Roma antica: le professioni

Il soldato romano

Durante il principato di Augusto la figura del soldato romano mutò.

Inizialmente esso era stato un cittadino arruolato per difendere la repubblica, esattamente come l'oplita greco; sotto Augusto, invece, quello del soldato, arruolato e pagato regolarmente, divenne un vero proprio mestiere, una professione onorevole come le altre, anche se molto dura e faticosa.

Ogni soldato si arruolava per un periodo minimo di vent'anni, ma la sua carriera poteva durare anche più a lungo.

Durante questo periodo così lungo, egli non poteva prendere moglie.

Tuttavia, se anche il matrimonio ufficiale era proibito, il diritto romano riconosceva ai soldati la possibilità di convivere con una donna.

Gli eventuali figli nati da una tale unione, però, potevano essere riconosciuti solo dopo aver raggiunto l'età di 20 anni, e alla donna scelta come compagna veniva riconosciuto il diritto di ereditare, proprio come una moglie, in caso di morte del soldato.

Dopo il congedo la grande maggioranza dei legionari restava nelle province dove aveva prestato servizio.

La vita militare era in parte simile a quella di oggi: esistevano le caserme, la tromba d'ordinanza, le infermerie da campo, i turni di servizio e le licenze.

La retribuzione in apparenza non era molto elevata: un legionario riceveva 300 denari romani all' anno.

Ma poteva contare su altri sussidi: per esempio per il sale, per le scarpe, per i pasti festivi; e c'erano periodicamente le elargizioni dell'imperatore.

Inoltre guadagnava di più se riusciva a essere promosso; un soldato però poteva diventare anche centurione, ma quasi mai arrivava a ricoprire i gradi più elevati, riservati ai cavalieri o ai patrizi.

La vita quotidiana era faticosa: esercitazioni, marce, costruzione di accampamenti o di caserme.

Durante una campagna un legionario marciava per almeno venti chilometri al giorno, portando uno zaino di circa quaranta chili, senza contare le armi in dotazione: una lancia, un gladio, un pugnale, lo scudo e l'armatura. Le suole dei suoi sandali in cuoio erano rinforzate da chiodi di ferro, in modo da durare a lungo.

Importante fu senza dubbio il ruolo del soldato nelle province: contribuì a diffondere la lingua e il diritto romano, sia durante il servizio attivo, sia quando vi si trasferiva alla fine della carriera militare. Ancora oggi i monumenti funebri del tempo attestano la sua figura e i suoi valori: disciplina, coraggio e saggezza.

L'artigiano romano

A Roma, come del resto ad Atene, l'artigianato era disprezzato e ritenuto un lavoro indegno di un buon cittadino, e da riservare piuttosto agli schiavi o ai libeffi. Sia a Roma che ad Atene, invece, l'attività più dignitosa era considerata l'agricoltura. Una conseguenza di questo costume è che ancora oggi abbiamo scarse notizie sugli artigiani romani.

In realtà i cittadini che praticavano questa o quell' attività artigianale erano molti e spesso facevano lavorare nelle loro botteghe schiavi e liberti.

Molti avevano piccole attività e un numero limitato di operai; altri invece avevano numerose aziende sparse in diverse città italiane. A Pozzuoli erano famosi gli artigiani del ferro; ad Arezzo i fabbricanti di ceramica rossa; a Pompei i tessitori di panni di lana, fra i quali vi fu una donna di polso, Eumachia, in onore della quale gli artigiani eressero una statua nel Foro cittadino.

Nell'edilizia gli artigiani potevano produrre mattoni e tegole, ma anche diventare impresari e costruire edifici pubblici e privati. Così nella Roma di Augusto conosciamo non meno di 160 mestieri (225 se si considera tutto l'impero), molti dei quali di grande specializzazione: un artigiano fabbricava solo gli scudi, un altro le spade, un altro ancora i coltelli o i vasi in bronzo.

Alcuni furono anche fortunati uomini di affari: Aulo Scauro di Pompei produceva il celebre garum, una salsa a base di pesce, venduta in tutto l'impero. P. Cornelio di Arezzo aveva due fabbriche di ceramica con ben 57 schiavi, mentre Gneo Ateio, sempre di Arezzo, aprì nuovi stabilimenti a Pisa e poi a Lione.

La grande forza dell' artigiano romano, spesso deriso e umiliato come singolo cittadino, fu la sua capacità di unirsi in potenti associazioni, i collegi. Ogni collegio radunava i membri di una stessa attività: muratori, carpentieri, orefici, calzolai eccetera. E tali associazioni avevano un notevole peso politico, per esempio nelle elezioni; ma assicuravano e garantivano anche i membri dai pericoli del mestiere e assistevano la famiglia in caso di malattia o di morte. Le loro sedi erano spesso sontuose e vi si svolgevano cerimonie religiose, feste e banchetti.

Al tempo di Augusto e in epoca imperiale gli artigiani avevano raggiunto un notevole orgoglio professionale. Lo dimostrano le numerose lapidi funerarie, dove essi appaiono spesso raffigurati intenti nel loro lavoro, con questo o quel simbolo della loro arte.

Vita nelle campagne dell'impero

I piccoli proprietari di campagna e i contadini romani sono personaggi ancora poco conosciuti.

Eppure gran parte della vita' economica di Roma e dell'impero ruotava intorno all'agricoltura. All' epoca di Cesare e di Augusto le campagne erano coltivate da proprietari, grandi e piccoli, coloni, affittuari o braccianti salariati.

Nelle grandi tenute si utilizzavano anche molti schiavi, ma le continue leggi agrarie e le distribuzioni di terre ai veterani romani davano numerosi poderi ai piccoli proprietari.

Lo stesso Augusto si vantò di aver acquistato terre per ben 860 milioni di se sterzi, da assegnare ai suoi veterani in Italia.

E del resto l'attenzione verso l'agricoltura fu tale che molti scrittori romani, tra cui Catone, Varrone e Colummella, scrissero vari trattati sulle tecniche dell' agricoltura. D'altro canto, ancora oggi molte province italiane, come Cesena e Rimini, conservano tracce, nelle loro campagne, dell' antica centuriazione romana, un modo di dividere regolarmente i terreni, diffuso anche nella pianura padana.

Contadini e braccianti potevano disporre soltanto di una modesta abitazione, spesso perfino più piccola della stalla dove tenevano gli animali. Coltivavano il grano, il vino e l'olio. L'olivo si diffuse lentamente dalla Grecia e fu dai Romani introdotto in Spagna e nella Gallia. Un bravo coltivatore poteva inoltre arricchire il proprio reddito allevando le api per il miele, il pollame, uno o due maiali.
Il pane veniva cotto in casa, e costituiva l'alimento principale, insieme alle minestre e alle verdure.

Le donne filavano la lana e il lino e tagliavano e cucivano da sole gli abiti per la famiglia. Inoltre, per soddisfare le richieste dei ricchi romani, si allevavano tordi e piccioni e si coltivavano alberi da frutto. Il ciliegio, per esempio, era sconosciuto e venne introdotto dall' Asia Minore, come il pesco, l'albicocco e il mandorlo.

Due erano i grandi nemici del contadino romano: il servizio militare e il fisco. Il primo portava via gli uomini per più di venti anni e il secondo tassava, sempre più pesantemente, i redditi, costringendo a pagare anche in natura (grano, olio, vino) le tasse annuali. Questi due elementi congiunti determinarono il fenomeno, lento ma costante, del progressivo spopolamento delle campagne, che si interruppe soltanto quando Diocleziano introdusse per i contadini il vincolo di restare legati al proprio podere.

Le macchine e la tecnica

Alcuni studiosi hanno sostenuto che nel mondo antico, in Grecia come a Roma, la grande diffusione della schiavitù abbia impedito l'utilizzo di nuove scoperte o nuove tecniche.
In realtà ciò è vero solo in parte: negli ultimi secoli dell'impero a Roma o nelle province si erano diffuse nuove tecniche e macchine anche complesse. I Romani furono abili artefici delle fusioni di statue in bronzo, una tecnica abbandonata nel Medioevo e ripresa in Italia solo nel Rinascimento. I grandi acquedotti romani, costruiti a Roma e in molte province, portavano l'acqua per rifornire le città da luoghi distanti decine e decine di chilometri.
Grande importanza ebbero per esempio i mulini a ruota idraulica, diffusi proprio negli ultimi secoli dell'impero. Essi sfruttavano la caduta naturale o artificiale (tramite canali costruiti dall'uomo) per far girare una grande ruota. Tramite alcuni raccordi interni, sempre a ruota, la forza dell' acqua faceva girare così grosse macine per macinare il grano, o per spremere le olive. La capacità di tali mulini era tale da produrre abbastanza farina da sfamare una popolazione di 80.000 abitanti. La nuova macchina era già conosciuta ai tempi di Caligola, e così uno sconosciuto poeta del tempo ne celebrava le lodi:
"Macinatrici accordate riposo alle mani: dormite / dormite, anche se l'alba di già cantano i galli. / La dea impose alle ninfe delle acque il lavoro: d'un balzo / si lanciano esse al sommo di una ruota / e fan che l'asse giri: comunica questo il suo moto / ai raggi e alle cave macine".

Per tutto il Medioevo e l'età moderna e fino a tutto l'Ottocento, la ruota idraulica fu utilizzata non solo per macinare, ma anche per muovere magli di ferro, follare i panni, e molte altre applicazioni.

Infine il tardo impero conobbe anche nuove macchine agricole: per esempio una mietitrice meccanica, utilizzata nelle pianure della Gallia, spinta da un mulo o da un asino, che tagliava le spighe e le raccoglieva in un ampio contenitore.