La Rivoluzione Francese

Crisi e conflitti si manifestarono con intensità crescente negli anni che precedettero il 1789, riconducibili innanzitutto alla debolezza e all'incoerenza del sistema istituzionale e all'organizzazione fiscale dello stato, fonte di iniquità che un'opinione pubblica sempre più avvertita denunciava, ma che la monarchia non era in grado di riformare.

Il re Luigi XVI, salito al trono nel 1774, non poté mettere in atto le misure di cambiamento che la situazione richiedeva, per incapacità personale, ma ancor più per la resistenza dei ceti privilegiati.

In molti settori della società era cresciuta l'avversione al re, alla corte, al regime assolutistico, alimentata anche dagli illuministi, dalle cui riflessioni, incentrate sui temi della libertà, della rappresentanza, dei diritti individuali, era scaturita una forte critica all'Ancien Régime.

Intorno al 1780 la situazione economica manifestò gravi problemi, derivanti principalmente dalla crisi finanziaria in cui si dibatteva lo stato.

Il banchiere ginevrino Jacques Necker, controllore generale delle finanze dal 1776 al 1781, denunciò la gravità della situazione finanziaria, proponendo una serie di risparmi sulla spesa che avrebbero colpito i privilegi nobiliari. Tale presa di posizione gli costò la carica per l'opposizione dell'alta nobiltà, della corte e dei parlamenti.

Intanto nelle campagne cresceva il malcontento dei contadini, sottoposti a pesante tassazione e a un complesso di oneri signorili divenuto sempre più gravoso.

Alla metà degli anni Ottanta il problema economico si manifestò in tutta la sua gravità, al punto che il nuovo controllore generale delle finanze, Charles-Alexandre de Calonne, convocò nel 1787 un'Assemblea di notabili per risolvere la questione, ma dovette ripiegare in un nulla di fatto di fronte alla reazione scatenata dai ceti privilegiati.

Anche il suo successore, l'arcivescovo di Tolosa Étienne-Charles Loménie de Brienne, propose una nuova imposta fondiaria, a cui sarebbero stati assoggettati anche l'aristocrazia e il clero; i notabili riuniti a Versailles rifiutarono l'imposta e chiesero la convocazione dell'Assemblea degli Stati Generali, come unico organo competente a stabilire nuove forme di tassazione. Prima di rassegnare le dimissioni (agosto 1788), Loménie de Brienne comunicò la convocazione degli Stati Generali per il 1° maggio dell'anno seguente.

Gli Stati Generali (assemblea formata da rappresentanti del clero, della nobiltà e del Terzo Stato) non si riunivano dal 1614.

La loro convocazione fece da cassa di risonanza a un grande dibattito che coinvolse tutta la nazione francese, preparandone la politicizzazione. In un clima psicologico di generale mobilitazione vennero redatti, nel corso delle assemblee elettorali, i cahiers de doléances (quaderni di lagnanze) che dovevano riportare al re le critiche e le richieste della società.

Durante le elezioni, la Francia fu invasa da opuscoli che diffondevano idee illuministe.

Necker, nuovamente nominato controllore generale, chiese di attribuire al Terzo Stato, cioè alla borghesia, tanti rappresentanti agli Stati Generali quanti erano quelli attribuiti al primo e al secondo stato insieme.

Gli Stati Generali si riunirono a Versailles il 5 maggio 1789. Le delegazioni delle classi privilegiate si opposero immediatamente alle proposte di procedura elettorale avanzate dal Terzo Stato, che, essendo il gruppo più numeroso, con il sistema del voto individuale si sarebbe assicurato la maggioranza.
Dopo sei settimane di stallo i rappresentanti del Terzo Stato, guidati da Emmanuel-Joseph Sieyès (autore del famoso pamphlet Che cos'è il Terzo Stato?) e dal conte Honoré-Gabriel de Mirabeau, in aperta sfida alla monarchia che sosteneva clero e nobiltà, si proclamarono Assemblea nazionale costituente, attribuendosi il potere esclusivo di legiferare in materia fiscale. Privata dal re della sala di riunione, l'Assemblea per tutta risposta si trasferì nella sala attigua (20 giugno), giurando che non si sarebbe sciolta senza aver redatto una Costituzione (giuramento della pallacorda). Divisioni interne fecero sì che si unissero al nuovo organo anche molti rappresentanti del basso clero e alcuni nobili liberali tra i quali il marchese di La Fayette, che aveva guidato il corpo di spedizione francese in America in appoggio ai coloni inglesi in rivolta contro il governo della madrepatria.

Di fronte alle continue sfide ai suoi decreti e alla sedizione serpeggiante nell'esercito, il re capitolò e il 27 giugno ordinò a nobiltà e clero di unirsi ai rivoluzionari, che si proclamarono Assemblea costituente. Allo stesso tempo, cedendo alle pressioni della regina e del conte di Artois (il futuro Carlo X), Luigi XVI radunò alcuni reggimenti stranieri, più affidabili di quelli francesi, attorno a Parigi e a Versailles e licenziò nuovamente Necker. Di fronte al pericolo di un colpo di mano del re, il popolo parigino reagì con l'insurrezione e, dopo due giorni di tumulti, prese d'assalto la Bastiglia, il carcere simbolo del dispotismo reale (14 luglio 1789). Luigi XVI, impaurito dagli avvenimenti, decise il ritiro delle divisioni straniere e richiamò Necker.

Alle due rivoluzioni sin lì scoppiate (quella politica degli Stati Generali e quella cittadina di Parigi) nell'estate del 1789 si aggiunse la rivoluzione contadina. Una serie di sollevazioni, indotte da un'ondata di panico collettivo conosciuta come "Grande paura", percorse le campagne francesi: furono saccheggiati e distrutti i castelli, segno questo della spinta antifeudale presente nei contadini ribelli. Per arginare l'agitazione l'Assemblea nazionale decretò l'abolizione dei diritti feudali (4 agosto 1789); furono quindi proibite la vendita delle cariche pubbliche e l'esenzione dalle tasse, mentre alla Chiesa cattolica fu tolto il diritto di prelevare le decime.

Spaventati dagli eventi, il conte di Artois e altri reazionari lasciarono il paese, dando inizio alla migrazione dei nobili (réfugiés). Per timore che il popolo approfittasse ulteriormente del crollo del vecchio apparato amministrativo e passasse nuovamente all'azione, la borghesia parigina si affrettò a istituire un governo locale provvisorio (la Comune) e una milizia popolare (Guardia nazionale), comandata dal marchese di La Fayette. Un tricolore rosso, bianco e blu sostituì lo stendardo bianco dei Borbone, mentre anche nelle province si formavano municipalità borghesi e rurali e unità della Guardia nazionale. Luigi XVI, non potendo contenere la crescente rivolta, ritirò le truppe, richiamò Necker e legittimò le misure prese dalle autorità provvisorie.

Sin dai suoi primi giorni l'Assemblea si dedicò alla redazione della Costituzione, nel cui preambolo, noto come Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (26 agosto 1789), i delegati formularono gli ideali rivoluzionari condensati poi nell'espressione "liberté, égalité, fraternité". Era la solenne proclamazione delle libertà fondamentali dell'individuo (di pensiero, di parola e di stampa), dell'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzioni di ceto e dei principi democratici (divisione dei poteri, sovranità popolare, diritto all'istruzione).

Nel frattempo il popolo, affamato e in fermento per le voci di una cospirazione monarchica, assediò inferocito il palazzo di Versailles (5-6 ottobre), costringendo la famiglia reale a riparare a Parigi con l'aiuto di La Fayette. L'episodio spinse alcuni conservatori, membri della Costituente, a seguire il re e a dare le dimissioni. L'obiettivo iniziale di una monarchia costituzionale venne mantenuto, anche se tra i membri dell'Assemblea cominciò a prevalere un certo radicalismo.

Lo stato venne riorganizzato all'inizio del 1790: le province furono abolite e sostituite da dipartimenti dotati di organi amministrativi elettivi locali; i titoli nobiliari furono soppressi; si istituì il processo davanti alla giuria per atti criminali e si prospettarono fondamentali modifiche alle leggi. Alla crisi finanziaria l'Assemblea fece fronte con la confisca dei beni della Chiesa e quindi con l'emissione degli assignats (assegnati), ossia buoni del tesoro utilizzabili per l'acquisto del patrimonio ecclesiastico.

La questione religiosa, intrecciata con quella finanziaria, fu al centro del dibattito nell'Assemblea, concluso nel luglio del 1790 con la Costituzione civile del clero che limitò notevolmente il potere della Chiesa cattolica: preti e vescovi sarebbero stati eletti da particolari assemblee e retribuiti dallo stato, al quale essi dovevano giurare fedeltà, mentre quasi tutti gli ordini monastici dovevano essere soppressi.

Nei quindici mesi tra l'accettazione della prima stesura della Costituzione e il suo completamento mutarono gli equilibri di forze all'interno del movimento rivoluzionario, soprattutto a causa del clima di scontento e di sospetto diffuso tra le classi prive del diritto di voto, sempre più portate a soluzioni radicali. Questa tendenza, stimolata in tutta la Francia dai giacobini e a Parigi dai cordiglieri, si acuì alla notizia dei contatti tra la regina Maria Antonietta e il fratello, l'imperatore Leopoldo II d'Asburgo, che, come quasi tutti i regnanti d'Europa, aveva accolto i réfugiés e non nascondeva la propria ostilità di fronte agli avvenimenti francesi. Il sospetto popolare sulle attività della regina e sulla complicità del re trovò conferma il 21 giugno, quando la famiglia reale tentò di lasciare la Francia e fu catturata a Varennes.

Il 17 luglio 1791 i repubblicani di Parigi si riunirono al Campo di Marte chiedendo la deposizione del sovrano. All'ordine di La Fayette, politicamente affiliato ai foglianti (monarchici moderati), la Guardia nazionale aprì il fuoco disperdendo i dimostranti. Lo spargimento di sangue acuì la frattura tra repubblicani e borghesia. Dopo aver sospeso Luigi XVI dalle sue funzioni, la maggioranza moderata della Costituente, temendo ulteriori disordini, reintegrò il re nella speranza di contenere le spinte radicali ed evitare l'intervento straniero. Il 14 settembre Luigi XVI giurò di appoggiare la Costituzione emendata. Due settimane dopo, con l'elezione della nuova legislatura autorizzata dalla Costituzione, l'Assemblea costituente fu sciolta. Nel frattempo, Leopoldo II e Federico Guglielmo II, re di Prussia, avevano emanato una dichiarazione congiunta contenente minacce di intervento armato contro la rivoluzione (27 agosto 1791).

La carta costituzionale della Francia fu approvata dopo lunghe discussioni il 4 settembre 1791; il 14 settembre il re giurò di rispettarla. Basando il diritto di suffragio sulla proprietà, la Costituzione limitò l'elettorato alla borghesia e alle classi più elevate. Il potere legislativo fu conferito a un'Assemblea composta da 745 membri da eleggere a suffragio indiretto. Sebbene il re detenesse il potere esecutivo, gli furono imposte rigide limitazioni: il suo veto aveva esclusivamente effetto sospensivo e all'Assemblea spettava il controllo sulla sua condotta negli affari esteri.

L'Assemblea legislativa, riunitasi il 1° ottobre, era composta da nuovi membri (poiché i costituenti si erano dichiarati ineleggibili alla legislatura successiva) ed era divisa in fazioni le cui idee politiche erano ampiamente divergenti. La più moderata era quella dei foglianti, sostenitori della monarchia costituzionale prevista nella Costituzione del 1791; al centro si collocava la maggioranza (detta "Pianura"), senza un programma preciso, ma compatta nell'opposizione ai repubblicani, seduti a sinistra, distinti in girondini, che chiedevano la trasformazione della monarchia costituzionale in repubblica federale, e montagnardi (giacobini e cordiglieri, che occupavano i seggi più in alto, quelli appunto della "Montagna"), che propugnavano una repubblica fortemente centralizzata. Prima che queste differenze provocassero una grave frattura interna allo schieramento, i repubblicani riuscirono a far approvare alcune leggi importanti e severe misure contro gli ecclesiastici che rifiutavano il giuramento di fedeltà.

Il veto del re a tali proposte creò una crisi che portò al potere i girondini, guidati da figure di prestigio quali Jacques-Pierre Brissot e l'ex marchese di Condorcet. I nuovi ministri, nonostante l'opposizione di Maximilien de Robespierre, capo dei giacobini, adottarono un atteggiamento ostile verso Federico Guglielmo II e Francesco II d'Asburgo (succeduto al padre Leopoldo II sul trono imperiale il 1° marzo 1792), principali protettori dei réfugiés e sostenitori della ribellione dei signori feudali alsaziani contro il governo rivoluzionario. La volontà di guerra si diffuse rapidamente sia tra i monarchici, che speravano di restaurare l'Ancien Régime, sia tra i girondini, che volevano un trionfo decisivo sulle forze reazionarie nazionali ed estere. Il 20 aprile 1792 l'Assemblea legislativa dichiarò guerra all'Austria, affidandone la direzione al ministro Charles-François Dumouriez.

A causa degli errori commessi dagli alti comandi francesi, perlopiù monarchici, l'Austria riportò numerose vittorie nei Paesi Bassi austriaci. La conseguente invasione della Francia fece cadere il ministero Roland il 13 giugno e nella capitale scoppiarono disordini culminati nell'attacco alle Tuileries (20 giugno), la residenza reale. L'11 luglio i regni di Sardegna e Prussia entrarono in guerra contro la Francia e scattò l'emergenza nazionale; furono inviati rinforzi agli eserciti e a Parigi si raccolsero volontari da tutto il paese, tra cui il contingente di Marsiglia che arrivò cantando la Marseillaise.


Lo scontento popolare nei confronti dei girondini, raccoltisi intorno al monarca, aumentò la tensione, che degenerò in insurrezione aperta quando il duca di Brunswick, che comandava l'esercito austroprussiano, minacciò di distruggere la capitale in caso di attentati contro la famiglia reale. Gli insorti assaltarono le Tuileries, massacrando le guardie del re, che si rifugiò nella sala dell'Assemblea legislativa; il sovrano fu sospeso e imprigionato, il governo parigino deposto e sostituito da un Consiglio esecutivo provvisorio dominato dai montagnardi di Georges Danton, che ben presto assunsero il controllo dell'Assemblea legislativa e indissero elezioni a suffragio universale maschile per istituire una nuova Convenzione costituente.

Tra il 2 e il 7 settembre oltre 1000 sospetti traditori furono processati sommariamente e giustiziati nei cosiddetti "massacri di settembre", dettati dalla paura di presunti complotti per rovesciare il governo rivoluzionario. Il 20 settembre l'avanzata prussiana fu bloccata a Valmy. Il giorno seguente si riunì la nuova Convenzione nazionale, che proclamò l'abolizione della monarchia e la nascita della Prima Repubblica. Sebbene le principali fazioni, montagnardi e girondini, non avessero altri programmi comuni, non si sviluppò alcuna opposizione al decreto della Gironda che prometteva l'aiuto francese a tutti i popoli oppressi d'Europa, principio che di fatto avrebbe dato luogo a future annessioni.

Mentre le truppe conseguivano nuove vittorie, conquistando Magonza, Francoforte sul Meno, Nizza, la Savoia e i Paesi Bassi austriaci, cresceva il conflitto all'interno della Convenzione, con la Pianura che oscillava tra i girondini conservatori e i montagnardi radicali, capeggiati da Robespierre, Marat e Danton. Fu approvata infine la proposta della Montagna di processare Luigi XVI per tradimento: il 15 gennaio 1793 il re fu dichiarato colpevole e il 21 gennaio ghigliottinato, provocando la reazione immediata delle Corti europee.

La mancanza di unità dei girondini durante il processo al re danneggiò il loro prestigio, e la loro influenza in seno alla Convenzione diminuì, anche in conseguenza delle sconfitte francesi contro l'Inghilterra e le Province Unite olandesi (1° febbraio 1793) e contro la Spagna (7 marzo), quest'ultima entrata con alcuni stati minori nella coalizione controrivoluzionaria. All'inizio di marzo la Convenzione approvò la coscrizione di 300.000 uomini, arruolati nei vari dipartimenti. Sfruttando la resistenza opposta dai contadini della Vandea, i monarchici e il clero li spinsero alla rivolta, dando inizio alla guerra civile che si diffuse rapidamente nei dipartimenti vicini. La sconfitta francese a Neerwinden, la guerra civile e l'avanzata delle forze straniere in Francia portarono a una frattura tra i girondini e i montagnardi, che sostenevano la necessità di un'azione radicale in difesa della rivoluzione.

Il 6 aprile la Convenzione istituì un nuovo organo esecutivo della Repubblica, il Comitato di salute pubblica, e riorganizzò il Comitato di sicurezza generale e il Tribunale rivoluzionario, inviando inoltre funzionari nei singoli dipartimenti per sorvegliare l'applicazione della legge e requisire uomini e armi. Il conflitto tra girondini e montagnardi si acuì; nuovi tumulti scoppiati a Parigi, organizzati da estremisti radicali, costrinsero la Convenzione a ordinare l'arresto di 29 delegati e di due ministri girondini, così che da quel momento prevalse la fazione radicale del governo parigino. Il 24 giugno l'Assemblea promulgò una nuova Costituzione ancora più democratica (detta Costituzione dell'anno I), che però non entrò mai in vigore perché il testo fu completamente riformulato dai giacobini, passati il 10 luglio alla direzione del Comitato di salute pubblica.

Tre giorni dopo, il radicale giacobino Jean-Paul Marat fu assassinato da Charlotte Corday, simpatizzante girondina; l'indignazione pubblica accrebbe notevolmente l'influenza giacobina. Il 27 luglio Robespierre entrò nel Comitato e ben presto ne assunse la guida: coadiuvato da Louis de Saint-Just, Lazare Carnot, Georges Couthon e altri, ricorse a misure estreme per schiacciare qualunque tendenza controrivoluzionaria. I poteri del Comitato vennero rinnovati mensilmente dall'Assemblea nel periodo noto come "il Terrore" (aprile 1793 - luglio 1794).

In campo militare, la Repubblica dovette affrontare le potenze nemiche che avevano ripreso l'offensiva su tutti i fronti: Magonza era stata riconquistata dai prussiani, numerose città francesi erano cadute o si trovavano sotto assedio, gli insorti cattolici o monarchici controllavano buona parte della Vandea e della Bretagna, mentre Caen, Lione, Marsiglia e Bordeaux erano nelle mani dei girondini. Una nuova coscrizione chiamò alle armi tutta la popolazione maschile abile, 750.000 uomini che vennero divisi in quattordici eserciti. All'interno, l'opposizione veniva repressa duramente dal Comitato: il 16 ottobre 1793 fu giustiziata la regina Maria Antonietta e, due settimane dopo, ventuno girondini; migliaia di monarchici, ecclesiastici, girondini e altri, accusati di attività o simpatie controrivoluzionarie, furono processati e mandati al patibolo, per un totale di 2639 esecuzioni, di cui più della metà tra giugno e luglio del 1794.

Il tribunale di Nantes condannò a morte oltre 8000 persone in tre mesi e, in tutta la Francia, si eseguirono quasi 17.000 pene capitali che, sommate ai morti nelle prigioni sovraffollate e malsane e ai rivoltosi uccisi sul campo, portarono le vittime del Terrore a circa 50.000. Non si fecero distinzioni: nobili, ecclesiastici, borghesi e soprattutto contadini e operai furono condannati come renitenti alla leva, disertori, ribelli o responsabili di altri crimini. Fu avviata una campagna di scristianizzazione, culminata con l'abolizione del calendario gregoriano, sostituito dal calendario repubblicano, che fu istituito nel 1793 ma reso retroattivo a partire dal 22 settembre 1792.

Il Comitato di salute pubblica di Robespierre tentò di riformare la Francia secondo i concetti di umanitarismo, idealismo sociale e patriottismo; nello sforzo di istituire una "repubblica della virtù", si enfatizzò la devozione alla nazione e alla vittoria, combattendo corruzione e ribellione. Il 23 novembre 1793 il governo municipale di Parigi (la prima Comune, detta anche Comune rivoluzionaria), presto seguito in tutta la Francia, chiuse le chiese, iniziando la predicazione della religione rivoluzionaria nota come "culto della Dea Ragione". Ciò accrebbe la divisione tra i giacobini, guidati da Robespierre, e i seguaci dell'estremista Jacques-René Hébert, che costituivano una forza notevole alla Convenzione e nel governo parigino.

Frattanto, la campagna contro la coalizione antifrancese raccoglieva vittorie e respingeva gli invasori; contemporaneamente il Comitato di salute pubblica schiacciava le insurrezioni di monarchici e girondini.

Il conflitto tra il Comitato e gli estremisti si risolse con l'esecuzione di Hébert e altri radicali (24 marzo 1794); pochi giorni dopo (6 aprile) Robespierre fece giustiziare Danton e i suoi seguaci (i cosiddetti "indulgenti"), che cominciavano a chiedere la pace e la fine del Terrore. A causa di tali rappresaglie Robespierre perse l'appoggio di molti giacobini; si diffuse il rifiuto delle eccessive misure di sicurezza imposte dal Comitato e lo scontento generale si trasformò presto in una vera cospirazione: Robespierre, Saint-Just, Couthon e altri 98 loro sostenitori furono arrestati il 27 luglio (corrispondente al 9 termidoro dell'anno II) e giustiziati il giorno seguente.

Sino alla fine del 1794 l'Assemblea fu dominata dal gruppo che aveva rovesciato Robespierre ponendo fine al Terrore: i club giacobini furono chiusi in tutta la Francia, vennero aboliti i tribunali rivoluzionari e abrogati alcuni decreti, tra cui quello che fissava il tetto massimo di prezzi e salari. Richiamati i girondini e altri delegati di destra espulsi, i termidoriani divennero fortemente reazionari, sicché nella primavera del 1795 ripresero tumulti e manifestazioni di protesta, duramente repressi e seguiti da rappresaglie contro i montagnardi.

Nell'inverno del 1794 l'esercito francese invase i Paesi Bassi austriaci e le Province Unite, poi riorganizzate nella Repubblica Batava. La coalizione antifrancese si sgretolò: con il trattato di Basilea (5 aprile 1795) la Prussia e altri stati tedeschi stipularono la pace con la Francia; il 22 luglio si ritirò la Spagna e quindi solo Gran Bretagna, Sardegna e Austria rimasero in guerra con la Francia. Per quasi un anno però si ebbe una situazione di tregua: la fase successiva fu aperta dalle guerre napoleoniche.

La Convenzione nazionale redasse rapidamente una nuova Costituzione (Costituzione dell'anno III) che, approvata il 22 agosto 1795, conferiva il potere esecutivo a un Direttorio composto di cinque membri e quello legislativo a due camere, il Consiglio degli Anziani (250 membri) e il Consiglio dei Cinquecento. Il mandato di un membro del Direttorio e di un terzo del corpo legislativo doveva essere rinnovato annualmente a partire dal maggio 1797 e il voto era limitato ai contribuenti residenti da almeno un anno nel proprio distretto elettorale. La nuova Costituzione si allontanava dalla democrazia giacobina e, non indicando mezzi per risolvere i conflitti tra potere esecutivo e legislativo, pose le premesse per rivalità interne, colpi di stato e un'inefficace gestione degli affari interni.

La Convenzione, sempre anticlericale e antimonarchica nonostante l'opposizione ai giacobini, creò una serie di garanzie contro la restaurazione della monarchia; decretò infatti che il Direttorio e due terzi del corpo legislativo fossero scelti tra i propri membri, suscitando così la violenta insurrezione dei monarchici (5 ottobre 1795). I disordini furono sedati dai soldati guidati dal generale Napoleone Bonaparte (il futuro Napoleone I). Il 26 ottobre cessarono i poteri della Convenzione, sostituita il 2 novembre dal governo previsto nella nuova Costituzione.

Nonostante il contributo di abili statisti quali Charles-Maurice de Talleyrand-Périgord e Joseph Fouché, il Direttorio dovette fronteggiare subito numerose difficoltà: sul fronte interno, l'eredità di un'acuta crisi finanziaria aggravata da una disastrosa svalutazione (99% circa) degli assignats, lo spirito giacobino ancora vivo tra le classi più povere, il proliferare tra i benestanti di agitatori monarchici che propugnavano la restaurazione; sul fronte internazionale, la questione aperta con il Sacro romano impero e l'assolutismo, costante minaccia alla rivoluzione, che ancora dominava quasi tutta l'Europa. I raggruppamenti politici borghesi, decisi a conservare il potere conquistato, presto scoprirono i vantaggi derivanti dal distogliere le masse dirottandone le energie in questioni militari.

A circa cinque mesi dall'insediamento, il Direttorio aprì la prima fase (marzo 1796 - ottobre 1797) delle guerre napoleoniche. Tre colpi di stato, sconfitte militari nell'estate del 1799, difficoltà economiche e fermento sociale misero in grave pericolo la supremazia politica borghese. Gli attacchi della sinistra culminarono in un complotto del riformatore radicale François-Noël Babeuf, che chiedeva la distribuzione di terre e ricchezze. Il tradimento di un complice fece fallire l'insurrezione e Babeuf fu giustiziato il 28 maggio 1797. Un colpo di stato rovesciò il Direttorio (9 novembre 1799, corrispondente al 18 brumaio dell'anno VIII nel calendario repubblicano) e Napoleone Bonaparte, idolo popolare grazie alle sue recenti vittoriose campagne militari, salì al potere come Primo console, chiudendo il periodo "rivoluzionario". Il parziale fallimento della rivoluzione fu compensato dal suo dilagare in quasi tutta l'Europa.

Il risultato immediato della rivoluzione fu l'abolizione della monarchia assoluta e dei privilegi feudali (vedi Feudalesimo): la servitù, i tributi e le decime furono soppressi; i grandi possedimenti furono frazionati e s’introdusse un principio equo di tassazione. Con la redistribuzione delle ricchezze e dei terreni, la Francia divenne il paese europeo con il maggior numero di piccoli proprietari terrieri indipendenti. A livello sociale ed economico, furono aboliti l'incarceramento per debiti e il diritto di primogenitura nell'eredità terriera e venne introdotto il sistema metrico decimale.

Napoleone portò a compimento alcune riforme avviate durante la rivoluzione: istituì la Banca di Francia, che era banca nazionale semi-indipendente e agente governativo in materia di valuta, prestiti e depositi pubblici; instaurò l'attuale sistema scolastico, centralizzato e laico; riorganizzò l'università e fondò l'Institut de France; stabilì l'assegnazione delle cattedre in base a esami aperti a tutti, senza distinzioni di nascita o reddito.

La riforma delle leggi provinciali e locali fu incorporata nel Codice napoleonico (1804), che rispecchiava molti principi introdotti dalla rivoluzione: uguaglianza dei cittadini davanti alla legge; proibizione della detenzione arbitraria oltre il terzo giorno dall'arresto; regolarità processuale, che prevedeva un consiglio di giudici e una giuria; la presunzione di innocenza dell'accusato fino a prova contraria e il diritto alla difesa. In tema di religione, i principi di libertà di culto e di stampa, enunciati nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, portarono a una maggiore libertà di coscienza e al godimento dei diritti civili per protestanti ed ebrei. Furono inoltre gettate le basi per la separazione tra Stato e Chiesa.

Gli esiti teorici della Rivoluzione francese si condensano nei principi di "liberté, égalité, fraternité", che diventarono il vessillo per le riforme liberali in Francia e in Europa nel XIX secolo e sono tuttora i fondamenti della democrazia. Storici revisionisti, tuttavia, attribuiscono alla Rivoluzione francese risvolti meno positivi, traducibili in un sistema fortemente centralizzato e spesso totalitario, e in un concetto di guerra applicata su larga scala per coinvolgere intere nazioni. Altri tendono a sminuire la lotta di classe come elemento motore della rivoluzione, e a sottolineare l'importanza di fattori politici, culturali e ideologici.