Stalin e Rivoluzione Russa

LA RUSSIA - DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE ALL'OTTOBRE 1917

LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO

LENIN E LE TESI DI APRILE

LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE

I PRIMI ANNI DI GOVERNO BOLSCEVICO

IL COMUNISMO DI GUERRA

LA GUERRA CIVILE e le prime difficoltà del governo bolscevico fino al 1921

LA NEP - La Nuova Politica Economica

STALIN (acciaio)
(pseudonimo di JOSIF VISSARIONIVIC DZUGASVILI)

Chi era Stalin

L' ECONOMIA PIANIFICATA - I  PIANI QUINQUENNALI - LA COLLETTIVIZZAZIONE

1929-1930  + 1931-1932 2+2 = 5 anni

LA SOCIETà SOVIETICA NEGLI ANNI DELL'ECONOMIA PIANIFICATA

RISULTATI   (E  STAKHANOVISMO)

IL SECONDO PIANO QUINQUENNALE

IL CULTO DEL CAPO dalle icone russe.... alle icone rosse

"il culto di Stalin"

1937 - "IL GRANDE TERRORE"

L'ORGANIZZAZIONE DEL TERRORE

IL CULTO DI STALIN RAGGIUNSE L'APICE


LA RUSSIA
DALLA PRIMA GUERRA MONDIALE ALL'OTTOBRE 1917

Il 28 giugno 1914,  a Sarajevo, l'erede al trono asburgico, l'Arciduca FRANCESCO FERDINANDO, venne assassinato da uno studente nazionalista (PRINCIP)
Fu la scintilla che fece esplodere le tensioni che da anni si covavano in Europa.

L'Austria lanciò un ultimatum alla Serbia, presto trasformatosi in una dichiarazione di guerra; e con l'impero austro-ungarico si schierò la Germania.

La Russia voleva assolutamente evitare un'avanzata austriaca nei Balcani e decise di stare dalla parte serba.

La stessa cosa fece la Francia e più tardi l'Inghilterra. (si ripresentavano le stesse condizioni del 1829) Ad esse si aggiunse poi anche l'Italia.

Era la prima guerra mondiale, ma tutti erano persuasi che sarebbe stato un conflitto di breve durata; la realtà fu ben diversa, fu una spaventosa guerra che in tragiche e sanguinose battaglie vide la morte di oltre 10 milioni di persone.

Ed alla sua conclusione imperi secolari, come quello tedesco o austro-ungarico, erano stati cancellati.

Ed anche in Russia, la guerra segnò la fine decisiva della dinastia dei ROMANOV, nell'ottobre del 1917, lo Zarismo venne spazzato via dalla rivoluzione comunista di LENIN.

Ma, ormai da tempo l'impero zarista era attraversato da una grave crisi che nella guerra conobbe il suo atto finale.

Già le prime fasi del conflitto mostrarono l'inadeguatezza dell'esercito russo, che combatteva con ardore, ma le armi erano scarse ed inefficienti, i soldati mal addestrati e pareva non esserci alcuna programmazione; l'esercito spesso sembrava un'armata allo sbaraglio. Vi era assenza di munizioni, trasporti e validi capi militari.

I disastri delle battaglie di Tannenberg e dei laghi Masuri subìti ad opera della Germania furono la conseguenza di queste deficienze.

Tuttavia l'esercito russo combatteva con coraggio, riuscendo ad impegnare soprattutto gli austriaci nelle prime fasi della guerra, e pur avendo subìto le due pesanti sconfitte dalla Germania riusciva a tenere le potenze "tedesche" impegnate anche sul fronte orientale.

Ma i costi umani che la guerra nel corso dei mesi imponeva alla Russia diventarono ben presto insostenibili. L'esercito russo sacrificò al suo ardore quasi 5 milioni fra morti e feriti. Il coraggio era inutile di fronte alla troppa disorganizzazione.

Naturalmente questo non poteva non avere ripercussioni interne, in patria la situazione già critica con la guerra si fece insostenibile. Ben presto cominciarono a mancare alimenti e ogni bene di prima necessità, l'impoverimento del popolo russo aumentò a dismisura ed inoltre milioni di famiglie, specie contadine, vedevano partire i loro giovani verso una guerra che si stava rivelando un'orrenda carneficina.

In quel momento lo zar NICOLA II avrebbe dovuto quantomeno accogliere alcune minime richieste del popolo affamato, ma niente di ciò avvenne e le conseguenze furono tragiche. NICOLA II poi, con una decisione quantomeno avventata, decise di mettersi lui al comando delle forze armate, lasciando in pratica la Russia nelle mani della Zarina, una donna di vedute miopi e reazionarie. Negli anni precedenti, di fatto il potere in Russia era nelle mani dell'ambiguo consulente della zarina, il misterioso monaco RASPUTIN, un uomo che ha alimentato numerose leggende.
Costui era un avventuriero d'origine contadina che, sfruttando il fanatismo religioso della zarina, si era conquistato la sua fiducia, spacciandosi nientemeno che "emissario di Dio". Il governo, i ministri erano in pratica succubi di Rasputin. A questo punto anche negli ambienti aristocratici la situazione era giudicata non più tollerabile: un vero governo in pratica non c'era, la guerra si era rivelata un disastro e nelle piazze le agitazioni andavano montando. Gran parte dei deputati della Duma decise che era ora di fare qualcosa. Era il febbraio 1917 (tra l'altro c'è da segnalare che nel dicembre del 1916 Rasputin, in circostanze mai pienamente chiarite, era stato assassinato da esponenti di circoli conservatori)

LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO

Nei giorni dal 23 al 26 febbraio (secondo il calendario russo) si consumò il destino dello Zar. In quei giorni Pietrogrado (nome assunto da Pietroburgo durante la guerra) fu teatro di violente e spontanee manifestazioni di piazza contro la mancanza di viveri e la diffusa povertà. La polizia zarista, quella che sparò sul popolo nella già citata "domenica di sangue" del 1905, venne disarmata, anzi, in larga parte solidarizzò con gli insorti. Le truppe fedeli al regime richiamate dal fronte non riuscirono a giungere sul posto per un massiccio sciopero dei ferrovieri.

Così l'iniziativa la prese la Duma, contro il volere dello Zar. Venne formato un governo provvisorio guidato dal principe LIVOV, tra i cui ministri c'erano il capo del partito dei cadetti MILJUKOV e KERENSKIJ, unico esponente di sinistra.
NICOLA II, giudicò illegittimo questo governo, ma non potè che prenderne atto e, su insistenza dello stesso nuovo governo, finì per abdicare. La futura guida istituzionale - si disse - l'avrebbe decisa un'assemblea costituente. Cadeva così il dominio degli zar, era la cosiddetta rivoluzione di febbraio.

Nei mesi in cui il governo operò, circa 7 furono i provvedimenti presi, abbastanza notevoli: vi fu davvero libertà sia di stampa sia di parola sia di religione. I cittadini divennero uguali davanti alla legge e fu sancito il diritto allo sciopero. Ma i nuovi governanti dovettero ben presto rendersi conto di quanto la guerra aveva radicalizzato la situazione. Il governo, pur nelle sue benevole intenzioni, ignorò le vere richieste del popolo: che chiedeva pace e terra.

Il popolo non voleva più la guerra, voleva le terre dei padroni ed una vera riforma agraria.

Invece il governo decise di proseguire la guerra, non rendendosi conto che, specie dopo la caduta dello Zar, l'esercito si stava sfaldando e migliaia di soldati tornavano da disertori in patria desiderosi di farla pagare ai responsabili delle loro sofferenze.

Ma il nuovo governo aveva un altro insidioso avversario: dopo la caduta dello Zar si era riformato il SOVIET DEGLI OPERAI, nato nel 1905 come abbiamo in precedenza visto, che divenne ben presto una sorta di contropotere per il governo. Con il Soviet i nuovi ministri si consultavano prima di prendere le loro decisioni, si creò la cosiddetta "dualità di poteri". E ben presto in tutta la Russia i Soviet cominciarono a spuntare come funghi; le masse cominciarono a vedere in quegli organismi le persone che potevano davvero rappresentarle. Essi furono una sorta di pungolo per il governo, e se inizialmente dominati da socialisti moderati, si rivelarono decisivi nella futura rivoluzione di ottobre. Collaborazione tra governo e Soviet vi fu, ma la questione della guerra e della terra li divise irrimediabilmente.

Gli attacchi contadini alle proprietà padronali si moltiplicavano ed il governo cominciò ad essere pressato anche dagli ambienti conservatori che chiedevano ristabilimento dell'ordine.

LENIN E LE TESI DI APRILE

Il 16 aprile 1916, LENIN, leader del partito, all'epoca minoritario, bolscevico, tornò in Russia dopo l'esilio decretato all'epoca di STOLYPIN, grazie, ironia della sorte, all'aiuto tedesco che gli mise a disposizione un vagone ferroviario (indubbiamente si aspettavano qualcosa in cambio una volta che Lenin avesse preso le redini della rivoluzione). Fino a quel momento tra governo e Soviet vi erano stati contrasti, ma gli operai ritenevano impossibile prendere loro il potere essendo ancora una forza minoritaria.

LENIN invece, nelle sue "Tesi di aprile", stupì tutti, anche all'interno del partito. Assunse una posizione estrema e decisa: era ora che la rivoluzione da borghese diventasse proletaria, la guerra aveva dimostrato il fallimento del capitalismo, era l'ora del socialismo, l'ora che il potere andasse al popolo. "Tutto il potere ai Soviet" diceva LENIN, basta con la guerra imperialista,  i proletari mandati dai loro corrotti governi ad ammazzarsi per nulla,  dovevano in ogni contrada della Russia solidarizzare.

LENIN auspicava una sorte di "guerra civile europea", ovunque gli sfruttati dovevano reagire alle prepotenze dei loro governi. E, - disse ancora - era ora che le terre dei ricchi padroni "arcisfruttatori" venissero confiscate e date a chi le lavorava. Non si doveva più appoggiare il governo provvisorio, ma i Soviet dovevano prendere il potere.

LENIN sapeva quali corde toccare, era un programma con venature demagogiche, ma è innegabile che veniva incontro alle vere esigenze del popolo. Le masse, specie contadine, non conoscevano nè MARX, nè il COMUNISMO, ma parole come PACE e TERRA bastavano per accontentarli.

Tuttavia le resistenze che LENIN incontrò all'interno del partito furono notevoli, molti, fra cui il giovane STALIN (1879-1953) lo reputarono un avventuriero.

Ma il governo sottovalutò la forza propulsiva delle tesi leniniane; la guerra era ormai persa, ed era ora di uscirne, ma ciò non avvenne.

I contadini rischiavano di diventare una massa senza controllo. Verso l'inizio dell'estate del 1917 gli assalti alle proprietà dei ricchi assunsero i connotati di una rivolta incontrollata. Le dimore dei latifondisti vennero date alle fiamme, si prendevano i loro averi, le loro terre, e numerosi furono gli omicidi. Vasti settori nobiliari chiesero con insistenza che il governo ristabilisse l'ordine.

è tuttavia bene sottolineare, il carattere spontaneo di quei moti, nessuno dirigeva gli operai o i contadini che si ribellavano, erano mossi solo dall'odio verso i ricchi. Come è stato dagli storici sottolineato, le masse erano ben lungi dall'essere già bolscevizzate, agivano d'istinto e con gli atavici livori nei confronti dei loro sfruttatori.

Ma LENIN con abilità ed un pò di cinismo capì l'importanza che potevano assumere quei moti, si era formato un clima ideale per abbattere il potere.

Nel governo vi furono importanti cambiamenti, KEREMSKIJ divenne primo ministro ed il leader del partito socialrivoluzionario, CERNOV, forte nelle campagne, ministro dell'agricoltura. Ma non servì anzi, il governo si stava screditando e stavolta a tutto vantaggio dei bolscevichi che mai vollero entrare a farvi parte.

Quando nel luglio 1917 gruppi di soldati, marinai ed operai tentarono un colpo di stato, LENIN giudicò prematuro il moto, ancora non aveva ottenuto l'auspicata maggioranza alla sua linea nei soviet. Così quel tentativo di prendere il potere, venne duramente stroncato e fu allora che vasti settori della destra, capeggiati dal generale KORNILOV, chiesero di arrestare i bolscevichi e di ristabilire l'ordine al più presto anche nelle campagne. Il governo capeggiato da KERENSKIJ fece arrestare numerosi seguaci di LENIN, ma ben presto si trovò sospeso nel vuoto. L'obiettivo di KORNILOV era quello di far cadere KERENSKIJ e di prendere lui il potere, il che avrebbe probabilmente voluto dire una dittatura militare, fu così che minacciato da destra e da sinistra KERENSKIJ si rivolse a quest'ultima e per la prima volta si appellò al popolo.

Liberò i bolscevichi che lui stesso aveva arrestato e consegnò loro armi perchè insieme ad altre forze socialiste salvassero il suo governo dalla minaccia di KORNILOV.

L'operazione riuscì, dal 9 al 14 settembre a Pietrogrado gruppi di operai ingaggiarono un duello feroce con le truppe fedeli a Kornilov riuscendo a sconfiggerle. Il governo era salvo e Kornilov venne arrestato, ma ormai Kerenskij si era screditato agli occhi dei bolscevichi e di gran parte delle masse che lo giudicarono ondivago ed opportunista.

Vi fu una nuova crisi ministeriale, Kerenskij formò il 25 ottobre il suo ultimo governo, il prossimo lo avrebbe fatto Lenin.

LA RIVOLUZIONE DI OTTOBRE

Dopo che fu battuto KORNILOV, LENIN, che era nuovamente stato esiliato in Finlandia, insistè sempre più che ora era davvero il momento di prendere il potere.

Intanto raggiunse l'agognato obbiettivo: avere la maggioranza nei Soviet, specie in quelli fondamentali di Pietrogrado e Mosca. A questo punto le sue pressioni verso un'insurrezione divennero continue e con lui si distinse il futuro capo dell'armata rossa: LEV TROCKIJ.

Ormai i bolscevichi vedevano aumentare ovunque i consensi, da partito minoritario quale erano prima della guerra, interpretando LENIN i desideri del popolo e sapendo ben adattare il programma bolscevico ai sommovimenti spontanei, i bolscevichi si erano guadagnati un appoggio ormai molto vasto.

KERENSKIJ, ormai isolato, promosse una conferenza democratica per ridare prestigio al governo, ma fu inutile, come inutile fu decretare di nuovo l'arresto dei bolscevichi; non aveva più truppe fedeli in grado di eseguire i suoi ordini.

LENIN incoraggiò la spontaneità rivoluzionaria. Manifesti che incitavano a prendere il potere, ad espropriare i ricchi, a lottare contro gli oppressori borghesi; ed esaltavano l'antico desiderio popolare di giustizia e vendetta sociale.

Così lenin riuscì ad imporre la sua linea al partito anche a chi come KAMENEV chiedeva un'assemblea costituente.

Il 12 ottobre TROCKIJ creò un comitato militare rivoluzionario che cominciò i preparativi per l'insurrezione.

La rivoluzione ebbe inizio il 25 ottobre 1917 e , come LENIN aveva previsto, incontrò scarsissima opposizione. Kerenskij inutilmente cercò di chiamare truppe fedeli, poi decise di fuggire.

Nella giornata del 25 i bolscevichi occuparono la capitale Pietrogrado, ed il 26 entrarono quasi indisturbati nel Palazzo d'Inverno.

Quel giorno nasceva il primo governo "socialista rivoluzionario della storia", e il "Consiglio dei Commissari del Popolo".

I primi provvedimenti furono il decreto che sanciva la pace ed il decreto che dava le terre ai contadini, attuando il quale, in pratica LENIN finì per adottare il programma dei socialrivoluzionari che in passato non aveva condiviso la linea rivoluzionaria.

LENIN prese il potere convinto dell'imminente scoppio della rivoluzione a livello europeo, il che non avvenne mai, ma in occidente il suo governo non venne visto come duraturo, fu giudicato di passaggio, ma anche questa fu un'illusione.

"La situazioneè grave. La capitaleè in preda all'anarchia. Il governo è paralizzato. I mezzi di trasporto e i rifornimenti di viveri e di combustibile sono completamente disorganizzati. Il malcontento generale va aumentando. Si spara a casaccio per le strade. In alcune località le truppe combattono fra loro.è necessario affidare subito l'incarico di formare un nuovo governo a una persona che goda la fiducia del paese. Non c'è un momento da perdere. Procrastinare equivale a morire. Prego Dio che in quest'ora tragica la responsabilità non ricada sul monarca".

Era il 26 febbraio 1917 (secondo il vecchio calendario giuliano in uso in Russia; nel resto del mondo era l'11 marzo. D'ora in poi si indicherà tra parentesi la corrispondente data "europea"). A rivolgersi con queste accorate parole al suo zar era il presidente della Duma (la prima camera rappresentativa russa, dotata di poteri legislativi fortemente limitati dallo zar) dopo i disordini scoppiati nei giorni immediatamente precedenti nella capitale, Pietrogrado.

L'Europa e la Russia erano entrate nel quarto anno di guerra ma ancora non si vedeva uno sbocco ai combattimenti. Tuttavia, all'origine della rivoluzione del febbraio 1917, che si sarebbe poi trasformata nell'anticamera della conquista bolscevica del successivo ottobre, non c'era solo il lungo conflitto con gli imperi centrali, condotto in modo disastroso e iniquo. Certo, l'incompetenza totale dei vertici militari era sotto gli occhi di tutti: sui campi di battaglia avevano perso la vita più di un milione e settecentomila russi, lanciati praticamente inermi contro il micidiale fuoco tedesco. Dei tredici milioni di soldati schierati al fronte ben dodici erano contadini. Esasperati da vessazioni inimmaginabili, urlavano ai loro comandanti: "Dateci da mangiare, dateci qualcosa per vestirci e riscaldarci, altrimenti non combatteremo più e ci consegneremo tutti prigionieri".

Ma pochi chilometri dietro le linee anche la società civile subiva analoghe, mortificanti privazioni: problemi di approvvigionamento alimentare, la paralisi del sistema burocratico e una spaventosa inflazione stavano colpendo un pò tutti, ma soprattutto le classi più povere.

Dicevamo però che lo sbocco rivoluzionario del 1917 aveva cause più remote. Era infatti il frutto di una crisi lunga e profonda che affondava le sue radici all'inizio del XX secolo. Il moderno sviluppo della società civile russa aveva trovato nella sclerosi zarista uno dei principali ostacoli. Nemmeno gli interventi riformatori succeduti alla scossa rivoluzionaria del 1905, la creazione della Duma e il ministero illuminato di Stolypin riuscirono a scalfire l'ancien régime di Nicola II e a introdurre le riforme economiche, politiche e sociali necessarie al paese. Il malgoverno, un'autocrazia egoista che spesso travalicava nell'arbitrio pseudocostituzionale, la corruzione della corte e lo spaventoso indebitamento con l'estero si sarebbero sommati, dopo lo scoppio del conflitto, ai sacrifici imposti dal regime di guerra.

È così che il latente processo di dissoluzione dell'organismo imperiale russo, sommando mali antichi a tragedie moderne, sfociò, non senza preavviso, nelle giornate rivoluzionarie di febbraio.

Alla fine del 1916 il malcontento per la guerra era cresciuto pressoché in tutti gli strati della popolazione. Il fronte interno si stava sgretolando di fronte ai primi scioperi operai nelle grandi città. Nei villaggi, invece, come segnalavano i rapporti della polizia: "V'è un netto aumento fra i contadini di sentimenti ostili non solo verso il governo, ma verso altri gruppi sociali come gli operai di industria, i funzionari di stato, il clero ecc.".

Già nel mese di gennaio 1917, in occasione dell'anniversario della rivoluzione del 1905, si erano avute imponenti manifestazioni e scioperi operai contro lo zar. In un rapporto della polizia redatto negli stessi giorni si legge:
"Il proletariato della capitaleè ai limiti della disperazione; si ritiene che la più piccola esplosione, dovuta al minimo pretesto, condurrà a sommosse incontrollabili, con decine di migliaia di vittime. Effettivamente esistono già le condizioni d'una simile esplosione; la situazione economica delle masse, malgrado un importante aumento dei salari, rasenta la disperazione. [...] La proibizione di ogni riunione, anche per organizzare cooperative o cantine, la chiusura dei sindacati, fa sì che gli operai, condotti dagli estremisti, e magari dai più rivoluzionari fra questi, assumano un atteggiamento apertamente ostile al governo e protestino contro la continuazione della guerra".

La tensione stava salendo fino al limite di rottura, le difficoltà economiche create dal lungo conflitto si erano ormai saldate al malcontento politico, ma dalle sale del Palazzo d'Inverno di Pietrogrado la realtà veniva accuratamente tenuta alla porta. Lo zar, che con nobile quanto insensato sprezzo del pericolo stava partecipando alle operazioni militari al fronte, riteneva che l'ordinaria amministrazione potesse tranquillamente essere sbrigata dai burocrati e dalla polizia.
A metà del mese di febbraio fu introdotto il razionamento dei generi alimentari, mentre nelle stesse ore la nuova sessione della Duma chiedeva ai "ministri incapaci" di andarsene.

La rivoluzione di febbraio prese il via il giorno 23 febbraio (8 marzo) a Pietrogrado, sotto forma di una manifestazione voluta dai partiti e dai sindacati. I bolscevichi, che allora costituivano una piccola formazione politica illegale, non la ritennero invece opportuna. Migliaia di operai, molti dei quali licenziati dopo gli scioperi di gennaio, si riversarono in strada sotto gli occhi attenti delle pattuglie cosacche. Tutto si svolse con la massima tranquillità, senza incidenti.

Il 24 febbraio (9 marzo) un'altra imponente manifestazione operaia sfilò, al canto della Marsigliese e al grido "Viva la repubblica" nelle vie del centro. La polizia questa volta non si limitò a controllare gli avvenimenti ma caricò una parte del corteo causando le prime vittime. Il primo ministro Galitzin, che invano aveva cercato pochi mesi prima di sottrarsi alla richiesta di Nicola II di reggere il governo, prese per buone le informative del ministro dell'interno Protopopov, che volevano la situazione poco preoccupante e sotto il controllo delle forze dell'ordine.

Intanto, in numerose città russe si stavano formando spontaneamente dei soviet. Originariamente noti come "consigli dei deputati degli operai", i soviet avevano poi mutato il loro nome in "consigli dei deputati degli operai e dei soldati". I due partiti che li governavano erano il menscevico, vicino alle esigenze del proletariato industriale, e il socialrivoluzionario, espressione della grande massa di soldati-contadini impegnati al fronte. Nelle confuse giornate di febbraio e marzo 1917, i soviet costituivano quindi l'unico organo amministrativo efficiente nel totale crollo delle istituzioni.

Il 25 febbraio (10 marzo) le proteste, questa volta guidate dai bolscevichi, si coagularono in un imponente sciopero generale, cui parteciparono, oltre agli operai, anche piccoli drappelli di soldati cosacchi. Si contarono numerosi morti, sia tra i manifestanti, sia tra la polizia fedele allo zar. Nicola II con un telegramma impose all'autorità di far cessare immediatamente i disordini, senza però spiegare come, mentre l'incertezza politica regnava pressoché sovrana. I manifestanti, privi di un capo, non sapevano quale sbocco dare alla rivolta: richiedere tramite la Duma un'assemblea costituente oppure trasferire tutto il potere ai soviet? Ma la rivolta, che non era stata ancora soffocata perché non si era avuta una vera azione repressiva, avrebbe resistito ai giorni successivi? Lo straordinario vuoto politico creatosi negli ultimi anni in Russia si rifletteva chiaramente nella confusione di quel giorno: le autorità credevano di aver completamente perso il controllo della situazione, mentre gli operai temevano che l'imminente repressione li avrebbe travolti.

E infatti, domenica 26 febbraio (11 marzo) l'ordine zarista sembrò avere la meglio. I manifestanti trovarono l'esercito già appostato agli angoli delle strade. Nella centrale piazza Znameskaja i soldati aprirono il fuoco con le mitragliatrici uccidendo quaranta persone. Un reggimento si ammutinò e uccise i propri ufficiali. Nel corso di tutta la giornata si ebbero circa centocinquanta vittime. Giunta la sera, il bilancio politico delle ventiquattrore appena trascorse era disastroso. Mentre si rincorrevano le voci di un imminente arrivo di truppe dal fronte per sedare definitivamente le manifestazioni, i sindacati, gli operai e i partiti rivoluzionari non sapevano che fare. I bolscevichi sembravano voler gettare la spugna.

Come ha scritto lo studioso Marc Ferro:

"I bolscevichi non avevano avuto fiducia in questo movimento che non era stato da loro suscitato interamente e si erano limitati solo a seguire, tanto era diverso dalla forma di insurrezione armata che, secondo loro, era l'unica che potesse raggiungere lo scopo desiderato".

Chi ancora sperava in un successo era invece Aleksandr Kerenskij, avvocato eletto nella Duma tra le fila dei socialisti rivoluzionari. Nemmeno lui fino a quel momento era stato tra i promotori delle manifestazioni, limitandosi come molti altri a osservare da fuori lo sviluppo degli eventi. Quella sera riunì però a casa sua alcuni esponenti rivoluzionari per commentare la situazione e individuare una linea d'azione. Non si trovò un accordo praticamente su nulla: mentre secondo gli esponenti delle organizzazioni clandestine (gli unitari) occorreva muoversi con estrema cautela e proseguire nell'opera di propaganda tra gli operai, Kerenskij era entusiasticamente favorevole all'idea di incanalare immediatamente il malcontento in una svolta antiassolutistica. Paradossalmente, a tenere il freno e a dubitare della forza unitaria degli operai e dei soldati erano proprio gli esponenti delle organizzazioni clandestine, che, in sintonia con le più ortodosse teorie marxiste, pensavano che la vera rivoluzione sarebbe nata da sé solo dopo l'instaurazione di un regime di tipo capitalista.

Il 27 febbraio (12 marzo) i manifestanti furono accolti dai soldati dei reggimenti Pavlovskij, Volynskij, Litovskij e Preobrazenskij. Costretti il giorno prima a sparare sui cittadini inermi, durante la notte i soldati si erano ribellati, avevano ucciso i propri ufficiali ed ora distribuivano armi ai manifestanti. Insieme presero d'assalto il Tribunale. Nel primo pomeriggio, dopo alcuni scontri tra soldati lealisti e ammuntinati, la folla entrò nell'Arsenale impadronendosi di tutte le armi disponibili.

Intanto la sessione della Duma era stata sospesa d'autorità dallo zar. I delegati però si riunirono ugualmente. Gli eventi stavano precipitando, i rumori degli spari si stavano avvicinando e i delegati non riuscivano a trovare una linea d'azione comune: il presidente della Duma, Rodzjanko, sperava ancora in un benevolo e provvidenziale intervento della dinastia, alcuni delegati proposero invece un governo provvisorio militare, altri un governo provvisorio civile, altri ancora di affidare tutti i poteri alla Duma stessa. Mentre la discussione si stava arenando nelle paludi di mille proposte diverse, i manifestanti entrarono nei giardini dove aveva sede l'assemblea. Chiedevano cosa si dovesse fare. L'unico a prendere l'iniziativa fu Kerenskij, che urlò alla folla: "Arrestate i ministri! Occupate le poste, i telegrafi, i telefoni! Occupate le stazioni e tutti gli edifici pubblici".

Ma la rivoluzione, che sembrava affondare come una lama nel burro delle asfittiche istituzioni imperiali, continuava ad essere priva di una centro organizzativo e di obiettivi concreti. Un gruppo di fuoriusciti politici appena liberati dalle prigioni e alcuni esponenti menscevichi, socialdemocratici e internazionalisti decisero allora di costituire un soviet degli operai e dei soldati. Uno sparuto drappello di bolscevichi, tra i quali il giovane Molotov, si aggiunsero più tardi. L'obiettivo primario, in quelle ore di confusione, era quello di appurare la consistenza dell'appoggio militare alla rivoluzione e di organizzare le difese contro un eventuale tentativo di restaurazione. Tuttavia, non era estranea al nuovo soviet anche l'ambizione di fornire un indirizzo politico agli sviluppi della rivoluzione. Fu decisa la creazione di milizie operaie, la pubblicazione di un foglio rivoluzionario e venne lanciata la proposta di una Assemblea costituente.

Di fronte alla presa di posizione del soviet, e nel timore di farsi scavalcare, la Duma ruppe gli indugi e decise un balzo in avanti. Messi da parte i timori istituzionali, accantonati gli appelli allo zar per un ministero di transizione, a tarda serata la Duma dichiarò di avere assunto l'autorità sul Paese: l'intento non era tanto quello di consolidare la rivoluzione bensì di mettervi un freno. Nella capitale russa coabitavano ormai tre diversi centri di potere: il governo zarista, formalmente ancora in carica, la Duma e il soviet degli operai, che si contendevano il diritto alla successione.

Nei due giorni successivi, 28 febbraio (13 marzo) e 1° marzo (14 marzo), la città cadde nelle mani degli insorti. Furono occupati la fortezza di Pietro e Paolo, l'Ammiragliato e il Palazzo d'Inverno. Si contarono diverse esecuzioni sommarie e saccheggi, ma non una vera e propria resa dei conti e tanto meno un bagno di sangue. La rivoluzione di febbraio, più che con la violenza si stava affermando grazie al disfacimento della vecchia struttura burocratica zarista.

Lo zar, che in quelle ore stava tentando di rientrare in treno a Pietrogrado, telegrafò all'imperatrice Alessandra: "Spero che tutto vada bene. Tempo splendido. Numerosi rinforzi arrivano dal fronte. Ti amo teneramente. Niki." Ma i rinforzi stavano invece giungendo tra le fila degli insorti, che ormai potevano contare, dopo le poche centinaia di soldati in rivolta dei primi giorni, sugli oltre 170.000 del 1° marzo.

La legittimità del potere assunto dalla Duma fu ratificato anche dal soviet, che tuttavia dichiarò il suo appoggio a un futuro governo soltanto "nella misura in cui avrebbe applicato un programma che avrebbe avuto il suo accordo". In pratica né la Duma né il soviet volevano scoprire troppo in anticipo le proprie carte. Entrambi gli istituti sapevano di essere completamente impotenti di fronte agli eventi, di non essere in grado di controllare minimamente gli sviluppi di una rivoluzione dall'inequivocabile carattere spontaneo e popolare. Tuttavia, gli uni non volevano rivelare agli altri il vuoto in cui si trovavano a dover agire. "In quel momento - ha scritto Marc Ferro - la Duma sognava di governare con l'esercito come spada ed il soviet come scudo; il soviet di mettere la Duma al timone con una rivoltella sulla tempia per poterla manovrare secondo la sua volontà; senza tuttavia ben sapere dove voleva andare".

Il 2 marzo (15 marzo) Duma e soviet si accordarono per la costituzione di un governo provvisorio presieduto da un liberale moderato, il principe Georgy Yevgenevich Lvov. Attorno al suo nome fecero quadrato una parte consistente dei rivoluzionari, compresa la frazione menscevica del soviet di Pietrogrado. Agli Esteri fu posto Miljukov, leader del partito dei cadetti, di tendenza liberale e costituzional-democratica, e alla Giustizia Kerenskij. Presentando il nuovo governo alla folla stipata nel salone dell'Imperatrice Caterina, in neoministro degli Esteri disse:
"Soltanto tre giorni or sono eravamo appena una modesta opposizione ed il governo russo sembrava onnipotente... Ed ora siamo noi ed i nostri amici dell'ala sinistra che la rivoluzione, l'esercito ed il popolo russo hanno condotto a questo posto d'onore quali membri del primo governo che rappresenti il popolo... Mi si domanda: Chi vi ha eletti? - Nessuno... Perché se ci fossimo messi ad aspettare un'elezione, nel frattempo saremmo stati spazzati via. Siamo stati eletti dalla rivoluzione".

Il discorso fece il suo effetto, raccogliendo le ovazioni del pubblico, che tuttavia avrebbe voluto avere qualche rassicurazione in più sullo sviluppo in senso repubblicano delle istituzioni del Paese. In realtà il fragile equilibrio sul quale si reggeva l'accordo Duma-soviet era basato sull'ambiguità. La forma del nuovo regime sarebbe stata infatti stabilita in seguito da una Assemblea costituente: ma era ormai chiaro che una buona parte della Duma avrebbe preferito mantenere sul trono i Romanov, mentre il soviet puntava a un ordinamento di tipo socialista.

In quelle stesse ore, colui che sarebbe diventato l'artefice del colpo di stato dell'ottobre 1917, venne finalmente a conoscenza della rivolta di Pietrogrado. Secondo una accurata ricostruzione fattane da Solzenicyn, la notizia colse Lenin alla sprovvista, seduto a tavola davanti a un piatto di bollito nel suo appartamentino di Zurigo, dove da qualche tempo si trovava in esilio. Consapevole dell'arretratezza politica delle masse russe, Lenin aveva completamente abbandonato la speranza di suscitare una sollevazione in patria. Da alcuni mesi stava infatti lavorando alla scissione del partito socialista svizzero, in modo da preparare il terreno a una (improbabile) rivoluzione proletaria che dalla Svizzera avrebbe dovuto contagiare tutta l'Europa. Fu un suo stretto collaboratore a informarlo, all'ora di pranzo, che a Pietrogrado pochi giorni prima era scoppiata la rivoluzione. I moti popolari, la Duma, i ministri arrestati e nessuna parola sulla sorte dello Zar. Queste le notizie ridotte all'osso che poco dopo Lenin lesse, tra l'incredulo e lo stupito, sui giornali svizzeri.

(vedi qui l'interessante pagina del "raro" opuscolo di Lenin, "Stato e Rivoluzione", scritto un mese prima ma non ancora pubblicato. Da scrittore divenne poi attore)

Paradossalmente, ancora una volta il partito ultrarivoluzionario di Lenin giungeva in ritardo all'appuntamento con la storia. Già era successo nel 1905, quando i bolscevichi si erano uniti alla "piccola rivoluzione" guidata dal prete Gapon. Ora, la rivoluzione russa li coglieva di sorpresa per la seconda volta. La pattuglia bolscevica a Pietrogrado sembrava infatti essere completamente fuori dai giochi e in posizione nettamente minoritaria. I suoi attivisti presenti in città in quelle convulse giornate erano completamente disorientati e privi di direttive.
La sera di quello stesso 2 marzo, Nicola II non riuscì ad arrivare nella capitale, ormai isolata dagli scioperi.

Nei giorni precedenti era stato raggiunto da notizie frammentarie e discordanti, ma, nonostante gli inviti a individuare una soluzione politica alla rivolta, lo zar si era ostinatamente arroccato su una intransigente difesa dell'ordine costituito e aveva disposto la repressione dei moti insurrezionali. Bloccato nella località di Pskov, a più di 200 chilometri da Pietrogrado, decise infine di sospendere l'invio di truppe verso la capitale e di abdicare a favore del fratello, il granduca Michele. I testimoni presenti all'evento raccontano della calma e dell'apparente indifferenza dello zar: "Si era dimesso dal suo impero come un capitano rinunzia al suo squadrone". Ma sul suo diario Nicola II scrisse: "Parto da Pskov con l'animo oppresso da quanto vi ho vissuto. Attorno a me, tuttoè soltanto tradimento, viltà, furfanteria".

Poche ore dopo, la pressione popolare e il timore di nuovi tumulti indussero anche Michele a farsi da parte. L'antica dinastia dei Romanov, che regnava su tutte le Russie dal 1613, era stata scalzata dal trono in pochi giorni e quasi senza colpo ferire.
La rivoluzione di febbraio si era formalmente conclusa. Ma, scomparso dalla scena Nicola II, il conflitto di potere tra il governo provvisorio e i soviet, specialmente su chi avesse dovuto controllare l'esercito, era solo all'inizio. Intanto una sola cosa era certa, la guerra continuava.

A fine marzo il barone von Romberg, ambasciatore della Germania a Berna, comunicava al suo ministero degli esteri un messaggio segretissimo: "Gli esponenti rivoluzionari più in vista di qui vorrebbero ritornare in Russia attraverso la Germania…". La risposta giungeva di lì a poco: "Poiché è nostro interesse che in Russia prevalga la frazione radicale dei rivoluzionari, mi sembra opportuno autorizzare il transito". Il famoso vagone piombato di Lenin sarebbe partito da lì a pochi giorni. Dopo l'iniziale disorientamento il capo dei bolscevichi aveva abbandonato l'idea della rivoluzione svizzera e si preparava a tornare in Russia per scardinare il giovane governo provvisorio.

Poco prima di partire Lenin tenne un'infuocata conferenza alla Casa del popolo di Zurigo. Spiegò che la vera rivoluzione russa non era ancora avvenuta. I soviet, disse, si stavano preparando per l'insurrezione definitiva contro la borghesia.
Aveva ragione. Il carattere provvisorio della rivoluzione di febbraio era ormai sempre più evidente. I governi di Lvov e i due successivi di Kerenskij non riusciranno ad offrire al popolo russo, oltre all'abdicazione dei Romanov, nulla di concreto. Ai contadini non verranno concesse le terre, agli operai non sarà consentito il controllo sulla produzione e ai soldati verrà chiesto di continuare la guerra contro gli imperi centrali. Per un rivoluzionario come Lenin sarebbe stato poco più di un gioco da ragazzi trionfare sulla stanchezza e l'apatia di un popolo allo stremo.

I PRIMI ANNI DI GOVERNO BOLSCEVICO

Il nuovo governo bolscevico s'insediò a Pietrogrado il 9 novembre 1917, LENIN n'era a capo, TROCKIJ il responsabile degli affari esteri, mentre il "commissario del popolo per gli affari interni" fu RIKOV. Tra i nuovi governanti c'era anche l'allora semi sconosciuto STALIN come responsabile dei rapporti con le minoranze nazionali.

C'era ora da ricostruire un paese uscito prostrato dalla guerra, da ricreare il settore industriale ed agricolo e da risollevare tutta l'economia. Non a caso, Lenin aveva preso il potere nella ferma convinzione che di li a poco lo scoppio di una rivoluzione a livello europeo, a partire soprattutto dalla Germania, avrebbe consentito una sorta di cooperazione internazionale fra Russia ed Occidente.

Ma la convinzione dominante ovunque, in parte anche fra gli stessi bolscevichi, era che difficilmente il nuovo governo avrebbe potuto durare e che la sua caduta sarebbe stata al massimo, questione di mesi.

Verso la fine del 1917 si votò per la creazione dell'assemblea costituente, una questione che Lenin aveva rimandato, come abbiamo visto, a dopo la presa del potere (mentre alcuni bolscevichi ne chiedevano la nascita quando ancora era in vita il governo provvisorio). L'assemblea si riunì per la prima volta il 18 gennaio 1918, ma essa a dispetto delle speranze bolsceviche, segnò una netta maggioranza per i socialrivoluzionari, che ottennero, nelle loro varie componenti, 410 seggi su 707. I bolscevichi n'ebbero solo 170, ma i partiti moderati, praticamente scomparvero (i cadetti ebbero solo 16 seggi). Certo, si era votato in condizioni particolari, ma ciò testimoniava quando la situazione si fosse radicalizzata nel corso della guerra.

I socialrivoluzionari, partito comunque con connotati marxisti, e i bolscevichi insieme avevano 590 seggi ai quali si dovevano aggiungere gli ulteriori 16 dei menscevichi. La maggioranza per i partiti di sinistra era schiacciante. Ma ai bolscevichi non bastò. Il voto contadino era andato in massa ai socialrivoluzionari, ma Lenin sostenne che era diritto del proletariato urbano delle fabbriche, roccaforte bolscevica, di decidere la vera forma di governo. Così il 19 gennaio, truppe bolsceviche sciolsero l'assemblea con la forza. Da quel momento iniziava a tutti gli effetti, il dominio bolscevico in Russia. Sarebbe terminato 72 anni dopo.

Tuttavia in quel frangente il popolo, ceti contadini compresi, non reagì con particolari proteste allo scioglimento dell'assemblea. Infatti, nelle campagne i contadini cominciavano a vedersi assegnare le terre degli odiatissimi padroni e ciò, unito alle promesse di imminente fine della guerra bastava a contentarli.

Ed infatti, il primo vero provvedimento del governo bolscevico fu l'uscita dalla guerra, attraverso l'armistizio con la Germania. Il protagonista delle trattative fu Trockij, ma arrivare alla pace fu molto difficile. Le condizioni che la Germania voleva imporre alla Russia erano tremende sotto il punto di vista territoriale ed economico. Nello stesso partito bolscevico, molti esitavano davanti alle pretese tedesche, che rischiavano di annichilire definitivamente la Russia, anche se ancora confidavano che presto anche in Germania la rivoluzione avrebbe risolto tutto. Fu Lenin che decise di tagliare la testa al toro, fondamentale disse che era l'ora di "uscire dalla guerra", perchè lo voleva il popolo, che così anche più in fretta avrebbe dimenticato lo scioglimento dell'assemblea costituente. Si arrivò allora alla pace di Brest-Litovsk. Le condizioni imposte alla Russia furono davvero terribili. Essa perse: Finlandia, Lettonia, Estonia, Lituania, Ucraina e Polonia, quasi 1/4 del suo territorio. In più dovette cedere un numero enorme di zone agricole oltre a fabbriche e miniere.

Era una vera catastrofe, che però venne parzialmente attenuata quando la Germania fu irrimediabilmente sconfitta nella guerra dalle forze dell'intesa (ed, ironia della sorte, toccò allora alla Germania subire una pace punitiva di dimensioni enormi, voluta soprattutto dalla Francia, cioè la pace di Versailles).

In politica interna intanto i bolscevichi avevano cominciato a dare ai contadini gran parte delle terre disponibili, iniziando una collaborazione col mondo rurale, destinata ben presto ad incrinarsi.
(è di questo periodo -1918- la nascita dei primi KOLKHOZ. Cooperative volontarie di contadini, proprietari dei mezzi di produzione usati, mentre la terra rimaneva  di proprietà dello stato che la cedeva gratuitamente in uso al kolchoz. Questa istituzione divenne dal 1927 il fulcro della collettivizzazione agricola forzata.

Comitati di operai si formarono nelle fabbriche dove i lavoratori potevano controllare la produzione ed avevano ottenuto le auspicate otto ore lavorative. Nella primavera del 1918 il governo decise poi di avviare un'ampia opera di nazionalizzazioni e fu così che banche, industrie e l'intero commercio finì nelle mani dello Stato.

Naturalmente adesso si doveva trovare il personale in grado di gestire tutto ciò, e la creazione di un apparato statale valido fu uno dei più grandi problemi dei primi mesi di governo bolscevico. Ed inoltre ben presto i rapporti con le masse contadine peggiorarono. La nazionalizzazione delle terre imponeva che i contadini consegnassero parte delle eccedenze della loro produzione allo Stato, che li avrebbe indennizzati per quanto ceduto. Ma la cosa era assolutamente improponibile, perchè la quantità di cereali, grano, mais o altro ancora che lo stato cominciò a richiedere era ben superiore alle capacità di produzione del mondo rurale e gli indennizzi erano ben poca cosa. Fu così che la risposta dei bolscevichi per garantire l'approvvigionamento dello stato fu quella di creare le cosidette "squadre annonarie" che si sarebbero occupate di requisire ai contadini i beni in eccesso. Inoltre in questo compito furono coadiuvati dalla polizia politica creata dai bolscevichi fin dai primi mesi di governo: la CEKA.. L'esigenza di avere una sorta di "guardiano della rivoluzione" era infatti nata fin da subito. I poteri della Ceka, formata da nuclei di bolscevichi fedeli, erano molto estesi, essa doveva snidare i "controrivoluzionari" e i "nemici del popolo". Poteva incarcerare e procedere ad esecuzioni sommarie qualora lo ritenesse necessario. Fu presieduta da DZERZINSKIJ ed ebbe la sua sede nel famigerato palazzo della Lubjanka. Il ruolo delle squadre annonarie e della Ceka divenne ancora più importante, come vedremo, nell'era del "comunismo di guerra".

Qui preme sottolineare un'altra questione centrale che finì col lacerare in lunghe discussioni il partito bolscevico. Come accennato le nazionalizzazioni rendevano necessario creare un apparato burocratico ed amministrativo efficiente. Uno degli slogan che aveva dominato negli anni della rivolta era: " potere alle masse" .

Ma le masse erano davvero in grado di gestire il potere? Ben presto Lenin capì, che la risposta a quella domanda era no. Nelle fabbriche ad esempio gli operai esercitavano il controllo operaio, il più delle volte divertendosi ad ingiuriare e malmenare gli ex-proprietari declassati, col rischio che alla fine a rimetterci era la produttività. Lenin, indubbiamente con lucidità, capì che non era possibile dare il potere in mano a persone che avevano contribuito alla vittoria bolscevica, ma che non avevano nessuna esperienza, nè tantomeno conoscevano l'economia.

Nacque così il dibattito sui cosiddetti specialisti borghesi, in altre parole sul ruolo da assegnare alle persone formatesi al tempo degli zar, ma in possesso delle adeguate competenze per gestire l'apparato statale. Ed il loro ruolo fu di grande importanza per lo sviluppo della futura società russa. Così Lenin riconobbe che nelle fabbriche gli operai dovevano controllare la produzione e non essere sfruttati, ma che era ugualmente necessario che vi fosse qualcuno che conosceva i mezzi per produrre e che coordinasse gli operai nel loro lavoro. E questo qualcuno era quasi sempre un ex- funzionario zarista. Naturalmente la base operai non accettò queste decisioni, loro odiavano profondamente i vecchi padroni, ma dovette adeguarsi. Lenin fu infatti irremovibile, per incentivare l'economia ed aumentare la produzione il ricorso a chi già conosceva il mestiere era fondamentale. Per cui stimò necessario che, per esempio, medici, ingegneri, professori, formatisi nelle scuole zariste venissero tutelati e ben pagati pur essendo afflitti da "una mentalità borghese" .

Naturalmente però, per evitare che creassero problemi, che facessero propaganda antibolscevica vennero anche pesantemente controllati in tutte le loro azioni. Ma anche per esempio nella costruzione dell'armata rossa, il ruolo degli ex-ufficiali zaristi fu fondamentale per sviluppare un esercito forte ed addestrato; i nuclei proletari avevano entusiasmo, ma scarsissime conoscenze dell'arte militare.

Se parte degli specialisti borghesi vennero costretti a collaborare, bisogna riconoscere che molti lo fecero davvero con convinzione. D'altronde trovare un'intesa era nell'interesse sia del partito sia degli stessi specialisti. è però vero che essi spesso rischiavano di essere i capri espiatori di qualsiasi problema venisse a crearsi, e questo specialmente nelle fabbriche più lontane dalla capitale.

IL COMUNISMO DI GUERRA

Abbiamo visto che l'iniziale accordo tra Stato e ceto contadino, si era andato incrinando con la nascita delle prime squadre annonarie che avevano il compito di requisire il surplus agricolo. Presto il conflitto divenne una vera e propria guerra, quando cioè venne instaurato il cosiddetto "comunismo di guerra". Per garantire la produzione e gli approvvigionamenti si creò una vera e propria militarizzazione della società dal 1918 al 1920. In quegli anni il partito fu per lungo periodo isolato dal paese e restò in sella spesso grazie solo al pugno di ferro.
Il lavoro divenne obbligatorio, si era pagati (spesso in natura) in base a quanto si produceva, i sindacati vennero scavalcati, i lavoratori non potevano lasciare il posto di lavoro nè tantomeno scioperare. In caso contrario la Ceka reagiva con estrema brutalità. Fu introdotto un rigoroso razionamento ed aumentarono a dismisura le "missioni" delle squadre annonarie nelle campagne.

Ma nelle zone rurali, e poi anche nelle fabbriche, la reazione fu dura. Cominciarono ben presto a scoppiare una lunga e violenta serie di scioperi di protesta e di insurrezioni contadine col risultato che il paese finì nel caos totale. La rivolta più celebre fu quella della regione di Tambov, all'inizio del 1920, quando un uomo, ANTONOV, riunì sotto di sè un vero e proprio esercito contadino deciso a lottare contro i soprusi delle squadre annonarie.
Per reprimere quella rivolta dovette intervenire l'esercito guidato dal maresciallo TUHACESVKY, che agì con una brutalità estrema riuscendo solo dopo dure battaglie ad averla vinta. Ma rivolte minori si erano diffuse in numerose zone agricole e più volte parve che i bolscevichi stessero ormai per capitolare. La risposta fu il "terrore rosso", ovvero lo stroncare sempre e con decisione qualsiasi rivolta. I contadini spesso creavano vere e proprie organizzazioni con programmi politici e proprie rivendicazioni.

Merita però di essere sottolineato come spesso i contadini non mettevano in discussione la Rivoluzione d'Ottobre e la caduta dello zar, ma contestavano il dominio bolscevico, volevano che fosse rispettata la maggioranza uscita dall'assemblea costituente. Cioè non era in discussione il socialismo, ma il modo di attuarlo, si può dire, che iniziò qui il dibattito sul "socialismo dal volto umano", che trovò il suo apice tanti anni dopo nella primavera di Praga.

Tuttavia i bolscevichi non vollero, in quegli anni, alcuna collaborazione da parte dei socialrivoluzionari, forti fra i contadini, che anzi furono tra i maggiori obiettivi delle repressioni.

Ma all'inasprimento degli anni del comunismo di guerra, aveva contribuito anche un altro pericolo che pareva minacciare il potere bolscevico. Truppe controrivoluzionarie si andavano creando nella zona del Don, con la ferma intenzione di dare vita ad una controrivoluzione.

Si era alle soglie della ........

LA GUERRA CIVILE
e le prime difficoltà del governo bolscevico fino al 1921

Per guerra civile si intende il conflitto che dal 1918 al 1920 circa oppose l'Armata Rossa alle forze cosidette bianche controrivoluzionarie, ma anche le battaglie che, all'interno della Russia, continuarono ad opporre il ceto contadino, ma non solo, al potere bolscevico.

Fin dagli ultimi mesi del 1918 i generali KONILOV, DENIKIN e KOLCAK, cominciarono a radunare eserciti di volontari decisi a lottare contro il governo di LENIN. In poco tempo nel sud della Russia sorsero governi antibolscevichi presto estesisi verso le zone orientali. Così importanti città come Vladivostok, Samara e Murmansk caddero nelle mani delle forze bianche. Oltretutto varie nazionalità dell'ex impero zarista presero a chiedere l'indipendenza, come avvenne ad esempio in Crimea, rendendo ancora più difficile per i bolscevichi riuscire a resistere.

L'intenzione delle forze bianche era quella di arrivare a stringere d'assedio Mosca e poi Pietrogrado e costringere Lenin alla capitolazione, restaurando la monarchia zarista. Inoltre queste truppe furono rafforzate da soldati che specialmente Francia ed Inghilterra inviarono di supporto. Ma anche Italia, pur in misura ridotta, e Stati Uniti, decisero di sostenere la battaglia delle forze bianche. La loro iniziale avanzata pareva inarrestabile, Denikin riuscì a penetrare in Ucraina ed a marciare verso la città di Tula, che in pratica era l'ultimo importante avamposto bolscevico sulla strada per Mosca.

Intanto Kolcak la faceva da padrone in Siberia e da qui si spinse con decisione verso gli Urali. Sicuro della sua imminente vittoria Kolcak assunse il titolo di "capo supremo di tutta la Russia". Ma il pericolo più grande per i bolscevichi, lo creò un altro generale, JUDENIC, che penetrando con le sue truppe in Estonia riuscì ad arrivare a meno di 100 km. da Pietrogrado. L'armata rossa era inizialmente disorientata, troppi erano i fronti contro cui combattere e gli eserciti bianchi parevano nettamente superiori. Il governo bolscevico, alle prese anche con le agitazioni contadine e la penuria di approvvigionamenti, pareva ormai stretto in una morsa implacabile. Nel momento peggiore, con le truppe di Kolcak che premevano sugli Urali, i bolscevichi decisero di giustiziare lo zar deposto NICOLA II e tutta la sua famiglia per evitare che una vittoria "bianca" potesse significare il suo ritorno sul trono.

Dapprima i capi bolscevichi avevano pensato di istitruire  contro lo zar  un processo in cui Trockij avrebbe sostenuto il ruolo di pubblica accusa, ma gli sviluppi della guerra civile fecero precipitare la situazione. Nicola II, la zarina e i loro cinque figli furono barbaramente uccisi, i loro corpi vennero quindi bruciati e i resti furono gettati in un pantano.

Verso la fine del 1918 il governo di Lenin pareva stretto in una morsa implacabile; la sua caduta era ormai considerata certa.

Tuttavia anche le forze bianche fecero male i loro conti. Nelle zone che esse avevano invaso non si erano mai curate di ingraziarsi il favore della popolazione, anzi i loro metodi furono spesso più brutali di quelli dei bolscevichi. Abbiamo parlato del terrore rosso, ma esistette anche un terrore detto bianco di altrettanta violenza. Specie in Ucraina, le truppe di Denikin scatenarono furiosi assalti ai lavoratori sospettati di simpatie bolsceviche, cercando di guadagnarsi con la forza il consenso per creare i governi antibolscevichi. Oltretutto i generali "bianchi" si rifiutarono di riconoscere i movimenti di indipendenza nazionale sorti all'inizio della guerra civile.

Così vennero a crearsi delle situazioni paradossali. I contadini, pur essendo nemici del potere bolscevico, ancora di più cominciarono a temere le forze bianche. Abbiamo visto come nelle loro rivendicazioni, spesso i contadini non mettessero in discussione la caduta dello zarismo, ma sostanzialmente volessero che venisse attuato il programma social-rivoluzionario e che i bolscevichi non esercitassero più il totale monopolio del potere. Così agli occhi dei numerosi eserciti contadini creatisi per lottare contro le squadre annonarie bolsceviche, una eventuale vittoria di Kolcak o Denikin appariva come un possibile pericoloso ritorno al passato. Ovvero all'era di quello che chiamavano "il conservatorismo borghese", si temeva il ritorno del potere nelle campagne degli odiatissimi latifondisti "arcisfruttatori" come venivano definiti negli anni della rivoluzione.

Ed ecco che nacquero così casi come quello, molto celebre, di NESTOR MACHNO. Costui aveva creato una vera milizia, non solo contadina, decisa a lottare contro il potere bolscevico, ma davanti alla possibile vittoria di Kolcak, non esitò a schierarsi dalla parte di Lenin e a combattere a fianco dell'armata rossa. E furono molti i casi simili a quello di Machno; le truppe controrivoluzionarie in larga parte vennero viste come più pericolose della stessa armata rossa, perchè motivate da un livore atavico.

Presto poi, tra le truppe bianche cominciarono a scoppiare rivolte e diserzioni. Quelli erano eserciti giovani e molto etrogenei, uniti davanti alle prime vittorie, ma che quando l'armata rossa cominciò a riorganizzarsi ed a resistere iniziarono a sfaldarsi. Infatti l'esercito bolscevico, sotto l'abile guida di TROCKIJ, compì notevoli progressi che lo portarono ad infliggere le prime sconfitte alle armate bianche. Fu così che molti soldati di Denikin e di Kolcak cominciarono ad essere sensibili alla propaganda rivoluzionaria dei bolscevichi, che più volte lanciarono proclami verso i soldati nemici, perchè non combattessero per i voleri di generali "borghesi e reazionari".

Nel corso del 1919 numerosi soldati di origine popolare rifiutarono di scagliarsi contro l'armata rossa, che definirono composta da "amici". Le diserzioni raggiunsero l'apice nel contingente inglese, formato da persone spesso reduci dalla prima guerra mondiale partite per la Russia convinte di una facile vittoria, ma trovatisi di fronte ad una situazione che col tempo diventava più complessa. Si era diffuso insomma quello che FURET ha definito "fascino universale dell'ottobre", ovvero, nonostante tutti gli errori commessi dai bolscevichi nei loro primi anni di governo, essi apparivano pur sempre agli occhi di milioni di operai e non solo, nel mondo, i primi ad aver dato vita ad un governo di popolo.

Così il 1920 segnò la riscossa bolscevica, le truppe rimaste fedeli a Denikin vennero assalite in Ucraina, da dove il generale pensava di attaccare Mosca, e respinte in Crimea. Qui vennero male accolte dagli abitanti del luogo, che nei primi mesi della guerra civile avevano sperato di poter ottenere l'autodeterminazione ed avere un loro stato autonomo, ambizione che venne frustrata proprio dalle forze bianche.

JUDENIC provò ad attaccare Pietrogrado, ma venne respinto da un'accanita resistenza dell'armata rossa; ma la sorte peggiore toccò a KOLCAK, il cui restante esercito venne travolto, il generale arrestato e condannato a morte. L'ultima sacca di resistenza bianca era quella del generale VRANGEL, che provò a scatenare una nuova offensiva proprio verso la Crimea per sostenere l'esercito di DENIKIN ormai in rotta, ma fu inutile.

I bolscevichi attaccarono a loro volta Vrangel e lo respinsero verso la Turchia. La guerra contro le forze "bianche" si stava ormai per concludere con la vittoria dei bolscevichi.

Tuttavia un'altra grande insidia per il governo di Pietrogrado si creò quando nella primavera del 1920, la Polonia, sperando che le forze bianche riuscissero a resistere almeno qualche altro mese, decise di attaccare la Russia. L'intento polacco era quello di impadronirsi dell'Ucraina, nel tentativo di dare corpo alle antiche aspirazioni di una "grande Polonia" che inglobasse i territori definiti "etnicamente affini". L'esercito polacco era molto ben organizzato e riuscì a penetrare in vaste zone ucraine infliggendo duri colpi ai soldati bolscevichi. Tuttavia la recente vittoria contro le forze bianche permise alla Russia rossa di poter scatenare una controffensiva senza il timore che gli eserciti controrivoluzionari potessero approfittare del nuovo fronte di guerra venutosi a creare.

Alla guida dell'armata rossa contro i polacchi ci fu il maresciallo TUHACESVKIJ, che già aveva represso col pugno di ferro vari moti contadini. L'armata rossa scompaginò l'esercito polacco ed iniziò un'avanzata verso Varsavia senza incontrare una vera resistenza. Ma arrivati alle porte della città, dovette scontrarsi con una dura opposizione delle truppe polacche. Ne seguì la battaglia di Varsavia, nella quale l'armata rossa subì una dura sconfitta. Ciò frustrò le ambizioni bolsceviche, nate in seguito alle prime vittorie sui polacchi, di esportare la rivoluzione fino in Germania come Lenin da sempre auspicava.

Polonia e Russia alla fine giunsero alla pace di Riga che consentì ai polacchi di inglobare vasti territori nell'Ucraina.

Tuttavia adesso la guerra contro eserciti stranieri e controrivoluzionari era davvero finita; il nuovo governo bolscevico, più volte sull'orlo della caduta, aveva resistito.

Ma la fine di questa dura guerra non significò certo la pacificazione interna.

Le prime difficoltà del governo bolscevico

I mesi di combattimento aggravarono una situazione già molto delicata. Le spese sostenute durante le battaglie contro le forze "bianche" e contro la Polonia aveva avvicinato la Russia al definitivo tracollo economico.
Molte industrie infatti erano devastate e nelle campagne -da tempo senza braccia- già si intravedeva i drammatici effetti della carestia. Molto peggio la situazione nelle città -dove dalle campagne non arrivava più nulla - qui c'era ad ogni angolo lo spettro della fame.

L'unica risposta che il governo bolscevico seppe dare in quei mesi (e lo ritenne necessario) fu l'inasprimento del sistema del "comunismo di guerra". Le requisizioni nelle campagne crebbero a dismisura, sul lavoro si impose una durissima disciplina e si volle cancellare ogni forma di commercio privato (questo perchè ormai la borsa nera - con molti contadini che avevano nascoste le derrate- applicava prezzi da capogiro).

Così tra la fine del 1920 e l'inizio del 1921 si ebbe l'apogeo delle rivolte contadine. La più celebre, come detto in precedenza, avvenne nella provincia di Tambov, e fu guidata da un ex socialista-rivoluzionario, ANTONOV, che riuscì a creare una vera e propria milizia contadina formata da oltre quarantamila persone. Contro Antonov fu scagliato lo stesso esercito che aveva cacciato i polacchi dal suolo russo, sotto la guida di TUHACESVKIJ. In pratica adesso la guerra civile si era spostata sul fronte interno, i contadini, che come abbiamo visto, nella lotta contro i "bianchi" in gran parte si erano schierati con i bolscevichi, chiedevano adesso che il governo soddisfacesse i loro bisogni e che soprattutto terminassero le requisizioni forzate.

Ma la politica bolscevica fu quella della sola repressione; chi si rivoltava era un controrivoluzionario, e perciò con lui non si poteva trattare. Ma a preoccupare ancora di più il governo di Lenin, furono le proteste che cominciarono a venire in misura sempre maggiore dal ceto operaio, da sempre feudo bolscevico. Anche nelle fabbriche si estesero scioperi, che subito vietati, sfociarono in vere e proprie insurrezioni contro la militarizzazione del lavoro ed i turni massacranti. Ciò spaventava i bolscevichi ancora di più della rabbia contadina, perchè gli scioperi nelle fabbriche potevano paralizzare definitivamente la produzione. Perciò la repressione del malcontento operaio fu fulminea: e la si volle esemplare per evitare che potesse estendersi.

Ma il più duro colpo per i bolscevichi in quei mesi fu sicuramente l'ammutinamento della base militare di Kronstadt, che nel 1917 era stata uno dei fulcri della rivoluzione. Ora i marinai, delusi dal governo bolscevico, si rivoltarono. Era dunque evidente che i bolscevichi non potevano continuare con quella politica, il regime rischiava il più totale isolamento dal grosso della popolazione. Nello stesso governo serpeggiava malumore e cominciarono a formarsi dei gruppi d'opposizione; il proibire le correnti nel partito nel 1921 servì a ben poco.

Come se non bastasse nel corso di tutto il 1921 esplose nelle zone agricole una terribile carestia, che portò alla fame milioni di persone.

LENIN si rese conto che era ora di cambiare politica, non era più possibile giustificare la durezza del momento e dare la colpa agli effetti devastanti della guerra mondiale e della guerra civile.
Era pur vero che le guerre avevano contribuito ad immiserire la Russia, ma di certo fino a quel punto, poco o quasi nulla i bolscevichi avevano fatto per risollevarla.

Fino allora la risposta alle lamentele della società era stata la militarizzazione, adesso si doveva cambiare.

LA NEP
La Nuova Politica Economica

Il X° Congresso del partito bolscevico segnò la fine del "comunismo di guerra" ed il varo della cosiddetta "Nuova Politica Economica", la NEP.

Non tutti erano concordi con la decisione di Lenin, ma il massimo capo sovietico utilizzò la sua autorità per superare le opposizioni. Non c'é dubbio che il mutamento rispetto agli anni del comunismo di guerra apparve notevole. Finalmente si stabilì che venissero attenuate le requisizioni nelle campagne (dove molti imboscavano le derrate) e che il loro posto fosse preso da un'imposta in natura che i contadini dovevano consegnare secondo una quota prefissata; dal 1923 questa imposta venne pagata in denaro. Così ai contadini restava la possibilità di tenere parte del raccolto e fu loro consentito anche di commerciarlo. Vi furono infatti, delle piccole ma significative aperture alla ripresa del commercio privato. Poterono così sorgere piccole e medie aziende private autorizzate pure a tenere una modesta manodopera libera.

Lo Stato attenuò il suo controllo burocratico sulla società, pur controllando ancora la grande industria, i sistemi di trasporto e le banche; essendo ancora lo Stato e solo questo a poter gestire il commercio con i paesi esteri. Si parlò allora di sistema di "capitalismo di stato".
(l'antibolscevico Mussolini, nel 1931 (vedi)  copiò integralmente la NEP, quando fameliche banche  fagocitandole con i crediti inesigibili, stavano trascinando le industrie italiane al disastro. Si erano registrati 14.000 fallimenti)

Inoltre agli specialisti borghesi furono riconosciuti nuovi ed importanti diritti. Essi avrebbero ricevuto maggiori stipendi ed una più ampia libertà nei loro compiti. Così ingegneri, professori o economisti (solo per fare qualche esempio) cresciuti nell'era zarista furono maggiormente e con profitto utilizzati secondo le loro competenze. Inoltre molti di loro potevano viaggiare all'estero, e tenersi informati sugli sviluppi scientifici e culturali dell'occidente. Ma con l'occidente iniziò anche un'importantissima collaborazione economica e commerciale.

Ford impiantò, ad esempio, in Russia una celebre fabbrica di trattori. Vennero, così grazie alla tecnologia occidentale, migliorate numerose fabbriche con nuovi e moderni macchinari. Furono migliorate le tecniche di estrazione di carbone e petrolio. Sicuramente la collaborazione occidentale permise una ricostruzione dell'apparato industriale e, pur in misura minore, un miglioramento delle tecniche agricole. Sotto il profilo militare, a NEP, ormai pienamente avviata, fu nel 1925 di grande importanza il trattato di Rapallo firmato con la Germania della Repubblica di Weimar. (tra l'altro numerosi aerei tedeschi - dopo che Hitler prese il potere - che vennero impiegati contro i russi prima nella guerra civile spagnola poi nella guerra mondiale erano stati costruiti proprio in Russia. Quanto ai carri armati, la Germania proprio in Russia apprese alcune tecniche costruttive, e in Russia inviò i suoi militari ad apprendere la tecnica delle truppe corazzate).

Intanto sul fronte interno si decise di abolire la CEKA, che era una sorta di polizia emergenziale nata per "salvare la rivoluzione", ma in pratica un organo provvisorio. Il suo posto venne preso dalla nuova polizia politica: la GPU, che comunque conservò estesi poteri repressivi.

Nei primi Anni 20 furono pure emanate delle riforme dette "civili". Ad esempio fu legittimato il matrimonio civile, garantito il divorzio e si cercò di incentivare in ogni modo l'istruzione. E va detto che sotto questo profilo il governo bolscevico si adoperò con grande impegno nel tentativo (riuscito) di alfabetizzare la Russia.

Tuttavia la svolta politica segnata dalla NEP, più che da vera convinzione, era stata dettata da necessità. Come infatti il partito bolscevico era stato portato al potere nel 1917 da un movimento di protesta del tutto spontaneo, del quale ben seppe interpretare le esigenze primarie (pace e terra), nei primi anni 20, i bolscevichi rischiavano di essere loro travolti dalle masse, esasperate dal comunismo di guerra, che li avevano aiutati nel prendere il potere.

Le masse nel 1917 in larga parte, come abbiamo detto, non erano bolscevizzate, ma videro in Lenin la persona che faceva al caso loro, così come Lenin seppe abilmente adattare il suo originario programma alle esigenze primarie che il popolo esprimeva nelle sue proteste. Ma é sempre bene ricordare la totale spontaneità dei violenti moti contadini e non solo dell'estate del 1917. Ora, nel 1921, Lenin si rese conto che continuando con la politica del comunismo di guerra, rischiava di essere vittima della rabbia popolare esattamente come successe ai governi provvisori, nati dopo la cosiddetta "Rivoluzione borghese del Febbraio 1917". Ovvero Lenin, indubbiamente con lucidità, non commise l'errore che 4 anni addietro avevano fatto prima lo Zar e poi i governi provvisori, che perseguirono una politica nettamente impopolare, senza venire incontro almeno alle primarie esigenze delle masse.

Ecco perché venne varata la NEP, ma come Lenin disse, essa era una "ritirata" momentanea dalla via maestra che restava sempre il socialismo.

Perciò la NEP non fu la svolta decisiva nella politica economica, ma solo un modo, disse Lenin, di permettere al paese di "riaversi" dopo gli anni della guerra, un tentativo di trovare un modus-vivendi con la società senza compromettere l'obiettivo finale che era e restava il socialismo.

Per atturalo Lenin affermò che in un paese arretrato come la Russia era necessaria una via "graduale".

Ma già alla fine del 1922 Lenin fu chiaro: non ci sarebbero state altre "ritirate".

Preliminare al varo della NEP era ristabilire l'ordine nelle campagne. Così fino al 1923 continuarono i duri scontri fra truppe dell' armata rossa e contadini, con la prima pronta a reagire contro ogni minima insubordinazione o tentativo di protesta. Fino agli ultimi mesi del 1922, le squadre di requisizione proseguirono le loro spedizioni nelle campagne, costringendo ancora, nonostante la Nuova Politica Economica, i contadini a consegnare le loro eccedenze. Tuttavia il clima parve cambiare verso il 1923 quando venne finalmente consentito una ripresa di un'economia di mercato, cercando anche di favorire il commercio fra città e campagne, fino a quel momento due mondi del tutto contrapposti. Perciò i contadini più ricchi, dopo aver devoluto allo stato l'imposta stabilita potevano adesso commerciare liberamente ciò che a loro rimaneva.

Inoltre, fu loro consentito, come detto, di tenere una modesta manodopera salariata al fine di incentivare la produzione. Questo favorì nei villaggi lo sviluppo della classe dei cosidetti KULAKI (contadini più ricchi) che vennero notevolmente rafforzati dal proseguimento della NEP. Col tempo il loro potere nelle campagne cominciò a crescere, finché arrivarono ad essere loro a gestire gli approvvigionamenti agricoli per le città, stabilendone i prezzi.

I KULAKI, come era facile da prevedere, vennero ben presto guardati con estremo sospetto dai bolscevichi che vedevano in loro una sorta di nuovo ceto borghese che continuava ad acquisire potere, e vennero apertamente odiati quando cominciarono a richiedere prezzi sempre più alti nel vendere le loro eccedenze.

Un altro obbiettivo fondamentale della NEP era quello di cercare di favorire la ripresa industriale.

Ma nelle fabbriche il clima restò quello del comunismo di guerra. I ritmi di lavoro imposti restarono terribili e la disciplina oltremodo severa. Non erano tollerati scioperi né tantomeno assenze ingiustificate, i sindacati non avevano praticamente alcun potere, anzi dovevano essere loro ad incitare i lavoratori ad una maggiore produzione. Si introdusse inoltre una forte differenziazione salariale con la quale si intendeva retribuire l'operaio in base a quanto produceva, con l'intenzione naturalmente di incentivarlo ad un lavoro sempre maggiore per ottenere così un salario più alto.

Intanto però fu tollerato lo sviluppo di una classe piccoli imprenditori privati. Ed anche ad essi fu consentito, nelle loro aziende, di poter mantenere una manodopera, in genere mai superiore alle venti persone. Naturalmente, come detto, la grande industria restava saldamente nelle mani dello stato, tuttavia queste modeste aperture facilitarono la nascita di un congruo numero di piccole e medie aziende e, nelle città, della cosiddetta classe dei NEPMANY (le persone che operavano privatamente).

è certo che l'industria nel periodo della NEP ebbe una ripresa, riuscendo almeno a tornare al livello precedente alla guerra mondiale, ma era pur sempre un valore troppo basso. I bolscevichi volevano avviare uno sviluppo industriale, ma la Russia restava pur sempre un paese in larghissima parte agricolo. La maggior parte degli abitanti erano contadini; e basilare per l'avvio di una vera politica che favorisse lo sviluppo dell'industria era disporre di una vasta manodopera da utilizzare per questo scopo, ma non c'era. Di certo il proseguimento della NEP, pur con la sua parte di effetti positivi, non avrebbe mai creato una rinascita industriale. Da qui i dubbi nel partito bolscevico: come conciliare la NEP e lo sviluppo industriale e soprattutto come conciliarla con l'obiettivo primario del socialismo?

Oltretutto gli auspicati scambi commerciali fra città e campagna avvenivano con grande difficoltà. I beni industriali costavano troppo, era impossibile che la maggior parte dei contadini avesse interesse ad acquistare in città, spesso non ne avevano le possibilità e neanche sarebbe loro convenuto. Fu quella la cosiddetta "crisi a forbice", ovvero il divario sempre crescente fra il costo dei beni industriali e quelli delle campagne. Un divario che rese quasi impossibile qualsiasi vera collaborazione fra quei due mondi, come sarebbe invece stato nelle intenzioni bolsceviche.

Col passare del tempo i bolscevichi guardavano con sempre più timore agli effetti della NEP. Nelle campagne si stava registrando un aumentato potere dei KULAKI, i quali potevano imporre prezzi sempre maggiori per la vendita dei loro prodotti agricoli. Ma con timore misto a disprezzo si guardò anche al peso che, nelle città, stavano assumendo i NEPMANY. Essi furono identificati come portatori di "pericolosi elementi capitalistici". Così a vasti settori del partito parve di andare verso una indesiderata "deriva borghese". Ed inoltre la BSE bolscevica mal sopportava l'accresciuto potere degli specialisti borghesi, che cominciavano ad avere sempre più voce in capitolo nell'insegnamento, nelle attività scientifiche, in quelle militari, arrivando pure a trattare di questioni economiche. Ciò divenne ben presto intollerabile per larga parte dei bolscevichi; la NEP ai loro occhi, più che essere una ritirata momentanea dalla via maestra del socialismo, stava diventando una resa ad un capitalismo "strisciante".

Dubbi e perplessità si estesero nel partito, che fu ben lungi dal trovare una linea comune. In passato, nei momenti di crisi, quando non si riusciva a trovare un accordo, spesso l'autorità di Lenin aveva risolto i problemi, imponendo la sua posizione. Ma stavolta non poté essere così. Già nel 1922 in Lenin vi erano stati i primi problemi di salute. Nel corso del 1923, fu poi colpito da un primo attacco cerebrale che ne minò le funzioni vitali rendendolo in breve inabile alla vita politica, proprio nel momento in cui il dibattito all'interno del partito si faceva serrato. Negli ultimi mesi del 1923 Lenin, subì altri due attacchi cerebrali; le sue condizioni fisiche peggiorarono rapidamente, finché dovette assentarsi definitivamente dalla scena politica. Il 24 gennaio 1924 poi l'epilogo; Lenin muore all'età di 54 anni, senza che le questioni che l'avvio della NEP aveva posto fossero risolte.

La domanda primaria era: continuare o no la NEP? e se si, come era possibile farlo senza farsi attrarre da "soluzioni capitalistiche"?.

Inoltre, era evidente la necessità di uno sviluppo industriale, ma per ottenerlo serviva un'adeguata manodopera, che ancora scarseggiava, visto il carattere rurale della Russia.

Ed intanto si cominciarono ad affilare le armi per la successione di LENIN.

L'opinione di TROCKIJ era che la Russia, data la sua arretratezza ed il suo isolamento, non poteva diventare potente nel campo industriale con le sue sole forze. La NEP andava abolita, perché dava troppo spazio agli elementi capitalistici. Bisognava dare vita ad una vera politica socialista, ma soprattutto uscire dall'isolamento politico internazionale. Andavano finanziati ed incoraggiati, disse Trockij, i movimenti rivoluzionari all'estero, perché una rivoluzione europea, come era il progetto originale dei bolscevichi, consentisse una cooperazione europea fra altri paesi socialisti.

Nel partito si distinse poi l'opinione di BUCHARIN, che, passati gli anni in cui fu sostenitore del comunismo di guerra, riconosceva adesso, che se aveva ragione Trockij nell'auspicare una rivoluzione europea, dato che essa non dava segno di esplodere, era necessario fare professione di realismo. Bisognava insistere con la NEP, perché la via del compromesso era quella che avrebbe salvato la Russia.

Vi era poi un altro personaggio, fino a quel momento un pò nell'ombra e di certo non conosciuto come altri bolscevichi quali, oltre naturalmente a LENIN, TROCKIJ, RIKOV o ZINOVEV. La persona in questione era JOSIF STALIN.

Egli nel corso degli anni, sfruttando la sua posizione di segretario generale, era però andato acquisendo consenso all'interno del partito. Nel dibattito in corso, la sua posizione fu definita quella del "socialismo in un solo paese". Stalin affermò che quelle di Trockij erano chimere, che la Russia non doveva attendere un'improbabile rivoluzione europea per avviare il socialismo e che nemmeno si dovesse continuare col compromesso della NEP. La grandezza territoriale della Russia e le sue risorse rendevano assolutamente possibile percorrere la via socialista senza dover dipendere dai paesi esteri o dagli elementi capitalistici come i KULAKI o i NEPMANY.

"Che cos'é la possibilità della vittoria del socialismo in un solo paese?" disse Stalin, "è la possibilità di risolvere le contraddizioni tra proletari e contadini poggiando sulle nostre forze interne; se tale possibilità non esistesse edificare il socialismo vorrebbe dire agire senza prospettive. Ma negare quella possibilità vuol dire mancare di fiducia nella nostra causa, vuol dire abbandonare il leninismo." Stalin sapeva quali corde toccare, molti quadri operai furono entusiasti delle sue parole.
Stalin prometteva di far grande la Russia, di erigerla a superpotenza, di farle superare l'arretratezza senza alcun compromesso "borghese". Aveva intuito, che in larga parte del partito, pur non volendo mettere in discussione Trockij, non si credeva più alle sue idee di "rivoluzione permanente". Ed ancora peggio per la base bolscevica era ciò che diceva Bucharin, che in pratica, volendo insistere con la NEP, era come se affermasse che il socialismo, per raggiungere il quale si era combattuto, in pratica non si sarebbe realizzato. Inoltre lo stesso Lenin aveva detto che la NEP era una ritirata "momentanea".

Prima di esaminare come si risolse la lotta per il potere e quale linea riuscì a prevalere é utile ricordare ciò che Lenin in quello che é stato definito il suo testamento politico scrisse ormai minato dalla malattia: "Compagni propongo di pensare alla maniera di sollevare Stalin dall'incarico di segretario generale e di sostituirlo con un uomo che si distingua dal compagno Stalin solo per questa qualità: di essere più tollerante, più leale, più riguardoso verso gli altri compagni. Stalin é troppo rude e se questo difetto può essere tollerato nei rapporti fra noi comunisti diventa intollerabile nella funzione di segretario generale. Potrà apparirvi una piccolezza tutto ciò, ma penso che dal punto di vista dell'evitare una scissione e considerando i rapporti che si vanno creando fra Stalin e Trockij ciò non sia una piccolezza, e se anche lo fosse, sarebbe una piccolezza che può avere importanza decisiva"

STALIN (acciaio)
(pseudonimo di JOSIF VISSARIONIVIC DZUGASVILI)

prende il potere dopo la morte di Lenin, STALIN tessè abilmente la sua trama per prenderne il posto. Agendo per anni nell'ombra era riuscito a guadagnarsi un grosso seguito all'interno del partito. Il suo programma del "socialismo in un solo paese" era quello che più solleticava gli umori dei quadri bolscevichi.

Stalin, come abbiamo visto, offriva traguardi gloriosi senza che si dovessero attendere improbabili rivoluzioni europee o che si dovesse continuare a rafforzare i kulak o i nepmany, sempre meno sopportati dalla base del partito. E proprio all'interno del partito Stalin agì cercando di sfruttare gelosie ed inimicizie che covavano da anni fra i dirigenti ed a stento tenute nascoste con Lenin ancora vivo, vista la sua assoluta contrarietà a qualsiasi scissione. Da tempo infatti, Kamenev e Zinovev, rispettivamente dirigenti delle sezioni del partito di Mosca e Pietrogrado, mal sopportavano Trockij ed il prestigio che era andato assumendo, considerando che si era unito definitivamente ai bolscevichi solo nel 1917, mentre loro erano militanti di vecchia data.

Così Stalin, dapprima si avvicinò ai due, capendo che nell'immediato, il suo avversario principale per la successione a Lenin era Trockij. I rapporti fra questo "triumvirato" e Trockij divennero ben presto molto tesi. Stalin agì con diabolica astuzia, lasciando a Kamenev e Zinovev in quel momento il compito di condurre una propaganda ostile a Trockij.

Così quello che era stato il principale collaboratore di Lenin venne duramente attaccato, spesso con accuse false e meschine. Intanto Stalin si preoccupava di far convergere intorno a se l'intero partito. E con colpevole ritardo Kamenev e Zinovev si accorsero che essi stessi rischiavano l'emarginazione, e che il controllo di Stalin sui quadri del partito stava diventando enorme.

Kamenev disse "noi ci opponiamo a che si possa creare una teoria del Capo; il compagno Stalin non può ritenere di raccogliere sotto di sè tutto lo Stato Maggiore Bolscevico".
Solo adesso Kamenv e Zinovev decisero di riavvicinarsi a Trockij. Ma Stalin disse a Bucharin che non era sua intenzione di intraprendere una guerra contro il mondo contadino. Considerando poi l'attrito che esisteva fra Bucharin e Kamenev e Zinovev, il gioco era fatto: Stalin aveva trovato un nuovo alleato. Fu allora facile per Stalin accusare Kamenev, Zinovev e Trockij di spirito di fazione e disfattismo fino ad emarginarli politicamente. Del resto una salda collaborazione fra loro tre non c'era mai stata.

Il 15° congresso del partito nel 1927 segnò il trionfo di Stalin, che divenne il capo assoluto, Bucharin restava sullo sfondo. Con l'avvio della politica dell'industrializzazione accellerata e della collettivizzazione forzata, Bucharin si distaccò da Stalin dicendo che quella politica avrebbe generato conflitti terribili col mondo contadino. Bucharin divenne oppositore di destra, mentre Trockij, Kamenev e Zinovev erano oppositori di sinistra. Il centro naturalmente era Stalin. Egli al congresso condannò qualsiasi deviazione dalla sua linea. Ora poteva operare la totale emarginazione dei suoi avversari (o ex-alleati).
Trockij, che restava sicuramnete il più temibile per Stalin, venne prima espulso dal partito, poi per renderlo innocuo venne cacciato dal paese. Kamenev e Zinovev avevano preparato il terreno dell'esautorazione di Trockij, per poi pentirsene; e così Stalin concluse "l'opera".

Dall'estero Trockij lottò senza posa contro Stalin, scrisse il libro "La Rivoluzione tradita", ma ben presto nell'URSS, il nome di quello che fu il braccio destro di Lenin divenne sinonimo di spia e di traditore. Nel 1940 poi Trockij, finito in Messico, venne ucciso da un emissario di Stalin con un colpo di piccozza.

Ma una grama sorte doveva toccare, come vedremo, anche sgli ondivaghi Kamenev, Zinovev e Bucharin.
è stato giustamente sostenuto che se l'opposizione si fosse compattata, se avesse superato i suoi conflitti, per Stalin sarebbe stato difficile spuntarla, nonostante il suo programma fosse stato accettato da larga parte dei quadri bolscevichi.

Chi era Stalin

STALIN, che significa "acciaio",è l'ultimo di vari pseudonomi assunti durante la clandestinità rivoluzionaria da JOSIF VISSARIJONOVIC DZUGASVILIJ
Tutti i futuri capi bolscevichi provenivano dalla nobiltà, dalla borghesia o dall'intelligenzija.

STALIN invece  nasce  a Gori un piccolo borgo rurale non lontano da Tiblisi in Georgia il 21 dicembre 1879, da  una miserabile famiglia di contadini servi. Su questo lembo dell'impero russo che fa quasi parte del vicino Oriente, la popolazione - quasi tutta cristiana - contava  non più di 750.000 anime. La Georgia  sotto gli zar, era soggetta a una progressiva russificazione.

Come quasi tutti i georgiani, anche la famiglia DZUGASVILI erano poveri, senza istruzione, analfabeti,  ma non avevano conosciuto la schiavitù che opprimeva tanti russi, poichè non dipendevano da un singolo padrone, ma dallo Stato. Quindi pur essendo servi, non erano una proprietà privata di qualcuno. Il nonno e il padre erano nati braccianti, poi si misero a fare i ciabattini. Quanto alla madre, EKATERINA GELADZE, pare che non fosse georgiana, perchè -cosa rarissima nella zona- aveva i capelli rossi. Pare che appartenesse agli Osseti, una tribù montanara di origine iraniana. Nel 1875 la coppia lasciò la campagna e si stabilì a Gori, un villaggio di circa 5000 abitanti. In affitto occuparono un tugurio, un unica stanza con una sola finestra.  L'anno dopo misero al mondo un figlio, ma morì subito dopo, ne nacque un altro nel 1877 ma mori anche questo in tenera età;  più fortuna l' ebbe il terzo figlio, Josif.

Nella più peggiore indigenza questo unico figlio cresce in un ambiente miserabile. Il padre invece di reagire diventa un alcolizzato e nei momenti d'ira picchia senza ragione moglie e figlio, che benchè fanciullo in una di queste liti non esitò a lanciargli addosso un coltello da cucina. Per due volte mentre il fanciullo  faceva le elementari gli impedì due volte di frequentarla per fargli fare anche a lui il ciabattino. La situazione divenuta in casa insostenibile spinse il dissoluto uomo a cambiare aria. Se ne andò di casa a lavorare a Tiflis in una fabbrica di scarpe e pare che di soldi a casa non ne mandava di certo.   Se li beveva tutti, e la sua dipartita terrena non poteva che concludersi in una osteria, in una rissa fra ubriachi qualcuno il coltello invece di lanciarlo (come aveva fatto suo figlio)  lo mise in mezzo al suo costato.

Rimase solo la madre a provvedere alla sopravvivenza del suo unico figlio, orfano a 11 anni, che fra l'altro si ammalò prima di vaiolo (che lascia i terribili segni) , poi,   per un incidente si prese una terribile infezione del sangue che fu curata alla meno peggio, lasciandogli dei postumi nel braccio sinistro, che rimase offeso. Il ragazzino sopravvisse alla prima malattia e uscì dalla seconda in un modo stupefacente,   addirittura divenne bello e robusto, tanto che con un certo orgoglio il ragazzo scherzandoci sopra iniziò a dire che lui era forte, era d'acciaio ( stal - stalin).

D'acciaio era però stata la madre. Rimasta sola, prima iniziò a cucire per qualche vicino,  per guadagnarsi da vivere, poi (la donna che aveva dato alla luce l'uomo contro l'accumulo del capitale) iniziò ad "accumulare un capitale" fino al punto da comprarsi una modernissima macchina da cucire che gli fece aumentare ulteriormente il capitale e naturalmente ad avere qualche ambizioni per il figlio. Riuscì così, finite le quattro classi elementari - che il ragazzo impiegò sei anni per terminarle - a fargli frequentare la scuola religiosa ortodossa di Gori,  l'unica scuola "superiore" esistente nel villaggio,  riservata a pochi.

L'ambizione della madre trasferì al figlio una volontà anche questa d'acciaio. Il ragazzo dagli altri alunni della scuola subito si distinse nei cinque anni di frequenza per intelligenza , volontà, memoria, e come per incanto anche in prestanza fisica. O la miseria o la disperazione provata da fanciullo compirono questo miracolo della volontà.   Ne fu colpito anche il direttore della scuola di Gori, che suggerì alla madre (che non desiderava altro che solo questo, pensarlo prete)  di farlo entrare nell'autunno del 1894 (a quindici anni) al seminario teologico di Tiflis, che il ragazzo frequentò fino al  maggio del 1899, quando - con tanta disperazione della madre (nel 1937 prima di morire non se ne dava ancora pace - famosa una sua intervista )  - ne fu espulso.  Il futuro capo di un immenso Paese che diventerà "L'Impero dei senza Dio" (Pio XII), e che farà chiudere tutte le chiese,  non aveva di certo la vocazione per fare il prete.

Il giovane  dopo aver speso una buona dose di quella forte determinazione  che aveva in corpo  per dimenticare il suo ambiente di miseria e disperazione adolescenziale, iniziò ad usare questa volontà per quelli che erano nelle medesime condizioni. Mentre frequentava il seminario si era introdotto nelle riunioni clandestine dei lavoratori della ferrovia di Tiflis. Una città che stava diventando il centro del fermento nazionale di tutta la Georgia,  con gli ideali politici liberali della popolazione presi a prestito dall'Europa occidentale.

Nel 1888, uno studioso inglese, sir Wardrop, così descrisse la nascita di questo nazionalismo in Georgia: "Non vi é nessun altro esempio di un popolo -se si eccettua il Giappone- che passi direttamente dal feudalesimo al liberalismo". E per liberalismo intendeva nazionalismo (quello che poi si chiamerà socialismo georgiano);  é questo il movimento che il giovane Stalin incontrò nelle riunioni clandestine mentre frequentava il seminario; iniziò a parteciparvi, ne divenne un militante, poi quando si trasformò in un evidente agitatore (col nome di battaglia il Koba) con una scusa, per liberarsene,  nella primavera del 1899  fu cacciato   dal seminario.
L'intera evoluzione nella formazione del giovane era però già avvenuta nei due anni   precedenti. Al "credo" evangelico e a quello "socialista georgiano" si era infiltrato il "credo" di Marx e di Engels. Soprattutto proprio nei giovani  e a capo di questi neofiti  l'ex seminarista, ora votato più solo alla politica attiva, perfino brutale. 

 La conversione all'ideologia marxista   del ventenne Stalin, fu immediata, totale e definitiva.  Proprio per la giovane età lui la concepisce  a suo modo: grossolana ma  in un modo così sanguigno che si infervorisce fino al tal punto che, a pochi mesi dalla cacciata dal seminario, viene  sbattuto fuori anche dall'organizzazione del  movimento nazionalista georgiano. E si racconta,  per avere calunniato i capi  -più anziani di lui- dell'organizzazione (Una tattica che il ventenne, futuro "dittatore", non abbandonerà più).

Nel 1902 Stalin é' costretto ad abbandonare Tiflis. Si trasferisce a Batum, sul Mar Nero. Ricomincia a fare l'agitatore, ma guida un gruppetto di autonomi, scavalcando Ccheidze, il capo dei socialdemocratici georgiani. Nell' aprile del 1902 in  una manifestazione di scioperanti  degenerata   in una rivolta con scontri con la polizia, Stalinè accusato di averla  organizzata, e finisce in galera per un anno a Kutaisi, poi  nel 1903 viene deportato  ed esiliato in Siberia, a Novaja Uda, a più di 6000 chilometri dalla Georgia.

Nella permanenza in cella conosce un famoso agitatore marxista,  Uratadze, seguace del fondatore del marxismo georgiano   Zordanija. E se  all'agitatore  Koba, ora ventriquattrenne, dell'ideologia marxista,  gli mancava  qualcosa, in cella la trovò. Il compagno - che prima d'allora ne ignorava l'esistenza,  - ne rimase molto impressionato. " Piccolo  (1,63), il volto segnato  dal vaiolo, barba e capelli sempre lunghi, l'insignificante nuovo venuto era  un duro, energico, ma imperturbabile,  non si arrabbiava, non imprecava, non gridava, non rideva mai, aveva un carattere glaciale. Non era di certo l'affabile ed elegante Stalin che vedo ora" scriverà molti anni dopo Uratadze. Il Koba era già diventato Stalin, il "ragazzo d'acciaio" anche in politica!

Fra le altre cose,  legge   l'Inskra (la Scintilla) il famoso giornale clandestino con gli articoli di Lenin, e legge il suo opuscolo del 1902,  Che fare? , quello che doveva gettare le basi del Bolscevismo.
Nel 1903 si era già tenuto il secondo congresso del partito, con l'episodio  della defezione di un giovane ventitreenne, seguace  di Lenin, LEV TROCHIJ, che  passò nelle file degli avversari accusando Lenin di "giacobinismo".

Improvvisamente Stalin dalla Siberia ricompare libero all'inizio del 1904 in Transcaucasia. è un inspiegabile ritorno.   Sia amici che nemici - iniziano a pensare che facesse parte della polizia segreta; che magari con un accordo era stato mandato in Siberia in mezzo ad altri detenuti solo per riferire cosa bolliva in pentola. 
Passano poche settimane  e Stalin  fa già parte della  fazione bol-scevica (maggioritaria) che fa capo a Lenin. L'altra fazione  era la men-scevica, cioè la minoritaria, che pure era in prevalenza  fatta di georgiani, cioè suoi amici marxisti prima  a Tiflis poi a Batum.
C'é poi  una fantomatica lettera al carcere di Lenin inviata proprio nel 1903 quando Stalin era in galera. (l'uomo in carcere aveva fatto velocissimi  progressi! - visto che l' amico di cella affermava che prima era del tutto sconosciuto). Lenin  gli comunicava che c'era stata una scissione e che bisognava scegliere tra le due fazioni. E lui scelse la sua.

Come accennato sopra, Stalin, dal carcere va in Siberia, dove ci sono i deportati politici, ci resta pochi mesi,  torna libero  e prepotentemente ricompare sulla scena politica. Passano pochi mesi e   come delegato partecipa alla conferenza nazionale del partito Bolscevico, in Finlandia. Qui avviene  l'incontro con Lenin, che cambierà totalmente la vita al Koba georgiano, e la farà cambiare  anche  alla Russia, che non dimentichiamolo, da  Paese arretrato e caotico come era la Russia zarista,  il dittatore lo  trasforma nella seconda potenza industriale del mondo. Su quella militare per vincere alla pari la "grande partita" contro il nazismo, ci restano due lapidari commenti di De Gaulle  "Senza di lui avremmo perso, e lui senza di noi non avrebbe vinto",  e quello di Churchill: "Per vincere  avevo una sola scelta: quella di allearmi col diavolo".

Tutto quello che segue ora, in sintesi si trova su queste poche pagine, ma milioni di pagine di storia parlano di lui e altre milioni su di lui saranno scritte. Di volta in volta Stalin appare come un genio e come un mostro, uno spietato, ma capace riformatore e un sinistro sterminatore di popoli.

Sottraendo una valutazione dall'impeto delle opposte fazioni,è certo, che al di là di ogni discussione e di ogni giudizio, la personalità e l'opera di Stalin hanno avuto nel bene come nel male, una influenza determinante nel corso della storia contemporanea, pari alla Rivoluzione Francese e a Napoleone. Influenza che comeè noto siè prolungata oltre la sua morte e la fine del suo potere politico.

Lo stalinismo, infatti,  fu   espressione di grandi forze storiche e di volontà collettive. Stalin rimase al potere trent'anni, e nessun capo può governare così a lungo se la società non gli assicura il consenso. Le polizie, i tribunali, le persecuzioni possono servire ma non bastano per governare così a lungo. La maggior parte della popolazione voleva lo Stato forte. Tutta l'intelligentija  russa (dirigenti, professionisti, tecnici, militari ecc.) che era stata ostile o estranea alla rivoluzione, riteneva Stalin un capo in grado di assicurare una crescita della società, e gli concesse  tutto l'appoggio. Non molto diverso da quell'appoggio che la stessa intelligentija e la grande borghesia tedesca diede a Hitler. ( Così come  in Italia a Mussolini)

Anche Stalin trasformò il potere in una dittatura, ma anche questo regime, come quello hitleriano,  fu grandemente favorito da comportamenti collettivi di.....  stampo fascista anche se era uno comunista e l'altro nazista.

L' Italia nel ventennio  non   fu immune  da un regime dittatoriale "stalinista" (il termine   divenne perfino  sinonimo di dittatura), ce lo conferma un autorevole personaggio; e chi meglio di lui! (che da Stalin aveva a sua volta  copiato il Capitalismo di stato e l'Autarchia")
. "Stalin davanti alla catastrofe del sistema di Lenin,   é diventato segretamente un fascista. Essendo lui un semibarbaro non usa ("come noi" - Ndr) l'olio di ricino, ma fa piazza pulita con i sistemi che usava  Gengis Kan. In un modo e nell'altro sta rendendo un commendevole servizio al fascismo". Lo scrive BENITO MUSSOLINI, sul Popolo d'Italia, il 5 marzo del 1938 !!!!
Con questa frase forse  abbiamo sicuramente dato un dispiacere sia ai fascisti che ai comunisti.

Quello che forse   non vogliono capire molti ingenui idealisti -di ogni ideologia-, é che tutti, anche i socialisti, i comunisti,  i proletari, possono dar vita a regimi fascisti, dittatoriali, tirannici, come i vecchi regimi, chiamati feudali,  monarchici, imperialistici,  cesaropapisti, papali, serenissimi, o come i nuovi....   chiamati liberali.
Karl Popper su quest'ultimo "regime",  esprimeva  il timore che nel mondo moderno possono  emergere  governanti solo potenti ma del tutto   incompetenti, e che alla fine anche loro non sapendo cos'altro fare per rimanere in sella al "nuovo moderno cavallo", con ogni mezzo (ad alcuni questi non mancano) si trasformano in dittatori, causando gravi danni ai popoli, nè più nè meno come i grandi tiranni; forse addirittura peggiori, e senza nemmeno compromettersi.
Con la potenza economica, alcuni  non  si sporcano nemmeno più le mani. Dietro le spalle hanno le impalbabili  "Società finanziarie", il "totalitarismo economico", i "monopoli della produzione e della informazione".  Dittaturaè!

L' ECONOMIA PIANIFICATA - I  PIANI QUINQUENNALI - LA COLLETTIVIZZAZIONE

1929/1930  + 1931/1932 ----- 2+2 = 5 anni

PREMESSA: dopo aver analizzato il modo con il quale Stalin andò al potere, prendiamo in esame ora
il sistema staliniano, parlando dei piani quinquennali e della collettivizzazione. In un capitolo a
parte esamineremo poi gli effetti di tale politica sulla società (guerra contadina, carestia ecc.).

Assicuratosi il totale monopolio del potere, STALIN potè lanciare la sua nuova politica; la Russia stava per entrare in una nuova era: quella detta dell'industrializzazione accelerata.

La NEP divenne presto solo un ricordo, anzi a subire il contraccolpo maggiore della nuova politica furono proprio i KULAKI, in altre parole, i maggiori beneficiari della NEP.

Stalin, come è stato giustamente detto, fece leva sull'antico sciovinismo russo. "è ora che la Russia diventi un gigante economico", disse "bisogna raggiungere e superare la tecnica occidentale, perchè non si dipenda più dai governi borghesi"...."è ora di superare il nostro atavico senso d'inferiorità con l'occidente". Stalin si atteggiò a nazionalista, giocando sui sentimenti patriottici ripetendo spesso frasi come "la Russiaè sempre stata battuta a causa della sua arretratezza, è ora di colmare le nostre lacune, o lo facciamo o ci schiacceranno!".

Già nel 1921 era nato il GOSPLAN (commissione statale per la pianificazione) per delineare una strategia industriale, ma il suo ruolo fu minore negli anni della NEP. Ora il GOSPLAN, fu incaricato di elaborare il primo piano quinquennale. I tecnici ed economisti del GOSPLAN, dovevano valutare le risorse della Russia e proporre un piano di crescita industriale, fissando precisi obbiettivi da raggiungere ad ogni costo, appunto in 5 anni.

Intanto nelle campagne Stalin volle rompere le piccole e medie aziende dei KULAKI e confiscarne gli averi, d'ora in poi dovevano sparire le proprietà individuali, i contadini dovevano raggrupparsi in enormi unità collettive, dove il lavoro sarebbe stato comune. L'agricoltura privata andava cancellata, ora lo stato doveva assumere il totale controllo della produzione e della manodopera e la collettivizzazione garantiva ciò. Il costo dei beni alimentari non lo avrebbero più stabilito i KULAKI, ma lo stato. I contadini furono esortati e poi obbligati ad entrare in "fattorie collettive", quelle che nelle intenzioni avrebbero dovuto essere delle "fortezze del socialismo" come vennero definite. Fu così che nacquero i KOLKOZ (kolletvnoe chozjajstvo era il nome esteso), aziende agricole dove i contadini costretti ad inurbarsi lavoravano collettivamente la terra, di proprietà statale, avendo a propria disposizione solo una misera parte per uso abitativo. (vedremo in un capitolo a parte il dramma contadino negli anni della collettivizzazione).

Gran parte del raccolto dei KOLKOZ andava nelle mani dello Stato che poteva gestire l'intera produzione. Lo stato infatti fissava il totale del raccolto che ogni KOLKOZ doveva produrre, e tale quota andava assolutamente raggiunta e consegnata allo stato. Dopo i KOLKOZ, in misura minore, venivano i SOVCHOZ, aziende agricole statali per produzioni su scala maggiore. Molto importanti erano inoltre le Stazioni di Macchine e Trattori in diretta collaborazione coi KOLKOZ, ai quali fornivano gli strumenti di lavoro. Lo stato provvedeva ad indennizzare i KOLKOZ per ciò che producevano, ma ad una quota assolutamente inferiore al livello dei beni prodotti dai contadini nei collettivi; beni che poi lo stato vendeva al consumatore ai loro prezzi reali. Questa differenza consentiva allo stato di accumulare capitali con i quali finanziare l'industria, vero obbiettivo del regime, alla quale l'agricoltura fu del tutta subordinata. L'accentramento dei contadini nei KOLKOZ, permettendo allo stato di gestire al meglio il ciclo produttivo, consentiva che ogni anno una parte dei contadini fosse trasferita nelle industrie che si andavano creando, trovando così la manodopera auspicata.

In soli 2 anni la percentuale dei "collettivi" passò dall'1,7% al 57%, nel 1940 il 98% dell'agricoltura era stata collettivizzata.

Il primo piano quinquennale, il cui vero obiettivo era dunque la crescita industriale, prevedeva un grande incremento nella produzione di carbone, ferro e petrolio. L'industria pesante ebbe una netta preminenza quindi e fu grandemente incentivata. Ma in 5 anni si doveva anche sviluppare una moderna industria meccanica, chimica ed anche automobilistica. Numerose erano le nuove fabbriche che si vollero creare in tutta la Russia.

LA SOCIETà SOVIETICA NEGLI ANNI DELL'ECONOMIA PIANIFICATA

L'avvio di quella che è stata definita "rivoluzione dall'alto staliniana" è considerato la "crisi degli ammassi" del 1927. Nell'autunno di quell'anno si registrò un forte calo nella produzione agricola, specie se raffrontato con i risultati dell'anno precedente. Ci si aspettava dai KULAKI un minimo di 7 tonnellate di prodotti, ma se ne ebbero "solo" poco più di 4 tonnellate. Nello stesso anno i KULAKI, avevano ridotto la vendita dei loro beni allo stato, tanto che in breve vi fu una generale mancanza di beni di prima necessità quali soprattutto pane, burro e formaggio.

STALIN , ormai saldo al potere, affermò di voler risolvere il problema "alla radice".

Addebitò la crisi del 1927 ai sabotaggi dei KULAKI, accusati di nascondere il grano e tutti i loro prodotti al fine di tenere tutto per se il raccolto. Fu adesso che Stalin si convinse ad eliminare quella che definiva la componente più agiata del regime, "è ora di farla finita, disse con questa classe borghese dei KULAKI, all'interno dell'UNIONE SOVIETICA.

Fu così che prese il via la campagna di "liquidazione dei KULAKI come classe". In breve tempo si riuscirono ad organizzare squadre di oltre 30.000 comunisti armati spediti nelle campagne a costringere i contadini "sabotatori" a consegnare quello che dovevano allo stato. Stalin dette ampia facoltà ai dirigenti locali del partito di applicare l'articolo 107 del codice penale sovietico, quello che condannava alla prigione chi si appropriava dei raccolti e quei KULAKI che fissavano prezzi fuori dal mercato. Ma nonostante tutto il grano e gli altri prodotti, come dissero i dirigenti del partito "non rientravano". Fu allora che si decise di avviare subito e su larga scala la collettivizzazione delle terre. Ciò avrebbe comportato la fine del potere dei KULAKI, le cui aziende, come abbiamo visto sarebbero state stroncate. Furono allora create "brigate di dekulakizzazione", nelle campagne con l'ordine di costringere i KULAKI a consegnare i loro beni in eccesso. Se grano (o altri prodotti) non venivano consegnati o erano nascosti si scatenava l'inferno: case distrutte, violenze e requisizioni forzate fino a spogliare il KULAK di quasi ogni suo avere. Nel corso di queste campagne di dekulakizzazione, vennero adottate pratiche riprese circa 8 anni dopo all'epoca del grande terrore. Così i dirigenti locali avevano facoltà di compilare liste in cui inserire i nomi dei KULAKI o presunti tali, che poi le "brigate" avrebbero provveduto a "sistemare". I KULAKI vennero divisi in 3 classi(oppositori attivi,meno attivi e KULAKI fedeli al regime pur essendo afflitti da mentalità borghese). La compilazione delle liste dei KULAKI di prima classe, quelli definiti ostili, fu affidata direttamente alla GPU.

Ma la differenza tra le classi era risibile e spesso arbitraria, ben pochi avrebbero saputo distinguere tra un KULAK di prima classe ed uno di seconda. In ogni regione, poi, furono creati speciali tribunali tripartiti (trojke) composti dall'agente locale della GPU, dal procuratore del posto e dal rappresentante del partito. Le trojke potevano far arrestare i KULAKI, condannarli a morte o alla deportazione.

L'obbiettivo del regime era quello di stroncare le loro proprietà e di riunire i contadini, come abbiamo in precedenza visto, sulla base di fattorie collettive (kolkoz) affinchè lo stato potesse gestire l'intera produzione.

I ritmi iniziali della collettivizzazione furono drammatici. In un anno oltre trecentomila aziende vennero definite "dekulakizzate" ed i loro averi trasferiti ai fondi inalienabili dei kolkoz. Ogni regione si vedeva assegnare quote di aziende da dekulakizzare e di collettivi da creare. Ma dato che, come detto, delineare esattamente chi fosse un KULAK e chi no, era difficile, spesso finivano per essere espropriati anche semplici contadini. Le parole di RIKOV erano esemplari "lo sa il diavolo quello che facciamo, chiamiamo kulak anche il vero contadino medio che aspirerebbe del tutto legittimamente a diventare agiato". Rikov divenne presto un oppositore, detto di destra a Stalin, seguendo BUCHARIN  che solo adesso realizzò che le promesse di Stalin di non intraprendere una guerra contadina erano vane. Ma la sorte degli oppositori di destra era, come vedremo, segnata. (naturalmente col termine oppositore di destra, si intende di destra all'interno del partito bolscevico; il centro era chiaramente Stalin).

Di vera e propria guerra contadina si trattò, perchè le resistenze dei KULAKI e dei semplici contadini alla collettivizzazione furono grandi. Si riassistette per certi versi a quanto era avvenuto negli anni 20, ma stavolta l'esercito era troppo  forte. Tuttavia scoppiarono una infinità di rivolta rurali in tutta la Russia di estrema violenza. I contadini iniziarono una resistenza acerrima contro la GPU e l'esercito delle brigate spediti contro di loro. Si registrarono numerosi casi di assalti a vagoni e camion carichi di mais, e ribellioni di massa di interi villaggi. Fu una sorta di nuova guerra civile, ma stavolta per lo stato fu più facile stroncarla, anche se interessò vaste zone dall'Ucraina, al Caucaso , agli Urali, al Don. E spesso migliaia di contadini si lanciarono in una disperata resistenza armati di soli forconi. I contadini si rifiutavano di entrare nei kolkoz, fino ad uccidere il bestiame in segno di protesta. Fu in questo periodo più che mai che il partito restò al potere con la repressione più feroce esemplificata dalla celebre legge "sulla difesa della proprietà socialista" del 7 agosto 1932, in base alla quale qualsiasi appropriazione del raccolto dei kolkoz o qualunque furto di grano poteva essere punito anche con la pena di morte. Ma fu una legge che venne a sancire pratiche già da tempo operanti.

Destino terribile fu anche quello dei deportati verso i gulag. In condizioni drammatiche , su treni disastrati ed in viaggi da incubo e  quelli che erano definiti "coloni speciali" andavano ad alimentare "l'arcipelago gulag" che si stava sviluppando in tutta la sua interezza.

L'universo concentrazionario dello stalinismo infatti era in piena evoluzione. Al nucleo centrale costituito dall'arcipelago delle Soloveckie si erano aggiunti i campi (col compito di rifornire di legname le città principali della Russia) dello Svirlag e di Temnikovo.

Oltre 50.000 detenuti affollavano i gulag della Pecora e della Vorkuta dove si sfinivano nel lavorare nelle miniere per l'estrazione di carbone e piombo. Campi "agricoli" erano definiti quelli di Karaganda e dello Steplag nel sud della Russia, dove si trovavano mediamente circa 30.000 detenuti. Ma il lavoro coatto di oltre 150.000 prigionieri veniva sfruttato pure nello sviluppo del sistema ferroviario dal lago Bajkal alla foce del fiume Amur, mentre ulteriori detenuti erano impegnati nella costruzione del grande canale che avrebbe unito il Volga a Mosca. Campi più piccoli erano pure nelle zone sud-orientali della Russia, ma sicuramente la sorte peggiore era quella che attendeva i deportati nel cosiddetto campo "nord-orientale" (sevvostlag). Qui lungo il fiume Kolima a temperature abitualmente di molti gradi sotto lo zero, una media di circa 30.000 detenuti era addetta all'estrazione dell'oro andando ad alimentare il nascente complesso industriale del Dalstroj. Ma , come vedremo, la massima estensione dei gulag la si ebbe intorno al 1940.

Intanto per impedire che i contadini fuggissero dalle campagne oramai disastrate ed affluissero in massa in città, il regime varò la legge sui passaporti interni. Essi venivano consegnati solo a chi realmente abitava in città e permettevano di controllare origine e sede dei cittadini. Chi se ne fosse trovato sprovvisto durante un controllo in città veniva arrestato, così migliaia di contadini si trovarono costretti a restare nelle campagne ridotte allo stremo.

Nel 1932 esplose poi una terribile carestia che interessò particolarmente l'Ucraina e che finì col ridurre la campagna ad un vero cimitero, si calcola che provocò oltre 5 milioni di morti. Se ebbe cause in parte naturali, anche se non le furono estranei i violenti ritmi di collettivizzazione che sconvolsero i normali cili produttivi, di certo lo stato poco fece per combatterla. Anzi, vide in essa l'arma che poteva definitivamente fiaccare la resistenza contadina alla collettivizzazione. Negli anni 60 KRUSCEV , allora segretario del partito, disse che in quel periodo per Stalin i contadini erano come rifiuti, gente quasi inutile, lavativa, da costringere a lavorare forzatamente per poter ottenere da loro qualcosa. Stalin così si rivolse durante la carestia al segretario del partito ucraino che chiedeva che si inviasse un minimo di sostegno alle zone più colpite : "lei racconte ottime favole, e questa sulla carestia è proprio bella. Pensa di spaventarci? ebbene, non lo farà?".

Ma tuttavia lo stesso Stalin doveva rendersi conto che proseguire su quella strada avrebbe provocato un totale isolamento del regime dalla società, nonostante in città la vita fosse migliore, era impossibile nascondere il dramma rurale. Inoltre a preoccupare particolarmente il partito al potere, erano anche alcuni chiari segnali di malcontento che giungevano da operai nelle fabbriche. Con estrema preoccupazione infatti si guardò, e ci si affrettò a reprimere, allo sciopero che i lavoratori delle industrie tessili della regione di Ivanovo proclamarono nel 1930. Si temette che il malumore potesse estendersi pure ad altre fabbriche, minando l'apparato produttivo.

Infatti, negli anni 30, pure quelli rimasti fedeli a Stalin, si attendevano che le promesse del piano quinquennale cominciassero a dare i loro frutti. Il bilancio invece appariva mesto: i ritmi della collettivizzazione rischiavano di travolgere la Russia. Lo scrittore PRIVSIN narra che in quegli anni a Mosca arrivò a circolare una celebre battuta: si diceva "allora come va? e la risposta era : beh grazie a Dio quest'anno si vive meglio che in quelli futuri".

Ma a parte ciò, la realtà della situazione non poteva sfuggire a Stalin, pur continuando ad esaltare il piano, si rese conto della necessità di ridurre i ritmi della collettivizzazione, che era necessario imporla su scala più graduale. La parola d'ordine lanciata nel 1929 "5 IN 4, I RITMI DECIDONO TUTTO", ovvero la convinzione di poter realizzare il piano quinquennale in 4 anni dovette essere progressivamente abbandonata.

Fu così che Stalin pubblicò sulla Pravda un articolo dal titolo "ebbri di successo" nel quale criticò con severità gli esecutori materiali della collettivizzazione per il troppo fervore col quale avevano dato via ad essa. Stalin inoltre insisteva a che i kolkoz nascessero su base volontaria e non su imposizione. L'ipocrisia era evidente, Stalin, come spesso accadde negli anni 30, scaricava le colpe sui suoi sottoposti rimproverandoli per le sofferenze causate ai "poveri" contadini , finchè agli occhi del mondo rurale non riuscì quasi ad apparire come il salvatore che difendeva i contadini da dirigenti locali arrivisti ed inetti. Dopo quell'articolo si registrò una diminuzione dei kolkoz, in poco tempo infatti da 14 milioni che erano le famiglie già inurbate nei collettivi esse scesero a 6 milioni, per poi risalire gradatamente. Ciò portò ad una prima riconciliazione con la società, Stalin corresse il piano in tempo utile (vedremo infatti come alla fine i piani quinquennali avviarono la Russia ad uno sviluppo economico davvero impressionante).

Stalin capì che qualsiasi regime pur tirannico che sia doveva avere dei limiti per non trovarsi del tutto isolato dalla società, ed ecco allora le prime aperture verso i contadini, che divennero esplicite nel 1933. Si vollero amnistiare i condannati a pene minori, come chi aveva rubato per necessità, ponendo limiti al numero dei prigionieri nei gulag. Inoltre vennero abolite le trojke, passo decisivo verso una ristrutturazione della polizia politica in toto. Infatti nel 1934 la GPU, venne di fatto abolita ed inglobata nella nuova polizia politica chiamata "commissariato sovietico agli affari interni" (NKVD). Ogni delitto si disse da adesso avrebbe dovuto essere giudicato dalla competente procura e non da tribunali emergenziali.

Tornando ad occuparci del mondo del lavoro e specificatamente della vita nelle fabbriche, qui Stalin, a parte i casi di Ivanovo, aveva saputo con abilità e spietatezza fin dal 1928, assecondare quelli che erano gli umori della base proletaria. Abbiamo visto come negli anni della NEP a malincuore gli operai tollerassero la presenza nelle fabbriche degli specialisti borghesi, ovvero delle persone formatesi al tempo dello zarismo, ma che continuarono a ricoprire ruoli importanti all'interno delle fabbriche stesse e di numerose istituzioni sovietiche, fra cui anche il GOSPLAN. Stalin, come in effetti aveva promesso, assecondò gli umori della base e decise, come era avvenuto nelle campagne coi KULAKI, di rompere qualsiasi collaborazioni con gli specialisti.

Il 1928 fu infatti l'anno del celebre "affare SAHTI". Con esso si indica l'arresto di 53 ingegneri che lavoravano come coordinatori del lavoro nel bacino carbonifero del Donbass. Furono accusati di spionaggio e sabotaggio sulla base di prove risibili o inesistenti e processati pubblicamente. Fu un processo molto importante, vedremo come infatti il mito del complotto, del sabotatore, al soldo straniero, divenne una costante negli anni 30. Di li a poco poi ci fu il processo al "partito industriale", presunto partito clandestino che, si disse, contava migliaia di aderenti e dedito ad azioni sovversive ed antisovietiche. E per gli stessi motivi non si mancò di condannare un fantomatico "partito contadino del lavoro", che sarebbe stato diretto addirittura dall'importante e rinomato economista KONDRATEV. Ma erano tutte accuse campate in aria. Gli specialisti però divennero il capro espiatorio delle difficoltà economiche, alla loro mentalità borghese ed alla loro opera di sabotaggio si potevano attribuire le colpe di qualunque problema.

In poco tempo numerose istituzioni sovietiche furono epurate dagli ex-funzionari zaristi, nelle banche, nei trasporti, nelle fabbriche, i tutti i settori economici. Le epurazioni si susseguivano a ritmi tali che nel 1931 lo stesso Stalin dovette porvi un freno, accortosi dei danni che ne poteva avere la produttività. Ma tuttavia bisogna ammettere che quelle "purghe", incontravano spesso una generale approvazione della base proletaria. In tutta la storia russa l'odio verso questa categoria non era mai venuto meno.  Così nel periodo della NEP, gli specialisti furono a stento sopportati, e iniziando una dura campagna contro di loro, Stalin tantò di accattivarsi le masse.

Il leader sovietico volle poi creare una classe di ingegneri e tecnici "interamente sovietica". I nuovi dirigenti, disse, dovevano provenire tutti dal ceto operaio, non avere nulla di borghese. Fu così che si cominciò a voler creare scuole in cui educare giovani di origine proletaria, perchè essi fossero la classe dirigente del futuro e non si dovesse più dipendere da specialisti "borghesi e corrotti".

Migliaia di giovani vennero chiamati in scuole tecnico-professionali, furono moltissimi gli istituti che che nacquero e miglioramenti notevoli vennero apportati alle facoltà universitarie, specie quelle a carattere tecnico-scientifico.

Col tempo migliaia di giovani ricevettero istruzione, poterono uscire dall'anonimato in cui rischiavano di restare. Stalin ebbe più volte a definirli l'orgoglio e la speranza della Russia, e loro videro in Stalin il benefattore, colui grazie al quale poterono avere concrete speranze di giungere a postazioni di rilievo all'interno dell'Unione Sovietica.

Così Stalin veniva a crearsi un apparato di persone totalmente fedeli.

RISULTATI  
( E  STAKHANOVISMO )

Nel mondo del lavoro  nel 1931, venne lanciata la guerra all"egualitarismo". Questo comportò l'introduzione di enormi differenziazioni salariali all'interno delle fabbriche al fine di incentivare la produzione. I lavoratori, sempre pungolati, nell'orgoglio patriottico venivano incitati (ma spesso obbligati) a sottoporsi a ritmi di lavoro sempre maggiori, al fine dell'edificazione del "socialismo". I lavoratori più alacri e fedeli avrebbero avuto migliori abitazioni, pasti speciali e soprattutto sarebbero stati additati ad "eroi" nazionali per l'abnegazione dimostrata.

Ed ecco casi come quello, divenuto proverbiale, di STACHANOV, che in un solo giorno arrivò a produrre 102 tonnellate di carbone, superando di ben 14 volte la norma imposta dal regime. Lo Stachanovismo divenne così l'ideologia della produzione, l'esempio da seguire, ma per molte migliaia di operai fu pure il simbolo dello sfruttamento assoluto.

All'inizio del 1933 si potè fare un bilancio del primo piano quinquennale. Stalin lo definì un successo senza precedenti e lo dichiarò concluso a 4 anni e 4 mesi dal suo varo.

Questi furono i risultati del primo piano quinquennale:

 

1927 situazione

previsti dal piano

1932 ottenuti

Reddito nazionale (cent. di milioni in rubli)

22,4

49,7

45,5

Produz. Industriale ( id.)

18,3

43,2

43,3

Beni produttivi ( in miliardi di rubli)

6,0

18,1

23,1

Beni di consumo (id.)

12,3

25,1

20,2

Produzione agricola (id.)

13,1

25,8

16,6

Elettricità (x 100 mil di Kwh

5,5

22,0

13,4

Carbone antracite

35,4

7,5

64,3

Petrolio (milioni di t)

11,7

22,0

21,4

Minerale ferro (id)

5,7

19

12,1

Ghisa (id)

3,3

10

6,2

Acciaio (id)

4,0

10,4

5,9

Alluminio (id)

10,0

20.0

12,3

Macchinari (in milioni di rubli)

1822

4688

7362

Superfosfati (milioni di t.)

0,15

3,4

0,61

Tessuti lana (id.)

97

270

93,3

Forza lavoro occupata (milioni)

11,3

15,8

22,8

Dati da Storia economica dell'Unione sovietica, di A. Nove, Utet, Torino, 1970. p. 222

Impressionante fu poi il salto della produzione dell'acciaio  con il secondo e terzo piano quinquennale. Passò dai 5,9 milioni di t. del  1932,  ai 45 milioni del 1939, ai 105 del 1970, ai 150 del 1979. Rispettivamente del 5, 17, 24, e del 25 % della produzione mondiale.
L'alluminio dalle 10.000 t. del 1923, a 50.000 del 1938, a 410.000 nel 1955, ai 2.200.000 del 1978.
Le rete ferroviaria alla fine della Grande Guerra  era di 40.000 chilometri, nel 1950, 116.000.

Istruzione. Nel 1917 il numero di studenti nelle scuole secondarie russe era di 4 studenti ogni  10.000 abitanti (47 in Italia, 121 in USA, 156 in Germania, 12 in Giappone).
Ma  nel 1940 l'URSS ne contava 730 (109 in Italia, 272 in USA, 388 in Germania, 54 il Giappone) 
  (la grande differenza é dovuta al fatto che le scuole furono fatte frequentare a moltissimi  già adulti)
Il numero passò così  da 560.000 studenti  nel 1917, a 14.085.000 di studenti nel 1940.

Nelle scuole elementari (con gli zar, 4 anni di frequenza) il salto fu ancora più notevole. Nel 1917 la Russia   contava  7.000.000 di alunni; nel 1940, 21.472.000; nel 1970, 40.310.000.
Analfabetismo: Russia nel 1917, era del 72%; nel 1950 scese al 2%.
(alle due stesse date, Italia 43% (14), Germania 1% (0,2); USA 8% (3,0)

IL SECONDO PIANO QUINQUENNALE

Se il costo in vite umane che l'Unione Sovietica subì nell'era del primo piano quinquennale basterebbe a definirlo una tragedia , non si può non notare che effettivamente l'antica Russia rurale si stava avviando verso una crescita industriale senza precedenti. Industrie come quella chimica o elettrica nacquero di fatto dal nulla ed in poco tempo in tutta la Russia si contarono più di 2000 nuove fabbriche. In soli 4 anni poi erano nati giganteschi e modernissimi complessi industriali in regioni arretrate quali per esempio la zona degli Urali o la Siberia,   e nelle zone asiatiche crebbe enormemente l'industria tessile.

L'industria pesante poi, conobbe uno sviluppo tale da superare pure la quota di produzione assegnatale al momento del lancio del piano.

L'impiego su scala massiccia del lavoro forzato consentì poi l'ammodernamento e la costruzione di ferrovie e canali che andarono a migliorare sensibilmente i sistemi di trasporto.

Se le cifre della crescita economiche fornite dal partito al potere erano sicuramente esagerate è stato fu però stimato da economisti occidentali che il tasso di crescita della Russia di quel periodo andava sicuramente collocato fra il 13 ed il 15%, numeri mai visti in tutta la storia russa.

Così mentre in Occidente si dovevano fare i conti con la drammatica crisi economica frutto del celebre crollo della borsa di New York nell' ottobre 1929, la Russia parve esserne immune. Il partito seppe nascondere abilmente le condizioni durissime che il popolo subì negli anni della collettivizzazione, il dramma delle campagne o gli spasmodici ritmi di lavoro.

Le masse vivevano in realtà appena sopra alla soglia di sussistenza e lo stato inoltre esportava, al fine di trovare capitali necessari ad incrementare la crescita dell'industria, beni che sarebbero stati fondamentali alla popolazione quali riso, zucchero o grano.

Inoltre ben poco si seppe in Occidente della carestia del 1932, che venne accuratamente celata. Ad alimentare il nascente mito dell'Unione Sovietica come il mondo nuovo, l'unico paese che aveva saputo evitare la crisi del 1929 furono poi anche casi come quello dell'importante politico radicale francese e già primo ministro Herriot. Al ritorno da un suo viaggio in Urss si dichiarò favorevolmente stupito ed ammirato dal sistema staliniano, tanto che definì l'Urss e specialmente l'Ucraina "un giardino in pieno rigoglio". Ma famosa fu anche la frase di uno dei più noti giornalisti americani, Lincoln Steffen, che parlando dell'Urss disse "lì ho visto il futuro..e come funziona!" E davvero tanti furono i casi analoghi a questi. I dirigenti sovietici facevano vedere solo ciò che volevano si vedesse; deportazioni, gulag o anche solo le file davanti ai forni per avere il pane, erano accuratamente celate.

E tuttavia in quegli anni l'antica profezia di KARL  MARX  sulla inevitabile fine del capitalismo parve stare per realizzarsi. Gli USA, la Germania della fragile repubblica di Weimar, l'Inghilterra e con un pò di ritardo la Francia vissero una crisi economica senza precedenti e senza che si intravedessero soluzioni, con disoccupazione ed inflazione a livelli spaventosi. Il mondo del liberalismo pareva andare verso un misero crepuscolo (ed in Germania nel Gennaio 1933 Hitler andò al potere).

L'Urss apparve davvero come l'alternativa , il mondo nuovo, dato che anzichè arretrare stava vivendo uno sviluppo impressionante.

Ma non va dimenticato inoltre il contributo spesso fondamentale che proprio l'Occidente dette all'Urss durante il periodo del primo piano quinquennale. L'uso di manodopera e finanziamenti interni probabilmente non sarebbe bastato all'Urss per portare a termine il piano.

Così famoso fu l'accordo che FORD stipulò con l'Urss col qule si impegnò a costruire una grande fabbrica di automobili a Novgorod. Ma già nel 1928 dirigenti sovietici avevano concluso una convenzione con ingegneri di Detroit , perchè i preparati tecnici americani elaborassero progetti di sviluppo industriale per l'Urss che vennero valutati oltre 2 milioni di dollari. Numerosissime furono le fabbriche russe progettate da tecnici statunitensi, basti pensare ad una delle più famose, quella di trattori a Stalingrado. Ma molteplici furono pure i macchinari occidentali acquistati dall'Urss per ammodernare le fabbriche.

La propaganda sovietica poteva ben scagliarsi contro il "corrotto mondo occidentale" ( e così l'inverso) mentre in realtà la collaborazione fu molto interessante per l'occidente e fu fondamentale per la Russia durante il primo piano quinquennale. E d'altronde fu lo stesso dirigente sovietico addetto all'industria pesante, Ordzonikdze a dirlo, non nascondendo una vena sarcastica verso l'occidente :"le nostre fabbriche e miniere", disse, "dispongono di attrezzature perfette e modernissime, superiori a qualunque paese. Come le abbiamo ottenute? Ma è semplice: comprandole. Da americani, inglesi, francesi, è grazie a loro che oggi possiamo dire di avere un apparato industriale che non teme confronti". (In parte aveva ragione, perchè costruendole tutte ex novo, erano tecnologicamente avanzate rispetto a molte vecchie (o rimodernate) industrie occidentali.

Un discorso a parte, riguardo a quegli anni, merita l'Italia.

Uno storico, ANDREA GRAZIOSI, ha scoperto non molto tempo fa negli archivi del ministero degli esteri italiano i rapporti che negli anni dello stalinismo l'ambasciatore italiano a Mosca e vari diplomatici italiani inviavano a Mussolini. Essi descrivevano con chiarezza i drammi della collettivizzazione degli anni 30. Si parlava apertamente delle violenze nelle campagne, delle deportazioni, della carestia terribile in cui la Russia era piombata.

Dunque MUSSOLINI  era ben informato sulla situazione dell'Urss, eppure mai una volta usò questi documenti per screditare Stalin o generare un clima anticomunista. Ciò può sorprendere, tuttavia bisogna notare come i rapporti fra l'Italia fascista e la Russia comunista furono tutt'altro che cattivi per lungo tempo. Un diplomatico russo non gradito a Mosca, BARNIN, raccontò nel dopoguerra di un episodio che può essere sintomatico. Nel 1924 l'allora ambasciatore russo in Italia , JURENEV, invitò il Duce ad un pranzo in ambasciata. Il giorno precedente il suddetto pranzo avvenne l'omicidio Matteotti, eppure Jurenev accolse Mussolini benevolmente e, racconta Barnin, i due ebbero un colloquio molto cordiale. Inoltre, come riferisce GELLER, durante il primo piano quinquennale i rapporti commerciali fra Italia e Urss furono proficui per entrambi, anzi l'Italia ottenne numerose commesse per creare attrezzature industriali per l'Urss. Fino al punto che nel 1933 fra i due paesi fu firmato un trattato commerciale e poco dopo un patto di non-aggressione.

Intanto nel 1933 in Urss si potè lanciare il secondo piano quinquennale secondo ritmi di sviluppo più equilibrati. L'industria finì col crescere del 114% rispetto al livello pur ragguardevole raggiunto alla fine del primo piano. L'Urss poi era ormai diventata il terzo produttore mondiale di energia elettrica ed in numerosi settori reggeva ormai il passo con gli Stati Uniti, usciti dalla crisi del 1929 grazie al New Deal di Roosvelt. Ma fu ancora una volta l'industria pesante a conoscere l'incremento più gigantesco; la Russia uscita umiliata dalla prima guerra mondiale si stava accingendo a diventare una superpotenza militare.

E non vanno dimentica opere quali la metropolitana di Mosca, vero e proprio vanto del regime, che finì col suscitare ammirazione convinta in Occidente e capace di superare in fama la pure rinomata ed ammirata metropolitana di Londra.

Così alla fine del secondo piano quinquennale, la Russia poteva indiscutibilmente dirsi superpotenza economica, e solo gli Stati Uniti la sopravanzavano in tutto.

I piani quinquennali di Stalin erano stati visti al loro lancio come utopici ed inattuabili; essi comportarono una terribile militarizzazione della società, purghe nei confronti dei comunisti scettici, uno sfruttamento abnorme del lavoro di centinaia di migliaia di deportati e lo sterminio di interi villaggi contadini, e ciò non deve mai essere dimenticato.

Tuttavia si deve ammettere che ci fu anche chi vide migliorarsi la vita e che Stalin, oltre ad aver raggiunto l'obbiettivo di industrializzare l'Urss, si costruì pure un consenso fra il popolo. (vedremo più avanti come nacque il culto di Stalin).

In vasti settori dell'opinione pubblica occidentale poi, ignari, a volte volutamente, delle sofferenze che il popolo russo aveva subito e continuava a subire, crebbe l'ammirazione per l'Urss. Sembrava incredibile e stupefacente che un paese a nettissima prevalenza agricola e con un industria scarsissima, in soli 10 anni fosse divenuto la seconda potenza mondiale.

Il terzo piano quinquennale, si disse, avrebbe dovuto definitivamente edificare il "socialismo", ma venne interrotto dalla guerra.

L'Urss stava per entrare nella seconda guerra mondiale, e stavolta ne sarebbe uscita , anche se ad un prezzo durissimo, vincitrice.

IL CULTO DEL CAPO dalle icone russe.... alle icone rosse

Lenin, pur nella sua indubbia abilità di capo politico, era sempre rimasto fermo alla sua antiquata idea di partito "elitario", di rivoluzionari di professione preposti al controllo della società. Idee formulate a fine ottocento e non mutate negli anni della rivoluzione bolscevica. 

Fu Stalin a rendersi conto di quanto fosse necessario l'indottrinamento della popolazione e la propaganda più sfrenata (spesso ipocrita) sui mezzi di comunicazione tutti gestiti dalla stato. Ecco allora il ruolo centrale della cultura nell'edificare la società staliniana.  Che tramite gli apparati di partito era necessario diffondere in maniera capillare 

"il culto di Stalin"

Gli intellettuali cominciarono a divenire veri e propri impiegati dello stato. La dottrina ufficiale fu quella definita del "realismo socialista", scrittori ed intellettuali di ogni tipo dovevano essere, disse Stalin,  "ingegneri dell'animo umano" chiamati anch'essi a costruire dal versante culturale il socialismo. 

Già nel 1928 il partito pubblicò una risoluzione che dichiarava letteratura, cinema, teatro e musica, mezzi di lotta "contro l'ideologia borghese" ed il pericolo di una sua eventuale rinascita. I progressi dello stalinismo dovevano essere continuamente esaltati , l'obbiettivo era la "totale mobilitazione degli scrittori e artisti sovietici verso l'edificazione socialista". Tutto ciò fu fondamentale per la nascita del culto di Stalin, e chi non si uniformava veniva considerato nemico, le sue opere proibite e, nel migliore dei casi, espulso dall'Unione Sovietica. Gli storici dovevano rimarcare con forza i progressi "straordinari" fatti dalla Russia sovietica messi a confronto con quella che era la realtà zarista.

Stalin insisteva che si evidenziasse come in passato la Russia "arretrata ed ignorante" era sempre stata umiliata "dai khan mongoli, dai turchi, dagli svedesi, dai capitalisti inglesi e francesi". Ma al contempo andava agitava la bandiera nazionalista richiamandosi a quelli che erano stati gli episodi più gloriosi del passato , rifacendosi a personaggi come Nevskij, all'epopea della grande guerra nordica di Pietro il Grande, alla storica battaglia di Borodino contro Napoleone del 1812, ovvero a quelle definite "le sole luci del popolo russo in una storia fatta solo di umiliazioni". 

Stalin doveva essere dunque agli occhi del popolo colui che rinverdiva i fasti migliori della Russia e li riproponeva, l'uomo che , dopo aver gettato al vento le utopie trozkiste sulla rivoluzione mondiale, stava adesso guidando con realismo e mano ferma la Russia , dimostrando che era possibile costruire il "socialismo in un solo paese".  Lo storico doveva presentare Stalin come l'unico e fedele continuatore dell'opera di Lenin, l'unico che aveva difeso i principi marxisti-leninisti contro i traditori quali Trockij, Kamenev o Bucharin. 

Nel 1938 fu pubblicata "La Storia del Partito Comunista dell'Urss" in cui tutte queste tendenze vennero rispecchiate; libro che divenne il "breviario per tutti i comunisti del mondo". Nell'ambito letterario fino al 1932 la scena era stata dominata dal RAAP (associazione russa scrittori proletari), abolita proprio nel 1932 perchè non considerata sufficientemente adeguata e sostituita dall'"Unione degli scrittori sovietici" in cui un ruolo preminente lo giocò il celebre scrittore Gorkij che ben preso diventò uno dei maggiori organizzatori della cultura sovietica. (pare tra l'altro che l'abolizione del RAAP, fosse stata voluta proprio da Gorkij).

 A partire dal 1932 quindi in ambito letterario venne ammessa la sola tendenza del "realismo socialista", e lo scrittore, similmente agli storici, doveva esaltare con racconti credibili i progressi della Russia sovietica, paragonati all'arretratezza degli anni prerivoluzionari e scagliarsi sempre contro le "ingiustizie del mondo capitalista occidentale". Tutti i letterati vennero obbligati a giurare fedeltà all'Unione degli Scrittori, chi non lo faceva diventava nemico del popolo. 

Gorkij, in quello cheè stato chiamato l'appello agli scrittori sovietici così si esprimeva: 

"la guida della letteratura da parte del partito deve essere del tutto purgata da qualunque influenza filistea, i membri del partito attivi in campo letterario devono impegnarsi a insegnare idee capaci di mobilitare le energie del proletariato in tutti i paesi in vista della battaglia per la libertà, ma devono anche dar prova di autorevolezza morale , perchè gli operatori culturali siano consapevoli della loro responsabilità collettiva per quanto accade nelle loro file. La letteratura sovietica, con la sua ricchissima gamma di talenti e il numero crescente di nuovi e dotati scrittori, deve essere come un organismo collettivo , come un possente strumento della cultura socialista". 

Nei fatti Gorkij fu il maggiore organizzatore della cultura sovietica, egli poteva avere contatti con l'occidente nei quali negò sempre che in Russia vi fosse un regime, che vi fossero campi di concentramento o qualunque repressione. Ed in quegli anni, una cultura del tutto "regimentata", conobbe ben poche pagine degne di nota; ben presto agli occhi di milioni di russi Stalin divenne "guida e maestro dei lavoratori di tutto il mondo", "massimo condottiero dei popoli", "padre dei popoli", "fedele compagno amico ed esemplare continuatore dell'opera di Lenin" (naturalmente quello che Lenin aveva scritto su Stalin nel suo testamento venne accuratamente nascosto).

 Nel 1935 poi toccò al cinema giurare fedeltà al partito, e similmente di quanto avvenuto per gli scrittori,  i registi che non giuravano diventavano controrivoluzionari. La Pravda di Mechlis era poi il giornale ufficiale del partito. Inoltre sempre fondamentale era toccare l'orgoglio patriottico, dimostrare che la Russia "si era alzata in piedi" (parole che nel 1950 MAO ripetè per la Cina dopo la conclusione vittoriosa della guerra contro i nazionalisti di Chiang-Kai-Sheek e la nascita della Repubblica Popolare Cinese). 

In quest'ottica, famose furono le maestose parate sulla Piazza Rossa, le feste pubbliche per l'inaugurazione o la costruzione di un qualsiasi palazzo, di un canale o di una ferrovia. 
Stalin poi cominciò astutamente ad edulcorare la sua immagine di uomo d'acciaio (come dice il suo nome) , cominciò a voler essere presentato come l'eroe fermo e deciso ma anche dal cuore magnanimo, il "grande umanitario" come lo definirono i suoi corifei, o addirittura "il miglior amico dei bambini". Nella parate sulla Piazza Rossa migliaia di bambini venivano fatti sfilare attorniati da fiori, cantando canzoni patriottiche e portando cartelli che recitavano in gran parte così "Grazie a Stalin, il più grande amico di noi fanciulli".

 Il "KOMSOMOL" era poi l'organizzazione giovanile comunista. La Russia fu poi riempita di migliaia e migliaia di manifesti, ritratti o statue di Stalin. Tutto ciò giocò un ruolo di importanza capitale per la creazione del consenso, basti pensare per paragone all'importanza che Goebbels, ministro della propaganda del Terzo Reich, ebbe nel creare il culto di Hitler. (curioso notare come proprio Goebbels definì di straordinario impatto emotivo il famoso manifesto che raffigurava Marx, Engels, Lenin e Stalin di profilo con lo sguardo rivolto al cosidetto "sole dell'avvenire"). 

Stalin così indubbiamente riuscì a crearsi un vasto strato di consenso nella società; per molte persone la Russia staliniana era quella dell'impetuosa crescita economica e della imponente industrializzazione, ignorando che tutto ciò era dovuto in larga misura allo sfruttamento coatto di milioni di lavoratori ed ignorando i drammi della collettivizzazione, una Russia nella quale tuttavia per alcun gruppi di persone la vita cominciava a diventare davvero migliore il che bastava a renderli fedeli a Stalin. 

L'immagine con la quale abbiamo iniziato la pagina,è una delle tante icone che andarono a sostituire quelle religiose, ed iniziarono  a  capeggiare immancabilmente  in ogni casa, in ogni sala da pranzo, in ogni asilo, scuola, fabbrica o nei luoghi  del "nuovo culto". 

1937 - "IL GRANDE TERRORE"

Gli anni che andarono dal 1937 all'estate del 1938 nell' URSS coincisero con quello che è stato definito il "grande terrore", il periodo della più brutale violenza di stato durante il quale migliaia di persone, anche fedeli al regime, vennero imprigionate o fucilate.

Ma quali erano i veri obiettivi di STALIN? perchè un inasprimento tale da portare alla morte anche numerosi sostenitori del sistema sovietico?

Negli anni che precedettero il 1937 i conflitti tra Stato e Società, parevano essersi attenuati, era stato ristrutturato l'apparato giudiziario, vi furono amnistie e furono aboliti i tribunali speciali.

L' Urss andava predicando un accordo con le potenze occidentali in funzione anti-nazista ed era necessario dare una buona immagine di sè, dopo le convulsioni che fecero seguito alla crisi degli ammassi del 1927 e all'omicidio del funzionario bolscevico KIROV.

Tuttavia le cose ben presto, mutarono, l'occidente attuò una politica incerta che spesso parve preferire HITLER a STALIN, il quale cominciò a sentirsi circondato da potenze ostili e nemiche pronte a rovesciarlo.

La svolta decisiva ci fu quando EZOV divenne capo della polizia politica sovietica, l' NKVD. Ezov fu tra i massimi artefici del terrore.

Stalin ben presto cominciò ad esasperare i suoi sospetti e la sua diffidenza; l'accordo con l'occidente non c'era, e il mito del complotto cominciò ad affollare la sua mente e in crescendo sempre di più le menti dei capi sovietici a lui molto vicino.

MOLOTOV, ministro degli esteri sovietico, disse poi negli anni 60 "l'inasprimento fu necessario, eravamo invasi da spie al soldo occidentale, ci avvicinavamo alla guerra e non era possibile entrarci senza emarginare i sabotatori". In effetti, il grande terrore parve attenersi al principio del "cada pure una testa in più, l'importanteè avere uno stato sicuramente fedele".

Per cadere nelle maglie repressive bastò allora avere un passato scomodo, aver fatto parte di gruppi di opposizione all'interno del partito, aver espresso dubbi su Stalin o essere stati candannati in passato anche per pene lievi. Tutte queste erano persone sospette, non si sarebbe stati sicuri di loro in caso di bisogno, come disse KAGANOVIC, altro funzionario sovietico "per costruire un ponte, un canale o un esercito servono anni e milioni di persone, mentre per sabotarlo basta poco tempo e poche decine di persone"

Ed inoltre ci fu la ripresa delle brutali repressioni dei KULAK, contadini diventati ricchi con le derrate che nascondevano all'ammasso, oltre alle deportazioni di coreani, giapponesi e polacchi che si trovavano in Russia.

Celebri furono le purghe nel partito, numerosi dirigenti vennero accusati di lassismo, di essersi adeguati a rendite di posizione e percio emarginati e sostituiti con nuovi e giovani dirigenti a Stalin totalmente fedeli.

L'ORGANIZZAZIONE DEL TERRORE

La centrale era Mosca, da qui nel luglio del 1937 le sezioni locali del partito furono messe in guardia contro i presunti sabotatori, fino a che scattò l'operazione 00447.

Da Mosca in ogni provincia e distretto vennero inviate un numero di quote di persone che dovevano essere o arrestate o fucilate. Ai dirigenti locali spettava di dare un volto a quei numeri, se Mosca richiedeva ad una provincia ad esempio 1000 arresti, la quota doveva essere raggiunta. Fu così che solerti dirigenti locali per raggiungere i numeri stabiliti finirono con l'arrestare numerosi innocenti.

A livello locale si dovevano perciòfare delle liste di persone che speciali commissioni tripartite, ovvero tribunali speciali, avrebbero processato.

Contemporaneamente doveva essere diffuso il mito del complotto, la gente doveva credere che chi era stato arrestato era davvero colpevole e andava giustamente punito; numerosi furono i processi pubblici e le assemblee che dovevano insegnare al popolo come smascherare una spia. Tutti dovevano convincersi che feroci elementi antisovietici e traditori operavano sul suolo russo.

Il risultato fu la totale affermazione di Stalin sul partito e sulla società.

Nel partito venne favorito un violento ricambio generazionale, i vecchi funzionari fatti fuori e sostituiti da giovani elementi che solo a Stalin dovevano il fatto di aver fatto carriera e perciò gli furono sempre fedeli.

Nonostante le violenze di quel periodo, molta gente comune continuò a credere in Stalin che agì abilmente sconvolgendo la coscienza collettiva.

Il grande terrore finìquando Stalin si accorse che cominciava ad essere troppo pericoloso continuare con una legislazione ultrarepressiva, ma anche perchè i suoi diabolici obbiettivi li aveva raggiunti.

Di li a poco iniziò la Seconda guerra mondiale, la Russia staliniana fu da tutti sottovalutata, in realtà ad un prezzo umano terribile, Stalin era riuscito a fare della Russia una superpotenza capace di sorprendere e quindi a non farsi travolgere dalle armate naziste.

L'occidente che per anni aveva escluso la possibilità di ogni accordo con Stalin, dovette ricredersi di fronte alla terribile minaccia nazista e così la Russia fu alla fine, anche grazie alla celebre resistenza di Mosca, la vittoria di Stalingrado e a Kurks, tra le potenze vincitrici del conflitto.

IL CULTO DI STALIN RAGGIUNSE L'APICE.

Solo nel 1956 KRUSCIOV svelò i terrori degli anni 30, gli anni del dominio di un dittatore che trasformò un paese agricolo in una superpotenza industriale e militare infliggendo al proprio paese numerose enormi violenze, pur riuscendo a guadagnarsi un indiscutibile consenso.