Ugolino della Gherardesca

figlio di Guelfo della Gherardesca, conte di Donoratico, nacque nella prima metà del '200 a Pisa da una nobile famiglia, padrona di vasti feudi nella Maremma ed in Sardegna.

Sebbene di famiglia tradizionalmente ghibellina, nel 1275, si accordò col genero Giovanni Visconti per portare al potere a Pisa il partito Guelfo.

Scoperta la congiura fu bandito, ma tornò a Pisa l’anno seguente riacquistando autorità e prestigio. Dopo la sconfitta dei Pisani nella battaglia della Meloria nel 1284, assunse la signoria del comune col titolo di Podestà.

Nel 1288, la parte ghibellina insorse sotto la guida dell’Arcivescovo Ruggieri degli Ubaldini e delle famiglie Gualandi, Sismondi e Lanfranchi.

Ugolino, accusato di tradimento perché considerato responsabile della sconfitta della Meloria, venne rinchiuso - senza processo - insieme a due figli e due nipoti nella Torre della Muda o della Muta, così denominata perché in quel luogo i colombi viaggiatori vi mutavano il piumaggio.

Proprio nella torre, successivamente detta “della fame”, dopo alcuni mesi di prigionia, Ugolino ed i suoi discendenti furono lasciati morire di fame nel febbraio del 1289.

La torre in cui Ugolino morì sorgeva nell’attuale Piazza dei Cavalieri e del suo impianto architettonico sono ancora visibili dei frammenti nella sezione distaccata della biblioteca della Scuola Normale Superiore.

La leggenda racconta che Ugolino, durante le prigionia, si sia cibato di carne umana cosi, lo stesso Dante Alighieri nel XXXIII canto della Divina Commedia, lo condanna a rodere - per l’eternità - il cranio dell’Arcivescovo Ruggieri, suo principale accusatore. Tutto l'episodio di Ugolino, la rievocazione della sua morte come la rappresentazione della sua eterna condanna, è intriso di citazioni da Stazio e Virgilio, i classici più cari al poeta.

L'orrore che Dante prova e che vuole suscitare, con espressioni che volutamente inducono a pensare ad una certo irreale antropofagia, è rivolto alla crudeltà della lotta politica del suo tempo, è la reazione non al singolo evento, ma a tutta una classe politica che andava invischiandosi sempre più nell'odio di parte, nei tradimenti, nelle vendette tanto crudeli quanto meschine.

La morte di Ugolino diviene così, non la fine di un avversario politico, ma la tragedia di un padre costretto a veder morire impotente i suoi figli senza neppure morire per il dolore ma solo, infine, per la fame ("Poscia più che 'l dolor, potè 'l digiuno" Inf. XXXIII, 75).
Nella tragedia di Ugolino, peccatore nell'odio di parte e vittima nell'affetto di padre, echeggia la tragedia più grande di un modo di fare politica che offende l'umanità delle persone.