Sparta e Atene: Due città prendono il sopravvento in Grecia

Intorno al VI secolo a C, lo sviluppo politico, economico e sociale della Grecia divenne notevole. Ciò può essere spiegato considerando il grande ruolo svolto dalle città-stato: Atene, Sparta, Tebe, Corinto, Argo, Olimpia e numerose altre.

Poco alla volta due grandi città presero il sopravvento nel mondo greco, due città profondamente diverse fra loro: Atene e Sparta.

Sparta era una città-stato di terraferma, aristocratica, chiusa ai rapporti con altre città e contraria a qualsiasi innovazione, non ricca ma potente sul piano militare.

Atene era invece una città commerciale e marittima, aperta e ricca, caratterizzata dallo sviluppo democratico della sua Costituzione.

Sparta: una società rigida e severa

Ancora oggi si conosce ben poco della storia spartana dell’età più antica.

Sicuramente, al tempo dell’invasione dei Dori una parte di questo popolo si insediò nelle regioni della Laconia e della Messenia, al centro del Peloponneso, il territorio più meridionale della Grecia. Qui venne fondata, intorno al 900 a C., la città di Sparta.

Gli invasori sottomisero i precedenti abitanti, li resero in parte schiavi, si impadronirono delle terre migliori e le divisero fra loro in parti uguali.

Da tali avvenimenti derivarono tre gruppi sociali diversi:

gli spartiati (o Spartani veri e propri), discendenti dei vincitori, di stirpe dorica, che vivevano nella città di Sparta ed erano i soli cittadini con pieni diritti;

i perieci, sudditi senza diritti politici, però dotati di libertà personale e di lavoro;

gli iloti, che abitavano nelle campagne; erano i discendenti dei precedenti abitanti, che erano stati sconfitti e fatti schiavi

Gli spartiati conservarono sempre l’autorità politica e militare. Essi comandavano e combattevano ma non lavoravano; le loro terre erano coltivate dagli schiavi iloti. I perieci invece lavoravano le proprie terre, le più lontane dalla città, oppure svolgevano altre attività economiche.

Soltanto gli iloti e i perieci, dunque, svolgevano un’attività lavorativa, mentre gli spartiati erano gli unici cittadini con pieni diritti.

Gli "uguali" (come gli spartiati denominavano se stessi, perché avevano fra loro uguali diritti, uguali doveri e uguale ricchezza) furono costretti a mantenere il potere sulla regione e sulle città rivali con la forza militare, basata non tanto sul numero quanto sul valore e l’esperienza dei soldati.

Ogni spartano era infatti soprattutto un soldato e passava la maggior parte del suo tempo in un duro addestramento militare, isolato anche dalla famiglia. L’amore per la patria e il valore in combattimento erano gli ideali in cui credeva.

Le ricchezze private non erano invece tenute in alcuna considerazione dagli spartani: lo stesso denaro veniva addirittura disprezzato, tanto che a Sparta si utilizzavano semplici monete di ferro e non d’oro o d’argento.

L’artigianato e il commercio venivano lasciati agli industriosi perieci, indubbiamente assai più fortunati degli iloti: sfruttavano le ricche miniere di ferro della Laconia, fabbricavano le armi per Sparta, producevano utensili e tessuti. Probabilmente alcuni di loro erano più ricchi degli stessi spartiati.
Molto dura era la condizione degli iloti, schiavi di proprietà dello Stato, utilizzati per lo più nella coltivazione delle terre. Essi erano sottoposti a fatiche e maltrattamenti, con punizioni a volte feroci e disumane.
Durante le guerre gli iloti venivano impiegati come servitori dei guerrieri e, nei casi di grave pericolo, venivano anche armati, come pure i perieci, che servivano come opliti. Ma, in genere, gli spartiati diffidavano degli iloti, perché erano assai più numerosi di loro e ne temevano possibili rivolte, che, in effetti, avevano luogo con una certa frequenza.
Essi venivano quindi strettamente sorvegliati; solo i migliori o quelli che si erano distinti in guerra potevano essere liberati, divenendo neodamodi, cioè personalmente liberi, ma senza diritti politici (una condizione simile a quella dei perieci).

Una Costituzione ammirata da molti

Come le altre città greche, Sparta fu inizialmente una monarchia.

La leggenda, raccolta anche dallo storico greco Plutarco (46-125 d.C.), narra che un antico re di Sparta, il saggio Licurgo, dopo aver molto viaggiato visitando anche Creta, l’Asia Minore e l’Egitto, tornò in patria recando con sé una nuova Costituzione, cioè un documento nel quale si stabiliva in qual modo la città doveva essere governata da allora in poi. In realtà, la Costituzione spartana fu una lunga costruzione che si realizzò lentamente, compiendosi nel VI secolo a.C.
Tutti gli spartiati di sesso maschile che avevano raggiunto i trent’anni d’età si riunivano una volta al mese in un’assemblea, detta apella; essa poteva soltanto approvare o respingere (senza discutere o proporre modifiche) le proposte che le venivano presentate da un consiglio di 28 anziani detto gherusia. Ciascun membro della gherusia, eletto a vita, era chiamato gherònte.
Un peso politico persino maggiore di quello della gherusia avevano cinque magistrati, detti èfori, eletti anno per anno dall’apella. Gli efori facevano applicare le decisioni approvate dall’apella, amministravano la giustizia, sorvegliavano il comportamento dei cittadini. Anche gli efori potevano presentare proposte all’assemblea.
Infine, quasi come ricordo dell’antica monarchia, esistevano due re, talvolta ereditari, talvolta eletti dall' assemblea o scelti dai re precedenti come successori. Svolgevano funzioni dì capi religiosi e, durante le guerre, anche di capi militari. In tempo di pace, invece, i loro poteri avevano scarso rilievo.
La Costituzione spartana era modellata su misura per una società aristocratica, chiusa e immobile, che basava la propria vita su un economia statica e sul mantenimento della disuguaglianza fra spartiatì e tutti gli altri.
Oggi tale società, con il suo governo rigido e autoritario, appare ingiusta; tuttavia nel mondo greco molti celebri autori, da Erodoto a Plutarco, da Platone ad Aristotele, scrissero elogi della Costituzione spartana. Ciò soprattutto perché essa impedì lotte interne e guerre civili, frequenti invece nelle città stato democratiche.

Le ragioni della decadenza di Sparta

Il più grave problema di Sparta era tuttavia il mancato ricambio della classe dirigente. Gli spartiati rifiutavano qualsiasi ammissione di altre persone alla loro classe, si sposavano solo fra loro e tendevano ad avere pochi figli (anche perché solo il maschio primogenito avrebbe ereditato la terra.
La mortalità infantile, allora assai elevata, riduceva ancor più il numero degli aristocratici.
Lentamente, dunque, gli Spartani divennero sempre meno numerosi e crebbero le difficoltà nel controllare una vasta regione con circa mezzo milione di abitanti. Inoltre, la rigida determinazione degli spartiati nel non concedere la cittadinanza ad alcuno e il loro disprezzo per le attività economiche impedirono che si formasse una classe di artigiani e commercianti, come ad Atene. Tali attività restarono quindi nelle mani dei perieci.
Molto spesso gli storici, mettendo a confronto Sparta e Atene, sottolineano maggiormente i caratteri negativi della prima e quelli positivi della seconda. Si parla così di Sparta come di una società tipicamente schiavista. È ben vero infatti che Sparta utilizzò largamente il lavoro servile degli iloti; ma tutte le città greche, compresa Atene, si servivano del lavoro degli schiavi. Spesso, inoltre, si considera Sparta come la città greca più guerriera del suo tempo. Ciò è vero, in quanto la società spartana era una società di soldati; tuttavia Sparta fu coinvolta in un numero assai minore di guerre che non Atene, città desiderosa di espandersi militarmente. Lo scopo dello Stato spartano infatti fu generalmente quello di salvaguardare se stesso e il proprio sistema politico. Perciò si limitava a controllare le regioni dipendenti o ad appoggiare i partiti aristocratici delle città vicine.

Atene, centro geografico, politico ed economico dell’Attica

A differenza di Sparta, isolata al centro del Peloponneso, Atene si trovava in una posizione geografica molto favorevole, a breve distanza da due porti: il Falero e il Pireo. L’Attica, la regione circostante, possedeva miniere d’argento e di piombo, fertili pianure coltivate a grano, foreste ricche di legname da costruzione, cave di pietra e marmo.
Da questa situazione geografica ed economica ebbero origine, sin dai tempi più antichi, legami assai stretti fra la città e la regione: fu così che la città-stato di Atene e la regione dell’Attica finirono per costituire una sola unità politica. Le catene montuose che le fanno da corona protessero l’Attica dall’invasione dorica (circa 1200 a.C.), sicché la regione poté proseguire nel proprio sviluppo economico e culturale.
Anche ad Atene, come in tutta la Grecia, la monarchia andò progressivamente indebolendosi a favore di un potere aristocratico.
Fra l’VIII e il VII secolo a.C. la città era governata da tre magistrati, detti arconti, eletti annualmente fra gli appartenenti all’aristocrazia.
Il primo, detto epònimo, amministrava la città; il secondo, l’arconte basiléus, era addetto al culto; il terzo, il polemarco, comandava l’esercito. In seguito furono aggiunti altri sei arconti, i tesmotèti, che custodivano e tramandavano oralmente le leggi che la consuetudine aveva stabilito.
Tutti gli arconti erano scelti fra i componenti dell’aristocrazia. Una volta lasciata la carica, entravano a vita a far parte del consiglio degli anziani (o areòpago, dal nome della collina dove si riuniva). L’areopago giudicava i delitti di sangue e i crimini contro la religione, sceglieva gli arconti e controllava il loro operato.
I cittadini ateniesi si riunivano in un’assemblea popolare (o ecclesia), formata da tutti coloro che godevano di pieni diritti, cioè quelli che facevano parte dell’esercito cittadino e combattevano per la difesa del paese. Tale assemblea aveva compiti prevalentemente consultivi, ma nessun potere di decisione.

Contro il malcontento le le riforme di Solone

In un primo periodo, e cioè fino all'VIII secolo a.C., i cittadini di Atene erano sostanzialmente divisi in tre classi sociali:

i grandi proprietari terrieri aristocratici, che erano i soli a detenere tutto il potere politico;

gli artigiani e i commercianti, esclusi dall’attività di governo, anche se dotati di una buona posizione economica;

i contadini piccoli proprietari, i marinai, i pescatori, i lavoratori di ogni tipo, che costituivano il popolo, in condizioni di estrema povertà e ai margini della vita pubblica.

Con il grande sviluppo economico del VII secolo a.C., anche nell’Attica e ad Atene aumentò la popolazione, e quindi divennero più numerosi i proprietari di vigneti e di oliveti e i mercanti. La crescita dell’economia, però, non andò a beneficio dei piccoli proprietari terrieri. Al contrario, i prezzi che continuamente aumentavano li obbligavano a vendere subito i prodotti agricoli o addirittura a impegnare il futuro raccolto, indebitandosi per acquistare attrezzi di lavoro e sementi. Allora i grandi proprietari e i ricchi mercanti concedevano prestiti ai contadini e poi li costringevano a vendere le terre per restituire i denari avuti in prestito. Per di più, i debitori che non potevano pagare tutti i debiti, oltre a perdere la terra, venivano ridotti in schiavitù o comunque costretti a lavorare al servizio del creditore fino all’estinzione del loro debito e degli interessi.
Atene cercò di affrontare la situazione di malcontento dei cittadini poveri affidandosi a un legislatore, l’arconte Dracone, che nel 621 a.C. dettò le prime leggi scritte della città. Erano leggi dure e severissime, di conseguenza la protesta popolare crebbe ancora.
Ma nel 594 a.C. fu eletto arconte un abile uomo politico, Solone. Egli si rese conto che Atene non sarebbe potuta sopravvivere senza ottenere il consenso di una parte così grande dei suoi cittadini, e riuscì a far votare una legge che aboliva la schiavitù per debiti e annullava tutti i debiti contratti fino a quell’anno.
Quindi, per evitare il ripetersi delle lotte fra le diverse classi sociali, decise di estendere la partecipazione dei cittadini al governo. A questo scopo egli divise tutti i cittadini ateniesi in quattro classi, sulla base del reddito annuale che ciascuno ricavava dalla proprietà terriera o dal proprio lavoro. Le prime tre classi potevano ricoprire cariche pubbliche pagavano le tasse, fornivano i membri per formare la cavalleria e la fanteria pesante e leggera; la quarta classe era formata dai cittadini che non avevano proprietà terriere ma vivevano solo del loro lavoro (i teti). Costoro non pagavano tasse e non prestavano servizio militare, se non in caso di particolare pericolo.
Non potevano nemmeno essere eletti alle cariche pubbliche, ma (e qui stava la grande riforma per quei tempi) anch’essi potevano partecipare all’assemblea ed eleggere i loro governanti.
Inoltre Solone introdusse un nuovo tribunale popolare, chiamato elièa, nel quale tutti i cittadini, anche i teti, potevano giudicare le cause. Le cariche importanti e gli uffici di governo restarono tuttavia nelle mani dei cittadini delle prime due classi.

Con le nuove riforme verso la democrazia

Nel 561 a.C., Atene si divise nuovamente in fazioni rivali e il potere fu affidato a Pisistrato, distintosi nelle guerre con le vicine città di Megara e Corinto, che divenne tiranno con l’aiuto del partito popolare. Pisistrato favorì lo sviluppo del commercio e dell’artigianato e aiutò i contadini con prestiti. Pur essendo nobile, combatté gli aristocratici, esiliando alcune grandi famiglie e distribuendone le terre ai piccoli proprietari. Favorì inoltre la creazione di una potente flotta ateniese e lo sviluppo dei traffici con il mar Nero e le coste dell’Asia Minore. Dal punto di vista più strettamente politico, accettò senza cambiamenti il sistema elaborato da Solone. Alla sua morte (528 a.C.) lasciò in eredità il potere nelle mani dei figli Ippia e Ipparco; Ippia lo mantenne fino al 510 a.C., quando fu costretto a fuggire da una congiura aristocratica.
L’assetto definitivo di Atene fu opera di un altro grande riformatore, Clistene. La riforma di Clistene consisté essenzialmente nel riordinamento del sistema elettorale.

Egli divise la popolazione dell’Attica in dieci tribù territoriali, ciascuna suddivisa al suo interno in tre categorie minori: le trittie. Ogni trittia comprendeva:

gli abitanti della pianura, in genere aristocratici e meno numerosi;

gli abitanti delle colline e delle zone montuose, che perlopiù erano piccoli proprietari e contadini;

gli abitanti della costa, cioè marinai e pescatori.

Ciascuna delle dieci tribù risultava così composta da abitanti di zone diverse; al loro interno erano quindi presenti tutti i differenti interessi e, nello stesso tempo, i ceti popolari potevano raggiungere ovunque la maggioranza.
L’ecclesia, l’assemblea popolare a cui partecipava ogni cittadino che avesse compiuto venti anni, ebbe un ruolo politico sempre più importante.
Poteva deliberare sulla pace e sulla guerra, approvare trattati, mantenere o abrogare leggi, revocare magistrati.
Clistene istitui anche un consiglio di 500 membri, chiamato bulé, dove si discutevano i problemi delle finanze, della guerra, della politica estera e si preparavano le proposte su cui l’ecclesia doveva votare.
I membri delle bulé erano 50 per ciascuna tribù, sorteggiati fra quanti nella tribù si candidavano; unica condizione per essere eletti era quella di avere almeno trent’anni.

Il sorteggio aveva due scopi:

evitare l’eccessivo potere personale (e infatti nessuno poteva essere sorteggiato per più di due volte);

dare a chiunque una reale possibilità di partecipare alla bulé nel corso della sua vita (i cittadini ateniesi nel lV secolo a.C. erano in tutto 40.000).

Tale era il timore degli Ateniesi per l’eccessivo potere personale che, con una votazione dell’assemblea (ostracismo), si poteva esiliare chiunque fosse sospettato di mettere in pericolo la democrazia.
Vi fu un’unica vera limitazione del potere popolare e del sistema del sorteggio: arconti e generali (detti "strateghi") continuarono a essere eletti dall’assemblea, ma soltanto fra le due prime classi di cittadini. E ciò perché tali cariche non erano retribuite e comportavano inoltre molte spese a favore della cittadinanza (per le grandi feste religiose o le rappresentazioni teatrali).
Per quanto riguarda le classi di reddito, Clistene le fece valutare non più sul reddito agrario, ma sul reddito monetario, permettendo così a molti mercanti e artigiani di accedere alle classi superiori.
Con le riforme di Clistene ogni cittadino imparò a considerare il governo come qualcosa che si identificava con tutto l’insieme dei cittadini, vedendo quindi nel bene dello Stato il bene dell’intera comunità. Si realizzò così una democrazia diretta, perché ogni cittadino poteva esprimersi direttamente col voto sui problemi della comunità.
Questo sistema era reso possibile dal fatto che gli Ateniesi erano poco numerosi.
Oggi, invece, la democrazia si realizza in forma rappresentativa: con le elezioni il popolo sceglie degli uomini che lo rappresentano all’interno delle istituzioni.

Gli abitanti più deboli esclusi dalla società

Dalla cittadinanza ateniese, e quindi dal governo democratico della città, restarono escluse alcune categorie di abitanti, le più numerose: i meteci, le donne e gli schiavi.
I meteci erano gli stranieri residenti ad Atene. Si occupavano di commercio e artigianato, gestivano proprietà e investimenti dei cittadini ateniesi, sfruttavano le miniere d’argento e spesso erano, per questo, molto ricchi.
Erano ben visti ad Atene, sia perché ne favorivano lo sviluppo economico e commerciale, sia perché pagavano annualmente forti tasse. Inoltre in caso di guerra erano reclutati per i servizi dell’esercito e della flotta. Tuttavia il matrimonio fra cittadini e meteci era proibito per legge: i figli di tali matrimoni illeciti non avevano diritti politici.
Neppure le donne avevano diritti politici, ma ciò costituiva la regola in tutto il mondo antico. Esse, per tutta la loro vita, erano sottomesse a qualcuno: al padre, al marito, al figlio se vedove. Non potevano amministrare i loro beni né scegliersi un marito o chiedere giustizia in tribunale. Occupavano, però, un ruolo molto importante nelle cerimonie religiose e nel culto di alcune divinità. Sacerdotesse e profetesse vivevano nei più celebri santuari greci per interpretare i responsi degli dei.
Assenti dalla vita politica, le donne greche erano comunque presenti nella poesia e nella musica e in tutte le grandi opere della letteratura greca, persino come eroine.
Gli schiavi venivano acquistati o catturati in guerra o con incursioni piratesche in Tracia e nel mar Nero. Dopo l’abolizione della schiavitù per debiti, infatti, mancarono gli uomini da utilizzare nelle fattorie, nelle miniere, nelle manifatture, nel lavoro domestico. Spesso il numero degli schiavi ad Atene superava di gran lunga quello degli stessi cittadini. Gli schiavi tuttavia potevano essere liberati, e ciò avveniva con una certa frequenza, anche se non abbiamo informazioni precise.

L’espansionismo di Atene, città troppo ricca e potente

Atene divenne ben presto una vera e propria potenza marittima. Una volta iniziata, la sua politica aggressiva di concorrenza commerciale e di espansione politico-economica ebbe per la città conseguenze negative, perché la portò alla rivalità con altre città, greche o della Magna Grecia, che avevano interessi in contrasto con i suoi.
Così, in poco meno di due secoli, Atene fu coinvolta in più di trenta guerre. Una delle più terribili fu quella contro i Persiani. Si trattò, però, di una guerra in difesa della libertà e Atene la combatté insieme alle altre città della Grecia.

Nascita e sviluppo della potenza persiana

L’impero persiano nacque dopo che due popolazioni nomadi, i Medi e i Persiani, si insediarono, intorno al 1200 a.C., nelle regioni corrispondenti all’odierno Iran. Da qui esse iniziarono a espandersi verso la Mesopotamia.
Sotto la guida di alcuni grandi sovrani della dinastia degli Achemènidi, l’impero persiano conquistò rapidamente una posizione di primo piano.
Sotto Ciro il Grande (559-529 a.C.), che aveva proclamato l’origine divina del proprio potere, esso si estendeva dalle montagne del Càucaso al fiume Indo e all’oceano Indiano, dal Mediterraneo alle pianure dell’Asia centrale.
Il figlio di Ciro, Cambise (529- 522 a.C.), a sua volta occupò l’Egitto.
Ma il vero organizzatore dell’immenso impero fu Dario I (521-486 a.C.) Assistito, nel giudicare e nel governare, da un consiglio di sette ministri, egli divise tutto il territorio conquistato in 20 province o satrapie, governate ciascuna da un funzionario o da un generale (detto sàtrapo) scelto dal re. Ogni provincia mantenne la lingua, la religione, gli usi e i costumi che aveva prima della conquista: doveva solo pagare regolarmente tributi ai Persiani e fornire un esercito di soldati in caso di guerra. Alcuni funzionari, chiamati "l’occhio del re", viaggiavano continuamente in tutto l’impero per controllare gli stessi satrapi.