Luigi Pirandello
La Carriola

Un avvocato ripeteva quotidianamente un rito, unico modo per sentirsi vivo tra la piatta vita della sua professione e del suo ruolo sociale.

Era questo un rito particolare, che avrebbe compromesso la carriera del suddetto se fosse stato scoperto.

L'unico timore dell'avvocato - professore era che la sua vittima potesse rivelare il segreto, pur nella sua impossibilità di comunicare.

Tutto era iniziato in treno, di ritorno da Perugia.

Il protagonista si era reso conto, prima sul convoglio e quindi sulla soglia di casa, di non riconoscersi nel suo corpo, nel suo aspetto, nel suo compito di ricercato professionista, marito e padre di famiglia.

La sua facciata era stata creata artificialmente, senza alcun intervento dell'individuo che si vedeva usurpata la vita, vita che forse non aveva nemmeno iniziato a vivere.

Chi è impegnato ad esistere non ha infatti tempo di sviluppare questo genere di riflessioni, perché conduce la sua esistenza.

Chi conosce e vede la propria vita, invece, ne esce fuori, e smette di trascorrerla.

Tuttavia gli obblighi familiari indussero l'avvocato ad aprire per l'ennesima volta la porta di casa e recarsi nello studio.

Aveva egli una vecchia cagna che, con l'avanzare degli anni, aveva imparato ad apprezzare il silenzio della stanza del professore.

Questo, come ogni giorno, dopo essersi assicurato di non essere visto da nessuno, prese le due zampine di dietro della cagna e le fece fare la carriola.

L'atto caricava il protagonista come un cannone, se non fosse per lo sguardo che la bestia, sbigottita, rivolgeva al padrone dopo il rito.

All'avvocato non era concesso scherzare, e quel semplice atto costituiva il suo svago maggiore.

La scoperta di tale rito avrebbe distrutto la sua esistenza.