Parco Nazionale D'Abruzzo

L’area sorgentizia e l’alto corso montano del Sangro, fino alla gola che si apre tra Alfedena e Scontrone, costituiscono del Parco Nazionale d’Abruzzo il cuore naturale e storico, cui si addossano le alte giogaie dei monti della Marsica meridionale e delle catene che fungono da transizione sia verso l’Altopiano delle Cinquemiglia nell’Aquilano, sia in direzione del medio bacino del Sangro nel Chietino, sia alla volta dei territori delle province di Frosinone, nella regione Lazio, e d'Isernia, nel Molise.

La cinta dei rilievi restringe ad un esile solco la valle del Sangro, che pertanto ha una sua spiccata individualità naturalistica, ma la continuità della linea di cresta non è tanto persistente, o tanto uniforme, da non far emergere segmentazioni specifiche del bacino fluviale, come le strette conche di Pescasseroli o di Barrea, o la variegata raggiera delle linee idrografiche minori che dal centro del Parco si sviluppano verso la sua periferia: la Vallelonga (solcata dal Fossato di Rosa) e la valle del Giovenco che conducono alla prosciugata conca del Fucino; le incisioni contrapposte del torrente Profluo e del fiume Tasso, che immette nel bacino lacustre di Scanno e nella valle del Sagittario, e, infine, a mezzogiorno, le linee di displuvio dei corsi d’acqua convergenti nell’alta valle del Volturno e nel sistema laziale del Liri-Garigliano.

Più brevi, gli affluenti dell’alto Sangro in destra idrografica: il torrente Fondillo, la cui omonima valle si sviluppa a partire dal valico Passaggio dell’Orso nel gruppo montuoso dei Tre Confini; lo Scerto, che scende dal Balzo della Chiesa, attraversa l’anfiteatro della Camosciara e s'immette nel Sangro vicino la Rocca Tre Monti; il rio della valle dell’Inferno, tributario del lago artificiale di Barrea e da apprezzare per la formazione in corso di un apparato deltizio lacustre.

La numerosità delle linee idrografiche si riflette nella folla delle linee spartiacque e delle individualità orografiche, sovente culminanti oltre i 2000 m. Ed è proprio nella consistenza dell’altimetria che si trova la spiegazione degli elementi morfologici dominanti nella sezione più elevata del Parco, a prescindere dalla natura del substrato: i circhi glaciali che a decine scolpiscono i versanti, oltre i 1700-1800 m, specie se esposti ai quadranti settentrionali, più freddi e innevati.

I circhi sono l’eredità odierna delle passate variazioni climatiche, che si sono succedute nel corso dell’era geologica attuale, il Quaternario, ma conservano grande interesse perché favoriscono l’accumulo di coltri nevose variamente persistenti anche in estate. Veramente impressionante è la successione che si dispiega, su un fronte lineare di quasi 30 km, dalla Camosciara fino al Monte Marrone (1805 m) nella catena delle Mainarde (pressi di Pizzone nel Molise).

L’alternarsi e il sovrapporsi di spinte tettoniche, in parte divergenti, hanno originato un’impressionante famiglia di dislocazioni che suddividono le montagne del Parco in numerosi rilievi locali, tutti interessanti per la spiccata individualità.

Nella sezione meridionale del Parco, a partire dai Tre Confini sullo spartiacque tra il Fossato di Rosa e la Val Roveto, predominano i rilievi con orientamento da ovest ad est, raccordati da brevi tratti a sviluppo meridiano: la sezione più caratteristica è quella che si sviluppa tra i due monti Petroso, l’uno nei pressi di Pescasseroli e l’altro (2249 m, la più alta culminazione del Parco) poco a sud della Camosciara. Qui infatti il gran numero di faglie ha originato una sorta di grande balconata che s'affaccia sulla Val di Comino in territorio laziale. Balconata nel dettaglio tutta crivellata da doline e pozzi, questi ultimi utilizzati in passato anche come depositi naturali o artificiali di neve per gli usi più svariati in estate. Si tratta delle cosiddette chiatre, tra le quali la più nota è la Chiatra del Re (chiatra è voce dialettale per "ghiacciaia").

I rilievi a settentrione del Sangro, procedendo da est verso ovest, mutano progressivamente il loro stile da quello tipicamente appenninico (nordovest-sudest) a quello decisamente meridiano. Tra essi si segnalano le dorsali Monna della Rapanella, Monte Turchio, Morrone del Diavolo, Monte Marsicano e Serra della Terratta, quali esempi del primo stile, il Monte Palombo, la Montagna di Godi, la Serra Rocca Chiarano, per il secondo stile che si ripropone con particolare evidenza anche nella sezione del Parco in comune tra le regioni Abruzzo, Lazio e Molise: i monti della Meta e le Mainarde.

La diffusione del carsismo è giustificata dall’assoluta prevalenza di rocce di natura calcareae e si riscontra in due ambiti specifici. Il primo è costituito dalla Montagna di Godi, la cui linea di cresta (circa 10 km di sviluppo) è tutta crivellata di doline imbutiformi; il secondo dai rilievi che chiudono a mezzogiorno il Parco tra il Monte Trani (1755 m) e il valico delle Gravare (1874m), rilevante per la presenza di campi solcati e per lo stretto ed evidente connubio tra la morfologia carsica e quella glaciale.

Ma non tutto il Parco è calcareo: l’anfiteatro della Camosciara è composto da dolomie e calcari dolomitici ben poco permeabili e, pertanto, in grado di sostenere una circolazione idrica di superficie, sottolineata dalle stupende cascate delle Ninfe e delle Tre Cannelle. Importanti anche le marne con qualche livello gessoso, affioranti nei pressi di Pescasseroli, che spiegano la locale abbondanza di piccole sorgenti, e livelli bauxistici che avevano indotto tentativi di utilizzazione mineraria nei rilievi di interfluvio tra il Sangro e il Fossato di Rosa.

Le caratteristiche dei rilievi, delineati in precedenza, si riflettono nella pluralità delle unità idrogeologiche: Monte Genzana-Monte Greco, Monte Marsicano, Monte Cornacchia-monti della Meta. Tutte le unità si distinguono per il fatto che trasferiscono verso sorgenti esterne quote consistenti delle precipitazioni dell’area interna al Parco medesimo, nel quale, però, gli afflussi meteorici sono tanto abbondanti (le più elevate nella regione Abruzzo) da assicurare l’umidità necessaria alle formazioni vegetali.

La prima unità si ricorda per le importanti sorgenti di Capo Volturno (circa 7 mc/s), in territorio molisano, e per quelle del Gizio, poco a nord del Parco, nei pressi della conca di Sulmona; la seconda per le sorgenti del Giovenco, nei pressi di Bisegna, di quelle del sistema fiume Tasso-lago di Scanno-fiume Sagittario, e, soprattutto, per quelle del Sangro, ai piedi del bordo occidentale del Morrone del Diavolo, nei pressi dell’omonimo valico che segna l’ingresso nel Parco per chi proviene dal Fucino.

In altre parole, le acque, sottratte al deflusso di superficie nel bacino del Sangro dal carsismo, affluiscono per via sotterranea soprattutto nelle valli, ad occidente del Parco, tributari del Tirreno, il Liri-Garigliano e il Volturno, delle cui sorgenti contribuiscono ad accrescere le portate. Tra esse, numerose polle alimentano il lago di Posta-Fibreno in territorio laziale: profondo 45 m, è celebre per la descrizione pliniana dell’isoletta galleggiante, parte costituita da materiali vegetali distinguibili e parte da altri trasformati in torba, che in esso si è formata.

Notevole è l’interesse naturalistico anche nei riguardi del lago Pantaniello sul margine sudorientale del Parco, in territorio abruzzese: un microscopico laghetto, di origine glaciale, formato dallo sbarramento morenico delle poche acque scorrenti in superficie alla testata della Valle di Chiarano, un corso d’acqua effimero e del tutto asciutto allorquando sfocia nel Piano delle Cinquemiglia in località Bocche di Chiarano.

A monte del lago si segnala un bell’esemplare di circo glaciale impostato sul versante settentrionale di Monte Greco (2285 m). Il modellamento è molto tormentato sull’ala occidentale del circo (Serra le Gravare; gravara è voce locale per indicare luogo franoso o ingombro di massi e ciottolame; più diffuso è il sinonimo ravara); su quello orientale, invece, l’area sommitale sfuma in una sorta d'altopiano, livellato tra i 1900 e i 2100 m, chiamato Antone Rotondo, quasi un ponte tra il Monte Greco e le Toppe del Tesoro (Toppe è probabilmente un ipercorrettismo di teppa = grande zolla di terreno).

Lo specchio lacustre si colloca a 1818 m in corrispondenza della soglia dell’antico ghiacciaio ed evidentemente costituisce un prezioso relitto del paesaggio di tipo alpino nell’alto Appennino durante le glaciazioni quaternarie. In tal senso il lago ha il valore della stella alpina e della betulla; tuttavia, la presenza di una comunità isolata di tinche nelle acque lacustri e di un interessante corteo di invertebrati accresce il valore naturalistico del lago, protetto da una specifica normativa (si tratta di una Riserva Statale) insieme alle aree adiacenti.

Altro testimone del glacialismo passato si rinviene poco a sud della Camosciara, sul versante orientale dei monti Petroso ed Altare, dove si sviluppa la breve valle Cupella, chiusa ad occidente dai circhi glaciali dei rilievi citati. Essa è delimitata a est dal minuscolo lago Vivo, caratterizzato dal livello molto variabile, in relazione agli afflussi pluviali e alla fusione delle nevi, ma che può contare anche sugli apporti di una piccola sorgente che sgorga dal materasso morenico rimaneggiato.

Non mancano nell’ambito del Parco e delle sue immediate adiacenze specchi lacustri artificiali, che hanno ripristinato in qualche caso assetti geologici pregressi. Infatti, nel corso del Quaternario due laghi hanno occupato certamente l’alto bacino del Sangro: l’uno nella conca di Pescasseroli, l’altro nella piana, immediatamente a valle, che si estende tra le gole di Opi e quelle di Barrea. Quest’ultimo invaso è stato ricostituito artificialmente per finalità idroelettriche negli anni Trenta, e completato nel 1951, tra le pendici del colle Sant’Angelo, a nord, e dei monti Sterpi d’Alto e Boccanegra, a sud, su una superficie di circa 250 ha e con il cospicuo volume di 25 milioni di mc.

Pur aspramente criticato dagli ambientalisti del tempo, il lago è stato successivamente rivalutato come fattore naturalistico in quanto ben si colloca nello scenario dei prati alberati che lo cingono e delle retrostanti vette che lo dominano dall’alto; nel contempo costituisce un’importante area umida per l’avifauna sulla direttrice Tirreno-Adriatico.

Artificiali sono anche i laghi di Grotta Campanaro e della Montagna Spaccata, ma molto più piccoli di quello di Barrea: il primo è stato realizzato nei pressi di Picinisco in corrispondenza di una strettoia (val di Canneto) del fiume Melfa; il secondo con lo sbarramento del rio Torto, un affluente del Sangro, poco a monte dell’abitato di Alfedena, per deviarne le acque a beneficio degli impianti idroelettrici dell’alto Volturno.

Con i suoi 44.000 ha il Parco Nazionale d’Abruzzo non è certo l’area protetta più vasta d’Abruzzo, né quella con le montagne più alte; ma se si guarda alle 60 specie di mammiferi, ai 230 uccelli, alle 1900 piante è certo la più importante, incastonata al confine di tre regioni: Abruzzo, Lazio e Molise.

Le montagne calcaree d'origine mesozoica, disposte su due principali allineamenti, racchiudono al loro interno l’ampia vallata del Sangro, caratterizzata da numerose valli laterali e da un notevole sviluppo della copertura del bosco.
Le temperature relativamente basse (valori medi intorno ai 10°C) determinano, grazie alla notevole quantità di piogge ed alla loro distribuzione nell’anno, un regime climatico in generale privo di periodi aridi, soprattutto nelle aree più interne, mentre alle quote inferiori e sui versanti occidentali sono più evidenti le influenze di tipo mediterraneo.
Al Parco vero e proprio, suddiviso in fasce di protezione crescente, che giungono sino alla Riserva Integrale, dove l’accesso è precluso all’uomo, si aggiungono oltre 60.000 ha di Zona di Protezione Esterna, sulla quale gravano vincoli di tutela più attenuati, e che comprende un ampio anello intorno all’area del Parco, sino a raggiungere il fondovalle del Fucino a nord, le Gole del Sagittario, il lago di Scanno e l’Altopiano delle Cinquemiglia ad est, la valle del Volturno a sud e la Valle del Liri ad ovest, scendendo in alcuni casi sino a quote di 4-500 m
I boschi, i pascoli e le praterie sono per gran parte di proprietà comunale. I centri urbani sono piccoli, le strade asfaltate non superano in nessun caso i 1600 m d'altezza, la presenza e le attività umane sono limitate al fondovalle, gli impianti sciistici interessano solo aree relativamente piccole.

La presenza del Parco ha radicalmente rivoluzionato l’economia dell’area che, se in passato basata soprattutto sulla pastorizia e lo sfruttamento delle foreste, è oggi legata in modo decisivo al turismo, con un flusso stimato intorno ai 2 milioni di visitatori l’anno; l’Ente Parco possiede soltanto 400 ettari, ma ne ha circa 20000 in gestione tramite varie forme d'affitto ed indennizzo. Gli insediamenti turistici sono cresciuti, dopo lo sviluppo incontrollato degli anni ’60, in modo più compatibile con le finalità del Parco, avviando in quest'area il primo esperimento italiano di eco-sviluppo.
La nascita del Parco risale al 1923 quando la Riserva di Caccia Reale, in conformità a un Regio Decreto, divenne il primo nucleo di questa grande area protetta. Successivi ampliamenti hanno consentito di raggiungere gli attuali 44000 ettari. Tra questi vanno ricordati i più recenti: nel 1976 è stato annesso il Monte Marsicano, sottraendolo alla speculazione edilizia e allo sfruttamento sciistico e, nel 1990, la Catena delle Mainarde, area di gran valore per l’Orso e molte altre specie.
Il territorio del Parco si estende a quote comprese tra i 900 ed i 2.250 m: come in tutte le aree montane esiste una tipica disposizione della vegetazione in fasce altitudinali, che comprendono un orizzonte submontano di boschi di cerro e roverella, ed uno montano di faggete e praterie d’altitudine.
A causa della prevalenza di quote al di sopra dei 1200 m, l’orizzonte submontano, peraltro largamente trasformato dalle attività umane, che hanno fatto scomparire i boschi sostituendoli con aree un tempo coltivate ed oggi per lo più adibite a prati e pascoli e progressivamente riconquistate dalla vegetazione spontanea, è scarsamente rappresentato nell’area, soprattutto nel fondovalle del Sangro, della Vallelonga ed in Molise. Questo non significa che si tratti di aree prive di importanza: molto spesso queste zone sono dei veri e propri ponti naturali che congiungono territori boschivi montani e rendono possibile lo spostamento di specie importantissime, quali per esempio l’Orso, che richiedono spazi vastissimi e che proprio qui trovano importanti opportunità alimentari. La ricchezza e la varietà di piante da frutto, cespugli, pascoli, prati, frutteti e boschi, favoriscono la presenza dell’Orso, che nell’Appennino occupa una limitata area con baricentro proprio nel Parco, dove certamente si è conservato il nucleo più stabile e consistente di questa specie, probabilmente in ripresa negli ultimi anni, dopo i numerosi casi di bracconaggio degli anni ’80.

Sito del Parco