CARPEGNA

Carpegna Prima del 1000

La storia della cittadina e dell'omonima contea è strettamente legata a quella della Famiglia Carpegna.
Le più accurate ricerche sulla genealogia di tale famiglia sono state condotte in tempi recenti dallo stesso Principe Guidubaldo di Carpegna Falconieri, profondo studioso di storia, recentemente scomparso.
Il primo abitante del paese di cui si ha notizia documentata è un tal " Petrus dativus de Carpineo", giudice feretrano nell'anno 882.
Non si hanno notizie inequivocabili sull'origine del nucleo abitato, ma è quasi certo che tra il I e il II secolo d.C. la vallata di Carpegna era già sfruttata dai "Dendrofori" (Dendrophorum), una sorta di tagliaboschi incaricati di fornire il legname sempre più richiesto per le costruzioni di fortezze e flotte navali dell'impero Romano.

La vallata era ricca d'Abeti e Carpini (Carpinus). Proprio dalla denominazione questi alberi deriva, probabilmente, anche il nome della cittadina.

E' abbastanza verosimile che le comunità di taglialegna cominciassero a costruire in questo luogo le proprie capanne, prima adibite a ricovero degli attrezzi, quindi come abitazioni; la zona, d'altronde, era ideale per l'insediamento di un villaggio: protetta dal poderoso monte, ricca d'acqua e posta in un'ampia distesa pianeggiante ben esposta a mezzogiorno.

dal 1000 al 1300

Organizzato un villaggio, si sente la necessità di un'autorità che si occupi di far rispettare le leggi, che riscuota le tasse, che organizzi una difesa militare: ed erano in genere i nobili ad occupare questa posizione col titolo di Conte.
Nel territorio sottoposto alla propria autorità il Conte era il tutore supremo.Le origini dei Conti di Carpegna vanno quindi ricercate in quest'ambito (anno 1000 circa).

Le notizie ufficiali sui Conti di Carpegna cominciano a comparire solo intorno alla metà del XII secolo, in coppia con i Conti di Montefeltro, divenuti in seguito avversari, entrambi di comune origine assieme ai Malatesta.
I Carpegna si diffusero con certezza verso il 1200.
Li troviamo al seguito dell'imperatore Federico II, schierati dalla parte dei Ghibellini, cui rimarranno sempre fedeli. Confinanti con i possedimenti della Massa Trabaria, di giurisdizione ecclesiastica, i Conti di Carpegna non disdegnavano qualche tentativo di conquista dei territori contigui: intorno al 1220, Ranieri, conte di Carpegna, era possessore di numerosi Castelli, oltre ai due di Carpegna (La Rocca e La Castellaccia, costruita sulle rovine di un antico Castello Longobardo), oggi totalmente scomparsi.
Fra gli altri quelli di Pieve di Carpegna (oggi località Genghe), Fiorentino, Monte Acuto (sopra l'odierna Villagrande), Gattara, Scavolino, Soanne ecc.

Sempre intorno a quel periodo furono stipulati i primi accordi con il vicino comune di Rimini, escludendo da queste convenzioni i Conti di Montefeltro, i quali nel frattempo, s'insediavano ufficialmente nella città di Urbino.

Al divampare delle ostilità tra Ghibellini, con i quali i Carpegna erano schierati e Guelfi, fedeli alla chiesa, i Conti di Carpegna, forti delle alleanze con le cittadine Ghibelline della zona, rafforzavano le minacce alle limitrofe terre della Massa Trabaria, di dipendenza della Chiesa.
Nel 1240 avevano già sottratto all'autorità ecclesiastica i castelli di Cicognaia, Santa Sofia e Monterotondo, mirando ad espandersi fino allo spartiacque appenninico sotto il quale si apriva la Valle del Tevere.

Verso la metà del 1200 perfino la stessa famiglia Carpegna di divise in rami, chi fedeli all'impero, chi dalla parte della Chiesa, forse a seguito dei grandi mutamenti di alleanze dovute alla sconfitta dell'imperatore svevo Federico II avvenuta a Parma nel 1248, e sul quale i Ghibellini contavano per la supremazia sui Guelfi. Affievolitasi la fama dell'imperatore, spentasi l'eco delle sue gesta, diversi signori di Romagna abbandonarono lo schieramento Ghibellino per passare dalla parte della Chiesa.
Nello stesso anno, i ribelli all'imperatore, spalleggiati dal Cardinale Ottaviano degli Ubaldini, occuparono Rimini.

A seguito di ciò gli esuli Guelfi furono richiamati in patria ed anche i Conti di Carpegna, "perdonati" da Papa Innocenzo IV per il loro passato Ghibellino, passarono temporaneamente sotto la protezione ecclesiastica.

Nel 1249 Ugo di Carpegna fu proclamato podestà di Rimini.
Nel 1250 il Conte Ranieri di Carpegna diviene podestà del Montefeltro per la chiesa.
L'anno dopo, un figlio del Conte Ugo è abate del Monastero di S. Gaudenzo a Rimini.
Nel 1251 Ugo di Ranieri riveste l'importante carica di podestà di San Pietro in Vincoli, a Ravenna. Egli parteciperà come testimone all'armistizio stipulato tra Ugolino, vescovo feretrano di parte Ghibellina, e il comune di Rimini.
Lo stesso Conte Ugo sarà ricordato da Dante Alighieri come uno dei più gentili Cavalieri Romagnoli: "Ov'è il buon Lizio et Arrigo Mainardi, Pier Traverso e Guido di Carpigna? Oh, Romagnoli, tornati in bastardi!"
In realtà neanche ai tempi del Conte Guido di Carpegna questa terra era quieta. Guerre e scaramucce dilagavano per tutta l'Italia Centrale, e Guido fu chiamato più volte come conciliatore per la sua dote di persona imparziale ed equilibrata. Egli aveva ormai in mano la politica della casata Carpegna.
Nel 1256, in nome di tutta la parentela, firmò la pace con Città di Castello, impegnandosi ad aiutare la città, in caso di guerra, con mille uomini armati.
Pressata dalla reiterata minaccia della Contea di Carpegna, la Massa Trabaria si pose sotto la protezione di Arezzo, assicurandosi così una formidabile barriera che smontava ogni velleità espansionistica dei Conti.
Nel 1278 tutte le terre, i castelli e le città di Romagna e del Montefeltro giurarono fedeltà a Rodolfo d'Asburgo, nuovo imperatore: ma in poco tempo egli stesso annullò il giuramento per concedere la sottomissione di tutta la zona alla Chiesa.

Se la contea di Carpegna appariva abbastanza tranquilla grazie alla politica di non belligeranza dei Conti, tutt'intorno infuriavano guerre ed eccidi.
Nel 1299 gli abitanti del borgo di Pietrarubbia insorsero contro il conte Corrado da Montefeltro e fecero a pezzi lui, il figlio, la sorella e il fratello: anche Taddeo, altro fratello di Corrado, fu catturato poco dopo a Macerata Feltria e sommariamente giustiziato.

dal 1300 al 1500

Nel 1316 una colonna di Ghibellini marciò su Forlì nel tentativo di sottrarla ai Malatesta: ma presso Civitella di Romagna caddero in un agguato e i Ghibellini furono trucidati.
Tra i caduti figura anche il Conte Francesco di Carpegna, nipote del buon Guido e gran contestatore, assieme al suo amico Dante Alighieri, della politica del Papa.

Nella prima metà del 1300, i Tarlati di Arezzo si andavano estendendo nelle valli del Foglia, del Metauro e del Marecchia, stringendo in una morsa sempre più stretta i possedimenti dei Carpegna e arrivando fino a Frontino.
Quel periodo trova i Carpegna nuovamente schierati dalla parte dei Malatesta di Rimini e poco partecipanti alle vicende politiche dei territori circostanti, curanti i loro interessi e in equilibrio tra le opposte fazioni in lotta.
Pur considerando queste zone possedimenti propri, la Chiesa non ne aveva mai conquistato materialmente i territori.
In effetti, gli eserciti pontifici si erano sempre tenuti ben lontani da questi luoghi impervi, per paura di tranelli e imboscate.
I signori del luogo continuavano quindi a ritenersi liberi come un tempo e le frequenti scomuniche, le imposizioni di tasse e le minacce papali cadevano regolarmente nel vuoto.
Tuttavia, essendo la politica dei Carpegna legata ai Malatesta di Rimini, gli attriti con i Montefeltro d'Urbino si faceva via via più elevato.

Il Conte Francesco di Carpegna rappresentava intorno al 1430 uno dei capisaldi della potenza Malatestiana che, in continua espansione, rappresentava sempre più una minaccia per i Montefeltro e per la stessa Urbino.
A capo dei due eserciti erano Sigismondo Malatesta e Federico da Montefeltro.
Nel momento in cui le ostilità esplosero in una guerra furibonda, anche la Contea di Carpegna fu coinvolta in battaglie e devastazioni.
Federico da Montefeltro invase e saccheggiò Carpegna e la Castellaccia, la quale in quel periodo non era possedimento dei Conti, iniziando contemporaneamente l'assedio di tutte le località fortificate del luogo.
In quell'occasione fu catturata e fatta prigioniera anche la Contessa Caterina, moglie del Conte Lamberto di Carpegna. La Rocca di Carpegna fu incendiata e in quell'occasione andarono perduti la maggior parte degli scritti e dei documenti e dei ricordi della famiglia Carpegna.
Sigismondo di Rimini, appena saputo dell'accaduto, radunò un esercito capeggiato dai suoi migliori condottieri per liberare Carpegna ma Federico d'Urbino, informato della manovra, mosse in tutta fretta da Fossombrone e giunse appena in tempo per fermare e sconfiggere gli eserciti Malatestiani, infliggendo loro gravi perdite.
Non passò molto tempo e Sigismondo, riorganizzato il proprio esercito e conducendolo questa volta di persona, tornò all'attacco e riconquistò La Castellaccia e il paese.
Ma la Rocca di Carpegna, nonostante la pioggia di fuoco cui fu sottoposta dall'artiglieria giorno e notte, resistette all'attacco fino all'arrivo di Federico il quale, radunato il suo esercito a Belforte, marciò verso Carpegna, liberandola. Sigismondo fu di nuovo respinto e si ritirò verso Macerata Feltria.

Agli inizi del 1462, il 25 aprile, in un ennesimo attacco, Sigismondo rioccupa Carpegna.

Ma, a seguito delle numerose sconfitte subite in altri luoghi, le speranze riminesi cominciavano a vacillare.
Uno alla volta, tutti i castelli indipendenti della zona si arresero o furono conquistati dai Montefeltro.
In una di queste battaglie fu ucciso anche il Conte Lamberto.

Nel 1490 il Conte Giovanni di Carpegna sottoscrisse un patto d'alleanza con la signoria di Firenze, in patto di reciproco aiuto in caso di bisogno o d'aggressioni nemiche.
In quell'occasione il Conte Giovanni s'impegnava, in caso di mancanza di discendenza maschile sua, o mancanza di discendenza maschile dei suoi figli, a consentire che le sue giurisdizioni, castelli e territori, divenissero proprietà della Repubblica di Firenze.

Giovanni ebbe cinque figli maschi ma di questi solo uno, Orazio, generò un discendente maschio che chiamò Giovanni come il padre. Quando Cesare Borgia, figlio di Papa Alessandro VI, iniziò ad occupare i vari stati di Marche e Romagna, anche la Contea di Carpegna fu seriamente minacciata dalle intenzioni di Cesare: sottrarre ai legittimi proprietari le terre di Carpegna e Piandimeleto per donarle ai suoi amici Spagnoli era il suo sogno non troppo segreto.
Ma la morte di Papa Alessandro VI e il declino delle fortune di Cesare Borgia impedirono anche questa volta che il sogno divenisse reale.

dal 1500 al 1800

Nel 1522, quindicimila soldati al comando di Giovanni de' Medici, detto Giovanni delle Bande Nere, misero a ferro e fuoco tutto il Montefeltro, bruciando Carpegna, La Castellaccia e Pennabilli.

Nel 1560, moriva il Conte Orazio di Carpegna, lasciando Giovanni, suo unico figlioletto, quale discendente dei Carpegna a soli otto anni.
Purtroppo Giovanni morì dieci anni dopo, appena diciottenne. Sembrava la fine della nobile famiglia.

Tuttavia, un fatto singolare e fortuito salvò la dinastia. Racconta un cronista:
"Adì 21 di gennaio 1570. Morse il conte Giovanni figlio del conte Horatio da Carpegna, giovane d'anni 18, molto da bene e grandissimo ricco. Tutta la città ne fece pianto. Il nostro signore illustrissimo Duca d'Urbino gli havea dato in moglie la figlia del conte Antonio dal Landriano, et si dice essere questa gravida. Dio faccia quello che è per il meglio".

La notizia della gravidanza della Contessa Beatrice, moglie del giovane Conte defunto, rimbalzò alle corti di Firenze ed Urbino.
Preoccupato dall'incamerazione della Contea di Carpegna da parte della Toscana, il Duca Guidubaldo della Rovere d'Urbino si preoccupò di sorvegliare la regolarità della gravidanza della Contessa Beatrice e lo stesso fece il Granduca Cosimo I, il quale intendeva tutelare i suoi diritti.
Il Duca d'Urbino mise a disposizione della contessa il suo palazzo di Gubbio, mentre il Granduca di Toscana inviò due matrone per sorvegliare la regolarità del parto e il sesso dell'eventuale nascituro: un figlio maschio in casa Carpegna significava conservare la dinastia ed annullare la pretesa di incamerazione della Contea da parte toscana.
Infatti fu maschio, Orazio, e fu allevato alla corte urbinate.
Nessuno poteva infatti avere più interesse a vigilare sulla salute dell'unico discendente dei Carpegna di quanto ne avesse il Duca d'Urbino. La sua morte prematura avrebbe fatto rinascere le pretese toscane sulla contea di Carpegna.

Divenuto adulto, il Conte, come tanti suoi antenati, si diede al mestiere delle armi e morì nel 1632 a Cento di Ferrara in una battaglia della Chiesa contro Venezia.
Tuttavia, a questo punto, lasciava diversi figli. Di questi, Francesco Maria sposò Marzia dei Conti Spada e i loro figli furono tra i personaggi più in vista della borghesia Romana della seconda metà del 1600.

Ma chi dei Carpegna diede maggior lustro alla famiglia fu il Conte Gaspare: Canonico di S. Pietro, fu segretario della Congregazione del Buon Governo.
Alessandro VII lo nominò Uuditore della Rota e Clemente IX Consultore del S. Uffizio.

Nel 1670 fu nominato Cardinale da Clemente X, poi Vicario di Santa Romana Chiesa e nel 1698 fu creato Vescovo. Per suo volere e in ricordo della secolare nobiltà della famiglia cui apparteneva, si iniziò la costruzione dello splendido Palazzo dei Principi che tuttora si può ammirare nella piazza centrale del paese.
Uomo di carattere e cultura impareggiabili, partecipò al conclave di cinque Papi e in quello del 1700 sfiorò lui stesso il titolo.
La sua famosa biblioteca, il museo di antichità da lui creato e la sua collezione di monete e cammei sono attualmente custoditi in Vaticano.
Gaspare morì a Roma il 6 aprile 1714 all'età di 88 anni.

In quell'epoca la contea di Carpegna era già passata al nipote di Gaspare, Francesco Maria, il quale non aveva discendenti maschi.
Si andava ricreando quindi la stessa situazione del 1570.
Questa mancanza di eredi maschi obbligò Francesco Maria a nominare proprio erede il nipote Antonio, figlio del Marchese Mario Gabrielli di Roma e della propria figlia (Laura), con l'obbligo di assumere il cognome Carpegna.

A causa di ciò Francesco I, Imperatore d'Austria e Granduca di Toscana, inviò il suo esercito ad occupare la contea per far rispettare il patto di 250 anni prima e con 108 uomini armati prese possesso del paese.
Era il 10 giugno 1749. Le cancellerie di mezza Europa si misero in moto per risolvere la questione di questa minuscola località montana.
Allorché la Francia decise di appoggiare il Papa, ampiamente sostenuto dal Regno di Sardegna e dalla Corte di Spagna, l'Impero Viennese venne a trovarsi solo ed isolato: nel 1754, dopo qualche anno di temporeggiamento, ritirò le truppe dalla contea e il Conte Antonio, figlio di Laura, riprese possesso dei suoi beni.

Nel 1797 i Francesi occuparono lo Stato Pontificio ma tralasciarono la Contea di Carpegna ritenendo che fosse ancora dominio della Toscana e quindi dell'impero Austriaco.

dal 1800 al oggi

Nel 1807 questi territori furono assorbiti dal Regno d'Italia, sotto il dominio Napoleonico.

Con la caduta di Napoleone, il figlio del Conte Antonio Carpegna-Gabrielli, Gaspare, riprese possesso della contea.
Ma Papa Pio VII, che nel 1816 aveva decretato l'abolizione dei feudi, era poco propenso a permettere l'esistenza di stati franchi all'interno dei propri territori e cominciò a pressare Carpegna con minacce e intimidazioni, finché il Conte Gaspare si trovò costretto a firmare un atto di sottomissione.

A quell'epoca, Carpegna si trovava nelle stesse condizioni di San Marino, vale a dire territorio libero all'interno dello stato pontificio: e come San Marino, sarebbe tutt'oggi uno stato libero se il Papa non avesse avuto in mano molte armi per ricattare il conte.
Questi possedeva, infatti, parecchi beni nello stato pontificio e le minacce di requisizione di tali beni non mancarono di certo. L'estensione territoriale di San Marino e quella di Carpegna erano a quei tempi quasi equivalenti (circa 6000 ettari ognuno).

Carpegna era rimasta libera contea fino al 1819. Da quell'anno, tutti i beni, i palazzi e i diritti di sovranità dei Conti furono ceduti alla chiesa.

Nel 1860 il Granducato di Toscana cessava di esistere, abbattuto dalle insurrezioni di tutte le città Toscane.
Qualche mese più tardi, l'Esercito Piemontese invadeva Romagna e Marche ponendo fine anche al dominio pontificio.

Nel frattempo Gaspare moriva (1828), senza lasciare alcun figlio in vita. Dei suoi tre maschi, infatti, Luigi e Pietro morirono sotto le mura di Mantova combattendo su opposti fronti: uno con gli Austriaci, l'altro con i Francesi.
Il primogenito, Filippo, morì dodici anni prima del padre, mentre era Dragone nell'esercito pontificio. Filippo, però, lasciava un figlio: Luigi.

Al Conte Gaspare successe quindi il nipote, il quale, a soli 21 anni, sposò la contessa Amalia Lozano Argoli che morì però giovanissima.
Luigi sposò quindi Ludmilla Holynska, una nobile polacca.

Nel 1851, il Conte Luigi riacquistò tutti beni dei Carpegna che erano stati ceduti alla chiesa nel 1819.

Quando l'Arcivescovo di Ravenna, il Cardinale Chiarissimo Falconieri, ultimo discendente di quella nobile famiglia fiorentina, morì, lasciò in eredità al Conte Luigi il suo intero patrimonio e il titolo principesco dei Falconieri: Luigi assunse il nome di Principe Orazio di Carpegna-Falconieri.

Nel 1877 il Principe Orazio operò la divisione dei beni di famiglia tra i suoi tre figli: Guido, Filippo e Maria, i quali ereditarono il Castello e la tenuta di Torre in Pietra nell'Agro Romano, quella della Marcigliana, vicino alla prima, il Palazzo Falconieri in Via Giulia a Roma, il Palazzo dei Principi a Carpegna, il Palazzo Carpegna presso Palazzo Madama e Villa Carpegna a Roma ed altre varie case a Roma, Viterbo e Senigallia.
La Villa Falconieri, situata a Frascati, rimase indivisa.

Erede del titolo di Principe fu il Conte Guido: artista e scienziato, emerse anche in campo poetico con la pubblicazione di diverse raccolte di poesie.
Il titolo di Principe gli fu rinnovato con successione primogenita mascolina da Re Vittorio Emanuele III.
Fondò lo zuccherificio di Rieti e morì a Carpegna il 27 ottobre 1919.
Dalla Contessa Maria de' Gori-Pannilini di Siena, sua moglie, ebbe tre figli: Amalia, Vittoria e Ulderico. Questi successe al padre col titolo di principe e sposò Anna Giusso dei Duchi del Galdo di Napoli.
Da loro nacquero Guidubaldo, primogenito ed erede del titolo, e Francesco Maria.

Il resto è storia dei giorni nostri.
Il Principe Guidubaldo di Carpegna-Falconieri è scomparso di recente senza lasciare figli.
Attualmente, il Palazzo dei Principi è abitato dal Conte Francesco Maria, divenuto Principe di Carpegna-Falconieri per successione al fratello, da sua moglie, Donna Isabella (figlia del Principe Leone Massimo d'Arsoli e della Principessa Maria Adelaide di Savoia) e dai loro figli, i Conti Antonio, Giovanni, Tommaso e Caterina dei Principi di Carpegna.

IL SASSO SIMONE

Quando si visita Carpegna non si può mancare una visita a quest'insieme di straordinaria bellezza e suggestione. Posto magico, incantato, come pochi se ne possono ancora trovare nel nostro paese.

Questi due enormi massi calcarei, il Sasso Simone e il suo vicino fratello, il Simoncello, dominano un paesaggio formato da fitte e misteriose foreste, pascoli e tormentati calanchi argillosi, dall'alto dei loro 1200 metri sul mare.
Qui gli spazi sono liberi, la natura è selvaggia, il silenzio sacro.

Dei molti sentieri che conducono ai Sassi, il migliore è quello che, partendo dalla Cantoniera di Carpegna, si addentra nella foresta, offrendoti una passeggiata fresca e ristoratrice.

L'ambiente ospita piante e animali numerosi e rari, tanto da essere stato trasformato, nel 1994, in Parco Naturale, attrezzato con zone di sosta e luoghi di partenza e d'arrivo per piacevoli escursioni all'interno dell'area protetta.

Il Sasso Simone è un singolare esempio di enorme "Zattera Vagante".
L'aspetto da intruso si nota immediatamente quando, in un paesaggio di morbide colline, ove Carpegna è adagiata, s'incontra questo mastodontico altopiano roccioso dalle pareti verticali che lo inquadra con certezza come elemento estraneo alla natura del luogo.
In effetti, andando a vedere rapidamente la sua struttura, ci accorgiamo che esso è formato da rocce ricche di sedimenti: formatosi in mare, ha imprigionato miliardi di esseri marini d'ogni genere che oggi sono parte fondamentale della composizione di questo monte :
("…la sostanzia di tal sasso è di pietra travertino durissimo entro del quale vi si vedono echini et altre ostriche di varia qualità totalmente impietriti…").
Il Sasso Simone è arrivato qua circa tre milioni di anni fa nel corso del Pliocene, scivolando sui viscidi terreni argillosi.
Nato in fondo al mare nell'Era Terziaria, quindici milioni di anni fa, precisamente nel Tirreno settentrionale, è parte di un'enorme massa che, emergendo dall'acqua e traslando da occidente ad oriente, è andata via via sgretolandosi scordandosi pezzi in giro dal Casentino al Monte Fumaiolo e giungendo fino all'Adriatico dove termina bruscamente con la rupe del Monte Titano (San Marino poggia infatti su questo tipo di roccia).

Il suo inconfondibile profilo è diventato il simbolo della zona.

Meta obbligatoria di ogni turista, puoi arrivare fin qui a piedi, a cavallo o in Mountain-Bike, attraverso i bellissimi sentieri immersi nella foresta che lo raggiungono.
Sul vasto altopiano potrai ammirare lo stupendo panorama e, nelle giornate particolarmente limpide che oggi sono sempre più rare…:
"dalla sua sommità si vede quasi tutto il golfo Adriattico incominciando dalli monti di Ancona fino a Venezia. Quando poi l'aria è chiara si vedono le montagne di là dal detto golfo, supposte le montagne della Dalmazia e Schiavonia; dalla parte poi del settentrione si vede con l'occhio tutta la Romagna alta e bassa e con il canochiale si vedono le montagne di Trento et altro vasto paese della Lombardia. Verso mezzogiorno si vede tutto lo stato di Urbino e tutta la provincia dell'Umbria" (cronista del '700).

Sembra debba l'origine del suo nome ad un eremita venuto dall'oriente, detto appunto "Simone", che stabilì qui la sua isolata dimora spirituale.

Il Sasso fu frequentato fin dall'età del bronzo : lo dimostrano i numerosi reperti rinvenuti sull'altopiano.

Intorno all'anno 1000, complice un periodo climatico particolarmente favorevole, vi fu costruita un'abbazia benedettina, San Michele al Sasso, sulle rovine di un precedente santuario Longobardo.
Costruita l'abbazia, accorrono i contadini a coltivare l'ampia spianata avuta in affitto dai monaci. Sul vasto pianoro si coltivano cereali, lino, piselli. Alla base del monte i prati si popolano di gente e di bestiame per le grandi fiere estive.

Tuttavia la vivacità del luogo durerà poco: cessati i favori climatici, già nel 1200 i monaci sono costretti a rifugiarsi nel vicino Castello di S. Sisto per trascorrervi gl'inverni che anno dopo anno si fanno sempre più ostili.
L'abbazia andrà via via perdendo importanza, e nel 1490 solo la chiesetta di San Michele Arcangelo era ancora in piedi, sebbene in rovina.

Il Sasso Simone riprende vitalità nel 1566 con la posa della prima pietra e la solenne cerimonia per la costruzione della "Città del Sole", un farneticante progetto voluto da Cosimo de' Medici per simboleggiare il potere centrale della casata.

LA CITTA' DEL SOLE

Una città fortezza a quote mai osate prima, a strapiombo sulla sottostante foresta, forse ad imitazione della non lontana San Leo, ma molto più ardita, ad oltre 1200 metri d'altezza, una vera sfida agli elementi, una roccaforte naturale inespugnabile per le sue pareti verticali su tutti i lati, al punto che il sentiero per arrivare in cima dev'essere ricavato a suon di mazza e scalpello dalla roccia viva, ed è tuttora l'unico modo per arrivare sulla sommità del monte.
Forme geometriche perfette, linee spezzate e grande dovizia di angoli acuti nelle cinte murarie, lotti edificabili modulari, piazze centrali aperte sui principali edifici pubblici. Questo l'ambizioso progetto del giovane Cosimo de' Medici.

Si legge dalle cronache dell'epoca:
"Il Sasso è luogo della massima importanza perché è elevatissimo e inespugnabile, e perché sta sui confini del piviere di Sestino, del duca d'Urbino, dei conti Giovanni e Ugo di Carpegna, del conte Carlo di Piagnano, della Chiesa e di Rimini e perché chi vi edificasse un castello, come un leone fortissimo potrebbe annientare tutti gli altri castelli e luoghi circostanti senza timore di attacchi. In caso di timor di guerra è possibile specialmente di notte far segnali a Montauto di Perugia, al monte di Assisi, a Recanati, a Sassoferrato e a molte altre terre della Chiesa: in una notte si arriva di rocca in rocca a trasmettere il segnale fino a Roma e di lassù è anche possibile vedere molti luoghi della Dalmazia".

Si avvia l'immane opera: si iniziano a gettare le fondamenta delle case per accogliere i previsti 300 abitanti, le osterie, le casematte, il forno, le carceri, le grandi cisterne per l'acqua (quella principale, incredibilmente, è ancora lì piena d'acqua), la bottega del fabbro, i granai per mille staia di grano, il salnitraio e le salaie, il deposito delle farine, il palazzo del provveditore, l'armeria, l'arsenale, il tribunale, le stalle. Inoltre la chiesa, il palazzo del capitano con la cancelleria, gli edifici per l'acquartieramento dei soldati, la sala delle torture, le torri, le mura perimetrali, i depositi per le munizioni, i ricoveri per l'artiglieria, i magazzini per i viveri.

Si fabbricano in loco mattoni e tegole, si squadrano le pietre, si scava la roccia, si forgiano cardini e serrature, si fabbricano gli armamenti.

I lavori non si fermano neanche con l'inverno: una carovana di uomini, carri e buoi, carichi di pesantissimi pezzi d'artiglieria, arriva appositamente da Arezzo. Spossati dal viaggio e dal freddo, i buoi che trainano i carri, con un ultimo immenso sforzo,giungono quasi in cima al monte, scivolano sulla neve gelata e travolgono il resto della retrostante spedizione. Precipiteranno tutti nel vuoto in un'orrenda carneficina.

Purtroppo l'utopistico progetto nasceva già obsoleto in partenza.
Troppo costoso rispetto all'effettiva utilità, quando ormai le guerre si combattevano e risolvevano in campo aperto per il mutare di tattiche e armamenti, l'esito positivo di tale ambiziosa costruzione avrebbe dovuto suscitare qualche dubbio.

Il primo gruppo formato da una decina di soldati fu mandato a presidiare la fortezza nel dicembre 1573.

Quella che fu in seguito definita "La piccola glaciazione", un inasprimento del clima che porterà ad un abbassamento generale della temperatura su tutto il pianeta, era appena agli inizi. Le estati si accorceranno. Gli inverni diverranno più lunghi e rigidi: sarà la causa della totale distruzione dei raccolti, di un disastro che metterà in ginocchio la montagna per secoli. Sarà la fame più disperata e la perdita di un terzo della popolazione.

Soltanto per poco qualche audace resistette ancora nella città: dieci anni dopo la sua costruzione, l'ardita fortezza era totalmente abbandonata.

Le strutture andarono incontro ad un rapido deterioramento e nel 1674 la città era già totalmente diroccata: ne fu decretato lo smantellamento per il recupero dei materiali. Molti di questi li possiamo tutt'ora vedere nelle costruzioni del circondario e sulle facciate di qualche antica costruzione. Del poco rimasto la natura avrebbe presto fatto giustizia: vento, freddo, neve, ghiaccio ed erba cancelleranno rapidamente il sogno del giovane principe fiorentino.

LE CAMPANE DI CARPEGNA

Era il 1° novembre del 1970 quando un fenomeno di straordinario interesse rese famosa per alcuni mesi la tranquilla e riservata cittadina marchigiana portandola alla ribalta delle cronache. Quella sera, esattamente alle 20.15, all'interno della chiesa parrocchiale di San Nicolò, situata nel centro del paese, fra' Giuseppe era intento a conversare con frate Mario nella propria cella quando una campana cominciò a suonare a distesa. La conversazione si interruppe, poiché in quel timbro i due frati riconobbero la più piccola delle quattro campane del loro campanile, il cosiddetto Cendìno, usato per richiamare i parrocchiani alla messa, e stupefatti per quel suono assolutamente fuori orario, i due, temendo qualche avvenimento drammatico, si precipitarono nel refettorio dove altri due frati erano intenti a guardare la TV, chiedendo spiegazioni. Ma quelli, ancor più stupiti, dissero di non aver udito nulla. E nulla aveva udito padre Doriano, il parroco, che si trovava nell'ufficio parrocchiale, né Gino, il campanaro. Tutti si recarono allora al campanile ma costatarono che la cella campanaria era chiusa a chiave e sia le campane sia le corde erano assolutamente immobili. Si pensò all'eco della chiesa di San Pietro, distante qualche chilometro, e credendo che qualcuno avesse bisogno d'aiuto, i frati si recarono sul posto, ma anche lì nessuno aveva suonato le campane.
Quando ormai i due frati si erano rassegnati all'idea di aver avuto un'allucinazione, erano le 22, la campana riprese a suonare all'interno della chiesa, questa volta udita da tutti. E tutti riconobbero l'inconfondibile suono della campana piccola del loro campanile.
A mezzanotte, poi ancora alle due, mentre le altre stanze rimasero silenziose, lo scampanio echeggiò nel dormitorio, terrorizzando i frati.
Fu l'indomani, il 2 novembre, che la campana si fece udire all'esterno, lasciando allibiti i presenti che si apprestavano ad assistere alla messa: tutti poterono chiaramente constatare che le campane erano perfettamente immobili, eppure suonavano. Ma anche questa volta il suono si udiva esclusivamente nel sagrato della chiesa, mentre nulla si percepiva né all'interno del convento, né all'esterno del sagrato.
Il fatto si ripeté per tutto il giorno e nei giorni successivi, attirando gli abitanti del paese al completo.
Secondo i testimoni, il suono sembrava provenire ora dall'alto, ora dal basso, senza un punto preciso nello spazio. Quello che è certo è che le persone dislocate a guardia della cella campanaria, a pochi centimetri dalle campane, non udivano assolutamente nulla.
Il 13 novembre accadde un fatto nuovo. Il timbro del suono mutò palesemente: non più il piccolo Cendìno ma la grande Campana di Mezzogiorno iniziò a diffondere nell'aria la sua voce possente, pur rimanendo anch'essa assolutamente immobile. Nel frattempo la notizia si spargeva e curiosi, giornalisti, occultisti, scienziati e tecnici del suono arrivavano in massa per risolvere il mistero o svelare il trucco.
Nel gennaio del 1971 si ebbe un'altra variazione: la Campana a Morto, terza delle quattro campane ospitate nella cella campanaria del convento, iniziò a far sentire i suoi lugubri rintocchi al posto delle prime due. E nel giro di pochi giorni ci si accorse di un fatto raccapricciante: ad ogni serie di rintocchi di questa campana corrispondeva puntualmente il decesso di un abitante del paese.
Il fenomeno andò avanti per quasi tutto il 1971, con le campane che ormai si alternavano nel loro gioco sotto gli occhi esterrefatti di quanti le vedevano perfettamente immobili ma potevano udirne chiaramente il suono.
Poi, con il finire dell'anno, il fenomeno si diradò ed infine si esaurì.
Molti dichiarano di aver ancora udito le campane suonare nel corso di questi anni, ma si tratta di testimonianze isolate e non convalidate da prove certe. E la quarta campana? La Campana d'Ovest, muta spettatrice degli eventi che riguardarono le sue tre sorelle, fortunatamente ha fin'ora taciuto. Narra, infatti, un'antica leggenda del luogo che "...quando tutt'e quattro le campane avranno suonato, la montagna si spaccherà".

L'avveniento, in mancanza di un'esauriente spiegazione scientifica, è caduto ormai nell'oblio.
Si pensò all'inizio che qualche buontempone si fosse divertito a lanciare sassi contro le campane con una fionda. Ma, a parte la straordinaria abilità richiesta per far suonare una campana con un minimo d'attendibilità a suon di sassate unita alla necessità di doversi mantenere ben distante dal quel luogo affollato per non farsi scoprire, la supposizione è smontata dal fatto che chi stava sul campanile accanto alle campane, non percepiva alcun suono.
Altra supposizione: l'eco di qualche campana lontana? Mai successo prima, e il suono era troppo forte per provenire da lontano. Inoltre continuava a non spiegarsi come mai chi stava vicino alle campane non udiva nulla.
Tuttavia, per non tralasciare l'ipotesi che una qualche straordinaria combinazione atmosferica potesse giocare un tiro del genere, tutte le campane dei comuni limitrofi furono messe a tacere con un'ordinanza, per verificare questa eventualità, ma il fenomeno continuava a ripetersi.
Su suggerimento dei tecnici, l'8 dicembre, in attesa del verificarsi del ricorrente fenomeno di mezzogiorno, fu tolta in segreto la corrente a tutto il paese a partire dalle 11.45, per scongiurare l'eventualità che qualche burlone avesse piazzato un grosso impianto audio ben nascosto da qualche parte della chiesa. Ora, nonostante l'evidente difficoltà di poter piazzare un simile impianto senza che ne rimanesse traccia, per non tralasciare nessuna possibilità di spiegazione, ogni angolo della chiesa fu accuratamente setacciato. In ogni caso non si sarebbe spiegato che il suono si propagasse solo in ambienti limitati, ora sulle scale, ora sul sagrato o all'esterno della chiesa o sulla piazza, senza che a distanza di un metro, cambiando ambiente, se ne percepisse la più lontana eco.
Anche senza corrente, tuttavia, la campana, puntualmente, suonò a mezzogiorno.
Un'equipe di tecnici del suono, arrivata da Bologna con le loro apparecchiature, rilevò che il diagramma di struttura del suono misterioso era identico a quello della registrazione del suono reale delle campane.
Massimo Inardi, Presidente del Centro Studi di Parapsicologia di Bologna non poté far altro che costatare oltre ogni ragionevole dubbio l'esistenza del fenomeno senza riuscire a fornire altre spiegazioni.
L'idea che qualcuno dannatamente bravo abbia architettato un trucco intelligente, astuto e perfetto in tutti i particolari, realizzato ed eseguito da gran maestro, certo rimane. Forse non lo sapremo mai: il mistero, molto probabilmente, è destinato a rimanere tale per sempre.