Ernesto Che Guevara
Approfondimenti

(1928-1967)

Dalla nascita all'università

Gli studi e gli amor

I viaggi e l'incontro con Fidel Castro

Lo sbarco in Sierra Maestra

Il Comandante Che Guevara

L'offensiva e l'invasione

La morte del Che


Dalla nascita all'università

Ernesto Guevara nasce a Rosario (Argentina) il 14 luglio 1928.

Suo padre, Ernesto Guevara Lynch, costruttore civile, intraprese mille affari che nella maggioranza dei casi fallirono.

Egli era un avventuriero a metà, uno studente di architettura che aveva abbandonato gli studi per entrare a far parte del mondo dei piccoli imprenditori.

Sua madre, Celia de la Serna, fervente cattolica convertita al liberalismo, conserva del cattolicesimo iniziale la forza delle passioni.

Fu la prima donna a tagliarsi i capelli molto corti, fino alla nuca, fumava ed accavallava le gambe in pubblico, che allora era il massimo del progresso femminista a Buenos Aires.

Quando si fidanzano Celia è minorenne, e rompendo con la famiglia se ne va di casa per stare con una zia, per poi sposare Ernesto.

Già all’età di due anni il piccolo Ernesto avrebbe avuto la sua prima malattia, una forte broncopolmonite che lo avrebbe quasi ucciso.

A quell’epoca la famiglia viveva a Caraguatay, nella provincia di Misiones, una zona in cui suo padre possiede una piantagione di mate.

Spinti dagli affari sfortunati del padre, che in quegli anni subirà il furto dell’intera piantagione, vivranno una vita errabonda. A Buenos Aires, alla fine del 1929, nascerà sua sorella Celia.

Nel maggio del ’31 il piccolo Ernesto, dopo aver fatto il bagno nel fiume con sua madre, esce dall’acqua, e comincia a tossire. La tosse lo accompagna in modo insistente e angoscioso. Viene visitato da un dottore che gli diagnostica una bronchite asmatica insistente. La sua asma era così terribile che i suoi genitori, disperati, pensarono che sarebbe morto, e per questo motivo rimanessero per ore accanto al suo letto, giorno e notte.

L’asma di Ernesto e gli affari andati male del padre continuano ad essere il motore della famiglia. Nel 1932 si trasferirono a Buenos Aires. Lì nasce il terzo figlio Roberto.

Ma le cose andavano sempre più male. Ernesto non sopportava il clima della capitale. Guevara Lynch prese l’abitudine di dormire seduto contro la testiera del letto per far dormire il figlio sul suo petto, in modo che questi sopportasse meglio l’asma.

Seguendo i consigli dei medici decidono di cercare un clima secco di montagna, e a giugno si trasferiscono in Altagracia, un piccolo villaggio della provincia di Còrdoba. In quel clima Ernesto sembra migliorare, anche se la malattia non lo abbandonerà mai più. Ha cinque anni, vivrà in Altagracia fino a diciassette.

Celia gli insegna a leggere, perché non può andare a scuola con regolarità a causa della malattia fino al 1936, quando ricevono una circolare dal Ministero dell’educazione che consiglia loro di mandare il figlio a scuola.

Fin da quando aveva cinque anni sa maneggiare la pistola e spara ai mattoni. E’ molto dedito alla lettura, tra gli autori preferiti c’è Jules Verne, Alexandre Dumas, Emilio Salgari, Robertt Louis Stevenson, Miguel de Cervantes.

Nel 1939, quando Ernesto ha 11 anni, i Guevara si trasferiscono a un altro indirizzo di Altagracia, il villino di Ripamonte.

Nel 1942, a quattordici anni, si iscrive al liceo Dean Funes di Còrdoba, una scuola pubblica e liberale, invece di andare alla Monserrate, quella in cui studiava l’aristocrazia.

Nel 1943 la famiglia trasloca, vivono al 2288 di calle Chile, una grande casa in periferia, accanto ad un grande parco e nelle vicinanze di un quartiere ghetto.

Legge molti libri di letteratura tra cui ‘Furore’ di Steinbeck, Mallarmé, Baudelaire, Marx, Lorca, Verlaine, ma soprattutto scopre Ghandi che lo emoziona profondamente.

Tra i sui sport praticati c’è il rugby, passa dall’Estudiantes al Club Atalaya, continuando a giocare con il vaporizzatore a bordo campo. Il quel periodo verrà ricordato come el Chanco, il maiale.

La fobia per l’acqua fredda, che a volte gli scatena gli attacchi di asma, si è trasformata in abitudini igieniche elastiche.

In quegli anni sviluppa il suo antimilitarismo. In seguito a un golpe militare dichiara in classe: ‘I militari non danno cultura al popolo, perché se il popolo fosse colto non li accetterebbe’.

Il 24 febbraio 1946 si svolgono le elezioni che ratificano il mandato di Peròn. Viene chiamato per il servizio militare, ma lo riformano a causa dell’asma.

In quell’anno va ad abitare dalla zia Beatriz e sua nonna Ana, la madre di suo padre, a Buenos Aires. Si iscrive alla facoltà di ingegneria, e mentre combatte contro i costruttori che hanno l’abitudine di facilitare le cose offrendo mazzette, viene a sapere dell’assassino di Ghandi, l’eroe della sua gioventù, cosa che lo impressiona profondamente.

Continua a studiare ingegneria fin quando sua nonna si ammala e muore, e un po’ perché era molto legato ad essa, e forse la sua stessa esperienza con l’asma che si è portato addosso per tutti gli anni, gli fanno prendere una decisione radicale. Decide di lasciare gli studi di ingegneria e si iscrive alla nuova facoltà di medicina.

Gli studi e gli amori

In un suo diario Ernesto Guevara parlando dei suoi studi diceva:

Quando cominciai a studiare medicina la maggioranza dei concetti che fanno parte di me come rivoluzionario erano assenti dal magazzino delle mie idee. Volevo trionfare, come vogliono trionfare tutti quanti. Sognavo di essere un ricercatore famoso, sognavo di lavorare instancabilmente per ottenere qualcosa che, in definitiva, potesse essere messo a disposizione dell'umanità, ma che in quel momento sarebbe stato un trionfo personale. Ero, come siamo tutti, un figlio del mio ambiente.

Nel primo anno prende le cose sul serio, studente esemplare, passa quotidianamente da dieci a dodici ore in biblioteca. Legge psicologia, studia gli argomenti medici che gli interessano, non quelli del suo corso.

Dal 1948 la famiglia si è trasferita a Buenos Aires, dove abita al 2180 di calle Araoz. Risale a quei giorni la famosa fotografia dell'adolescente sognatore, un bel ritratto in cui Ernesto è sdraiato sul pavimento del balcone, circondato dalle ringhiere, con le braccia incrociate sotto la testa e una camicia bianca, mentre guarda il cielo.

La camicia bianca ha una storia, era di nylon e lui la chiamava «la semanera» perché era sufficiente lavarla una volta alla settimana e si stirava da sola. Continua la sua passione per gli scacchi e per il rugby, anche se correre per settanta minuti poteva essergli fatale, considerata la sua asma. Questa passione lo porterà un paio di anni dopo ad essere editore e cronista, con il soprannome di Chang-cho, della rivista Tackle.

Politicamente rimane ai margini delle forze di sinistra, e lo definiscono “un uomo con principi etici e non politici”. Con Tita Ferrer, membro della Juventud Comunista, ha spesso discussioni aspre, durante le quali accusa i marxisti di essere settari e di mancare di elasticità.

Negli ultimi giorni del '49 Ernesto si congeda dai suoi compagni di studi dicendo di voler intraprendere un viaggio per la provincia di Santa Fe, il nord di Còrdoba e la parte orientale della Mendoza. Adattò alla sua bicicletta un piccolo motore che lo avrebbe aiutato nel viaggio. Risale ad allora la famosa fotografia che lo ritrae, con gli occhiali scuri e berretto, seduto sulla sua bicicletta e con un'impermeabile di cuoio.

Nell'ottobre del 1950, a una festa di nozze in casa dei Gonzalez Aguilar a Còrdoba, conosce una ragazza, Maria del Carmen Ferreyra, Chinchina. E' un'adolescente bella, simpatica, ed Ernesto ben presto se ne innamora, ma la loro relazione non sarà esente da problemi. Ernesto è figlio della classe media decaduta, Chinchina è figlia dell'antica oligarchia di Còrdoba. Con il vantaggio di essere un amore a distanza (Còrdoba - Buenos Aires), la relazione va abbastanza bene. Così come si approfondisce parallelamente il rapporto di amicizia con Tita Infante, che poco a poco diventa la sua compagna intellettuale, con la quale ha un fitto scambio di lettere.

Alla ricerca di un po' di soldi per riempire le tasche, ottiene una licenza per lavorare come infermiere sulle navi da carico della marina argentina e a partire dal febbraio del '51 comincia a viaggiare su mercantili e petroliere e arriverà fino in Brasile e Venezuela. Ma nonostante i viaggi trova sempre il tempo di studiare e dare degli esami.

I rapporti con Chinchina cominciano ad avere dei sussulti, i genitori non condividono le sue idee politiche. Ernesto ed il suo amico Gonzales Aguilar vengono accusati di essere comunisti, sebbene a quell'epoca il giovane Guevara sia ben lontano dal marxismo, dato che si trova sotto la forte influenza di Gandhi.

Nell'ottobre del '51 va a trovare il suo amico Granado, e mentre questi aggiusta la sua moto, una Norton 500cc chiamata la Poderosa II, Ernesto suggerisce all'amico un viaggio in Nordamerica. Negli ultimi giorni del '51 c'è  la partenza, saluta la sua Chinchina e lei gli dà un bracciale d'oro come ricordo.

Il 16 gennaio i motociclisti sono a Bahìa Blanca. In una caduta Ernesto si ustiona un piede con il motore e la ferita non vuole cicatrizzarsi. Girano per diversi giorni per i paesi della costa, ma dovranno fermarsi perché Ernesto si ammala. Il 14 febbraio passano il confine con il Cile. Ernesto comincia a scoprire nel Cile «indigeno qualcosa di completamente diverso dal nostro paese e qualcosa di tipicamente americano, impermeabile all'esotismo che ha invaso le nostre pampas». Nel suo diario Ernesto non si stanca di lodare la generosità cilena, mentre la moto dopo varie riparazioni si rompe del tutto, ed i due sono costretti a continuare il viaggio in autostop.

Arrivano ad Antofagasta e si spostano verso la zona mineraria, lì rimangono colpiti dalla condizioni di sfruttamento dei minatori da parte delle compagnie inglesi. Conosce un minatore comunista e l'opinione di Ernesto è: «E' davvero penoso che si prendano misure repressive contro persone come queste. Lasciando da parte il pericolo che può rappresentare o meno però, dentro di lui non era altro che un naturale desiderio di qualcosa di meglio. »

Il 23 marzo lasciano il Cile, hanno percorso 3500 km da sud a nord, ed arrivano in Perù. Lì vengono colpiti dal razzismo e i maltrattamenti nei confronti degli indigeni. A Cuzco Ernesto rimane abbagliato dal mondo Inca. Finalmente il 1° maggio arrivano a Lima «Eravamo alla fine di una delle tappe più importanti del viaggio, senza un centesimo, senza grandi prospettive di trovarne a breve scadenza, ma contenti».

Dieci giorni dopo lasciano Lima ed iniziano il viaggio verso l'Amazzonia, lì Ernesto subisce un fortissimo attacco di asma, arriva a farsi quattro iniezioni al giorno di adrenalina. Finalmente  l'8 di giugno arrivano al lebbrosario di San Pablo, sperduto in mezzo alla foresta. Nel lebbrosario non solo visitano e curano i malati, ma studiano con i medici, pescano nel fiume e giocano a pallone con i lebbrosi.

A bordo di una zattera rudimentale navigano per qualche giorno discendendo il fiume Rio degli Amazzoni, fino ad arrivare in Colombia. A Bogotà li stupisce la quantità di poliziotti armati di fucile in giro per le strade, si sente il peso della dittatura di Laureano Gòmez.

Stanchi della Colombia e dei suoi poliziotti, il 14 luglio passano il confine con il Venezuela attraverso il fiume Tachira. I prezzi venezuelani li costringono a bere acqua mentre tutti gli altri bevono birra. L'asma continua ad affliggere Ernesto. Granado fa pressioni su Guevara perché torni a Buenos Aires e mantenga la promessa fatta a sua madre di laurearsi in medicina. Ritorna in Argentina e scriverà sul suo diario «Il personaggio che ha scritto queste note è morto nel momento in cui ha calpestato di nuovo la terra argentina (...) questo vagare per la nostra immensa America mi ha cambiato molto più di quanto credessi. », dirà ancora «Starò dalla parte del popolo e so, perché lo vedo impresso nella notte, che io, l'eclettico sezionatore di dottrine e psicanalisi dei dogmi, assalterò barricate e trincee urlando come un ossesso, tingerò le mie armi nel sangue e, pazzo di furia, sgozzerò ogni vinto che mi cadrà tra le mani».

Nel gennaio del '53 compie un'altra visita alla tenuta La Malagueña per vedere Chinchina, ma lì il loro rapporto subirà una separazione definitiva.

L'11 aprile dà il suo ultimo esame, clinica neurologica. La famiglia è molto contenta della laurea del figlio. Ernesto decide di raggiungere il suo amico Granado in Venezuela, dove lo aspetta la possibilità di lavorare in un ospedale per lebbrosi a Maiquetìa. Il congedo sarà una festa di famiglia e Celia dirà alla nipote «Lo perdo per sempre, non vedrò mai più mio figlio Ernesto». Si sbaglia, ma l'Ernesto che vedrà anni dopo sarà un altro.

I viaggi e l'incontro con Fidel Castro

Il 7 luglio 1953 comincia il suo secondo viaggio in America Latina, saranno tremila km fino alla capitale della Bolivia, La Paz. Il 2 agosto entra in vigore la riforma agraria e si preannunciano manifestazioni e disordini in tutto il paese. Conosce in quei giorni l'avvocato Ricardo Rojo, esiliato politico del peronismo, ed insieme a questi passa il confine con il Perù sul cassone di un camion. In Perù ad Ernesto torna la passione per l'archeologia. A Lima osserva i sintomi di decomposizione politica generati dalla dittatura militare di Odría, repressiva e sanguinaria.

Il 24 ottobre arriva a Panama per poi proseguire verso Costa Rica, qui entra in contatto con un gruppo di esiliati cubani che si sono appena scontrati con la dittatura di Batista assaltando la grande caserma del Moncada. Appare scettico quando gli raccontano la storia di Fidel Castro, il giovane avvocato che intorno a un progetto morale riunisce il meglio della gioventù e con poche armi.

Nel dicembre del 1953 arriva in Guatemala dove si unisce ad un gruppo di amici nel giro degli esuli. Durante il suo secondo mese in Guatemala la situazione politica si va facendo sempre più tesa, cresce la possibilità di un colpo di stato, si scoprono cospirazioni militari appoggiate dagli Stati Uniti. Ernesto comincia ad avere contatti con la sinistra guatemalteca.

Il 15 maggio comincia l'ultimo capitolo dell'incompiuta rivoluzione in Guatemala. La CIA ha organizzato un sofisticato colpo di stato. Un piccolo esercito di mercenari comandato dal colonnello Castillo Armas che attendeva in Honduras, comincerà ad agire mettendo fine alla flebile democrazia del Presidente Jacobo Arbenz.

Nove mesi dopo il suo arrivo in Guatemala, Ernesto Guevara si trasferisce in Messico, temporaneo rifugio di esuli latinoamericani; portoricani indipendentisti, peruviani nemici della dittatura di Odría, venezuelani contrari al governo dispotico di Pérez Jiménez, cubani oppositori del colonnello Fulgencio Batista, guatemaltechi profughi in seguito al recente colpo di stato della CIA, nicaraguensi in fuga dal carcere e dalle torture, esuli dominicani perseguitati dalla dittatura di Trujillo.

A metà del mese di luglio 1955 Ernesto Guevara, che ha appena compiuto ventisette anni, entra in contatto con il minore dei fratelli Castro, Raúl, si parla del prossimo arrivo del mitico Fidel Castro, che nonostante la sua iniziale intenzione di restare a Cuba per organizzare una rete rivoluzionaria che si opponga alla dittatura, in seguito alle pressioni della censura e alle molteplici provocazioni contro i suoi compagni, ha deciso alla fine di andare in esilio per organizzare un ritorno armato.

Fidel Castro che nel frattempo è arrivato in Messico si incontra con Ernesto, la prima conversazione dura otto o dieci ore, e ai due protagonisti resterà profondamente scolpita nella memoria. Dalle otto di sera fino all'alba parlano della situazione internazionale, ripassano le prospettive idee sull'America Latina, parlano di politica e soprattutto di rivoluzioni, in particolare del punto di vista di Ernesto su quanto successo in Guatemala e della futura rivoluzione contro la dittatura batistiana.

Il 18 agosto 1955 Ernesto sposa, dopo un lungo periodo di fidanzamento, Hilda Gadea Acosta

Il 16 settembre in Argentina i militari attuano un golpe contro Perón, commentato così da Ernesto: «Mi è spiaciuto un poco per la caduta di Perón. L'Argentina è una pecorella grigio pallida, però si distingueva dal mucchio; adesso ormai avrà lo stesso colore delle sue venti perfette sorelle: si dirà messa con grande partecipazione di fedeli riconoscenti, la gente potrà finalmente rimettere la feccia al suo posto, i nordamericani investiranno grandi e benefici capitali nel paese: insomma, un paradiso. Io francamente, non so perchè, ma rimpiango il colore grigio della pecorella.»

Finalmente nel novembre '55 si realizza il viaggio di nozze tante volte rimandato. Ernesto e Hilda decidono di andare verso il sud del paese per visitare le antiche zone maya. Al suo ritorno a Città del Messico Guevara riceve una buona notizia: ha ottenuto una cattedra di fisiologia all'Universitad Nacional.

Arrivano a Città del Messico alla fine del '55 e all'inizio del '56 a piccoli gruppi gli esuli cubani. Fidel Castro a New York, il 30 ottobre '55 dichiarò: «Posso dirvi con totale certezza che nel 1956 saremo liberi o saremo martiri.». Il piano originale prevede uno sbarco nella parte orientale dell'isola.

Nel gennaio del '56 comincia il vero addestramento. Ernesto cambia dieta per scendere di peso ed elimina pane e pasta. Trascura gli esperimenti sulle allergie che fa all'ospedale e non accetta la cattedra di fisiologia che si era guadagnato.

Il 15 febbraio nasce a Città del Messico la figlia di Ernesto e Hilda, gli verrà dato il nome di Hilda Beatriz. Adesso la vita di Ernesto si muove tra i piacere della paternità, gli addestramenti sempre più intensi e quel che resta del suo lavoro di medico.

Una figura chiave per la concretizzazione dei piani di Fidel è Alberto Bayo, ex colonnello dell'esercito repubblicano spagnolo esule in Messico. Fidel ha preso contatto con lui fin dal '55. Il colonnello istruiva con la massima serietà le sue zelanti reclute su sabotaggio, tattiche di guerriglia, disciplina di un esercito irregolare, cadenza di tiro, uso dell'artiglieria leggera, protezione contro l'aviazione, mimetizzazione. Ed è in quei giorni che il dottor Ernesto Guevara, reclutato come medico della spedizione, diventa definitivamente il “EL CHE”, a causa dell'eterna abitudine argentina, che non riesce ad evitare, di chiamare tutti mettendo quel «che» davanti, cosa che i cubani trovano buffa.

Nuovi volontari continuano ad arrivare a Città del Messico, crescono i depositi di armi. Gli addestramenti vanno avanti. Ma il 20 giugno '56, le pressioni dell'ambasciata cubana e i suoi tentativi di corrompere la polizia messicana hanno successo. Vengono quasi tutti arrestati e concentrati nella prigione di Miguel Schultz, nella colonia San Rafael, un piccolo stabilimento carcerario. Vengono liberati 57 giorni dopo.

Il 25 novembre '56 a bordo di un piccolo yacht (il Granma), ottantadue uomini, ammassati, gomito a gomito, lasciano il Messico per sbarcare a Cuba, dove li aspettano, avvertiti da traditori e informatori, più di 35.000 uomini armati.

Lo sbarco in Sierra Maestra

Il Granma cominciò la sua navigazione partendo dal Golfo del Messico. Ottantadue uomini su quel piccolo yacht, ammassati, gomito a gomito, imbacuccati contro il freddo della notte messicana. Nonostante tutte le cautele e le misure di sicurezza, il misterioso ed ancora oggi sconosciuto infiltrato nella rete del 26 Luglio riuscì a trasmettere allo stato maggiore dell'esercito, le notizie sullo sbarco.

Nelle ultime ore della notte si decide di abbandonare le acque territoriali messicane il più in fretta possibile per evitare i guardacoste, e i timonieri fanno rotta verso est, faticando a mantenerla a causa di un uragano.

Il 27 novembre, il Granma, sovraccarico e a velocità ridotta a causa di un guasto al motore, prese una nuova rotta che lo allontanava da Cabo Catoche, sulla punta dello Yucatán, e che lo avrebbe portato più a sud del capo San Antonio di Cuba.

Il 29 novembre, quinto giorno di traversata, allontanandosi dal Messico e dall'occidente di Cuba, si traccia una rotta verso le isole Caimán, a sud di Cuba, costeggiando la Giamaica. Il giorno seguente la radio del Granma da la notizia che a Santiago de Cuba è scoppiata un'insurrezione, si combatte per le strade. Ci sono sparatorie e azioni di sabotaggio sporadiche in altre città cubane, ma è a Santiago che le dimensioni della sommossa sembrano essere maggiori.

All'alba di domenica 2 dicembre, dopo più di sette giorni invece dei tre previsti, il Granma si arena a due km dalla terraferma. La visibilità è di circa cinquanta metri, si distinguono solo contorni a masse di terra su cui cresce una bassa vegetazione, si tratta di una laguna di mangrovie in un punto conosciuto come Belic, vicino alla meta prevista, la spiaggia di Las Coloradas

Con l'acqua fino al petto, i membri della spedizione cominciano ad allontanarsi dal Granma. Dopo aver lottato un paio d'ore con le mangrovie, i primi uomini arrivano alla terraferma, davanti a un gruppo di palme da cocco. Fidel ordina di avanzare verso la montagna, cercando di andare in direzione della Sierra Maestra. Durante il tragitto vengono attaccati dall'aviazione nemica, e per ripararsi dal fuoco si dirigono nel vicino campo di canna da zucchero, ma durante quel breve tratto il CHE viene raggiunto da una pallottola, che colpendo la cassetta di munizioni che egli portava, lo ferisce al collo.

Senza conoscere il destino del resto della spedizione, sentendo spari in lontananza senza sapere di chi fossero, il gruppo condotto da Juan Almeida con il CHE ferito, il giorno seguente vaga per le montagne senza acqua e pochissimi viveri. Per evitare probabili imboscate decidono di rifugiarsi in una grotta e camminare solo di notte.

Il 13 dicembre fortunatamente, la spedizione si rifugia nella casa di Alfredo Gonzáles, impegnato in una delle reti del 26 Luglio. Vengono informati della morte di almeno sedici compagni, uccisi non in combattimento, ma dopo la cattura. Le informazioni che a mano a mano arrivano danno forma alle voci: Fidel è vivo ed è protetto dalla rete di Celia Sánchez, è affidato a Crescencio Pérez, il patriarca della ribellione montanara.

Il gruppetto del CHE trascorre il giorno 15 in una grotta, e finalmente il 20 dicembre arrivano nella fattoria di Mongo Pérez, fratello di Crescencio, dove li aspettano Fidel, Raul Ameijeiras, Universo Sánchez e un'altra mezza dozzina di sopravvissuti.

Il CHE andava in giro da fare pena finché non gli furono trovati dei vestiti, delle scarpe e persino un nebulizzatore per aiutarlo durante i suoi gravissimi attacchi di asma. Ai dodici sopravvissuti della spedizione si aggiungono altri cinque contadini. A fine dicembre si unisce alla colonna Guillermo García, un uomo chiave della rete di resistenza che da novembre è attiva sulla Sierra Maestra, e tre uomini del Granma che si erano persi e che l'organizzazione di Celia ha recuperato. Per la fine del mese la colonna conta ventiquattro combattenti, di cui una mezza dozzina sono contadini.

La prima vera e vittoriosa battaglia avviene il 16 gennaio 1957, Fidel ha scelto la caserma di La Plata come battesimo del fuoco, gli uomini del Granma stanno dando inizio alla rivoluzione. Durante la salita verso il centro della Sierra i ribelli incontrano un esodo contadino. La guardia rurale ha fatto correre la voce che verranno bombardate le capanne.

Fidel, esordendo come stratega della guerriglia, prevede che l'esercito non potrà lasciar correre un attacco come quello di La Plata e che invierà dei distaccamenti ad inseguirli; progetta quindi un'imboscata, la prima delle tante che saranno portate a termine dall'esercito ribelle.

Il 16 febbraio 1957 avrà luogo un incontro fondamentale per il futuro. I principali quadri urbani del movimento partecipano a una riunione con Fidel. Prodotto della riunione è un primo coordinamento tra la Sierra e le città e la decisione di organizzare un reclutamento e un concentramento di armi sulla Sierra Maestra.

Il 13 marzo la radio diffonde la notizia che avevano tentato di assassinare Batista, si era trattato di un attacco fallito al Palacio Nacional e a una stazione radio. Questo primo scontro provoca ingenti perdite nell'organizzazione di origine studentesca, ma non le impedisce di continuare a combattere la dittatura. Alcuni studenti subito si uniscono alla guerriglia in Sierra Maestra, ne sono circa una cinquantina, di cui trenta armati.

Il 23 aprile per combattere la disinformazione il movimento organizza un'intervista con un giornalista statunitense. L'intervista culminerà in cima al Pico Turquino, il punto più alto della Sierra Maestra. La fotografia dei guerriglieri che inneggiano a Cuba con i fucili levati sopra la testa, che servirà per anni come illustrazione della rivoluzione cubana, fu scattata in quel momento.

Il Comandante Che Guevara

Il 27 maggio 1957 Fidel Castro ordina la partenza della colonna, un'ottantina di uomini, impiega otto ore di marcia notturna a percorrere i sedici chilometri che separavano l'accampamento temporaneo in cui si trovava dalle vicinanze della caserma dell'esercito batistiano, quella dell'Uvero.

La battaglia per la presa della caserma lascia sul campo morti e feriti da ambo le parti, il CHE comincia a prendersi cura dei feriti senza pensare se quello che stava curando era un amico o un nemico. Fidel, anni dopo, ricorderà che: «Mentre noi stavamo curando i loro feriti e liberavamo sedici prigionieri, loro assassinavano a sangue freddo gli uomini del Corinthia». Nel corso della giornata la colonna comincerà a salire di nuovo sulla Sierra e seppellirà i morti.

Mentre l'esercito con deportazioni e bombardamenti cerca di fare il vuoto intorno a loro, in quella zona isolata il CHE va creando una rete contadina di collegamenti e simpatizzanti.

Il 5 luglio Fidel, vista la continua adesione del popolo alla lotta armata, decide di affidare al CHE il comando di una nuova colonna, la numero quattro, formata da 75 uomini. Tre capitani con i loro plotoni vengono assegnati alla colonna del CHE, Ramiro Valdés, Ciro Redondo e Lalo Sardiñas. Qualche giorno dopo, il 31 luglio,  la colonna del CHE combatte per la prima volta attaccando la caserma di Bueycito. Delle dodici guardie della caserma, sei vengono ferite, mentre i ribelli ebbero un solo morto.

L'attacco di Bueycito seguiva di poco un'azione di guerriglia della colonna di Fidel a Estrada Palma, durante lo sciopero di Santiago e in un clima generale di tensione contro la dittatura. In quel periodo a Cuba si stavano svolgendo tre rivoluzioni: una a Santiago; una di giovani radicali all'Avana; e gli inizi di una guerra contadina contro la dittatura sulla Sierra Maestra.

Il 29 agosto il CHE riceve la notizia che una colonna l'esercito, comandata da Merob Sosa, sta salendo verso la zona di El Hombrito. Colloca due plotoni sul probabile percorso e riesce ad avere la meglio e mettere in fuga il nemico. La battaglia però avrà un'amara ripercussione, perché le truppe di Merob Sosa assassineranno diversi contadini, spacciando poi i loro corpi per quelli dei ribelli uccisi in combattimento.

In quei giorni la colonna del CHE e quella di Fidel marciano in parallelo, organizzano un attacco ad una piccola guarnizione nemica, lasciando poi la colonna del CHE a tendere l'imboscata.

L'8 settembre il CHE entra a San Pablo de Yao, in mezzo a un generale sommovimento del paese e se ne impadronisce pacificamente in qualche ora. Qualche giorno dopo la colonna si rimette in marcia per liquidare alcuni atti di brigantaggio che erano spuntati in altre parti della Sierra Maestra per effetto del vuoto di potere lasciato dalla ritirata dell'esercito e della guardia rurale.

L'8 novembre, all'Avana, il Movimento 26 Luglio organizza una spettacolare azione dimostrativa, facendo esplodere un centinaio di bombe nella capitale. Giorni dopo il CHE, avvertito da Fidel, scopre che la colonna nemica di Sánchez Mosquera è tornata a fare incursioni in quelli che considera suoi territori. Nel tentativo di resistere viene ferito ad un piede ed è costretto a restituire a Fidel il comando diretto della parte più importante della sua colonna.

Poco dopo la perdita di El Hombrito il CHE si muove verso La Mesa. Dal 3 dicembre cominciano i lavori per costruire un accampamento mimetizzato, sparso nella valle, in cui ci sarà un ospedale, un laboratorio per fabbricare calzature, un'armeria dotata di un piccolo tornio e la costruzione di un impianto di trasmissione  radiofonica.

Il 24 febbraio trasmette per la prima volta «Radio Rebelde», la voce della Sierra Maestra. All'estero ricevevano perfettamente le trasmissioni, mentre non era adatta per essere ascoltata a Cuba, però ebbe l'effetto di realizzare altre reti di ripetitori radio organizzate dai venezuelani appoggiandosi a Radio Rumbos e a Radio Continente.

L'offensiva e l'invasione

Tra il 10 e l'11 marzo sulla Sierra Maestra si tiene una riunione della Direzione nazionale del 26 Luglio che stabilisce la strategia immediata. Basandosi sull'isolamento politico in cui si trova la dittatura e sul crescente movimento di resistenza urbana, si decide di dare uno sbocco insurrezionale alla tensione politica nella forma di uno sciopero generale.

Il 19 maggio avviene il primo scontro a Las Mercedes, un piccolo villaggio di coltivatori di caffè che la dittatura aveva abbandonato. Sarà il prologo dell'attacco generale delle forze governative, il giorno 25. L'esercito aveva pronti per l'offensiva 14 battaglioni.

Fidel, in previsione dell'attacco, aveva concentrato le forze guerrigliere ed ordinato al CHE di creare una colonna, la 8, con gli allievi della scuola militare. Dopo i primi combattimenti le forze governative continuano nella loro avanzata.

Il 20 giugno Fidel ordina un nuovo concentramento di truppe, se non fermano le guardie saranno costretti a sciogliere le colonne e a organizzare pattuglie irregolari per infiltrarsi, ma perderanno il territorio. Il 23 giugno una nuova imboscata causa ventuno perdite all'esercito, mentre avanza lungo il fiume La Plata.

Il 30 giugno, nelle vicinanze di Santo Domingo un battaglione viene praticamente distrutto, mentre intorno a Las Mercedes è il CHE a contenere le truppe che avanzano verso Las Minas. L'11 luglio comincia la battaglia del Jigüe, quando un battaglione cade in un'imboscata e viene frenato, e poi accerchiato, in un'operazione diretta personalmente da Fidel. I combattimenti successivi confermano i successi dei ribelli, e oltre un centinaio di soldati vengono fatti prigionieri e liberati successivamente con la mediazione della Croce Rossa. Con la consegna dei prigionieri termina la controffensiva, i ribelli sono di nuovo padroni della Sierra Maestra. Nei due mesi e mezzo di dure battaglie il nemico aveva perso, tra morti, feriti, prigionieri e disertori, più di mille uomini, mentre l'esercito ribelle aveva subito appena cinquanta perdite. 

Quando la rivoluzione stava appena cominciando a riprendere fiato dopo la sconfitta dell'offensiva batistiana, Fidel, con la più brillante delle sue decisioni militari, pensò di approfittare della debolezza e dello sconcerto del nemico per passare immediatamente all'attacco. Fu stabilita una strategia finale, attaccando in tre punti: Santiago de Cuba, Las Villas e Pinar del Rio. Fidel dirama un ordine scritto: «Si assegna al comandante Guevara la missione di condurre nella provincia di Las Villas.....La colonna 8 "Ciro Redondo" partirà da Las Mercedes tra il 24 e il 30 di agosto...La colonna avrà come obiettivo strategico di martellare incessantemente il nemico nel territorio centrale di Cuba e di intercettare i movimenti delle truppe nemiche fino alla loro totale paralisi...»

Dopo quarantasette giorni di marcia in condizioni disumane, sia per le condizioni meteorologiche che per i continui attacchi dell'esercito,  la colonna 8 "Ciro Redondo" arriva nella provincia di Las Villas. Adesso la rivoluzione potrà tagliare l'isola in due.

1959 - Membro dei governo rivoluzionario, diventa cittadino cubano. A giugno sposa Aleida March, dalla quale avrà quattro figli: Aleidita, Camilo, Celia ed Ernesto. Tra giugno e settembre dirige una delegazione economica all'estero, in Egitto, India, Giappone, Indonesia, Sri Lanka, Pakistan, Jugoslavia, Marocco. Al ritorno è nominato capo del Dipartimento di industrializzazione dell'lnra (Istituto per la Riforma agraria). A novembre è nominato Presidente della Banca nazionale.

1960 - A ottobre-novembre compie una visita ufficiale in Cecoslovacchia, Urss, Cina, Corea, Rdt.

1961-64 - Dirige per quattro anni il Ministero dell'industria. E' la sua attività principale, insieme a corsi di formazione (per se stesso, nelle materie necessarie al Ministero), viaggi diplomatici all'estero e una ricca produzione teorica in vari campi. Nel 1963-64 darà il via e animerà il celebre "Dibattito economico" - su la legge del valore, i criteri della pianificazione, i rapporti tra economia di mercato e socialismo. Ne uscirà sconfitto, ma dopo aver dato prova di notevoli capacità teoriche e profonda ispirazione democratico-rivoluzionaria. Ad agosto del 1961 dirige la delegazione cubana alla Conferenza del Cies a Punta del Este, in Uruguay. Durante la Crisi dei missili, dell'ottobre 1962, gli viene affidato il comando della difesa sul fronte occidentale (Pinar del Río). A luglio del 1963 compie un'importante visita nell'Algeria di Ben Bella. A marzo-aprile del 1964 dirige la delegazione cubana alla Conferenza di commercio e sviluppo convocata dall'Onu a Ginevra. A novembre del 1964 è a capo della delegazione cubana che a Mosca partecipa ai festeggiamenti per il 47' anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. E' il suo terzo ed ultimo viaggio in Urss. Il 9 dicembre pronuncia un discorso a New York, all'Assemblea dell'Onu e pochi giorni dopo compare nella televisione americana, dove proclama apertamente le proprie posizioni rivoluzionarie sull'America latina. Senza tornare a Cuba, parte per un lungo viaggio in vari paesi africani. Il primo è l'Algeria.

1965 - Tra gennaio e marzo visita il Mali, il Congo Brazzaville, la Guinca, il Ghana, il Dahorney, la Cina, la Tanzania. Il 24 febbraio interviene al Secondo seminario economico di solidarietà afroasiatica di Algeri, dove denuncia lo sfruttamento mondiale dell'imperialismo, ma anche il profitto che i paesi "socialisti" ricavano dai meccanismi dello scambio ineguale. Si reca poi in Egitto dove pronuncia, accanto a Nasser, il suo ultimo intervento pubblico. Il 14 marzo rientra all'Avana, accolto dai massimi dirigenti. E' l'ultima volta che compare in pubblico. Nel periodo della "scomparsa" si reca come consulente militare in Congo e in Tanzania. A Cuba prepara la spedizione boliviana.

1966 - Ai primi di novembre compare in Bolivia, sotto falso nome e sembianze irriconoscibili. Raggiunge la zona di operazioni della guerriglia e comincia a tenere un diario.

1967 - Il 17 aprile viene reso pubblico il testo del "Messaggio alla Tricontinentale". Le agenzie di stampa cominciano a parlare della presenza del Che in Bolivia. Il 7 giugno il governo boliviano di Barrientos dichiara lo stadio di assedio. Il 24 giugno viene repressa nel sangue la rivolta dei minatori di Catavi e Huanuni. La guerriglia riporta qualche successo militare. Ma si divide in due gruppi che non riusciranno più a ricongiungersi. Il 31 agosto, a Vado del Yeso, viene distrutto il gruppo di Joaquin, di cui fa parte anche "Tania la guerrigliera". Il 26 settembre, nella zona di Valle Grande, il gruppo del Che cade in un'imboscata. L'8 ottobre, alla Quebrada del Yuro, il gruppo è accerchiato e il Che, ferito alle gambe viene catturato. Trasferito nella scuola del villaggio di Higueras, viene interrogato e poi lasciato per una notte senza cure. Al mattino del 9 ottobre viene ucciso con un colpo di pistola, per decisione ufficiale del governo. Il suo cadavere viene trasportato in elicottero a Valle Grande e successivamente sepolto in un luogo segreto nei pressi di quella stessa città. Il mondo incredulo, attende la conferma della morte, che viene data da Fidel Castro, il 15 ottobre.

La morte del Che

Verso le sette e mezzo di sera, Ernesto Guevara entrò per la seconda volta in vita sua, questa volta sconfitto, nel villaggio di La Higuera, un misero agglomerato di non più di trenta case di mattoni e cinquecento abitanti, che doveva il proprio nome al fatto che un tempo vi abbondavano i fichi, ormai scomparsi; un villaggio isolato, a cui si accede soltanto per una mulattiera non carreggiabile. La Higuera, un luogo in cui, secondo la credenza contadina, solo le pietre sono eterne.

Fuori dal paese si sono raggruppati alcuni abitanti intimoriti. Una donna anziana, vent'anni dopo, racconterà che vide passare il Che al centro di una processione davanti a casa sua a La Híguera e che poi se lo portarono via in cielo... con un elicottero, dirà alla fine, quasi accettando la spiegazione che le hanno dato tante volte e che le sembra inconciliabile col fatto che se ne andò via in cielo.

Lo stanno aspettando il maggiore dei ranger Ayoroa e il colonnello Selich, arrivato in elicottero. I prigionieri e i morti della guerriglia sono condotti alla scuola, un edificio di mattoni crudi e tegole di altezza irregolare, con soli due locali separati da un tramezzo a cui si accede direttamente dall'esterno, pareti scrostate e porte di legno fuori squadra abbondano nella costruzione di mattoni e calce. In uno dei locali rinchiudono Simón con i cadaveri di Olo e René, nell'altro il Che, a cui danno un'aspirina per alleviare il dolore della ferita.

Il Cinese, Juan Pablo Chang, ferito al volto, raggiungerà i detenuti. E’ stato arrestato nello stesso momento o in un secondo tempo? Le versioni sono contraddittorie.

I Gary Prado invia lo stesso messaggio che ha ripetuto per tutto il pomeriggio, questa volta al telegrafo. Sono le otto e trenta di sera: "Papà ferito". Poi, insieme al maggiore Ayoroa e al colonnello Selích, esamina il misero contenuto dello zaino del Che: dodici rullini fotografici, due dozzine di carte geografiche corrette dal Che con matite colorate, una radio portatile, due libretti di codici, due taccuini con copie dei messaggi ricevuti e inviati, un quaderno verde di poesie e un paio di quaderni (diari?) zeppi di appunti scritti con la fitta e frettolosa calligrafia del Che.

Alle nove Selich chiede telefonicamente istruzioni al comando dell'VIII divisione. Dieci minuti dopo gli rispondono: "Prigionieri di guerra devono restare vivi fino a nuovi ordini comando superiore". Un'ora più tardi arriva un nuovo messaggio da Vallegrande: "Tenga vivo Fernando fino a mio arrivo domattina presto in elicottero. Colonnello Zenteno".

Intanto, a La Higuera, i tre ufficiali superiori cercano di interrogare il Che. Non ottengono nulla, rifiuta di parlare con loro. Prado racconta che Selich gli disse, "Che ne direbbe di raderlo, prima?", mentre tentava di strappargli la barba, e che il Che lo colpisce con una manata.

Secondo il telegrafista di La Higuera, Selich va anche oltre; di fronte al rifiuto del Che di fornirgli qualsiasi informazione, lo minaccia di morte e gli toglie due pipe e l'orologio.

Il villaggio è in stato d'allerta, ci si aspetta da un momento all'altro l'attacco dei guerriglieri superstiti. Intorno alla scuola, sono state disposte una serie di sentinelle in due cerchi concentrici e una vedetta.

Alle ventidue e dieci "Saturno" (Zenteno), dall'VIII divisione a Vallegrande, telegrafava al comandante in capo dell'esercito a La Paz (generale Lafuente) una proposta di chiave per trattare lo spinoso argomento della cattura del Che:

"Fernando (il Che) 500. Vivo: 600, per telegrafo solo questo per il momento, il resto per radio, morto: 700. Buonasera. Ultima comunicazione conferma trovarsi nostro potere 500, pregasi dare istruzioni concrete se 600 o 700".

Il comandante in capo rispondeva: "Deve restare 600. Massima riservatezza, ci sono infiltrazioni".

I vertici dell'esercito boliviano si erano riuniti a La Paz per decidere il da farsi. Il messaggio iniziale era stato ricevuto dai generali Lafuente Soto (comandante dell'esercito) e Vázquez Sempertegui (capo di stato maggiore dell'esercito) e dal tenente colonnello Arana Serrudo (dei servizi segreti militari). Jorge Gaflardo ha lasciato una descrizione poco simpatica dei tre: Lafuente, tracagnotto, con una faccia da orangutan, barba folta, lo chiamano Chkampu (faccia pelosa in quichua); Vázquez, tarchiato, sorriso cinico, responsabile dei massacri dei minatori; Arana deforme, con un collo taurino che contrasta con il corpo molto scuro.

Si recano dal generale Alfredo Ovando, Ministro della guerra, nel piccolo ufficio della cittadella militare di Miraflores; questi, quando riceve i tre ufficiali, fa chiamare il generale Juan José Torres, capo di stato maggiore delle Forze Armate, che occupa l'ufficio di fronte alla sala riunioni adiacente all'ufficio di Ovando. E’ in questa sala che i cinque militari si riuniscono. Non è escluso che siano stati consultati altri pezzi grossi delle Forze Armate, come il comandante della Forza aerea León Kolle Cueto, che per un caso curioso è il fratello del dirigente del Pc, Jorge Kolle.

Non ci è giunta alcuna testimonianza di ciò che si disse in quella sala, soltanto della decisione finale. Una volta raggiunto un accordo, i generali lo comunicano al presidente René Barrientos, che dà il suo benestare.

Alle ventitré e trenta, il Comando delle forze armate invia al colonnello Zenteno a Vallegrande questo messaggio telegrafico: "Ordine presidente Fernando 700". E Che Guevara è stato condannato a morte.

Tanto per il biografo più distaccato, quanto per quello più partecipe, quelle diciotto ore a La Higuera sono disperanti. Ernesto Guevara è vissuto lasciandosi dietro una scia di carte che registrano le sue impressioni, le sue versioni, a volte anche le sue emozioni più intime; diari, lettere, articoli, interviste, discorsi, atti. E’ vissuto circondato di narratori, testimoni, voci amiche che raccontano e lo raccontano. Per la prima volta, lo storico può ricorrere solo a testimoni ostili, molto spesso interessati a distorcere i fatti, a creare una versione fraudolenta. Quello che oggi sappiamo è emerso con il contagocce nel corso di ventotto anni, frutto della caparbietà dei giornalisti, di ricordi tardivi al fine di costruirsi alibi. La Higuera è una terra di parole in cui c'è posto solo per gli interrogativi. Sa che lo uccideranno? Cosa pensa adesso di Simón Cuba, che tante volte ha rinnegato nel suo diario? Fa un bilancio dei compagni vivi, dei prigionieri e dei morti? Rimangono Pacho e Pombo con Inti, Dariel, Dario, il Nato e Tamayo; Huanca e il medico De la Pedraja sono fuggiti con i feriti. L’avranno visto cadere nelle mani dei soldati? Tenteranno qualcosa? Trascorre quelle ore pensando ad Aleida e ai bambini, al piccolo Ernesto che praticamente non ha mai visto? Ai morti? Gli altri morti che hanno costellato la sua strada, Pamos Latour e Geonel, il Patojo, Camdo e Masetti; San Luis, Manuel, Vdo e Tania... e la lista è interminabile. Sono i suoi morti, sono morti perché credevano in lui. Soffre per la ferita? Lui non ha mai abbandonato un prigioniero privo di cure, gli hanno dato un'aspirina per curare una ferita d'arma da fuoco. Ripensa alla sconfitta? Ultimo anello di una catena che si aggiunga, il gruppo di Puerto Mìldonado, di Salta, adesso la sua, la guerriglia del Che. Cosa lo aspetta? Cinquant'anni di carcere? Una pallottola nella nuca? Non è questa la prima sconfitta, chissà se sarà l'ultima. Il suo diario si trova nella casa del telegrafista, a pochi metri da dove lo tengono prigioniero. Ci sono state altre sconfitte, ma per la prima volta in vita sua Ernesto Guevara è un uomo senza carta né penna. Un uomo disarmato, perché non può raccontare quello che sta vivendo.

A La Higuera c'è stato il cambio della guardia. li Che è sdraiato a terra, la ferita ha smesso di sanguinare.

Uno dei soldati di sentinella nella stanza racconterà anni dopo: "Una delle cose che vidi, e che mi sembrò un oltraggio per il guerrigliero, fu che Carlos Pérez Gutiérrez entra, lo afferra per i capelli e gli sputa in faccia, e il Che non si trattiene e gli sputa a sua volta, inoltre gli dà un calcio che gli fa fare un ruzzolone, non so dove l'abbia preso il calcio, ma vidi Carlos Pérez Gutiérrez a terra e Eduardo Huerta con un altro ufficiale che lo immobilizzano".

Poco dopo un infermiere dell'esercito gli lava la gamba con del disinfettante; le cure non si spingono oltre. Ninfa Arteaga, la moglie del telegrafista, si offre di portare da mangiare ai prigionieri; il sottoufficiale di guardia rifiuta. Lei risponde: "Se non mi lasciate dare da mangiare a lui, non lo do a nessuno". Sua figlia Elida porta un piatto al guerrigliero cieco (il Cinese Chang?) in un'altra stanza. Ultimo pasto del Che sarà un piatto di minestra di arachidi.

Il sottotenente Toti Aguilera entra nella stanza. "Signor Guevara, è sotto la mia custodia."

E Che gli chiede una sigaretta. Aguilera gli domanda se è medico, il Che conferma e aggiunge che è anche dentista, che ha cavato dei denti.

Il tenente si aggira per la stanza cercando di trovare uno spunto di conversazione. Alla fine fugge, non c'è possibilità di comunicazione con quel personaggio chiuso che esce dal mito, ferito; non riesce ad annullare quella distanza che il Che ha sempre imposto anche ai suoi, per non parlare degli estranei e, a maggior ragione, dei nemici.

Diversi soldati entrano in seguito nella stanza. Parlano di tutto, a frammenti, controvoglia. C'è religione a Cuba? E’ vero che lo vogliono scambiare con dei trattori? Lei ha ammazzato il mio amico? Lo insultano. Dicono che un sottoufficiale, vedendolo rannicchiato in un angolo della stanza, gli abbia chiesto: "Sta pensando all'immortalità dell'asino?".

Guevara, al quale gli asini sono sempre stati molto cari, sorride e risponde:

"No, tenente, sto pensando all'immortalità della rivoluzione che tanto temono coloro che voi servite".

Verso le undici e mezzo un paio di soldati rimangono soli con il Che, senza sottoufficiali né ufficiali. Il Che parla con loro, chiede di dove sono. Sono entrambi originari dei distretti minerari, uno è figlio di un minatore. Parlano. I due soldati pensano che magari possono fuggire con lui. Uno di essi esce dalla scuola per vedere com'è la situazione fuori. Il villaggio è sempre in stato d'allerta. Ci sono tre anelli di guardie, il terzo è formato da uomini di un altro reggimento. Lo comunicano al Che.

Raccontano che disse: Non vi preoccupate, sono sicuro che non rimarrò prigioniero per molto tempo, perché molti paesi protesteranno per me, quindi non c'è bisogno, non vi preoccupate tanto, non credo che mi succeda nient'altro.

Uno dei due gruppi di guerriglieri superstiti è riuscito a sfuggire all'accerchiamento dell'esercito. Inti Peredo racconta: "In quella notte di tensione e d'angoscia ignoravamo completamente cosa era successo e ci chiedevamo a voce bassa se non fosse morto un altro compagno oltre ad Aniceto". All'alba scendono di nuovo nella gola e dopo una breve attesa si spostano verso il secondo punto d'incontro, a qualche chilometro da La Fhguera. Alarcón aggiunge: "Ci dirigemmo verso il secondo punto d'incontro, vicino al Río el Naranjal. Dovevamo tornare un’altra volta in direzione di La Higuera e l'alba ci sorprese vicino al villaggio".

E l'alba del 9 ottobre. Dall'ambasciata degli Stati Uniti a La Paz partono cablogrammi diretti a Washington. L’ambasciatore Henderson comunica al Dipartimento di stato che il Che si trova "tra gli uomini catturati, malato gravemente o ferito"; i consiglieri di Lyndon Johnson esperti di questioni latinoamericane, basandosi su fonti della CIA, riferiscono che Barrientos afferma di avere il Che e di voler verificare l'identità dell'uomo che è stato catturato mediante le impronte digitali.

A La Higuera sta sorgendo il giorno, i prigionieri sentono il rumore di un elicottero, le sentinelle sono rilevate. Un apparecchio trasporta il colonnello Zenteno, venuto da Vallegrande accompagnato dall'agente della CIA Félix Rodríguez. I due si dirigono verso la casa del telegrafista, in cui si trovano i documenti rinvenuti nello zaino del Che.

Agli ordini del maggiore Ayoroa, i ranger rastrellano i canaloni alla ricerca dei superstiti. E capitano Gary Prado fornisce la versione ufficiale: "Un’operazione ha inizio la mattina del 9 ottobre, perlustrando palmo a palmo i canaloni. La compagnia A trova le grotte 'm cui si erano rifugiati il Cinese e Pacho che mentre gli intimavano di arrendersi sparano e uccidono un soldato, provocando la rapida reazione dei ranger, che con mitragliatrici e bombe a mano li riducono al silenzio". E curioso che in un altro punto della sua versione dica che i soldati gli riferirono della "presenza di un guerrigliero", non di due. Perché se c'erano due uomini nella gola i superstiti non li videro la notte prima? Perché non c'è nessuna annotazione sul diario di Pacho in data 8 ottobre?

A La Higuera, il colonnello e l'agente della CIA entrano dove è rinchiuso il Che. Anni dopo, un soldato racconterà: "Uno dei comandanti ebbe una discussione piuttosto violenta con il Che e aveva accanto una persona, sarà stato un giornalista, che registrava con una specie di registratore molto grande appeso sul petto".

Nella versione di Rodríguez, le cose si svolgono in modo più civile. Fanno uscire il Che dalla scuola e gli chiedono il permesso di fargli una foto. Félix si mette accanto al guerrigliero. Verso le dieci del mattino il maggiore Nino de Guzmán, pilota dell'elicottero, fa scattare la Pentax dell'agente della CIA.

La foto è giunta fino a noi: il Che è un arruffio di capelli, sul volto una certa amara desolazione, la barba sporca, gli occhi semichiusi per la stanchezza e il sonno, le mani unite come se fossero legate.

Ci saranno un altro paio di fotografie quella mattina, scattate da soldati, molto simili alla prima: in entrambe, il comandante Guevara, sconfitto, rifiuta di guardare l'obiettivo; Zenteno si dirige verso il Churo per supervisionare il rastrellamento in corso. Intanto Rodríguez, con la sua Rs48 portatile, invia un messaggio cifrato. Selich, che lo osserva, è molto preciso: "Aveva un potente radiotrasmettitore che installò immediatamente e con cui trasmise un messaggio cifrato in chiave di sessantacinque gruppi circa. Subito dopo installò su un tavolo al sole una macchina fotografica montata su un dispositivo con quattro gambe telescopiche e cominciò a scattare fotografìe".

Gli interessano in particolare i diari del Che, il libro con le chiavi e l'agenda con indirizzi di tutto il mondo. I militari e l'agente della CIA si trovano nel patio davanti alla casa del telegrafista.
Fotografando il libro di chiavi, Rodríguez commenta: "Ne esistono solo due esemplari al mondo, uno ce l'ha Fidel Castro e l'altro è qui". Selich ritorna a Vallegrande in elicottero con i due soldati feriti. Alle undici e trenta Zenteno ritorna a La Higuera accompagnato da una scorta e dal maggiore Ayoroa e trova l'agente della CIA impegnato nell'operazione di fotografia. I militari lo guardano fare. Zenteno si limita a un breve commento e Rodríguez gli assicura che copie delle foto gli saranno consegnate a La Paz. "Nessuno obiettò alle fotografie, nessuno si oppose" dirà più tardi il maggiore Ayoroa.

Nella solitudine della stanza in cui è rinchiuso, il Che chiede ai suoi guardiani di lasciarlo parlare con la maestra della scuola, Julía Cortez; secondo la sua testimonianza, il Che le disse:

"Ah, lei è la maestra. Lo sa che sulla o di "so" non ci vuole l'accento nella frase "Adesso so leggere"? Indica la lavagna. "Certo, a Cuba non ci sono scuole come questa. Per noi questa sarebbe una prigione. Come fanno a studiare qui i figli dei contadiní? E’ antipedagogico".

"Il nostro è un paese povero."

"I funzionari del governo e i generali, però, girano in Mercedes e hanno un mucchio di altre cose... vero? E’ questo quello che noi combattiamo."

"Lei è venuto da molto lontano a combattere in Bolivía"

"Sono un rivoluzionario e sono stato in molti posti."

"Lei è venuto a uccidere i nostri soldati."

"Guardi, in guerra o si vince o si perde."

In quale momento il colonnello Zenteno trasmise ad Ayoroa l'ordine presidenziale di assassinare il Che? Félìx Rodríguez cercò forse dì convincerlo a non ucciderlo, visto che il Che in quel momento poteva essere più utile vivo e sconfitto che morto? Almeno così afferma l'agente della CIA nelle sue memorie; Zenteno, nelle successive dichiarazioni, non ne fa menzione.

Rodríguez racconta che parlò con il Che per un'ora e mezza, e che il comandante gli chiese anche di trasmettere a Fidel il messaggio che la rivoluzione latinoamericana avrebbe trionfato e di dire a sua moglie di risposarsi ed essere felice.

Ma quell'ora e mezza non fu in realtà che un quarto d'ora, e altre fonti militari sono concordi nell'affermare che il Che disse a Rodríguez che era un "verme" al servizio della CIA, che lo chiamò mercenario e che si limitarono a scambiarsi insulti.

Alle undici e quarantacinque, Zenteno prende il diario e la carabina del Che e insieme a Rodríguez parte con l'elicottero appena ritornato.

A mezzogiorno il Che chiede di poter parlare di nuovo con la maestra. Lei non vuole, ha paura.

Intanto, a cinque-seicento metri dal villaggio, i guerriglieri sopravvissuti stanno aspettando che faccia notte per muoversi. Alarcón racconta: "Lì venimmo a sapere che il Che era prigioniero ( ) Sentivamo le notizie da una radiolina che avevamo e che disponeva di un auricolare ( ) Credevamo che si trattasse di una falsa informazione messa in giro dall'esercito. Però verso le dieci del mattino dicevano già che il Che era morto e ( ) parlavano di una foto che lui portava in tasca, con sua moglie e i suoi figli. Quando noi cubani sentimmo questo, ci guardammo fissi mentre le lacrime cominciavano a scenderci in silenzio ( ) Quel particolare ci dimostrava che il Che era morto in combattimento, senza che ci passasse per la mente che era ancora vivo e a poco più di cinquecento metri da noi".

A metà mattina Ayoroa chiese un volontario tra i ranger per fare il boia. Il sottoufficiale Mario Terán chiese che gli lasciassero ammazzare il Che. Un soldato ricorda: "Sosteneva che nella compagnia B erano morti tre Mario e in loro onore dovevano dargli il diritto di ammazzare il Che". Era mezzo ubriaco. Il sergente Bernardino Huanca si offri di assassinare i compagni del Che.

Passata l'una, Terán, basso, tracagnotto - non sarà stato alto più di 1,60 per sessantacinque chili di peso - entrò nella stanzetta della scuola in cui si trovava il Che con un M-2 in mano che gli aveva prestato il sottouffíciale Pérez. Nella stanza accanto, Huanca crivellava di pallottole il Cinese e Simón.

Il Che era seduto su una panca, con i polsi legati, le spalle al muro. Terán esita, dice qualcosa. Il Che risponde:

"Perché disturbarsi? Sei venuto a uccidermi".

Terán fa un movimento come per andarsene e spara la prima raffica rispondendo alla frase che quasi trent'anni dopo dicono abbia pronunciato il Che: Spara, vigliacco, che stai per uccidere un uomo.

"Quando arrivai il Che era seduto sulla panca. Quando mi vide disse: Lei è venuto a uccidermi. Io non osavo sparare, e allora lui mi disse: Stia tranquillo, lei sta per uccidere un uomo. Allora feci un passo indietro, verso la porta, chiusi gli occhi e sparai la prima raffica. Il Che cadde a terra con le gambe maciullate, contorcendosi e perdendo moltissimo sangue. lo ripresi coraggio e sparai la seconda raffica, che lo colpì a un braccio, a una spalla e al cuore".

Poco dopo il sottoufficiale Carlos Pérez entra nella stanza e spara un colpo sul cadavere. Non sarà l'unico: anche il soldato Cabrero, per vendicare la morte del suo amico Manuel Morales, spara contro il Che.

I diversi testimoni sembrano concordare sull'ora della morte di Ernesto Che Guevara: verso la una e dieci del pomeriggio di domenica 9 ottobre 1967.

La maestra grida contro gli assassini.

Un sacerdote domenicano di una vicina parrocchia ha cercato di arrivare in tempo per parlare con Ernesto Guevara. Padre Roger Schiller racconta: "Quando seppi che il Che era prigioniero a La Higuera trovai un cavallo e mi diressi laggiù. Volevo confessarlo. Sapevo che aveva detto Sono fritto. lo volevo dirgli:

"Lei non è fritto. Dio continua a credere in lei". Per strada incontrai un contadino:

"Non si affretti, padre" mi disse. "L’hanno già liquidato"".

Verso le quattro del pomeriggio il capitano Gary Prado ritorna al villaggio dopo l'ultima incursione dei ranger nelle gole vicine. All'ingresso del paese il maggiore Ayoroa lo informa che hanno giustiziato il Che; Prado ha un moto di sdegno. Lui l'ha catturato vivo. Si preparano a portare via il corpo in elicottero. Prado gli lega la mandibola con un fazzoletto perché il volto non si scomponga.

Un fotografo ambulante ritrae i soldati che circondano il cadavere adagiato su una barella. Sono foto domenicali, di paese, mancano solo í sorrisi. Una foto immortala Prado, padre Schdler e donna Ninfa accanto al corpo.

Il sacerdote entra nella scuola, non sa cosa fare, raccoglie i bossoli e li mette via, poi si mette a lavare le macchie di sangue. Vuole cancellare parte del terribile peccato: aver ucciso un uomo in una scuola.

A Mario Terán hanno promesso un orologio e un viaggio a West Point per frequentare un corso per sottoufficiali. La promessa non sarà mantenuta.

 L’elicottero si alza in volo, con il cadavere del Che Guevara legato, ai pattini.