Roma: le guerre civili e la fine della repubblica

Alea iacta est ("il dado è tratto")

Questa famosa frase fu pronunciata da Gaio Giulio Cesare quando attraversò con il suo esercito il fiume Rubicone e marciò su Roma, disobbedendo al senato che gli aveva intimato di deporre le armi.

Era, questa decisione, la dimostrazione della sua ferma volontà di opporsi al senato fino allo scontro finale.

La sorte della repubblica era ormai segnata: questo valente condottiero e abile uomo politico avrebbe concentrato nelle sue mani un potere illimitato e aperto la via all'impero.

Contro il latifondo la riforma di Tiberio Gracco

Come abbiamo già visto, furono soprattutto i senatori, che per legge non potevano essere né mercanti, né banchieri o imprenditori, a impiegare le loro ricchezze nelle grandi proprietà terriere in tutta l'Italia romana.

Questo fatto provocò la crisi della piccola proprietà. In più, la conseguente riduzione del numero dei contadini mise in difficoltà il sistema di reclutamento dei soldati, poiché l'esercito era costituito per la massima parte da contadini che combattevano a piedi.

A Roma ormai molti si rendevano conto che occorreva approvare alcuni provvedimenti a favore dei contadini impoveriti.

Fu un giovane patrizio, Tiberio Gracco, nipote di Scipione l'Africano, a prendere l'iniziativa.

Infatti, durante un viaggio in Etruria nel 137 a.c., aveva visto con i suoi occhi le fiorenti campagne toscane abbandonate dai piccoli proprietari, divise in estese tenute, malamente coltivate da un gran numero di schiavi.

Eletto tribuno della plebe nel 133 a.c., Tiberio propose una legge agraria secondo la quale le terre dell' ager publicus (di proprietà dello Stato) avrebbero dovuto essere divise in piccoli lotti e poi distribuite a ogni singola famiglia contadina, proprio come prevedeva il diritto romano, non più rispettato da molti anni.

Patrizi e cavalieri sarebbero stati danneggiati da questa legge, perché avrebbero dovuto restituire parte delle terre occupate senza autorizzazione.

I grandi proprietari iniziarono quindi ad attaccare la riforma di Tiberio, mentre migliaia di contadini poveri accorsero a Roma dalle campagne per sostenere l'approvazione della legge.

In effetti la legge passò, e venne nominata un'apposita commissione per confiscare le terre dei ricchi e poi distribuirle ai contadini poveri.

Ma l'anno seguente scoppiarono a Roma gravi disordini.

Tiberio infatti voleva presentarsi una seconda volta come candidato alla carica di tribuno della plebe per vigilare sulla realizzazione della sua riforma.

Ma i suoi oppositori, appartenenti alla classe senatoria, lo accusarono di voler imporre il proprio potere personale.

Negli scontri che seguirono Tiberio e molti suoi seguaci vennero uccisi. La morte di Tiberio Gracco non fu inutile. La gravità del problema agrario era ormai evidente a tutti. La riforma nelle campagne venne applicata in molte regioni italiane soprattutto nel Mezzogiorno, dove maggiori erano stati gli abusi nell' occupazione dell' ager publicus. Ancora di recente sono stati ritrovati nelle campagne delle province di Salerno, Avellino, Foggia molti cippi di confine in pietra recanti un'iscrizione che attesta l'avvenuta riforma.

Gaio Gracco e il partito popolare

Nel 123 a.C il fratello più giovane di Tiberio, Gaio Gracco, venne eletto a sua volta tribuno della plebe. Egli era ben più preparato di Tiberio e, soprattutto, era dotato di maggiore abilità politica; inoltre aveva accuratamente studiato un piano molto articolato di riforme per ridurre il potere dei patrizi e del senato. La sua prima azione fu quella di far votare una legge in base alla quale ogni anno la plebe romana avrebbe avuto diritto a ricevere del grano a basso prezzo, accollandone le spese allo Stato.

La legge rese molto popolare Gaio Gracco, ma fu sostanzialmente una decisione ingiusta: favoriva infatti il sorgere fra la plebe romana di una moltitudine di fannulloni (parassiti), che vivevano a spese dello Stato; inoltre la legge era limitata ai soli abitanti di Roma.

Per contrastare la potenza del senato, Gaio propose che nei tribunali dove si giudicavano i governatori delle province sedessero anche i cavalieri e non più i soli senatori. Ciò avrebbe permesso di combattere la corruzione che si andava diffondendo, particolarmente nelle province, dove i governatori, inviati dal senato e da questo sostenuti, spesso approfittavano della loro carica per rubare e arricchirsi ingiustamente. La proposta di Gaio Gracco assicurò al partito popolare l'appoggio del potente ceto dei cavalieri; a questi fu anche concessa la riscossione delle ricchissime imposte delle province orientali.

Gaio propose inoltre l'estensione della cittadinanza romana agli alleati d'Italia. Era questa una saggia decisione, che avrebbe consentito di rinsaldare i vincoli fra Roma e i popoli italici, che tanti sacrifici avevano sostenuto nelle guerre precedenti. Ma proprio questa proposta suscitò le ire della plebe romana, timorosa di perdere i propri privilegi, dalle distribuzioni di grano ai posti riservati per i giochi pubblici.

Senatori e patrizi colsero l'occasione per abbattere il potere popolare di Gaio Gracco. Lo giudicarono responsabile dei disordini scoppiati e lo proclamarono ribelle a Roma, offrendo una taglia sulla sua testa. In uno scontro successivo Gaio e molti suoi seguaci persero la vita.

La crisi della repubblica e la riforma dell'esercito

L'equilibrio fra i diversi gruppi sociali aveva evitato fino ad allora a Roma gli orrori della guerra civile. Ma negli anni seguenti i diversi partiti non furono in grado di sacrificare i propri interessi particolari a favore del bene comune. BR>I popolari, per esempio, rappresentavano gli interessi dei cittadini di Roma, ma si rifiutavano di riconoscere i diritti dei popoli italici.
I membri del senato vedevano la loro potenza e i loro privilegi messi in pericolo dai cavalieri, che stavano accumulando rapidamente ricchezze e poteri.
L'egoismo, l'odio e la violenza finirono per prevalere e a Roma scoppiò la guerra civile. Le discordie interne indebolirono anche la forza militare di Roma, che andò incontro a numerose sconfitte. Germani e Galli batterono più volte gli eserciti romani fra il 113 e il 105 a.c. Nel 110 a.c. un altro esercito fu sconfitto in Africa, dove era intervenuto in una guerra locale per sostenere gli in teressi dei cavalieri. Finalmente, nel 107 a.c., fu eletto console Gaio Mario, un personaggio fino ad allora poco conosciuto. Egli riuscì abilmente a farsi eleggere con il sostegno della fazione popolare, prendendo dure posizioni contro la nobiltà senatoria e vantando le sue umili origini. Ma non si limitò a questo: ben presto si dimostrò anche un valente generale e nel 105 a.C., in Africa, sconfisse Giugurta, il principe della Numidia che si era ribellato a Roma. Grazie all'autorità conquistata, Gaio Mario riorganizzò l'esercito e il sistema di reclutamento dei soldati. Fino ad allora questi erano stati reclutati fra i piccoli proprietari contadini, ma con l'aumento delle guerre in cui i Romani erano coinvolti, e quindi con il grande aumento del numero di soldati necessari, i piccoli proprietari non erano più sufficienti a soddisfare le crescenti necessità militari di Roma.
Mario allora arruolò anche i nullatenenti: fare il soldato divenne così un vero e proprio lavoro per chi non aveva terre o altri impieghi. In questo modo si poteva reclutare un numero molto maggiore di soldati, ma restava il problema del pagamento dello stipendio e quello delle ricompense dopo le vittorie. Ai veterani romani, al termine del loro lungo servizio, venne concesso il diritto a partecipare alla distribuzione delle terre conquistate. Tali provvedimenti a favore dei soldati venivano proposti dai singoli generali di fronte all'assemblea popolare che doveva approvarli. Ne derivava un rapporto particolarmente stretto tra ogni generale e i suoi soldati. Infatti, più il generale si affermava e diveniva potente e famoso, più i suoi soldati potevano guadagnare.

I "TRIONFI" DEI GENERALI

Quando un generale riportava una vittoria importante e prestigiosa su un popolo straniero, con almeno cinquemila uccisi, lo Stato lo onorava con una particolare cerimonia: il "trionfo", una grande parata militare che attraversava la città. Inizialmente il trionfo aveva una funzione di propaganda politica: intendeva cioè celebrare la potenza romana. Dopo la riforma di Mario, invece, divenne un riconoscimento della grandezza del generale trionfatore, e quindi un modo per accrescere agli occhi di tutti il suo personale potere. Diamo qui, tratta dalla Vita di Pompeo scritta dallo storico greco Plutarco (45-125 d.c.), la descrizione del trionfo che fu tributato nel 61 a.c. a un famoso condottiero romano, Gneo Pompeo, del quale parleremo più avanti.
Quanto al trionfo, benché fosse ripartito su due giorni, il tempo fu insufficiente rispetto alla sua importanza, e si dovettero escludere molte cose preparate che sarebbero bastate a illustrare adeguatamente un' altra cerimonia. Delle insegne, poste alla testa del corteo, indicavano i paesi e le genti su cui Pompeo celebrava il trionfo; erano i seguenti: il Ponto, l'Armenia, la Paflagonia, la Cappadocia, la Media, la Colchide, gli Iberi, gli Albani, la Siria, la Cilicia, la Mesopotamia, la Fenicia, la Palestina, la Giudea, l'Arabia e tutti i pirati vinti per mare e per terra. Vi si leggeva che Pompeo aveva preso almeno mille fortezze, quasi novecento città, aveva strappato ai pirati ottocento navi e fondato trentanove città. In queste insegne era pure segnalato che, mentre prima lo Stato riscuoteva tributi per 50 milioni di dracme, ora questi, per merito di Pompeo, erano saliti a 85 milioni, e che egli portava al tesoro pubblico, sia in moneta sia in oggetti d'oro e d'argento, ventimila talenti, a prescindere dai doni fatti ai soldati, di cui il meno fortunato aveva ricevuto 1500 dracme. I prigionieri fatti sfilare in trionfo furono, oltre ai capi dei pirati, il figlio dell' armeno Tigrane, con moglie e figlia; la moglie dello stesso re Tigrane, Zosima; il re dei Giudei Aristobulo; la sorella, i cinque figli e le mogli sciite di Mitridate; gli ostaggi degli Albani, degli Iberi e del re della Commagene.

La rivolta si estende all'Italia intera

Mario dimostrò quasi subito le capacità del rinnovato esercito battendo le tribù ribelli dei Cimbri e dei Tèutoni in due diverse spedizioni nel sud della Gallia e in Piemonte. La sua popolarità si accrebbe ed egli fu riconosciuto come il capo del partito popolare. Nel frattempo, era cresciuto il malcontento delle città italiche alleate di Roma. Esse avevano grandemente contribuito alla difesa di Roma durante le guerre contro Annibale ed erano state sempre più coinvolte nelle guerre offensive condotte in tutto il Mediterraneo, ma non avevano ottenuto in cambio che poche ricompense e poche terre. La stessa riforma agraria dei Gracchi aveva infatti sottratto molte terre proprio alle città più fedeli a Roma. Da qui nacquero le loro richieste di maggiori diritti e maggiori privilegi; in particolare le città chiedevano la concessione della cittadinanza romana. Quest'ultima infatti avrebbe permesso anche agli Italici sia di partecipare alla gestione delle imprese e degli affari pubblici, sia di avere diritto alla riscossione dei tributi nelle province, alle forniture per l'esercito e alla distribuzione di terre dell' ager publicus. Queste richieste, però, furono respinte dal senato. Così nel 91 a.c., quando un tumulto causò a Roma la morte del tribuno Livio Druso, sostenitore delle ragioni degli Italici, scoppiò' una rivolta armata: la cosiddetta guerra sociale.
La guerra fu durissima. Gli insorti costituirono uno Stato indipendente che chiamarono Italia, con capitale a Corfinio, vicino a Sulmona. Gli eserciti romani furono più volte battuti. Alla fine il senato fece approvare una legge che garantiva la cittadinanza romana alle città fedeli (le città latine e greche) e a tutte quelle che avessero deposto le armi. Così la rivolta fu domata e le città italiche ottennero la tanto sospirata parità con i cittadini romani (88 a.c.).

La prima guerra civile e la dittatura di Silla

Nel frattempo, i contrasti fra il senato e il partito popolare continuavano e sfociarono ben presto in una vera e propria guerra militare. Durante la guerra sociale si era distinto un luogotenente di Mario, Lucio Cornelio Silla, già veterano delle campagne in Africa e contro i Germani. Silla era più vicino al partito senatoriale e agli aristocratici e fu nominato console nell'88 a.C. Nello stesso anno, Mitridate, re del Ponto (in Asia Minore), aveva attaccato la provincia romana in Asia. Al comando dell' esercito che sarebbe partito per l' Oriente contro di lui fu posto proprio Silla. Mario tuttavia si oppose, perché sapeva bene che Silla, se avesse vinto, com' era molto probabile, avrebbe non solo accresciuto il proprio potere, ma anche conquistato un ricchissimo bottino e il favore dell' esercito. Ma Silla fu altrettanto deciso: con i suoi soldati marciò dalla Campania su Roma e scacciò Mario, che si rifugiò in Africa. Quindi partì alla volta dell'Oriente con tutto l'esercito. La spedizione contro Mitridate durò alcuni anni, durante i quali Silla si dimostrò un buon generale e un abile diplomatico. Mitridate fu infine battuto e la provincia romana d'Asia fu così ricostituita.
Nel frattempo Mario era rientrato a Roma e, con l'aiuto del console Lucia Cinna, aveva scacciato e perseguitato i seguaci del partito aristocratico. Erano seguiti alcuni anni di continui disordini: Mario morì nell'86 a.C e Cinna fu assassinato due anni più tardi.
Il rientro di Silla in Italia avvenne nell'83 a.C e provocò diverse rivolte fra i seguaci di Mario. Silla affidò allora la pacificazione delle province a un suo giovane generale assai ambizioso, Pompeo. A Roma, invece, reagì duramente contro chi gli si opponeva: decine di senatori avversari e oltre 1600 cavalieri furono condannati a morte e i loro beni confiscati e distribuiti ai seguaci del vincitore. Silla si fece poi nominare dittatore, con pieni poteri civili e militari. L'autorità dei tribuni della plebe venne molto diminuita. Lo stesso senato fu allargato con fedeli di Silla e il numero dei suoi membri passò da 300 a 600. Furono istituiti inoltre tribunali speciali, presieduti da senatori, contro i delitti più gravi quali la corruzione, la rapina, l'omicidio, il furto. Infine Silla si ritirò a vita privata e morì nel 79 a.C Il suo governo tuttavia lasciò un lungo strascico di odi e di rancori.

I successi di Pompeo, il miglior generale romano

Alla morte di Silla seguì un vuoto di potere, di cui cercarono di approfittare diversi generali. Tra questi il più abile si rivelò Gneo Pompeo che, trattando con il senato, riuscì a farsi affidare dapprima il comando di un esercito per reprimere le rivolte in Italia, e poi quello di una spedizione in Spagna (77-72 a.C). Proprio in quel periodo (73 a.C) in Italia scoppiò una grande sollevazione di schiavi guidata da uno di loro, il trace Spàrtaco. Solo dopo due anni e numerose sconfitte subite dalla truppe romane, un esercito guidato da Marco Licinio Crasso riuscì a battere Spartaco, che fu ucciso, mentre buona parte degli schiavi catturati ancora vivi vennero crocifissi lungo la strada da Roma a Capua. Nel 71 a.C Pompeo e Crasso furono entrambi eletti consoli. Molte leggi di Silla furono cancellate. I tribuni della plebe riacquistarono i loro poteri. I cavalieri furono riammessi a far parte delle magistrature giudizi arie, insieme ai senatori. La popolarità di Pompeo crebbe ancora quando nel 67 a.C gli fu affidato l'incarico di liberare l'Adriatico e il mar Egeo dai pirati. In soli tre mesi egli riuscì nell'impresa, dimostrando ancora una volta le sue grandi capacità sia di comandante che di organizzatore di spedizioni militari. Pompeo godeva ormai della fiducia del senato, che gli affidò perciò il comando della guerra contro il vecchio nemico Mitridate. Pompeo prima batté Mitridate e lo costrinse a ritirarsi nei suoi territori del Ponto; poi impose al regno dell'Armenia di divenire vassallo di Roma; quindi si impadronì della Siria, che divenne provincia romana, e occupò Gerusalemme e la Palestina. Nel frattempo a Roma un uomo politico di parte popolare, Lucio Sergio Catilina, aveva tentato di prendere il potere fomentando una rivolta di schiavi e di poveri. Era tuttavia stato scoperto, denunciato in senato e sconfitto dall' esercito della repubblica a Pistoia nel 62 a.C. Nello stesso anno Pompeo fece ritorno in Italia, sciolse l'esercito e chiese al senato una ricca assegnazione di terre a beneficio dei suoi veterani. Il senato rifiutò, probabilmente per il timore che la popolarità di Pompeo crescesse ancora.

documento: LA RIVOLTA DI SPARTACO

Nel 73 a.c. era scoppiata a Capua una violentissima rivolta di schiavi. Decine di migliaia di loro seguirono Spartaco, un gladiatore trace, per combattere gli oppressori e rivendicare la libertà. Lo storico greco Appiano (II secolo d. C.) riferisce che Spartaco, il quale aveva appreso la tecnica militare combattendo con i Romani, organizzò un vero esercito, formato in gran parte da schiavi traci, celti e germani, cui si unirono contadini liberi.
Fra i gladiatori che venivano istruiti a Capua per gli spettacoli, Spartaco, un trace che aveva combattuto un tempo con i Romani, che poi era stato fatto prigioniero e venduto come gladiatore, convinse circa settanta dei suoi compagni a lottare per la propria libertà piuttosto che per un pubblico spettacolo e, sopraffatte insieme a loro le guardie, fuggì. Armatisi con legni e spade prese a dei viandanti, si rifugiarono sul Vesuvio. Dopo aver accolto qui molti schiavi fuggitivi e anche degli uomini liberi provenienti dai campi, prese a far scorrerie nelle zone vicine, avendo come sottocapi due gladiatori, Enomao e Crisso. Poiché egli divideva sempre il bottino in parti uguali in breve raccolse un gran numero di seguaci. Furono inviati contro di lui prima Varinio Glabro e poi Publio Valerio, senza un esercito regolare, ma con quanti armati avevano riunito in fretta e strada facendo, poiché i Romani non consideravano guerra un fatto simile, ma una scorreria e qualcosa di simile a un'impresa di pirati. Essi attaccarono Spartaco, ma furono sconfitti. In seguito, un numero sempre maggiore di persone accorse da Spartaco, che ebbe così un esercito di settantamila uomini; egli fabbricava anche le armi e preparava ogni altro equipaggiamento.

Con Cesare e Crasso il primo triumvirato

A Roma stava facendo una rapidissima carriera politica Gaio Giulio Cesare, della famiglia Iulia, una delle più antiche e nobili di Roma. Egli, benché di origine nobile, era divenuto capo del partito popolare perché il senato e gli aristocratici appoggiavano già da tempo Pompeo. Quest'ultimo, deluso dalla classe senatoria, concluse nel 60 a.C un accordo privato, detto triumvirato ("governo di tre uomini"), con Cesare e Crasso. Pompeo era indubbiamente il più popolare, Crasso il più ricco, Cesare il più abile politicamente: insieme ottennero il governo di Roma. Cesare divenne console nel 59 a. C e fece distribuire le terre ai veterani di Pompeo e a molte famiglie povere. Infine si fece affidare un comando speciale per cinque anni per sottomettere la Gallia: aveva capito che il destino della repubblica sarebbe stato deciso dall' esercito. Cesare si rivelò un grande generale: le sue campagne militari (58-51 a.C) portarono alla conquista di tutta la Gallia, fino al canale della Manica e all' attuale Belgio. Le operazioni condotte da Cesare in Gallia, contro tribù abili nella guerra e guidate da un condottiero assai valoroso, Vercingetorige, furono molto difficili. Ma, alla fine, la sua popolarità fra le truppe e a Roma divenne grandissima.

DOCUMENTO: IL CONSOLATO DI CESARE

Plutarco racconta i primi momenti del consolato di Cesare, sostenuto da Crasso e da Pompeo, con i quali aveva costituito il primo triumvirato. CosÌ Cesare, scortato e difeso dall'amicizia di Crasso e Pompeo, giunse al consolato. Appena nominato console e insediato nella carica, presentò certe leggi più adatte a un audacissimo tribuno che a un console, proponendo la divisione e l'assegnazione di terre per la gioia delle masse popolari. L'opposizione della nobiltà nel senato gli offrì il pretesto che da tempo cercava e si presentò all' as semblea dei cittadini. Aveva da un lato Crasso e dall' altro Pompeo e chiese loro se approvavano le sue leggi. Essi risposero di sÌ. Cesare chiese 1'aiuto delle loro spade per fronteggiare coloro che minacciavano di impedirne l'applicazione ed essi glielo promisero. Pompeo aggiunse che avrebbe opposto alle spade la spada e lo scudo. Questa frase, indegna del rispetto che si doveva al senato, spiacque agli aristocratici, ma fu gradita al popolo.

La seconda guerra civile e le riforme di Cesare

Ma a Roma le lotte politiche erano riprese.Inquesta situazione difficile il senato siaffidò a Pompeo,che venne nominato unico console. Cesare stava per tornare e il senato temeva che potesse prendere il potere con l'appoggio dell'esercito. Cesare, dunque, ricevette dal senato l'ordine di non varcare con l'esercito il fiume Rubicone, in Romagna, e di congedare le truppe. Ma egli rifiutò di obbedire emarciò su Roma, fermamente deciso a impadronirsene(49a.c.). Pompeo,che non aveva avuto tempo e modo di arruolare truppe,preferì lasciare Roma e iniziò a radunare un esercito nella penisola balcanica. Roma e l'Italia caddero quindi senza difficoltà nelle mani di Cesare, il quale, alla fine del 49 a.c., passò in Grecia per affrontare l'esercito di Pompeo. La battaglia decisiva avvenne nella Grecia settentrionale, a Fàrsalo, nell'estate del48 a.c. Pompeo fu sconfitto e sirifugiò in Egitto,dove il re Tolomeo lo fece assassinare a tradimento, con l'intenzione di compiacere il vincitore., Cesare tuttavia non tollerò che un grande generale di Roma quale era stato Pompeo fosse ucciso in quel modo da un re straniero. Tolomeo venne quindi scacciato dal trono e al suo posto Cesare collocò la sorella di Tolomeo, Cleopatra.
A Pompeo venne eretta una statua in marmo nel senato di Roma. Rientrato a Roma, dopo aver sconfitto anche i figli di Pompeo in Africa e in Spagna, Cesare prese tutti i poteri. La sua carica ufficiale fu dapprima quella di dittatore, poi il senato lo nominò console a vita. La repubblica romana cessava di esistere e a Roma ritornava il governo assoluto di una sola persona. Cesare fu tuttavia molto abile nel realizzare intelligenti riforme, che lo resero ancora più popolare. Favorì i contadini poveri e ridusse i loro debiti, e assegnò molte terre ai veterani del suo esercito, a quelli di Pompeo e ai cittadini poveri.
Inoltre concesse a molte province la tanto richiesta cittadinanza romana e riformò il modo di governarle e di riscuotere i tributi da esse dovuti, in modo da evitare ogni abuso da parte di governatori e funzionari di Roma. Infine aumentò il numero dei senatori, portandoli da 600 a 900. Grazie a quest'ultima modifica, poté far entrare in senato molti suoi sostenitori, ma anche molti provinciali, che scelse fra i più capaci. Con tutte queste riforme egli riuscì a creare intorno al suo governo un largo consenso. Senza dubbio Cesare agì come un dittatore o come un re, lasciando ben poco potere in mano al senato. Questo stato di cose sollevò forti opposizioni fra i senatori legati all'antica repubblica. Un piccolo gruppo di questi decise di assassinarlo. Nel marzo del 44 a.c. Cesare fu pugnalato a morte in senato, proprio di fronte alla statua del suo antico avversario, Pompeo.

Il secondo triumvirato e la terza guerra civile

Un' enorme folla prese parte ai funerali di Cesare, mentre i suoi uccisori (Bruto e Cassio) dovettero fuggire. A Roma il comando fu assunto da un nuovo triumvirato: il console Marco Antonio, Emilio Lèpido (comandante della cavalleria nelle guerre galliche) e il giovane nipote adottivo di Cesare, Gaio Ottaviano. Quest'ultimo aggiunse al suo il nome di Giulio Cesare (divenne così Gaio Giulio Cesare Ottaviano) e si fece nominare dal senato comandante dell' esercito stanziato in Italia. All'accordo fra i tre successori di Cesare seguirono a Roma le consuete liste di condannati a morte o all'esilio, che colpirono anche chi non aveva partecipato alla congiura. Venne ucciso anche Marco Tullio Cicerone, avversario di Antonio, uno dei più celebri esponenti della cultura romana di quel secolo.
Il secondo triumvirato fu approvato dal senato nel 43 a.c., e nel 42 Antonio e Ottaviano marciarono con un esercito contro Bruto e Cassio, i due capi della congiura contro Cesare, rifugiatisi in Grecia. Battuti a Filippi, Bruto e Cassio furono uccisi. Dopo questa vittoria, Ottaviano assunse il governo dell'Italia e delle province occidentali, Antonio prese quello delle province orientali e Lepido quello dell' Africa. Ma l'accordo fra i tre durò pochi anni. Lepido fu nominato pontefice massimo, cioè capo delle cerimonie religiose. Ottaviano conquistò nuovi territori mentre Antonio si ritirò in Egitto, dove sposò la regina Cleopatra, ripudiando la moglie Ottavia, sorella di Ottaviano. Di fatto Antonio costituì un proprio regno in Egitto e Ottaviano, considerandolo pericoloso per gli interessi romani e per il proprio potere, convinse il senato a ordinare una spedizione contro Antonio e Cleopatra. Nel31 a.C Ottaviano sconfisse Antonio (che si uccise insieme a Cleopatra) e la flotta egiziana ad Azio. Con la vittoria di Ottaviano ebbe inizio l'impero romano.