandosi, era un linguaggio semplice, il linguaggio della tradizione, attento ai dettagli. Ma in Dalì, come in tutto il surrealismo, la novità non sta tanto nel linguaggio,  quanto nei contenuti: immagini oniriche fuse a elementi della realtà. La pittura surrealista si basa su quel metodo delle associazioni libere per cui le immagini scaturiscono da sole dalla tela (Dalì racconta appunto come di notte si sedesse di fronte alla tela attendendo che essa stessa partorisse le immagini.)

All’automatismo della letteratura, l’artista catalano giustapponeva il metodo paranoico-critico. È interessante citare il giochino con cui nel circolo dei surrealisti si intrattenevano gli artisti: passandosi un foglio, ognuno di essi disegnavano immagini che scaturivano libere dall’inconscio, senza guardare a ciò che era stato disegnato dall’artista precedente; componevano così mostri, forme straordinarie.

La tecnica nasceva da un gioco, il cadavere exquis, nel quale ci si passa un foglio, via via ripiegandolo, su cui ogni giocatore deve continuare lo scritto: dunque esso prende il nome da un esempio divenuto famoso: le cadavere – exquis – boira – le vin nouveau. Le rappresentazioni di Dalí hanno qualcosa di questo gioco, ma tutto scaturisce dalla mente di un solo artista. Dopo i problemi con la famiglia, nel 1929 egli si spostò a Parigi.

Nello steso anno incontrò Gala Eluard, moglie del poeta Paul Eluard, già amante di Max Ernst: era una donna di dieci anni più vecchia, frequentatrice dei circoli intellettuali di Parigi, che sofisticata e disinvolta colpì subito Dalí. In seguito, nei propri quadri, l’avrebbe resa una dea (Leda atomica), una madonna (La madonna di Port Lligat), la mitica Gradiva del racconto di Jensen: Gala Diakonoff sarebbe apparsa in continuazione.

A quell’epoca Dalì era affascinato dalle spiaggie di Cadaques, che dipingeva senza un tema preciso. Quel vuoto ben presto si animò, si riempì di forme curiose, divenendo uno dei capolavori della pittura moderna: Persistenza della memoria, del 1931.

Trasse l’ispirazione per gli orologi molli da una forma di Camembert che riscaldatasi aveva cominciato ad allungarsi e ammorbidirsi nel piatto. Ciò gli fece affiorare un’immagine nel subconscio, allorché l’artista riempì il paesaggio costiero con questi oggetti. Agli orologi molli se ne affianca un altro, rosso, turgido: infatti il quadro può essere ricondotto alla concezione bergsoniana del tempo duplice. E se quell’oggetto molle, privo di forma e incapace di dare una determinata misura del tempo è la durée, l’orologio duro sarà quello del tempo misurato dagli strumenti, tempo che corrode e consuma (come stanno appunto facendo le formiche sopra di esso, simboli ricorrenti).

Su una spiaggia affogata nella luce, costeggiante uno di quei mari “alla Böcklin”, senza increspature, giace una sagoma biomorfa, pare un profilo. Bisogna ricordare il sottotitolo dell’opera: “Alti e bassi della memoria”, che spiega questo profilo addormentato, immerso nel suo stesso sogno che lì si materializza. Gli occhi si chiudono alla realtà esterna e si aprono a visioni interiori, totalmente svincolate dalla razionalità e galleggia in una dimensione atemporale (infatti la sagoma si copre solo dell’orologio molle), una dimensione che scaturisce dall’inconscio dove non ci sono presente passato e futuro.

È la traduzione pittorica dell’idea di Bergson, nessun’altro avrebbe potuto renderla meglio di Dalí. I tratti della sagoma sdraiata sono quelli di Dalí stesso, che spesso si ritrae sognante, l’occhio chiuso: dal momento in cui scoprì Freud, spesso l’artista si sottopose all’autoanalisi, entrando così in contatto col proprio mondo interiore.

Rimane molto difficile catalogare le opere di Dalí, per la sua versatilità e la sua fantasia simbolica: abbiamo esempi cubisti (Figura tra le rocce, dove si cita chiaramente Picasso), realisti (Ritratto di Luis Bunuel, Ragazza alla finestra)… Roumegner, in “Dalí par Dalí”, analizza la via artistica di Dalí, secondo cinque strade: Il Dalí  planetario, il Dalí  molecolare, il Dalí monarchico, il Dalí allucinogeno, il Dalí futurista. Sono cinque dei tanti aspetti di Dalí, che in ogni sua opera fa rientrare un qualche nuovo tassello delle proprie conoscenze: le scoperte di Crick e watson gli suggeriscono forme che esplodono nelle loro più microscopiche componenti (Pesca dei tonni, Esplosione di testa raffaellesca)….Più volte si autocita, facendo esplodere in mille pezzi dalla forma di corni di rinoceronte anche la Persistenza della memoria.

Il metodo paranoico-critico, con cui rispose all’automatismo proclamato dai colleghi. Egli stesso ne spiegò nel 1935 il significato: “È i metodo spontaneo di conoscenza irrazionale basato sull’associazione interpretativo-critica del fenomeno del delirio”. In pratica propone una pittura visionaria che fonde in figure multiple realtà e sogno, uomo e natura: così ogni immagina può celarne un’altra; questo gli permise di esprimere le proprie ossessioni e fantasie nascondendo meticolosamente forme reali (o scelte a caso in foto, cartoline… o prese da un canone artistico unanimemente accenttato (l’Angelus di Millet, per esempio, che torna spessissimo); si vede nel Carretto fantasma, del 1933 o nella Persistenza della memoria, del 1931. Forme flaccide, anamorfiche o metamorfiche, trompe-l’œil, palindromi creano un universo in cui motivi erotici e escatologici sono sottoposti all’azione corruttrice del tempo.

Là dove i dipinti sono articolati, dettagliati, c’è il principio medievale della concordia discors, la corrispondenza vivace tra la parte e il tutto. Il suo riferimento è Arcimboldo, che aveva distorto la realtà con le proprie originali metamorfosi (ved. le quattro stagioni conservate al Louvre).

Tra gli artifici più originali, quello di cigni che riflettono elefanti (1937), il Mercato degli schiavi con il busto invisibile di Voltaire (1940), L’enigma senza fine (1938),… La separazione dal gruppo surrealista avvenne nel 1934, principalmente per motivi politici. Breton e gli altri si erano schierati con decisione col Partito comunista, mentre a Dalí poco interessava la politica, faceva rientrare allo stesso modo nei propri quadri Lenin e Hitler senza alcun intento provocatorio o di qualsivoglia allusione.

Quando nel 1939 si spostò negli Stati Uniti (per rimanervi fino al 1948), scatenò ancor più lo scherno del gruppo parigino, che vide in questa mossa un intento puramente lucrativo:  il suo nome, anagrammato, divenne Avida Dollars, Dalí parve essere divenuto più commerciale, perfettamente inserito nel clima consumistico statunitense.

Dalí infatti veniva richiesto da Hitchcock e da Disney (i suoi progetti per Walt Disney sono appena divenuti realtà nella nuova versione di Fantasia2000), e coinvolto in numerose opere commerciali. Nonostante tutto ciò, egli non perse mai la sua fantasia né la nostalgia per la Spagna, che in quel periodo era spazzata da una guerra civile (Il volto della guerra, del 1940, ricorda uno dei capricos goyani).

Quando tornò in Spagna, non finì di stupire con le sue trovate eccentriche e le affermazioni sconvolgenti, spesso pronunciate come provocazioni…“La stazione di Perpignan è il centro del mondo, il franchismo ha salvato la Spagna…”, e così via.

Negli anni sessanta si dedicò alla scultura, ripetendo numerosi temi presentati nelle produzioni pittoriche: La Venere di Milo con cassetti, L’elefante con gambe di ragno, Orologi molli,di bronzo o di cristallo. Le sue ultime opere furono spesso interpretate come il tentativo di mantenere vivo un mito che stava cadendo: quello dell’eccentricità e dell’originalità di chi si dichiarava un genio.

Nel 1974 Dalì aprì due musei a Figueras e qui morì nel 1989.