Le Religioni

IL BUDDISMO

Arte Buddista

BRAHMANESIMO ED INDUISMO

LE CASTE

ARTE INDIANA

L'ISLAM

ESPANSIONE ARABA

LE CITTA' ARABE

LA CIVILTA' ARABA

ARTE ISLAMICA

LA DECADENZA DELL'IMPERO ARABO


IL BUDDISMO

Noi siamo incompleti, disse il Saggio.
Siamo tutti divisi, siamo frammenti, ombre,
fantasmi senza consistenza.
Tutti abbiamo creduto di piangere e creduto
di gioire da una lunga sequela di secoli.

(Marguerite Yourcenar)

Il Buddha (lo Svegliato o l'Illuminato), nacque a Kapilovastu, nell'odierno Nepal, nel 560 a. C., da una nobile famiglia di casta guerriera. Gli fu dato il nome di Siddharta Gautama.

La leggenda vuole che, durante un viaggio, egli s'imbattesse in quattro divinità che avevano assunto le forme di un vecchio, un malato, un morto e un asceta.

Di certo egli compì una riflessione profonda sulla vita e i suoi dolori e sulla morte che lo indusse, all'età di trent'anni, a lasciare il lusso e la vita mondana per cercare la verità.

Da allora condusse una vita itinerante segnata dall'ascetismo praticato sino ai limiti delle forze. Si accorse allora che l'autodistruzione non l'avrebbe condotto verso la verità e cominciò a seguire la via del " giusto mezzo" basata su un' intensa e profonda meditazione.

Una sera di maggio, mentre sedeva ai piedi di un fico nei pressi dell'odierna Bodh Gaya, dopo aver respinto le tentazioni del diavolo (Mara), egli ebbe il ricordo delle sue vite precedenti e la consapevolezza di aver soppresso in sè il desiderio, causa delle successive rinascite; raggiunse così la conoscenza salvifica, l'illuminazione e, all'età di trentacinque anni, divenne un Buddha.

A Sarnath, nei pressi di Benares, egli tenne la sua prima predicazione annunciando le "quattro nobili verità" e, con i suoi primi seguaci, fondò l'ordine monastico, il Sangha. Il Buddha percorse negli anni a seguire l'India settentrionale, come monaco mendicante, sino a quando, ottantenne, morì a Kushinagara.
La dottrina buddhista non è in antitesi al brahmanesimo ma introduce alcune novità fondamentali, Alla ritualità brahmanica, il Buddha oppone una legge morale, un individuo libero dalle caste e capace di vivere la propria vita interiore senza alcuna intercessione sacerdotale, un individuo impegnato solo ad acquisire meriti e a pervenire al perfetto controllo di sè.

L'aspetto fondamentale del pensiero buddhista è la connessione tra vita e dolore. Il carattere doloroso dell'esistenza è determinato dal fatto che tutto è transitorio nell'eterno ciclo delle rinascite in cui si può essere, a secondo del proprio Karma migliorabile con le buone azioni, animali, uomini, o anche creature divine (deva). Quindi, per il buddhismo, anche gli dei sono transeunti. La via della salvezza è la via dell'oblio dei desideri e quindi del dolore, solo così il Karma sarà pronto per raggiungere il Nirvana (sparire con il vento) che rappresenta la quiete assoluta, la fine del ciclo delle rinascite.
Sul carattere dell'anima e sul destino dopo la morte di colui che è salvo, il Buddha ha sempre taciuto. Alcune sette buddhiste dando una interpretazione letterale al nirvana concludono che tutto, compresa l'anima, è destinato all'annientamento, ma vi sono alcuni passi del Buddha che fanno ritenere che egli pensasse al passaggio dell'anima in uno nuovo stato di indefinibilità.

Il Buddha non è un dio, ma solo colui che ha indicato una strada, che ha fatto chiarezza nelle cose. Il buddismo primitivo respingeva qualsiasi forma di culto delle immagini. Nei suoi principi fondamentali la severità della dottrina buddhista poteva essere praticata solo dai monaci che perseguivano come fine la salvezza personale. Erede di questo pensiero è il Buddhisno Hinayana (il piccolo veicolo), diffuso nella Penisola Indocinese e nello Sri Lanka. In questi paesi, i rappresentanti del Buddhismo sono gli ordini monastici, i Sangha. In seguito si affermò un nuovo indirizzo con il nome Mahayana (Grande Veicolo) che portò una serie di innovazioni secondo le quali le virtù fondamentali sono: la compassione, la carità e l'altruismo. L'ideale è il Bodhisattva, l'essere destinato al nirvana, a cui si rinuncia per aiutare gli altri uomini a raggiungere la stessa condizione. Inoltre furono inserite forme complesse di culto , lo stesso Buddha fu adorato come una divinità e venne elaborato un complesso sistema filosofico secondo il quale la devozione e la compassione sono gli elementi cardini e il fine la salvezza di tutto il genere umano. Questa corrente del Buddhismo si affermò soprattutto nell'Asia centro- settentrionale, in modo particolare in Cina.

Nel primo millennio si affermò in India una terza forma di buddhismo, il Vajrayana, base del lamaismo tibetano che crede nella reincarnazione permanente del "dio vivente", il Dalai Lama, e che si distingue per una serie di formule( Mantra) e di ritualità.

Arte Buddista

Il monumento più tipico dell'arte buddista è lo stupa che certamente deriva dalle tombe a tumulo che si costruivano sopra i defunti in epoca prebuddhista.

Gli stupa iniziali erano di forma molto semplice e quasi privi di decorazioni. Ma degli stupa più antichi oggi poco è rimasto, dato che venivano utilizzati per la loro costruzione mattoni d'argilla che non hanno resistito all'usura del tempo. In seguito, la loro costruzione assunse forti caratteri simbolici espressi nelle diverse parti che compongono uno stupa e che sono riferite a cinque elementi fondamentali. La base, quadrata, rappresenta la terra; la parte centrale a forma di cupola è l'acqua; la parte piramidale indica il fuoco; la parte a forma di luna crescente è l'aria ed infine la parte terminale a forma di sole rappresenta lo spazio. Tuttavia con il passare del tempo e la diffusione del buddhismo in molti paesi asiatici, la forma dell'edificio cominciò a subire varie modifiche e soprattutto la parte piramidale si affusolò come in Birmania dove assunse la forma di una punta lunga. Anche la struttura stessa dell'edificio subì mutamenti che sono espressi in maniera significativa dal chedhj thailandese e dalla pagoda cinese.
In origine si erigevano gli stupa per conservare reliquie del Buddha che godevano di una venerazione particolare, ma già dal tempo di Ashoka divenne abitudine costruire degli stupa votivi per la fondazione di un monastero, o per ricordare un luogo santo. L'edificio perse così parte della sua sacralità, riconquistata poi a Ceylon dove lo stupa fu riportato al centro del culto buddhista.
Il tema centrale della scultura è l'immagine del Buddha, per creare la quale gli artisti hanno dovuto sempre rispettare rigide regole iconografiche. Queste regole riguardano soprattutto i 32 segni corporei che, secondo i testi, hanno contraddistinto il Buddha.

Nel corso del tempo varie regioni, pur all'interno di alcuni tratti comuni, si sono create una propria iconografia; così, in Indocina troviamo un Buddha molto più snello che non in Cina. Per creare un'immagine del Buddha la tradizione impone che l'artista non si riferisca a nessun modello umano, ma che studi e contempli sino all'adorazione una statua antica per imprimerla nella propria mente; solo allora è pronto per iniziare l'opera.

Questo metodo ha assicurato l'affinità di fondo delle sculture, ma contemporaneamente ha consentito un' evoluzione stilistica, dato che ciò che i vari artisti imprimono nella propria mente è destinato a variare.
Le posizioni nel quale il Buddha viene rappresentato sono quattro: seduto, eretto, mentre cammina e sdraiato. La posizione seduta è una delle più diffuse e, a secondo degli atteggiamenti, può rappresentare il gesto della meditazione o il Buddha che impartisce grazie. I significati più ricorrenti della posizione eretta sono: il gesto dell'argomentare o il Buddha che riceve l'illuminazione; la posizione sdraiata, invece, indica l'Illuminato che raggiunge il Nirvana.



BRAHMANESIMO ED INDUISMO

 I Veda, "La sapienza sacra", sono composti da quattro libri che raccolgono i miti ed il pensiero filosofico e teologico delle tribù ariane. Tramandati prima oralmente e poi scritti in sanscrito, costituiscono il fondamento del Brahmanesimo e sono il più antico testo religioso noto al mondo, risalante probabilmente all'epoca compresa tra il 1500 e il 900 a. C. .

I successivi testi, i Brahmana, composizioni liturgiche scritte in prosa, stabiliscono i rituali per la celebrazione dei sacrifici, rituali che erano affidati alla casta sacerdotale. Gli indoariani non avevano templi, ma recinti a cielo aperto dove praticavano i riti del sacrificio, il principale dei quali era quello del cavallo. Adoravano una triade divina: Varuna, Indra e Mitra che corrispondevano alle tre principali caste della società ariana. Il sacrificio, officiato esclusivamente dalla casta dei brahmini e regolato da una ritualistica rigorosa, era il vero protagonista della religione vedica; attraverso il sacrificio il sacerdote si faceva garante della conservazione del sistema sociale.

A contatto con le popolazioni aborigenee dravidiche fu inevitabile che al Pantheon vedico si aggiungessero altri dei legati al culto della fertilità; questi popoli adoravano divinità maschili e femminili, simboli fallici(?). Alla fine del periodo vedico, la concezione religiosa si raffinò ulteriormente: il brahaman non è più il dio del sacrificio cosmico, ma acquista connotati di ricerca soprattutto spirituali. Nelle scritture, che prendono il nome di Upanishad, si arriva alla formulazione di due concetti fondamentali: Il rapporto tra Atman-Brahaman (anima e Dio ), solo il brahaman esiste realmente, il mondo è illusione e la dottrina della trasmigrazione delle anime (samsara ).

La religione vedica si caratterizza per il suo carattere filosofico elitario, troppo elaborata per poter essere vissuta pienamente dal popolo. Tra il VII e VI sec., vengono redatti i primi commenti ai Veda con i quali si prepara la conversione dal Brahmanesimo all'Induismo, integrazione fra pensiero vedico e religiosità popolare. Iniziano il culto delle immagini, la costruzione di templi, la celebrazione delle festività religiose ed i pellegrinaggi nei luoghi santi.

Tra il IV sec. a C. ed i IV d. C., il cosiddetto periodo classico, vennero compilati alcuni scritti sacri sotto forma di poemi mitologici come i Purana , o epici come il Ramayana e soprattutto il Mahabharata che, con le sue 100. 000 strofe, è il poema più lungo di tutta la letteratura universale. I culti di Vishnu, Siva e Shakti si ispireranno a questi poemi sacri che tenderanno a divenire i massimi testi dottrinali dell'induismo e segneranno la sua evoluzione verso una religione popolare di carattere monoteistico.
Il nome indù non ha riscontro nelle lingue indiane; il termine è infatti persiano ed è stato adottato dagli Europei per designare l'antica religione che accomuna quasi tutti i popoli del sub continente. L'Induismo non si propone come una religione rivelata e non ha alcuna gerarchia sacerdotale. Si è induisti per nascita e non per conversione; l'Induismo non affida la fede alla collettività ma fa perno sull'individuo ed al rapporto con la propria anima; la pratica di ogni altra religione è buona se compiuta con fede.
L'Induismo è soprattutto un atteggiamento spirituale nei confronti della vita e del suo ordine sociale. Pur indicando una serie di comportamenti etici e morali, non possiede una concezione della trasgressione del peccato. Per il pensiero induista il tempo non è lineare e teso al raggiungimento di un fine, ma circolare, una gigantesca ruota dove tutto non è altro che un "eterno ritorno". La storia come successione e progressione di avvenimenti non ha alcuna importanza ; non è un caso che gli indiani abbiano scoperto la loro storia dagli Inglesi. Per l'induista, lo scopo della propria esistenza è aderire alla legge del Dharma, del divenire cosmico. Punto essenziale è la dottrina della reincarnazione secondo la quale un individuo è destinato a morire e a rinascere più volte sino a quando il suo grado di purezza non sarà tale da consentirgli di ricongiungersi allo spirito cosmico. Per sfuggire al ciclo delle reincarnazioni si possono seguire tanti percorsi di cui i principali sono: la via della perfetta realizzazione del proprio Karman (azione); la via della conoscenza tra chi sa distinguere tra il reale e l'irreale; la via della concentrazione e della contemplazione ispirate alle dottrine ascetiche come lo Yoga; la via dell'avvicinamento a Dio attraverso l'amore.

Il sistema delle caste, la cui origine è ancora difficile da spiegabile, è senza dubbio uno degli aspetti più enigmatici della civiltà indiana e quello meno comprensibile per un occidentale. Nell'India contemporanea la suddivisione della popolazione in caste è stata abolita, ma essa perdura nella mentalità della popolazione, specie nei villaggi, poiché è solidificata da millenni di tradizione ed è inesorabilmente legata alla religione induista.

LE CASTE

Quando gli Ariani giunsero in India, essi erano divisi in tre categorie: sacerdoti brahmani, ksatriya guerrieri, vaisya coltivatori; una quarta casta, formatasi successivamente, quella dei Sudra, era composta dai non ariani. Il termine casta in sanscrito è Varna, colore, ed è probabile quindi che la prima differenziazione abbia avuto radici razziali, allo scopo di preservare la "purezza del sangue ariano". Tuttavia, nell'antichità, le caste non avevano il carattere rigido ed inflessibile proprio dell'India moderna, ma era un sistema più mobile ed interi gruppi sociali potevano passare da una casta all'altra. L'appartenenza ad una casta è ereditaria e, contrariamente a quanto si possa pensare, non corrisponde ai livelli sociali, anche se in genere i lavori più umili sono affidati agli appartenenti alle caste più basse o ai Paria. Appartenere ad una casta inferiore è considerato segno di impurità e solo la piena accettazione della propria condizione può consentire di rinascere in uno stato di maggior purezza e quindi in una casta superiore, sino alla liberazione completa dal ciclo delle reincarnazioni.

Nel corso dell'evoluzione storica il sistema delle caste ha assunto un livello di frantumazione parossistico sino ad identificarsi con le particolarità delle singole mansioni di lavoro. E' indubbio che se un tempo tale sistema sociale corrispondeva ad una struttura economica che viene definita " il modo di produzione asiatico", nel corso del tempo tale sistema si è rivelato di grande ostacolo allo sviluppo economico, poiché ha reso difficile ogni forma di mobilità sociale.

ARTE INDIANA

L'arte indiana non è antichissima. E' con il passaggio del brahmanesimo all'induismo che cominciarono la costruzione dei primi templi e le prime rappresentazioni di immagini divine.

La produzione artistica indiana è strettamente correlata alla religione che ne ha ispirato sia la concezione che le forme assicurandone l'omogeneità di fondo nonostante la differenza delle culture regionali e la vastità del paese. L'immagine divina, nella concezione indiana, non deve servire all'adorazione ma alla meditazione, il suo scopo è aiutare il fedele a vedere nel proprio interno il riflesso del mondo divino. Per ottenere questo risultato l'artista si deve attenere ad una serie di regole previste negli shilpa-shastra, antichi trattati sull'arte e, attraverso una concentrazione yoghica, produrre l'immagine mentale dell'opera, prima di passare alla sua esecuzione.

L'arte indiana si è sempre posta un fine essenzialmente liturgico, ha trascurato la rappresentazione del reale, per liberare la propria espressione nella creazione di una serie infinita di immagini tese a rappresentare l'impalpabile mondo della cosmogonia indù. Anche per le costruzioni dei templi l'artista doveva attenersi alle regole dei trattati di architettura che riguardavano la pianta del tempio; l'orientamento dell'edificio variava secondo i punti cardinali, in modo che la sua posizione fosse armonica rispetto al cosmo; l'asse centrale del tempio doveva corrispondere al centro ideale dell'universo. Il tempio era concepito come un percorso verso il centro dove è posta l'immagine della divinità.
Agli architetti, che erano investiti di dignità sacerdotale, oltre alla padronanza scientifica era richiesta la conoscenza delle scritture sacre.

Le più antiche testimonianze architettoniche giunte sino a noi sono buddiste, ma è con la rinascita del brahmanesimo, nel V sec., che si assiste ad una forte maturazione dell'architettura religiosa. In questo periodo si affermano due stili architettonici; uno nel nord detto nagara e l'altro nel sud detto dravida. L'elemento essenziale del primo stile è lo shikar, una torre a base quadrata sul cui asse verticale è posta la cella contenente l'immagine della divinità. Lo stile dravida, più complesso, è composto da vari elementi: il vimana che è la costruzione centrale all'interno della quale è posta la divinità; il mandapa, un porticato a colonne per ospitare i pellegrini e il gopura, una torre solitamente molto alta posta lungo le mura della citta-tempio.

L'ISLAM

La Ka'ba è il mio cuore. Pietra Nera, mio fegato da tocchi millenari

(Abdelwahad Meddeb)

 I musulmani fanno iniziare il loro calendario dal 622, l'anno in cui Maometto compì l'egira (emigrazione) dalla Mecca a Medina, e definiscono tutto il tempo precedente l'epoca del "l'ignoranza di Dio".
Maometto, profeta dell'Islàm, nacque alla Mecca nel 570; di origini umili, fu introdotto nel mondo dei mercanti della città dalla prima moglie, Khadija. La Mecca era allora un grosso villaggio stretto fra alcune montagne che gli fornivano una difesa naturale, consentendo contemporaneamente l'apertura verso le vie carovaniere per Gedda, sul mare, e per Medina, verso nord. Quindi una città che svolgeva un ruolo importante nel commercio delle tribù arabe. Le vie carovaniere, oltre a consentire lo scambio di merci, erano il mezzo attraverso cui circolavano le idee. Nella penisola araba erano da tempo presenti sia comunità cristiane, in particolare alla Mecca, sia gruppi ebraici. La rivelazione di Maometto proclamando Allah unico Dio, inserisce l'Islàm nel solco delle grandi religioni monoteistiche interrompendo una lunga tradizione di idolatrie pagane sincretiche e politeistiche, diffusissime tra le tribù arabe. Maometto non considerava se stesso il fondatore di una nuova religione, bensì l'ultimo dei profeti, il depositario della rivelazione divina, infatti il Corano è considerato dai musulmani non un libro ispirato, ma rivelato da Dio. La lingua araba è quella prescelta per la scrittura del Corano: ciò ha fatto degli arabi i primi diffusori dell'Islam, e della loro lingua un punto di riferimento obbligato per ogni musulmano; solo con molta riluttanza si è ammessa la traduzione del Corano in altre lingue.

La predicazione di Maometto suscitò inizialmente forti contrasti, in particolare tra i mercanti, preoccupati dalle possibili conseguenze negative sui loro affari. Fu costretto ad "emigrare" a Medina dove trovò un ambiente sociale diverso costituito in gran parte da contadini benestanti, che si dimostrò più disposto ad accogliere il nuovo credo. A Medina il profeta compì un'importante opera di pacificazione fra i gruppi rivali che ben presto gli riconobbero un ruolo guida. Egli insegnò loro che l'Islàm esigeva un completo abbandono a Dio e il riconoscimento di unico capo come suo inviato; questi doveva avere la funzione di guida religiosa, ma anche di giudice, legislatore e comandante militare. Fin dagli inizi, quindi, l'Islàm si caratterizza come una religione in cui gli aspetti sociali e politici sono strettamente legati a quelli teologici. Nel Corano (al-Qu'ran = recitazione ad alta voce), il libro che raccoglie il complesso degli insegnamenti di Maometto e redatto dopo la sua morte, sono contenute sia le indicazioni di ordine spirituale che norme di legge e di comportamento tese a regolare la vita dei fedeli. Queste ultime non sono esposte come rivelazione divina ma come risultati dell'azione del Profeta. Non a caso l'Islàm, come del resto l'ebraismo, è definito "religione della legge". Maometto, dopo esser riuscito a radunare un gran numero di seguaci, tornò alla Mecca da trionfatore dando inizio all'espansione dell'Islàm.

Il Corano impone al fedele cinque doveri fondamentali, detti anche i cinque pilastri dell'Islam.
Il primo dovere è la professione di fede, la Shahada, in cui il musulmano afferma: " Non esiste altro Dio all'infuori di Allah e Maometto è il suo profeta".

Il secondo dovere è la preghiera, la Salat. I musulmani, chiamati da un muezzin, e rivolti verso la Ka'ba pregano cinque volte al giorno, e il venerdi alle 12 nella Moschea.

Il terzo dovere è l'elemosina, detta Zakat. All'inizio era una vera e propria imposta a cui se ne affiancava un'altra per i non musulmani.Il quarto dovere è il digiuno, dall'alba al tramonto, il Sawan, che viene compiuto durante il nono mese dell'anno lunare detto ramadan.
Il quinto dovere rende obbligatorio ad ogni musulmano il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita.
La Mecca per aver dato i natali al profeta ed essere stata la sede delle sue ultime predicazioni, è divenuta il principale centro religioso dell'Islàm. Il principale luogo di culto alla Mecca è la Ka'ba ( il tempio dove è custodita la pietra nera); il monumento si trova all'interno della Grande Moschea costruita da Maometto nel 630, ma ampliamente trasformata nel corso dei secoli: l'ultimo ampiamento è avvenuto nel 1956 per poter accogliere 300. 000 pellegrini in preghiera.

Il pellegrinaggio si svolge soprattutto durante i mesi sacri che sono il primo, il penultimo e l'ultimo dell'anno islamico.

I pellegrini indossano tutti un telo bianco di cotone senza cuciture e durante tutto il periodo della visita non possono radersi o tagliarsi le unghie o avere rapporti sessuali e non devono nuocere a nessuna creatura vivente. I musulmani devono compiere sette giri intorno alla Ka'ba ed ad ogni giro fermarsi per baciare la pietra nera; poi per sette volte devono compiere una corsa tra le colline di Safa e Nerwa, distanti 500 mt l'una dall'altra; infine il rito prevede l'ascesa al monte della Misericordia, Situato lungo la via che dalla Mecca conduce a Taif. Secondo la tradizione, su questo monte si sarebbero trovati Adamo ed Eva dopo la cacciata dal paradiso terrestre e sempre qui Maometto pronunciò il suo ultimo discorso.

ESPANSIONE ARABA

 Alla morte del profeta, si posero seri problemi di successione poiché non si trattava solo di mantenere gli insegnamenti della nuova religione, ma anche di sostituire Maometto alla guida di una nazione in formazione ed espansione, nella quale il fattore religioso si era già identificato con il potere politico dando vita ad una sorta di teocrazia.

Con Abù Bakr appartenente alla tribù di Maometto, (i quraish o coraisciti), si stabilì un principio di successione formalmente elettivo. Inizia l'epoca dei "quattro califfi" legata alla rapida espansione dell'Islàm. Provenienti dal deserto e dalle terre pascolative della penisola araba, in pochi decenni gli eserciti arabi tolsero ai bizantini la Palestina e la Siria, si spinsero nella Persia orientale, conquistarono l'Egitto riuscendo a penetrare nel Nord dell'Africa. L'Islàm finì per occupare una posizione geografica chiave per il controllo delle grandi vie commerciali del tempo e si pose al centro del mondo antico. La costruzione di un vasto stato islamico, sotto la guida del califfato, portò alla diffusione della lingua araba ed all'unificazione in una grande " area economica" di regioni diverse tra loro.
Come spiegare la facilità e la rapidità di conquiste così ampie da parte di un popolo nomade e non molto numeroso? In realtà i territori occupati erano abitati da popoli che avevano antichi vincoli etnici e linguistici con gli arabi e che erano in perenne stato di rivolta contro il dominio sia bizantino che sassanide. Il nuovo credo islamico con la Jihad e le sue connotazioni egualitarie ed universalistiche, insieme ad un diffuso bisogno di ordine e di pace si conformava alla rivolta sociale e religiosa diffusa soprattutto tra le popolazioni urbane che si unirono ai conquistatori.
Quando Alì, genero di Maometto, fu eletto quarto califfo, gli Omayyadi non lo riconobbero come tale: ebbe quindi inizio un periodo caratterizzato da forti contrasti interni che sfociarono in guerre ed in un profondo scisma religioso. I sostenitori di Alì, sconfitti, ripararono a Bassora, nel sud dell'Iraq, dove diedero vita al movimento sciita.

Durante la dinastia Omayyade le armate arabe giunsero ad ovest fino all'Atlantico e nel 711 sbarcarono in Spagna e la occuparono sino a i Pirenei. Ad est gli Arabi si spinsero nel Turkestan ed in India. Fallirono, invece, la presa di Costantinopoli e la ulteriore penetrazione in Europa, fermata a Poitiers da Carlo Martello. Con gli Omayyadi finisce l'epoca del califfato "patriarcale". La capitale viene trasferita a Damasco ed inizia la "monarchia araba" più adatta a governare un impero vasto ed omogeneo. L'Arabia centrale si svuota di abitanti e perde di importanza economica e politica, mentre la maggior parte dei beduini si integra progressivamente nelle civiltà urbane dell'Oriente. La classe dirigente tuttavia è ancora rigorosamente araba e gli Omayyadi mantengono profondi legami con il deserto, continuando ad amare la poesia araba preislamica e facendosi erigere, accanto ai propri palazzi, tende beduine. L'impero degli Omayyadi crollò sotto i colpi della rivolta abbaside. Gli Omayyadi furono sterminati; si provvide col califfo abbaside Al-Mansur a fondare una nuova capitale, Bagdad (data da Dio). Solo la Spagna sfuggì al controllo della nuova dinastia. Gli Abbasidi recisero gli ultimi legami con la penisola arabica, alla quale verrà affidato solo il ruolo di custode delle città sante: Mecca e Medina

LE CITTA' ARABE

La civiltà araba è stata soprattutto una civiltà urbana basata su una fittissima rete di nuovi ed antichi centri collegati da linee commerciali molto ricche. Queste città erano poste in punti significativi per i loro prodotti agricoli o minerari, per le loro attrezzature portuali o perché all'incrocio di vie carovaniere.
La rete urbana unificava in una vasta regione sviluppata paesi dalle diverse vocazioni economiche: zone fertili come la Mesopotamia e l'Egitto, le pianure costiere del nord Africa, i grandi centri artigianali della Siria e dell'Iran, porti fluviali e marittimi. Da Samarcanda a Cordova si estendeva un mondo ricco ed evoluto, costellato di splendide città. Tutto ciò accadeva mentre l'Occidente regrediva tornando alla vita rurale, con le città ridotte ad una mera funzione di rifugio. Solo nei territori controllati dall'impero bizantino permaneva qualche forma di vita urbana, concentrata soprattutto a Costantinopoli.
Le prime città fondate dagli Arabi erano dei campi fortificati, oppure piccoli centri destinati a diventare spesso nuclei densamente popolati. L'area mesopotamica verso la metà del VII secolo fu conquistata dagli Arabi che le diedero il nome di Iraq (bassura). Nel 762 iniziò la costruzione di Baghdad che, trovandosi all'incrocio tra vie fluviali e carovaniere, in una quarantina d'anni passò da qualche centinaio a quasi due milioni di abitanti. Per farne una grande capitale vi lavorarono contemporaneamente più di centomila operai. La crescita della popolazione impose alla città di espandersi sulla riva orientale del Tigri dove sorgeva il palazzo del califfo; la sua estensione arrivò a coprire un'area di dieci km per nove e ciò la fece divenire la più grande città del mondo. Della città oggi rimane ben poco , essendo stata devastata dai mongoli nel 1258. Quel poco che è rimasto è costituito dai resti del palazzo degli Abbasidi, dalla madrasa Mustansiriya, forse la più antica università del mondo, e da alcuni caravanserragli, uno dei quali trasformato in un ristorante di altissimo livello. Vicino alla città è rimasta la moschea di Kadhimiya sovrastata dalla bellissima torre dell'orologio. Anche in altre zone della Mesopotamia furono fondati centri significativi come Kufa (100. 000 abitanti) e Bassora (200. 000). Sempre nel sud furono fondate le città sante sciite di Karbala e An Najaf. Le cupole dorate delle loro moschee sono, ancora oggi, visibili a svariati chilometri di distanza. Nel nord dell'Iraq, Mossul si svilupperà intorno a piantagioni di cotone e ad una fiorente industria dei tessuti (da cui la mussolina). Samarra fu la sede, per un breve periodo del califfato. In questa città vi è la Moschea del Venerdì, con il suo minareto elicoidale di chiara ispirazione mesopotamica. Più ad est Samarcanda, posta lungo le vie provenienti dalla Persia e dall'India, toccò il mezzo milioni di abitanti.

Con l'arrivo degli Arabi, nell'area bizantina le antiche città portuali riceveranno nuovi impulsi commerciali ed altre interne, ormai decadute, rinasceranno. E' il caso di Damasco che, con gli Omayyadi, diventerà un grande mercato consentendo ai califfi di godere delle agiatezze cittadine mantenendo contemporaneamente il retroterra del deserto. Con gli Abbasidi Damasco decadrà a livello di provincia conservando però la sua rilevanza per la produzione del cotone e della seta (damascato).
Gerusalemme diventerà un grande centro religioso, meta di pellegrinaggio di Ebrei, Arabi e Cristiani, alimentato dalla tolleranza dell'Islàm dell'epoca.

In Egitto sarà fondata Il Cairo vicino al delta del Nilo, in un punto dove è più facile l'attraversamento verso l'Ifriqiya e il Maghreb da un lato, e la via di terra verso la Siria dall'altro. L'attuale capitale dell'Egitto nasce nel 969 con i Fatimidi su un nucleo urbano precedente e tocca il massimo splendore tra X e XI secolo.
L'Africa occidentale risentì positivamente del commercio transahariano. Nel 670 fu fondata Kairuan su una pianura stepposa ai margini del Sahara ed in seguito Tunisi in una baia strategicamente importante. Nell'estremo Maghreb avvenne la quasi totale scomparsa dei centri romani, come Volubilis, e sorero città legate alle dinastie arabo-berbere come Fez e Marrakech.

LA CIVILTA' ARABA

Fu nel periodo abbasside che si raggiunse l'apogeo culturale dei califfati. Vennero fondate prestigiose scuole dove la classicità riprese a vivere: il pensiero greco e le opere di Aristotele, passate dalla Grecia alla Siria, vennero tradotte in siriaco ed in arabo.

L'astronomia ebbe un grande sviluppo ed effettuarono studi importanti; grazie ai progressi della fisica, ed in particolare dell'ottica, si costruirono osservatori astronomici molto precisi, mentre l'Europa dovrà aspettare sino al XVI secolo per averne di simili; non a caso quasi tutti le stelle portano nomi arabi. L'astronomo Abu'l Farghani scrisse un trattato astronomico che rimase in uso in Europa per 700 anni. L'astronomia si potè avvalere delle grosse conoscenze raggiunte nel campo della matematica: agli scienziati arabi si deve l'invenzione del numero zero e la compilazione di trattati su vari argomenti, tra cui il "Calcolo dell'integrazione e dell'equazione", risalente al nono secolo, che rimase in uso in Europa fino al 1600.
Nella medicina i progressi furono altrettanto importanti. Alle conoscenze dell'antica Grecia, della Siria e della Persia si unì l'influenza della medicina indiana e vennero ricercate e studiate numerose piante per fabbricare nuovi farmaci. Si costruirono numerosi centri medici e farmacie dove si potevano trovare anche spezie ed unguenti, poiché la cura del corpo aveva assunto una notevole importanza. Un persiano di nome Rhazes vissuto nel nono secolo scrisse ben 131 libri e il suo trattato sul vaiolo e la rosolia, il primo ad occuparsi accuratamente di una malattia infettiva, fu ristampato in Inghilterra fino al 1866.
Nel settore del materiale scrittoio si compì una importante innovazione: la diffusione dell'utilizzo della carta. Sino all'ottavo secolo in tutto l'Occidente si scriveva ancora su fogli di papiro o di pergamena. In Cina la carta di lino o di canapa era conosciuta fin dal primo secolo d. C. ; in seguito, si estese sino a Samarcanda e da qui agli Arabi che ne diffusero l'uso in tutto il mondo musulmano. Ciò contribuì a diffondere l'uso dei libri: a Baghdad vi erano più di 100 librerie e quasi in ogni moschea vi era una biblioteca. Soltanto nel XIII secolo la fabbricazione passerà in Occidente, in particolare in Italia e Francia. L'agricoltura nel crescente fertile, nel Nord Africa ed in Spagna subì una profonda trasformazione: nuove colture, soprattutto irrigue, vennero introdotte dagli Arabi in tutto il territorio musulmano e successivamente in tutto l'Occidente. Così agli antichi cereali coltivati nel mediterraneo romano si vennnero ad aggiungere il sorgo, arrivato dal sud ed il riso e la canna da zucchero da oriente. Agli Arabi dobbiamo molte altre piante diffuse nel Mediterraneo: il carciofo, lo spinacio, il cedro, il limone, l'arancio.

ARTE ISLAMICA

Fino alla conquista della Siria, l'unica arte praticata dalle popolazioni arabe fu la poesia; con il rapido diffondersi del nuovo credo, l'arte islamica si arricchì di altre forme di espressione che, nella maggioranza dei casi, consistono in una originale rielaborazione delle tradizioni dei paesi conquistati.
La rappresentazione di figure umane e di animali fu vietata perché poteva indurre all'idolatria e usurpare la funzione del creare propria di Allah, sicchè l'architettura e le cosiddette "arti minori" (ceramica, bronzi, miniature, tessuti, ecc. ) furono a lungo gli unici campi in cui poterono sbizzarrirsi gli artisti musulmani. Anche se non mancano resti di ponti, fortezze, fontane e palazzi, l'arte islamica è fondamentalmente religiosa e la moschea, il luogo di riunione e preghiera comune, ne è ovunque la massima espressione.
Il primo luogo di preghiera per i musulmani sorse a Medina e consisteva in un cortile con accanto un ampio ambiente chiuso; questo modello, combinato con elementi tratti dalle chiese cristiane, diede origine alle prime moschee che quindi seguono uno schema abbastanza preciso: un cortile rettangolare circondato da un portico con al centro una fontana e un bacino per le abluzioni (il lavaggio rituale di alcune parti del corpo prima della preghiera è imposto dal Corano). Adiacente al lato del cortile rivolto verso la Mecca vi è la moschea vera e propria, un edificio rettangolare, a volte sormontato da una cupola; sulla parete rivolta verso la Mecca si apre una nicchia, il MIHRAB (forse derivato dalle absidi) che indica la direzione cui rivolgere le preghiere. Accanto alla costruzione, solitamente alto e sottile, svetta il minareto (da MANARA = faro); un tempo elemento simbolico, assunse col tempo la funzione di luogo da cui il MUEZZIN chiama i fedeli alla preghiera.

Gli interni delle moschee sono solitamente molto decorati, soprattutto il MIHRAB e le parti alte, per attirare lo sguardo verso Dio. Per i motivi di cui si è detto e affinchè l'unico protagonista sia Dio, le decorazioni (mosaici, rilievi, stucchi, ecc. ) sono prive di figure umane o animali. In compenso, gli artisti musulmani si sono espressi in una grande varietà di fregi multicolori, spesso bellissimi ed intricatissimi, a volte elaborando caratteri della scrittura cufica e araba.

Una caratteristica di molte moschee è di essere costruite con materiali poveri e di dovere quindi la loro bellezza più alla qualità delle decorazioni che non al valore estetico del materiale stesso.
Le prime moschee compaiono durante la dinastia degli omayyadi e, pur rifacendosi al modello descritto, assumono col tempo e nelle varie aree geografiche aspetti molto diversi, spesso imitando le chiese cristiane locali. Col passare degli anni tendono a diventare più ricche e complesse: le decorazioni arrivano a coprire ogni superficie disponibile, nascondendo a volte gli elementi architettonici, variano il numero e la forma dei minareti, il MIHRAB si trasforma fino a diventare quasi un altare o una cappella, si introduce l'uso di nuovi materiali come i mattoni rossi e la ceramica per i mosaici. Accanto alle moschee compaiono i caravanserragli, i luoghi in cui le carovane riponevano le loro merci, gli ospedali e, nel XIII secolo, le MADRASE, gli edifici in cui si praticano gli insegnamenti religiosi.
Il divieto di raffigurare "esseri che respirano" è stato spesso ignorato, soprattutto nel decorare edifici privati e utensili. Compaiono uccelli, animali da fatica, bestie fantastiche e figure umane. Il califfo omayyade Walid I si fece ornare una residenza estiva con scene di caccia e di danza, il califfo abbaside al-Mutasin scelse invece delle danzatrici nude e ci fu anche chi si circondò di scene erotiche.
L'abilità ed il gusto degli artigiani islamici per la decorazione arricchirono ogni tipo di produzione artistica. Se ne avvantaggiarono anche le cosiddette "arti minori", tra cui la ceramica, i tessuti, le miniature e i tappeti, di cui oggi si conservano numerosi esempi di raffinata bellezza. Nelle ciotole, nelle tazze, nelle coppe furono riprodotti in grande varietà i consueti e intricati disegni. I tessuti, di lino o di seta, anch'essi splendidamente ornati, si diffusero rapidamente nel mondo islamico e in occidente a partire dall'Egitto, dove furono forse ereditati dalla tradizione copta. Le miniature si diffusero a partire dal XII secolo, grazie anche alle numerose scuole specializzate che sorsero un po' ovunque; inizialmente utilizzate per illustrare i libri di scienza, furono presto presenti in ogni tipo di testo.

LA DECADENZA DELL'IMPERO ARABO

L'ascesa della dinastia Abbaside fu la conseguenza dell'emergere di nuovi problemi che la gestione del potere poneva, data l'enorme estensione geografica ormai raggiunta dal califfato. Gli Abbasidi compresero la necessità di allargare la classe dirigente a gruppi etnici non arabi. Con la fondazione della nuova capitale, Baghdad, spostarono il centro nevralgico del paese più ad oriente, quasi in territorio iraniano. Contemporaneamente si stabilì un principio dinastico più esplicito che non nel passato. Il dissolversi progressivo degli Arabi nelle etnie autoctone ed il processo di arabizzazione di queste ultime favorirono l'accentuarsi di tendenze autonomistiche regionali. Nacquero infatti le dinastie locali, in apparenza sempre con l'investitura califfale ma in effetti largamente autonome: gli Idrisiti nel nord ovest dell'Africa, gli Aglabidi ed in seguito i Fatimidi in Ifriqyia ed in Egitto. Nello Yemen, in Oman, nel golfo Persico ed in Persia si crearono dei sultanati (dall'arabo sultan = principe). In pratica si arrivò allo spezzettamento dell'impero arabo e al suo conseguente indebolimento. In breve il califfato finì per avere un ruolo di ordine simbolico-religioso.
Le eccessive divisioni interne aprirono la strada del potere ad etnie non arabofone. E' infatti un curdo, Salàh-al-Din (Saladino), a porre fine al predominio dei crociati in Palestina ed a conquistare alla sua famiglia (la dinastia Ayyubita) l'Egitto. I Turchi Selgiuchidi (popolazione islamizzata ma non di lingua araba) già nel X secolo, dopo aver sconfitto i Bizantini, si erano insediati stabilmente in Anatolia. Da lì si preparavano alla sostituzione del califfato.

L'impero arabo era riuscito a giovarsi dell'apporto non beduino per dominare un territorio molto esteso abitato da diversi popoli, ed aveva disperso dai Pirenei all'Indo nuclei importanti delle tribù d'Arabia.
Gli Arabi, diffondendo l'Islam e la loro lingua ed al contempo assimilando le culture indigene, erano riusciti a creare una civiltà sincretica, un crogiolo di popoli accomunati da una forte identità religiosa e culturale che, nel periodo di massimo splendore funzionerà come punto di passaggio tra gli imperi antichi e gli stati moderni.
Dopo l'XI secolo il baricentro del mondo antico si spostò in occidente, nelle grandi città mercantili dell'Italia e del centro-nord dell'Europa. In questo periodo sopravvennero le grandi crisi e le invasioni: nel 1258 gli eserciti mongoli conquistarono Baghdad e Tamerlano devastò la Mesopotamia, la Siria e l'Anatolia; al riparo da queste invasioni restò solo il nord dell'Africa. Rapidamente le splendide città degli Arabi caddero in rovina, Kairuan venne addirittura abbandonata

Le grandi vie commerciali di un tempo subirono un processo di frammentazione che corrispose alla rottura dell'unicità del mondo musulmano. All'Islàm arabo si sostituirono un Islam turco, un Islam egiziano, un Islam magrebino e spagnolo. Le grandi scoperte geografiche europee del 1400 (la via marittima per le Indie e la scoperta dell'America) spostarono definitivamente il baricentro del mondo nell'oceano Atlantico e nell'oceano Indiano relegando in un ruolo di secondo piano l'area geografica musulmana. Iniziò la lunga decadenza araba, il periodo nero del dominio turco prima e della colonizzazione europea dopo, la lunga dipendenza economica, la faticosa lotta per uscire da secoli bui attraverso una ritrovata identità.
La nazione araba si trova ancora oggi in una situazione in cui l'elemento centrifugo convive con l'elemento unitario che resta un'aspirazione profonda a cui però manca un forte centro propulsore. In questa dualità si ritrova tutta la storia araba contemporanea.