Palestina

Introduzione

Protagonista di queste pagine e' il popolo palestinese, i cui diritti fondamentali, e per primo il diritto alla vita, sono stati prima messi in forse poi calpestati con violenza dal sionismo e dai suoi alleati.

La scena in cui si svolgono i fatti e' il Medio Oriente una zona di fondamentale importanza strategica, per gli Stati Uniti e per l'Europa in quanto punto di incontro politico-militare ed economico e soprattutto, perché il petrolio arabo e essenziale per l'Occidente, ma e' una zona carica di tensione poiché vi gravitano non solo gli interessi americani e occidentali ma anche quelli dell'exunionesovietica.

Questa e' una delle principali ragioni per cui fra tanti problemi internazionali, il conflitto del Medio Oriente e' uno dei piu complessi: ma a renderlo tale sono anche le sue origini e le implicazioni che esso ha per molti paesi.

Questo conflitto non e' incominciato con la prima guerra israele-araba del 1948 o con il piano di spartizione della palestina del 1947, ma ben prima, gia' alla fine del secolo scorso e' in realtà affonda le sue radici nell'Europa dei secoli passati.

Gli eventi molteplici che si sono succeduti hanno fatto dimenticare fatti,dichiarazioni, reazioni che pur continuano a pesare sul corso della storia.

La dimenticanza, la non informazione, la diffusione interessata di determinate idee fanno si che troppo spesso le situazioni e le loro cause vengono travisate mentre, se non lo fossero, sarebbe piu' facile capire le ragioni profonde della persistenza del conflitto in Medio Oriente.

Inoltre, una visione troppo strettamente occidentale spesso contribuisce consciamente o non, a deformare il senso reale delle cose.

Per capire perche' le prospettive di un regolamento pacifico sembrano cosí remote, perche' certi piani di pace non sono realistici, bisogna capire cosa e' successo in "ISRAELE" dopo il 1948 e cosa avviene oggi nei territori occupati.

Per capire cosa succede oggi, in Cisgiordania e a Gaza, può essere utile ricordare cos'e' successo in Palestina nella prima meta' di questo secolo.

Questo lavoro non ha la pretesa di fare la storia completa del conflitto, vuole solamente contribuire a una migliore comprensione della situazione ricordando la realtà di alcuni fatti determinanti, mettendo in rilievo dichiarazioni e posizioni politiche in modo che si possa cogliere meglio il concatenamento degli eventi.

Questo opuscolo e rivolto alle persone che, pur non essendo specialiste, non vogliono rimanere indifferenti alla sorte di milioni di contemporanei e all'avvenire di una regione di vitale interesse per l'Italia. 

La storia della Palestina

Oltre cinque milioni sono oggi i palestinesi. La loro storia si identifica con quella terra che per novemila anni li ha accolti: una distesa grande quanto la Sardegna, tra il Giordano, il golfo di Aqaba e il Mediterraneo. Qui vivevano i primi palestinesi (discendenti degli abitanti originari della antica Palestina -Amriti, Cananei. Aramiti ed Arabi- ) molti secoli prima che gli ebrei provenienti da est, occupasserro il centro ed il nord di questa terra (1500 a.C.).

I palestinesi subirono la dominazione romana, si integrarono nel mondo arabo ai tempi dell'espansione islamica, mantennero sempre contatti con il mondo cristiano, ed una loro caratteristica fu la costante apertura a tutti gli influssi, sia musulmani che ebraici, che cristiani. Essi subirono, ma non accettarono, la violenza fanatica dei turchi e quella dei Crociati, che proprio in Palestina si scontravano per il dominio del Medio Oriente. Nel XX secolo, come tutti gli altri popoli arabi, lottarono contro il dominio Turco Ottomano, e per questo furono preziosi alleati degli occidentali che nella guerra mondiale si trovavano di fronte la Germania e la Turchia unite.

Ma le aspirazioni dei popoli arabi all'Indipendenza, una volta crollato l'Impero Ottomano (1917), si scontrarono con gli interessi delle potenze europee, che miravano di colmare immediatamente il vuoto di potere lasciato dai Turchi nella regione. Gli interessi della maggiore potenza coloniale, la Gran Bretagna, erano riposti soprattutto nel controllo del canale di Suez e di una rotta via terra per le Indie e i domini asiatici. Dopo accordi con la Russia e la Francia circa la divisione delle spoglie dell'Impero Ottomano, l'Inghilterra, preoccupata per le possibilita' di penetrazione francese nel Medio Oriente vide come unica via d'uscita l'utilizzazione del colonialismo Ebraico predicato in quegli anni dal Sionismo. Violando tutte le promesse di sostegno all'indipendenza araba, date dalla Gran Bretagna negli anni critici della lotta contro i turchi, il ministro degli esteri Balfour dichiaro' nel 1917 il pieno appoggio del suo paese al progetto sionista della creazione di un Focolare Nazionale Ebraico in Palestina. Da allora e per 30 anni, gli interessi imperialistici britannici e il sionismo si trovarono a confluire nell'obiettivo pratico della creazione di uno stato ebraico nel Medio Oriente.

Cosi, fu la pressione dei circoli finanziari sionisti, mirante a neutralizzare le spinte contrarie di Stati Uniti e Francia, a far si che nel 1923 la Societa' delle Nazioni assegnasse il mandato sulla Palestina all'Inghilterra che aveva gia' occupato. Per l'occasione fu escogitata la formula del "mandato internazionale". Fu una chiara violazione del diritto all'autodeterminazione dei popoli, sancita dalla stessa S.d.N.

Le intenzioni della Gran Bretagna sono altrettanto chiare: essa nomina suo primo alto commissario in Palestina un ebreo sionista; riconosce l'organizzazione sionista mondiale come "Agenzia Ebraica" che rappresenta gli interessi degli ebrei in tutto il mondo (cioe' come "governo" ebreo dello stato ebreo che si ha intenzione di costruire); apre le porte alla immigrazione sionista di massa malgrado le continue pretese arabe trasferisce dei terreni statali agli ebrei permette alla comunità sionista di amministrare le proprie scuole e di mantenere la propria organizzazione militare (Haganah); addestra unita' mobili delle truppe sioniste (il Palmach), finge di ignorare l'esistenza di organizzazioni terroristiche (Irgun, Stern). Alla maggioranza palestinese furono negate analoghe facilitazioni ed essa fu privata dei mezzi di autodifesa (un palestinese che veniva trovato in possesso anche di un solo proiettile era mandato a morte).

I sionisti vogliono la terra, le risorse, ma vogliono soprattutto creare lo stato ebraico. Di conseguenza, i palestinesi non sono destinati a essere sfruttati (come nel colonialismo tradizionale) ma di essere sostituiti. La parola d'ordine e "lavoro ebraico". La nuova "nazione ebraica" dovra' avere una classe operaia ebrea. Il che significa l'esclusione degli arabi dall'economia locale (tra l'altro, l'operaio ebreo non potrebbe reggere ai bassi salari dell'operaio arabo e di colpo cesserebbe l'immigrazione sionista).

La reazione araba a questa violenza organizzata, metodica e autorizzata dalle grandi potenze rappresentate dalla Società delle Nazioni, e' immediata. Gli anni 1936-1939 furono un susseguirsi di rivolte, di scioperi generali ad oltranza, i piu' lunghi della storia del proletariato mondiale, di boicottaggio della amministrazione inglese.

La grande rivolta araba del 1936-1939, la piu' importante sollevazione anticoloniale dell'epoca, e' repressa nel sangue. Soltanto dopo l'invio da Londra di rinforzi militari di 20mila uomini che, assistiti dall'aviazione, spazzano via la tenace guerriglia dimostratasi capace di occupare intere zone agricole e citta', e di resistere a lungo contro forze di gran lunga superiori, grazie ad un vasto appoggio tra le popolazioni locali. Ma dietro la protesta spontanea non esisteva una reale politica di opposizione all'imperialismo inglese ed ai sionisti, le masse arabe palestinesi venivano strumentalizzate dai regimi arabi i quali, lungi dal difenderne i diritti, ne usavano la protesta per aumentare il prezzo della resa ai sionisti.

La popolazione palestinese e' senza dubbio gia' a quell'epoca una delle più avanzate nella regione e possiede un alto grado di coscienza politica e nazionale. Nel 1929 una commissione d'inchiesta britannica constata: "L'opinione che il fellah non s'interessa di politica non trova conferma nella nostra esperienza in Palestina... Qui nessuno può dubitare che i contadini e i braccianti sono autenticamente interessati sia alla creazione di un loro stato sia allo sviluppo di istituzioni di autogoverno. Non meno di 14 quotidiani vengono pubblicati in Palestina e quasi in ogni villaggio vi e qualcuno incaricato di leggerli a quattro contadini che non sanno leggere... Essi discutono tutti di politica e questa fa abitualmente parte dei sermoni di venerdi nella moschea. Questi fellahin... sono con tutta probabilita' piu' politicizzati di molta gente in Europa". Nel maggio del '39, il governo britannico pubblica un libro bianco.

Essendo mutata la situazione internazionale e accresciuta l'importanza del petrolio, Londra e' costretta a fare agli arabi delle concessioni: una delle piu' importanti e' la limitazione dell'immigrazione ebraica. La risposta delle milizie ebraiche non si fa attendere: intensificano l'immigrazione clandestina in vista della creazione del futuro stato. Quindi la Gran Bretagna dopo aver addestrato e armato i gruppi sionisti per proteggere i propri interessi nella regione diviene colpevole delle minacce potenziali alla sua sovranita' tenta di riprendere in mano la situazione.

L'lrgoun (con a capo Menachem Begin) e lo Stern (tra i capi ricordiamo Shamir) ricorrono ad azioni terroristiche, anche all'esterno della Palestina. Nel 1944 due loro agenti assassinano lord Moyne, ministro residente britannico al Cairo e nel 1946 fanno saltare l'albergo King David a Gerusalemme, dove aveva sede l'amministrazione britannica, causando 91 morti (tra i quali alcuni ebrei).

Gli inglesi indeboliti ma desiderosi di conservare il loro mandato proseguono la loro politica ambigua, nella speranza di mettere palestinesi e sionisti gli uni contro gli altri, ma il terrorismo sionista continua, nonché l'immigrazione clandestina. L'Irgoun applica con successo la tattica dell'occhio per occhio, dente per dente e risponde ad ogni vessazione britannica con grandi rappresaglie. Quando gli inglesi vedono che la situazione sfugge dalle loro mani, sottopongono la questione palestinese alle Nazioni Unite.

 La spartizione della Palestina

Oltre alla fine del mandato britannico per il maggio 1948, l'0NU propose di risolvere la "controversia" tra palestinesi e sionisti spartendo la Palestina in uno stato ebraico (56% della superficie) ed uno stato arabo (43%), me Gerusalemme doveva essere dichiarata "Zona Internazionale" sotto controllo dell'ONU stessa. Tale piano privava automaticamente gli arab,i abitanti nella zona assegnata al nuovo Stato di Israele, di ogni possibilita' di decidere della propria sorte.

Per assicurarsi l'esecuzione del piano di spartizione, le pressioni sioniste aumentarono costantemente durante tutto il 1947 e il 1948. Al pubblico europeo e americano veniva spiegato che le rivendicazioni sioniste erano fondate sulla Bibbia e sulle sofferenze patite dagli ebrei sotto il nazismo e il fascismo. Tutti gli Stati, membri o no dell'ONU, che si erano opposti alla spartizione furono minacciati o ricattati dall'America. Infine, il 29 novembre 1947, l'Assemblea Generale dell'ONU adotto' il piano di spartizione con 33 voti favorevoli, 13 contrari e 10 astenuti.

Ai sionisti fu dato uno Stato, insediato nel punto di collegamento tra Asia ed Africa, senza il libero consenso dei palestinesi e di nessun altra nazione circostante, africana o asiatica.

Deir Yassin

Presso le alture ad Ovest di Gerusalemme, Deir Yassin era un villaggio come tanti altri, 300 abitanti in tutto. Gli israeliani pensarono di compiere lì una "azione esemplare" che servisse a convincere i palestinesi ad abbandonare collettivamente la zona.

La spedizione fu organizzata ed eseguita dal capo dell'Irgun, Menachem Begin. Le sue truppe circondarono i villaggio, all'alba del 9 aprile 1948, ed uccisero sistematicamente 250 abitanti: uomini, donne, bambini. Di proposito la notizia fu sparsa in tutti i villaggi, utilizzando i pochi superstiti, organizzando conferenze stampa, riproduzioni fotografiche del villaggio distrutto, volantini incitanti a fuggire. Inizio' allora l'esodo in massa dei palestinesi. Lo stesso Begin, capo del governo racconta: “Dappertutto noi eravamo i primi a passare all'azione. Gli arabi, spaventati, cominciarono a fuggire. L'Haganah compiva attacchi vittoriosi su altri fronti, mentre le forze ebraiche continuavano ad avanzare verso Haifa come un coltello nel burro. Presi dal panico, gli arabi scappavano gridando: "Deir Yassin".
(M. Begin, The Revolt Story of the Irpun)

La reazione degli arabi, e le proteste di quasi tutti i paesi extraeuropei (tra i quali, solo il Sudafrica si schiero' apertamente con i sionisti), costrinsero le Nazioni Unite a riesaminare la spartizione. La situazione in Palestina era allora la seguente: dopo trenta anni di dominazione inglese in Palestina, la comunita' ebraica era diventata 12 volte piu grande che nel 1917 e rappresentava quasi un terzo della popolazione. Le terre in suo possesso -come proclamava la legge costituzionale dell'Agenzia Ebraica (1929)- dovevano "essere registrate a nome del Fondo Nazionale Ebraico, affinche' divenissero proprieta' inalienabile del popolo ebraico".

Avevano dunque il carattere di extraterritorialita' e non potevano piu' essere ricomprate dagli arabi. Si era cosi formato uno "stato nello stato", anche se, per la forte resistenza dei palestinesi a vendere le loro terre, i massicci sforzi degli ebrei colonizzatori avevano portato, dopo vent'anni, all'acquisto di meno del 6% delle terre di Palestina.

Quando l'ONU voto' il piano di spartizione l'Agenzia Ebraica ordino' di operare il tutto per tutto e di mettere il mondo di fronte al fatto compiuto: il 1948 doveva diventare l'anno del terrore sistematico attuato per allontanare gli arabi dalla Palestina. L'obiettivo era la conquista della maggior quantita' possibile di territorio. Si attaccarono militarmente villaggi e terre con valore strategico, specialmente nelle zone assegnate, nel progetto dell'ONU, allo Stato arabo. Si utilizzo' la minaccia di "fare di ogni villaggio una nuova Deir Yassin" per convincere gli abitanti delle regioni controllate dagli ebrei ad evacuare.

L'esodo

Dopo la strage di Deir Yassin comincio' l'esodo dei palestinesi, costretti ad abbandonare ogni loro avere e ad incamminarsi verso gli sterminati "campi profughi" che l'ONU generosamente preparava nella valle del Giordano.

A nulla valse la reazione militare degli stati arabi che, all'atto della scadenza del mandato britannico (15 maggio 1948), tentarono di respingere gli ebrei sionisti nelle zone di partenza. Tali stati, completamente in mano ad aristocrazie feudali vendute agli inglesi o agli americani (Giordania, Arabia saudita), obbedirono immediatamente al <> lanciato dall'ONU una settimana piu tardi.

Gli ebrei sionisti invece, avendo la possibilita' di giustificare la loro azione come <>, continuarono le ostilita' occupando con facilita' nuovi territori, servendosi di aerei e carri armati forniti in continuazione dagli USA. Giunsero ad eliminare fisicamente il mediatore dell'ONU, conte Bernadotte, che aveva presentato un progetto per il ritorno dei profughi in Palestina.

Quando nel 1949 i sionisti accettarono l'armistizio proposto dall'ONU, essi controllavano il 78% della Palestina, mentre le proprietà ebraiche legali all'interno di quel territorio ne costituivano il 7%. In quel periodo di tempo, quasi un milione di palestinesi fu costretto ad abbandonare la patria e solamente 170mila poterono restare nelle terre occupate dai sionisti, che per proprio conto, avevano proclamato lo "Stato d'Israele". Quindi in nome di una "guerra di difesa" Israele oltre il 56% del territorio concesso dall'ONU si appropriava di un altro 22%,

l'ONU copriva il misfatto riconoscendo ed ammettendo il nuovo stato nel concerto dell "Nazioni Sovrane" del mondo, e così facendo privava i palestinesi del diritto a costituirsi come stato. Israele non si fermo' qui scateno' infatti altre guerre contro gli arabi e i palestinesi nel 1956 e nel 1967 occupando ancora la Cisgiordania, la striscia di Gaza, il golan Siriano, il Sinai egiziano ed in seguito una gran parte del Libano, contemporaneamente distruggendo decine di villaggi nelle zone occupate.

La conseguenza fu una nuova diaspora del popolo palestinese costretto ad abbandonare tutto ed a dirigersi verso i paesi arabi vicini ospite indesiderato accolto in campi profughi in condizioni sub-umane costretto all'ozio e all'inattivita', impossibilitato ad inserirsi nella vita produttiva dei paesi in cui ha trovato rifugio.

I palestinesi si resero conto che la difesa dei loro diritti e la riconquista della loro terra sono possibili fidandosi sulle loro forze, si organizzavano quindi a livello di massa ed organizzavano la loro lotta, espressione di volonta' di un popolo di liberare la propria patria, si creavano così le basi del movimento di liberazione nazionale che si configura oggi nell'OLP; Che cosa e' l'OLP e' l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina che il popolo palestinese (sotto l'occupazione e in diaspora) ha scelto per rappresentare la sua lotta, oggi riconosciuta in 117 paesi nel mondo quale unico e' leggittimo rappresentante del popolo palestinese, e' membro osservatore delle Nazioni Unite e membro effettivo, nei paesi non allineati, nella conferenza dei paesi islamici e nella lega araba, e' formato da un comitato esecutivo (governo) di 15 membri in esso sono rappresentate tutte le componenti politiche del movimento di resistenza palestinese.

Questo comitato viene eletto dal Consiglio Nazionale Palestinese (parlamento) che a sua volta viene eletto da tutte le organizzazioni di massa politiche sociali e culturali (Unione generale di: Lavoratori, Donne, Studenti, Avvocati, Insegnanti,Medici e Farmacisti, ecc. ). La lotta del popolo palestinese non e' una lotta contro gli ebrei in quanto comunita' etnica e religiosa ma contro il movimento sionista in quanto espressione di "Colonizzazione" basata su un sistema teocratico "Razzista" ed "Espansionista".

II Sionismo

Nacque in Europa orientale negli ultimi anni dell'800 teorizzando la fondazione di uno "Stato ebraico" per tutti gli aderenti alla fede ebraica in quanto gli ebrei costituiscono una minoranza che non riesce a trovare un proprio inserimento nella vita economica sociale-culturale dei vari paesi in cui essi vivono, ma questa teoria altro non era che l'espressione del disagio in cui veniva a trovarsi la borghesia commerciale ebraica nei paesi dell'Est europa, nel momento in cui si sviluppava il capitalismo con la sua borghesia i cui interessi si scontravano con quelli della borghesia ebraica.

Il capitalismo utilizzava il razzismo antiebraico (Ipogrom) proprio per potersi sbarazzare di questi temibili concorrenti nella direzione delle economie locali.

Alla borghesia ebraica non restava dall'altro lato che il destino dell'assorbimento nel proletariato locale oppure la ricerca di uno sbocco esterno (una colonia). Il movimento sionista opto' per la colonizzazione, si delineava a questo punto "il problema" sulla scelta del luogo dove far sorgere (lo stato ebraico) il movimento sionista fu diviso fra chi voleva un pezzo di terra in Argentina, chi in Africa orientale, per altri ancora la Palestina, che allora faceva parte dell'Impero Ottomano, popolata da una maggioranza di palestinesi musulmani e da poche migliaia di palestinesi cristiani ed ebrei.

Nel I° congresso del movimento sionista riunito a Basilea nel 1897 sotto la guida di Teodor Herzl prevalse la tesi di chi optò per la "Colonizzazione della Palestina", in seguito a cio', gli ebrei che si riconoscevano nel "Sionismo" (e cioe' meno dell'1% degli ebrei di tutto il mondo) prepararono un programma per la colonizzazione della regione.

Questa colonizzazione prevedeva due progetti, quello massimo che seguendo la frase biblica mirava ad occupare il territorio compreso tra i due fiumi "dal Nilo all'Eufrate", e ancora oggi sostenuto dal clero rabbinico e dai partiti di governo, mentre quello minimo riguardava l'occupazione di un territorio comprendente oltre la Palestina, la Giordania, il sud del Libano ed il sud ovest della Siria.

Ma il Sionismo non mirava solo alla occupazione di questi territori ma prevedeva lo svuotamento della popolazione originaria allo scopo si di continuare l'immigrazione ebraica ma soprattutto di creare uno stato puramente confessionale "ebraico" (espulsioni in massa della popolazione palestinese residente, massacri, etc.). A questo punto si fa notare che ancora oggi il Sionismo continua la sua politica in seno allo stato di Israele.

Lo Stato d'Israele

Bisogna ricorrere alla dichiarazione della sua fondazione e ad altri documenti ufficiali per capire di che tipo di stato si tratta, chi ne e' cittadino, quali garanzie offrono le sue istituzioni.

Le due leggi fondamentali dello Stato, la legge del ritorno e la legge sulla nazionalita' confermano il carattere discriminatorio razziale, infatti, mentre riconosce il diritto automatico alla cittadinanza ad ogni ebreo che immigri nel paese (ed e' ben inteso che l'ebreo e riconoscibile dalla sua ascendenza, e piu' precisamente dal fatto di essere di madre ebrea) ignora i diritti civili e religiosi dei palestinesi abitanti (da sempre) in Palestina.

Per chiarire le intenzioni della politica israeliana basta leggere queste parole scritta a Y. Waitz, ex capo del dipartimento per la colonizzazione dell'Agenzia Ebraica e riportate nel giornale israeliano "Davar" il 29-9-1967: "Detto fra noi, sia chiaro che in questo paese non c'e posto per entrambi i popoli... l'unica soluzione e' l'Eretz Israele, almeno Israele occidentale, senza arabi. Non c'e altra soluzione che trasferire gli arabi da qui ai paesi vicini, trasferirceli tutti, senza risparmiare nessun villaggio, neppure una tribu".

Il carattere teocratico dello Stato si manifesta anche nella profonda compenetrazione tra legislazione civile e precettistica ebraica. Tutte le cariche piu' importanti sono assegnate ad ebrei praticanti, e la presenza del clero rabbinico e d'obbligo in tutte le decisioni piu' importanti nella vita del paese.

Il clero ha soprattutto funzione di stimolare il "patriottismo" degli ebrei, ricordando che il loro dovere e quello di portare la nazione alla dimensioni volute dalla Bibbia "dal Nilo all'Eufrate". A questo proposito va pero' subito chiarito che l'oscurantismo rabbinico trae soltanto una parte dalla propria forza dall'appoggio dei partiti di estrema destra che rappresentano una minoranza dell'elettorato.

La sua forza reale dipende dall'Adesione all'ideologia Sionista, di tutti i partiti che sinora si sono succeduti al governo, compreso il Partito Laburista, fortemente responsabile della tragedia del popolo palestinese. L'economia di Israele e assai precaria, un dato molto rilevante e' l'inflazione sempre alta, che e' passata dal 50% nel 78 al 200% nell'82 ed oggi e di circa 400%, cio' si spiega col fatto che l'economia israeliana e' un'economia di guerra.

Le spese militari rappresentano oltre il 30% del prodotto nazionale lordo e riducono quindi gli investimenti in altri settori dell'economia e della societa' (sanita', educazione) Israele ha infatti oggi una potente industria bellica: un israeliano su cinque produce armi e le esportazioni del materiale bellico raggiungono i 14 milioni di dollari l'anno.

La scelta dell'industria bellica e dunque fondamentale per l'economia di Israele. Inoltre, va sottolineato che la sopravvivenza economica di Israele si spiega solo con gli ingenti aiuti che ha ricevuto dall'estero, primo fra tutti gli Stati Uniti che solo dal 1948 al 1968 ha concesso oltre 11 miliardi di dollari, tuttora Israele non solo riceve circa 7 miliardi di dollari all'anno dagli Stati Uniti (meta' dal governo, a fondo per duto, e meta' dalle associazioni ebraiche americane) ma e' lo Stato piu' assistito del mondo poiche' riceve sotto forma di aiuti un ammontare pari al 30% del suo prodotto nazionale lordo.

A conferma del ruolo d'Israele come testa di ponte degli interessi economico-militari dell'imperialismo mondiale in particolare di quello americano in Medio-Oriente, va considerata la sua politica verso i paesi del Terzo Mondo dall'addestramento militare dei paracadutisti di Mobutu e delle guardie di Haile Selassie, al suo commercio d'armi con il Cile, Sudafrica, ecc. Come gli alleati politici anche i partners commerciali sono scelti con oculatezza.

L'espansionismo di Israele

La ragione della politica espansionistica di Israele e' una: conquistare tutto il territorio che corrisponde alla ideologia sionista. Puo' sembrare assurdo al giorno d'oggi che un paese possa conquistare dei territori con la forza, eppure e quanto e' avvenuto con Israele, il cui territorio e' circa 5 volte quello previsto dalla spartizione dell'ONU del 1947.

D'altronde, finche' Israele afferma di essere lo stato di "tutti gli ebrei del mondo", deve prevedere di ospitare i 10/15 milioni di ebrei che ancora non vi sono immigrati, preferendo stare nei loro vari paesi di appartenenza. I dirigenti israeliani spiegano le loro conquiste territoriali con il fatto che Israele ha bisogno di "frontiere sicure".

Se si pensa che oggi Israele occupa la Cisgiordania, la striscia di Gaza, il Golan siriano e quasi meta' del Libano, oltre naturalmente quella parte della Palestina che le Nazioni Unite avevano assegnato ai palestinesi, il meno che si puo' dire e' che e' davvero curioso sostenere che si vogliono "frontiere sicure" invadendo i propri vicini annettendosi i loro territori con la forza.

Questa posizione di Israele, in realta, e' un'ulteriore conferma di quanto abbiamo gia' visto prima: Israele non vuole la pace. Ha scelto la guerra permanente. Nato con la violenza, il nuovo stato si mantiene vivo continuando ad esercitarla. Israele tende a difendere nella zona gli interesse occidentali e ad opporsi ad ogni cambiamento di regime all'interno degli stati arabi, essa si offri' volentieri come base di appoggio agli U.S.A. e agli inglesi, quando questi intervennero in Libano e i Giordania per impedire la formazione di governi democratici (1958). Israele aveva tentato una vasta azione di espansione verso Gaza e il Sinai, ai danni dell'Egitto, dove si era da poco instaurata una dirigenza nazionalista e antifeudale guidata da Nasser. In tale occasione (1956) pur operando di concerto con la Francia e l'Inghilterra (mirante a stabilire il controllo sulla compagnia del Canale di Suez nazionalizzata da Nasser), gli israeliani si erano dovuti ritirare per l'intervento delle due "superpotenze".

Nel contempo, lungo tutto l'arco degli anni '60 compiva continui raids offensivi contro la Siria dove il partito Baas aveva nazionalizzato le proprieta' petrolifere occidentali. Prima ancora che Israele difenda le potenze capitalistiche deve difendere ogni governo arabo reazionario ed impedire il sorgere di governi arabi autonomi rispetto alle forze capitalistiche.

Di fronte all'avvento di regimi nazionalisti in Siria e in Irak e prima ancora dell'Egitto, Israele non poteva non reagire. La risposta fu la "guerra dei sei giorni". Nel giugno del 1967, mentre una campagna internazionale di stampa aveva presentato all'Europa e all'America una Israele minacciata di sterminio Israele sfrutta la situazione e grazie alla sua enorme superiorita' aerea e tecnologica, attacca gli stati arabi ed opera una seconda invasione nel Sinai, anzi continua la guerra anche dopo che gli stati arabi hanno accettato la tregua procedendo ad occupare tutta la linea orientale del Canale di Suez, la fertile Cisgiordania e le strategiche alture del Golan siriano.

Ed inizia subito una "Seconda colonizzazione ebraica" e contemporaneamente l'esodo dei palestinesi, costretti per la seconda volta in venti anni ad abbandonare tutto agli israeliani. La "guerra dei sei giorni", lungi dall'essere difensiva, risulto concepita solamente come primo momento del piano di espansione sionista. Alla "guerra lampo" seguì immediatamente la creazione di postazioni di difesa agricolo-militari.

S'inizia su vasta scala, lo sfruttamento del petrolio nel Sinai, si ignora il carattere internazionale di Gerusalemme, infine il ministro del Lavoro annuncia che: "la attuali frontiere sono irrinunciabili". La "guerra dei sei giorni" mette a nudo la deliberata crudelta' che caratterizza l'offensiva israeliana.

Oltre all'impiego sistematico delle bombe al napalm contro i territori arabi, la cosa piu' sconcertante e' la sorte riservata ai civili palestinesi, interi villaggi sono fatti saltare in aria, gli abitanti incitati a fuggire, oppure cacciati a forza, deportati. Il 18 giugno 1967, dieci giorni dopo la presa di Gerusalemme, il Parlamento israeliano adotta una legge che autorizza il governo israeliano a estendere la legislazione alla parte orientale della citta' santa e decreta "l'indivisibilita di Gerusalemme".

Questa annessione, condannata da due risoluzioni dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalle proteste internazionali, ha significato nella pratica l'espulsione di migliaia di abitanti palestinesi e la costruzione di una vera e prop ria cintura di insediamenti israeliani allo scopo di tagliare fuori Gerusalemme dal suo ambiente arabo. Nel gennaio del 1968 incominciarono gli espropri: più di 2.000 ettari di terra vengono tolti ai proprietari, con le buone o con le cattive: chi rifiuta l'evacuazione viene cacciato.

Quasi nessun proprietario accetto' il compenso finanziario offerto. Dopo aver modificato il contesto demografico, sociologico e culturale di Gerusalemme, il Parlamento israeliano ha completato la sua opera votando, il 30 luglio 1980 una legge che fa di "Gerusalemme intera e unificata, la capitale di Israele". Contraddicendo quel carattere confessionale che fa di Gerusalemme il centro spirituale di tutte le religioni.

 La repressione israeliana nei territori occupati

L'occupazione da parte di Israele dei territori occupati va inquadrata nella politica espansionistica permanente dei suoi governi. Israele occupa per rimanere, quindi oltre a stabilire subito nuovi insediamenti con funzioni soprattutto militari, si appropria delle principali fonti di reddito economico: la terra e l'acqua, prima del '67 in Cisgiordania e nella striscia di Gaza non vi era nessuna presenza sionista; oggi Israele ha confiscato il 52% del territorio della Cisgiordania e ha costituito ben 232 colonie israeliane abitate da 60.000 ebrei, i quali controllano il 52% del territorio; hanno in mano i 5/6 delle risorse idriche (su 41mila pozzi ben 32mila sono in mano ai coloni israeliani). Nella striscia di Gaza, invece, e' stato confiscato il 32% del territorio e sono state costituite 30 colonie abitate da 3.000 ebrei (3.000 ebrei abitano il 32% del territorio, mentre circa 700.000 palestinesi vivono nel rimanente 68%). Anche per questo la striscia di Gaza risulta una dei territori più densamente popolati del mondo, da 3.000 a 4.000 ab. a chilometro quadrato. Israele ha distrutto, dal '67 fino ad oggi, più di 24.000 case come punizione collettiva e questo al di la della distruzione delle citta' e dei villaggi avvenuta durante la guerra. (Dal '48 al '74 ha distrutto 385 villaggi su 475).

Soltanto nella citta di Ebron dal '67 ad oggi sono stati bruciati 750 negozi. Le ordinanze militari in Cisgiordania sono 1.121, quelle nella striscia di Gaza 800 e riguardano tutte gli aspetti della vita dei territori occupati: scuole, terre, imposte, ecc. Per quanto riguarda l'agricoltura facciamo degli esempi: a giugno, durante la raccolta del grano, gli israeliani di notte danno fuoco ai campi; prima della raccolta delle olive, che avviene a novembre-dicembre, gli israeliani, usando elicotteri ed aerei per l'agricoltura, innaffiano gli uliveti con sostanze chimiche che causano la caduta prematura del raccolto, oppure bruciano direttamente gli alberi. Quando questo non e possibile, Israele vieta l'esportazione dei prodotti palestinesi verso la Giordania. Per quanto riguarda la rete elettrica: dal '67 fino ad oggi, Israele ha cercato di collegare tutta l'elettricita' palestinese dei territori occupati alla rete elettrica israeliana in modo da costringere tutta la popolazione a pagare tutto ad Israele, negando ogni possibilita' di una reale autonomia in questo settore. Per quanto riguarda il settore dell'acqua: ogni palestinese può consumare al massimo 35 mc. di acqua all'anno, se ne consuma di più paga una multa che supera il suo stipendio di tre mesi.

Per quanto riguarda la repressione: bisogna dire che, nei territori occupati, vengono applicate tre legislazioni differenti. La legislazione inglese (risalente ai tempi dell'occupazione britannica), la legislazione giordana e quella dell'amministrazione militare israeliana. Per le deportazioni viene applicata la legislazione inglese, la stessa che permetteva l'impiccagione o la deportazione in Africa dei capi della rivolta palestinese del 1936. In base a questa legge sono stati deportati più di 1.215 palestinesi fino al 1984. La legislazione giordana viene applicata su parecchie questioni: per esempio, al tempo della dominazione giordana, era vietata l'attività del partito comunista.

Oggi in Israele c'e' un partito comunista legale che ha un suo giornale, ma se ad un palestinese dei territori occupati viene trovata una copia del quotidiano comunista, rischia il carcere. Per la confisca delle terre, Israele si avvale sia della legislazione ottomana che di sue ordinanze militari, mentre per la confisca delle risorse idriche si applicano leggi israeliane. All'interno dei territori occupati esistono diversi carceri di cui quattro minorili, per ragazzi dagli 8 ai 18 anni, molto spesso incarcerati con pregiudicati ebrei, al fine di influenzarne il comportamento futuro. A volte, a questi ragazzi, viene somministrata una dose di droga per due o tre mesi per renderli tossicodipendenti. Per le carceri israeliane dal '67 ad oggi sono passati 250.000 palestinesi, in pratica 33 persone al giorno, cioè due componenti per famiglia.

Passare per le carceri non significa sostarvi per pochi giorni, a volte vuol dire rimanerci per 20 anni e piu'. La permanenza nelle carceri israeliane spesso causa gravi danni fisici: reumatismi, problemi alla vista, all'udito, all'apparato digerente, malattie psichiche e a volte paralisi. La questione delle scuole e delle universita': secondo le statistiche 1980-'81 nella striscia di Gaza si contano 35 scuole, in Cisgiordania 755; in tutto vi sono 7.200 insegnanti. Va tenuto pero' presente che il costo della vita nei territori occupati e uguale a quello italiano. All'intero dei territori occupati ci sono circa 250.000 studenti palestinesi; di questi 14.000 sostengono ogni anno gli esami di maturita'. Israele contro le scuole palestinesi segue una politica che si articola in questi 6 punti: 

  1. modifica dei programmi ed eliminazione di una parte di questi, in particolar modo di tutto cio' che riguarda la Palestina, la parola Palestina ad esempio non si trova neanche nei testi sacri.

  2. intervento diretto delle autorita' militari negli affari dell'istruzione e specialmente nelle universita' che dovrebbero invece godere di una certa liberta' accademica. Per iscriversi all'universita' bisogna che l'amministrazione militare accetti la domanda. Questo sistema di controllo non riguarda soltanto gli studenti ma anche i professori, in quanto essi avendo un contratto annuale possono essere cacciati dal governatore militare in qualsiasi momento. Questo riguarda anche i professori stranieri.

  3. divieto della pubblicazione e diffusione di libri.

  4. chiusura delle scuole e delle universita' in particolar modo nelperiodo degli esami per far ripetere l'anno agli studenti.

  1. persecuzione di studenti, insegnanti e professori universitari.

  2. incuria delle scuole statali e parastatali. I testi censurati sono piu di 5.500 e riguardano praticamente l'intero scibile umano.

 Per quanto riguarda l'aspetto sanitario: Israele, nel suo bilancio sanitario naxionale, riserva ai territori occupati solo il 2% malgrado gli abitanti di queste zone siano più del 25% della popolazione dell'intera Palestina. Va considerato, inoltre, che il popolo palestinese paga tutte le prestazioni sanitarie. Una delle dirette conseguenze di questa situazione di abbandono, e' il fatto che tra la popolazione palestinese il tasso di mortalita' neonatale e' pari al doppio di quello israeliano (37 per mille contro il 14). All'interno dei territori occupati ogni medico cura circa 110 pazienti al giorno. Per avere un 'idea un po ' più chiara dello stato dell'assistenza sanitaria nei territori occupati, possiamo provare a paragonare quella dell'intera Cisgiordania ad un solo ospedale di Tel Aviv.

Gli israeliani spendono, quindi, per un solo ospedale di Tel Aviv tre volte di piu' di quanto spendono per tutta l'assistenza sanitaria in Cisgiordania. Israele dal '67 fina ad oggi ha chiuso la maggior parte degli ospedali, degli ambulatori e persino la banca del sangue di Gerusalemme. La maggior parte delle sedi dell'amministrazione militare dei territori occupati si trovano in ex ospedali: anche per questo dal '67 ad oggi il numero dei posti letto nei territori occupati invece di aumentare è diminuito (330 posti letto in meno). Due esempi emblematici: un giovane palestinese-residente a Gaza, nell'ultima rivolta viene ferito gravemente. Nell'ospedale locale non c'era la possibilta' di curarlo adeguatamente e quindi viene portato in elicottero a Gerusalemme in un ospedale israeliano. Nel trasporto muore, e viene quindi riportato in ambulanza a casa, accompagnato da una fattura nella quale veniva addebitato aIla famiglia il costo del trasporto. Oltre ad aver ammazzato, pretendono anche il pagamento dell'elicottero.

Quindi ci vogliono sei anni di lavoro per il padre di questo ragazzo per pagare il trasporto del cadavere di suo figlio. Nel 1984 fu versata una sostanza chimica nei serbatoi d'acqua delle scuole femminili della Cisgiordania.

1950 ragazze furono colpite da questa sostanza che causa la sterilita'. Queste sono ulteriori dimostrazioni di come agisce Israele nei territori occupati. Per quanto riguarda la situazione economica: Israele ha usato i territori occupati come un mercato per i suoi prodotti; questo e' dimostrato dal fatto che la Cisgiordania e' la striscia di Gaza occupano, in percentuale, il secondo posto nel mondo dopo gli Stati Uniti per quanto riguarda i rapporti commerciali con Israele, naturalmente se si esclude il commercio di armi.

Se da una parte manca completamente la struttura economica poiche' Israele non permette agli abitanti di questi territori di intraprendere ogni tipo di attivita' industriali autonome, dall'altra Israele favorisce l'insediamento di piccole fabbriche all'interno delle colonie ebraiche dei territori occupati, coprendo tutto il mercato palestinese con le merci israeliane.

Parallelamente vengono emesse ordinanze e leggi che vietano l'esportazione delle merci palestinesi al di fuori dei territori occupati. Israele non dando la possibilita' ai palestinesi di creare delle fabbriche o delle strutture economiche nei loro territori, li costringe ad andare a lavorare nelle fabbriche israeliane.

Quindi la manodopera palestinese viene usata in tutte le fabbriche ed aziende israeliane come manodopera a basso costo, con pochissime tutele e garanzie. Non c'e nessun futuro per questi palestinesi, che possono essere cacciati in qualsiasi momento. Una larga parte dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania sono disoccupati, in particolare i laureati di cui piu dell'80% non trova lavoro. Israele fa pagare alla popolazione dei territori occupati delle tasse, quindi il palestinese paga addirittura la tassa di occupazione.

Fino ad oggi i territori occupati hanno rappresentato per Israele una fonte da utilizzare per ricavarne grossi guadagni, spendendovi pochissimo. Questo non può durare a lungo. Vedendo tutto quello che Israele ha fatto nei territori occupati il popolo palestinese non puo' fare a meno di ribellarsi.

Una generazione e' nata sotto l'occupazione israeliana, col fucile del soldato sotto il naso, col rischio che di notte venga la polizia israeliana a portarli via, senza che nessuno dei suoi familiari lo possa vedere per parecchio tempo; a volte li riportano cadaveri e vietano alla famiglia di fare il funerale (al massi mo cinque persone della famiglia possono partecipare di notte al rito funebre). Questo e' molto grave perche' ogni popolo ha le sue tradizioni e per noi il martire ha un significato particolare e vorremmo fare delle cerimonie particolari.

Questa generazione nata sotto l'occupazione non puo', come del resto tutto il popolo, sopportare questa politica israeliana. Per questo abbiamo visto scendere in piazza tutta la popolazione, guidata da questa generazione. Come abbiamo notato l'esercito israeliano si comporta come tutti gli eserciti di occupazione: distrugge case, interi villaggi, arresta, imprigiona con il massimo arbitrio, tortura, destituisce sindaci democraticamente eletti.