Pirandello
Essere e Apparire

Vediamo di fissare alcuni punti fermi della poetica pirandelliana.

Mi pare che sì possano ridurre a quattro. In primo luogo quello che ci è parso il tratto distintivo della posizione di Pirandello, sia nei confronti dell'esperienza storica della sua generazione sia nei riguardi dei movimenti culturali del suo tempo: il contrasto fra illusione e realtà, in cui l'illusione si rivela come un inganno o comunque un ideale irrealizzabile, e la realtà meschina e avvilente del tutto inadeguata a quelle speranze.

Di qui il sentimento dello scacco e dell'impotenza. In secondo luogo, quello che è stato chiamato dall'autore stesso il sentimento del contrario, cioè l'intervento del momento critico, della riflessione, nel cuore stesso della creazione, non per raggiungere una misura più classica della poesia e dimensionare e equilibrare la piena dei sentimenti, ma, al contrario, per vanificare ogni possibile illusione mettendo sempre in luce il suo contrario.

In terzo luogo il sentimento della casualità, imprevedibilità, relatività delle vicende umane (naturale conseguenza degli altri due sentimenti).

Infine il suo atteggiamento intransigentemente antiretorico, la ricerca di una letteratura di cose e non di parole, il disprezzo per una ricerca linguistica (che lo differenzia anche dalla letteratura di cose dello stesso Verga).

Al fondo di questi punti fermi si può trovare un elemento che tutti li unisce: il sentimento della condizione anarchica in cui viene a vivere l'uomo moderno, della mancanza di un tessuto sociale organico che lo sostenga e lo colleghi agli altri uomini, del dominio sull'uomo delle cose che sono estranee alla sua volontà, della inevitabile sconfitta a cui è condannato l'uomo nella società in cui si trova a vivere.

In Pirandello il motivo della sconfitta, che com­pariva solo ai margini del superuomo dannunziano, si afferma con piena consapevolezza al centro della sua opera.

E, di riflesso, compare l'altro motivo, quello della natura, come luogo e condizione di vita che si contrappone alla società: quanto questa è caotica tanto quella è organica, quanto l'una è angosciata nella propria consapevolezza, tanto l'altra è semplice, ignara e felice.

Vale a dire che si trovano in lui i due termini tra i quali si dibatte la crisi della coscienza contemporanea.

LA CONCEZIONE DELLA VITA E LO SVOLGIMENTO DELL'ARTE

Egli muove dalla concezione romantico decadente dell'assoluta opposizione tra <io> e <società>, di qui, dall'incapacità di essere innanzi agli altri quali veramente siamo innanzi a noi stessi (da cui la necessità di adottare una <maschera> che copra il vero volto),trae il motivo dell'incomunicabilità; quindi, proiettando su entrambi gli elementi del rapporto,l'uomo e gli altri,il flusso perennemente mobile del tempo, li vede immersi in mutazioni incessanti sicché la loro relazione non può porsi su una base di certezza, non tanto perchè essi sono due diversi assoluti definiti per sempre e perciò chiusi l'uno dall'altro, ma perchè sono due relativi che mutano ciascuno in sè e ciascuno rispetto all'altro, senza che possano mai giungere ad un autentico contatto.

Troviamo l'instabilità dei giudizi vero e falso, bene e male, sanità mentale e pazzia che sono tanti quante sono le opinioni di chi li pronuncia, opinioni che poi mutano in se stesse, contraddicendosi; di qui il mistero che per l'uomo presentano il mondo e il suo stesso io, la provvisorietà della verità e delle certezze a cui l'uomo si aggrappa,ma vanamente, per dare un senso alla propria vita.

Vale la pena, i fatti i nomi di Jojce e di Proust,sottolineare le distanze che separano Pirandello dall' uno e dall' altro; a differenza di Jojce egli non usa il linguaggio quale espressione dell'inconscio ma in funzione razionale benchè la parola venga pronunciata con la consapevoleza che essa possa anche non esprimere il significato di cui la si è caricata, di fatto essa viene detta, e il personaggio, laddove sia condannato al monologo, lo conduce nell'esigenza manifesta di sdoppiarlo in dialogo; c'è, in Pirandello una più forte esigenza di comunicazione, un più forte attaccamento alla parola come strumento di rapporto sociale.

Con Proust egli ha in comune il rapporto tempo-assoluto, apparenza-realtà, la sostituzione,alla certezza del visibile, della verità soggettiva;ma se ne distacca quando presenta l'uomo in atto di volersi definire nel presente, e lo pone in drammatico contrasto con gli altri al cui contatto anela sempre dopo ogni fallimento, in una mai smentita esigenza di pienazza di vita.

È questa l'essenza dell'anima pirandelliana: non la compiacenza della solitudine,ma l'avvertirla come scacco, come umiliazione, come limite invalicabile.

La concezione della vita in Pirandello passa attraverso tre momenti: in un primo momento prendiamo contatto con il mondo che ci circonda (Pirandello prende contatto con il mondo e prende atto che la società è fondata sul contrasto tra le apparenze, cioè la "forma" della cose, e la realtà di ognuno di noi); in un secondo momento ci allontaniamo da esso e reagiamo (questo momento è caratterizzato dalla ricerca di una spiegazione: vuol conoscere le cause del contrasto contenuto-forma, su cui sono fondati i rapporti umani); in un terzo momento tentiamo di ricostruire i "miti" e il valore delle umane illusioni.
(Pirandello cerca una soluzione del vivere nel mondo. Le illusioni, come già aveva sostenuto Ugo Foscolo, al quale spesso ci riporta il pensiero pirandelliano, sono fondamentali contro il pericolo della follia e del suicidio).

La religione

Non si può affermare che a Pirandello sia mancata una fede religiosa ma non ha la certezza che l'uomo sia destinato a "Qualcosa" che trascenda i limiti della terra. Che cosa sia quel "Qualcosa" nessuno lo sa.

Ma nello Scrittore c'è una grande inquietudine, un bisogno inappagato di una fede in "Qualcosa".

C'è un vivo contrasto, come già in Leopardi, tra un sentimento che vuole costruire e una logica che distrugge senza pietà, come faceva notare il filosofo Giovanni Gentile.

Se poi alla fine della via ci fu l'incontro con Dio, nessuno lo può sapere.

L'arte

Pirandello considera l'arte l'unica realtà perfetta del mondo. Non l'arte deve imitare la natura,ma la vita, per diventare migliore, deve copiare dall'arte.

La funzione dell'arte è fortemente morale; è l'arte che indica agli uomini la via da seguire per sollevare dal fango il loro spirito.

La famiglia

Il mito della famiglia è il più caro al cuore dello Scrittore.

È frequente nelle sue oprere l'ideale della famiglia, della maternità e dell'amore.

Nella vita egli non potè trovare quell'affetto sereno e consolatore a causa della follia della moglie.

LA PERDITA DELL'IDENTITÀ NEL ROMANZO "UNO, NESSUNO E CENTOMILA"

Vitangelo Moscarda, protagonista del romanzo, si scopre improvvisamente diverso da come pensava di essere in seguito ad una osservazione della moglie Dida, e cioè che il suo naso pende verso destra, mentre egli l'aveva sempre considerato diritto.

Dunque, per la moglie e per gli altri egli non è stato quello che credeva di essere.

Si mette a distruggere le immagini che gli altri si sono fatti di lui.

Non potendo raggiungere la verità, precipita nella follia.Vende la Banca, eredità paterna,e col ricavato fa costruire un ospizio di mendicità e finisce lì, mendico alla pari degli altri,"con berretto, gli zoccoli e il camiciotto turchino", senza nome,senza personalità, "nessuno".

Preferisce vivere come una pianta o una pietra, non più tormentato dal tarlo del pensiero. Prevale nel romanzo quel filosofare ostinato che fa del protagonista una delle figure più dolenti dell'intera opera pirandelliana.

L'ESISTENZIALISMO COME FILOSOFIA DELLA CRISI

Questa nuova filosofia sorse e si sviluppò nel periodo che seguì alla Prima Guerra Mondiale. La ferocia della guerra ha posto nella luce più cruda il volto tragico dell'esistenza.

La morte, incombente su ciascuno, fu sentita come la vera protagonista della vita.

L'uomo, allora, trovatosi solo in un mondo così brutto, cercò di conoscere affannosamente il perchè della sua vita e della sua morte.

Nel generale disorientamento degli spiriti, la filosofia invitava l'uomo a cercare in se stesso il senso della sua esistenza, a prendere coscienza della sua miseria, ad accettare virilmente il proprio destino in tutta la sua tragicità.

Da questo vivere direttamente e individualmente il problema dell'esistenza,nacque quel clima particolare, dal quale si sviluppò l'Esistenzialismo.

Questa filosofia tende a riaffermare non tanto i grandi sistemi spirituali e sociali, ma la modesta realtà dell'individuo limitato, fragile, che sa di "esistere".

L'uomo si sente smarrito, in uno stato problematico. È implicito il rischio del vivere.

Apparentemente sarebbe più semplice seguire la massa, vivere gli schemi sociali, ma questa è una vita anonima, non autentica, alienata. L'uomo, invece, che vuol vivere con coscienza deve sopportare la sofferenza dell'angoscia esistenziale.

Si può dire che l'unica possibilità di esistere autenticamente si risolva nel vivere con impegno, con la coscienza del rischio.

Sono evidenti le conclusioni negative di questa filosofia: mancando ogni fondamento di verità assoluta, non essendoci nessuna possibilità di comunicare con gli altri, l'uomo si trova solo nel mondo.

È la filosofia del nulla.

Il protagonista di Uno nessuno e centomila, Vitangelo Moscarda, si trova impegnato in un disperato esperimento, cioè quello di ricostruirsi un'esistenza svincolata dai condizionamenti imposti dalla natura e dalle convenzioni, e di afferrare la propria personalità autentica mediante un atto di libera scelta.

Per Moscarda, l'inizio dell'avventura è dato dal proprio naso.

Questo naso pende verso destra.

Moscarda lo apprende un bel giorno dalla moglie.

La frase, buttata lì per caso, banalmente, sarà come un cerino acceso caduto in un deposito di esplosivo.

L'esistenza di Vitangelo ne sarà sconvolta; vita familiare, interessi, posizione sociale, rapporti di amicizia, tutta la realtà in mezzo a cui egli per ventotto anni era comodamente vissuto senza urti e senza sorprese, si dissolve come per sortilegio, ed egli si riduce alla condizione di alienato.

Chi è in realtà Vitangelo Moscarda che la moglie dice di conoscere e di amare, chiamandolo Gengè? Così per gli amici e per tutti gli altri.

Ci sono tanti Moscarda quanti sono quelli che lo vedono, quante sono le possibilità di conoscere, le relazioni, i casi e le circostanze, i momenti psicologici, le realtà mentali di ciascuno. Moscarda tenta l'allucinante ricerca di questo se stesso, per coglierlo nella sua spontaneità, nella sua espressione prima e genuina. Impresa disperata. È come volere scavalcare la propria ombra. Per sè, Vitangelo Moscarda è nessuno.

L'io è infatti essenzialmente un "essere per l'altro".

Ma, per realizzarsi, questa coscienza nella quale si afferma la singolarità deve essere consapevole in tutti; questo senso dell'alterità, questo sentimento della finitudine di ciascuno, del limite individuale e del rapporto vicendevole, in cui si effettua il rispetto del singolo, e quindi la sua valorizzazione, deve essere pienamente consapevole. Invece tra gli uomini avviene esattamente il contrario e questo è il dramma dell'essere in cui l'identità dell'io finisce con l'affogare.

Moscarda si propone di distruggere il vecchio se stesso, quello condizionato dalla nascita, dall'educazione, dall'ambiente.

Per questo dovrà cancellare l'immagine che gli altri hanno di lui, a cominciare dalla moglie.

Egli deve cassare l'immagine di usuraio che ha ereditato dal padre insieme con la banca da cui trae i mezzi per la sua esistenza di borghese benestante.

Si dà quindi a compiere atti di liberalità che appaiono in contrasto coi criteri di una sana amministrazione e gli procurano un attestato di pazzia da parte della moglie, dei soci d'affari e anche dalle stesse persone da lui beneficiate. Interdetto dai familiari, abbandonato dalla moglie, finisce in un ricovero per vecchi da lui stesso fondato con le splendide elargizioni.

Uno nessuno e centomila è il romanzo della solitudine dell'uomo. La personalità del protagonista si afferma senza equivoci nel proposito di rinnovamento e nell'azione di liberazione risolutamente perseguita, qualunque possa essere stato lo spunto iniziale.

La convinzione dell'inevitabile soggettività del nostro giudizio a cui Moscarda perviene, lungi dall'implicare la bancarotta della persona, ne è una coraggiosa affermazione. Moscarda acquista consapevolezza che niente è fermo e definito nell'essere come nel conoscere, che l'uomo si costruisce con le proprie azioni.

Ma appunto la consapevolezza della parzialità dei giudizi del singolo ("ciascuno a modo suo") è la via per superare la chiusura della soggettività. Chi invece attribuisce al proprio particolare punto di vista il carattere di una verità assoluta ed irreformabile, si chiude effettivamente nel cerchio della propria limitatezza precludendosi ogni vera conoscenza.

L'io consapevole non è dunque soccombente, ma all'esterno è come se lo fosse.
Mancandogli il contatto vivificante della convivenza, deve ripiegare su se stesso, accettando così la propria solitudine.

Questa sofferta solitudine è il segno della coscienza desta.

Essa infatti non è una sanzione, ma l'effetto di una libera scelta in cui affiora il richiamo di una superiore etica, espressa anche nel sentimento di un Dio eterno, come voce immanente alla coscienza. Il sentimento di una presenza superiore, tipico di questo romanzo, è avvertibile pure nel respiro della natura in cui si annega e si confonde, con quotidiana partecipazione, la personalità di Vitangelo Moscarda, ridotto a concludere la sua vita nell'ospizio dei vecchi, in una condizione di lucida demenza.

Pirandello, superando l'estrema posizione del romanticismo e la gratuita affermazione del sentimento che le è propria, compie il salvataggio del sentimento facendolo uscire dall'immediatezza ingenua e dandogli una coscienza riflessa di sè.

Nella rappresentazione pirandelliana del sentimento sul punto di dissolversi a causa della sua contradditorietà, in quanto forza esclusiva e, insieme, limitata al singolo, acquista coscienza di sè, si chiede le proprie ragioni, si fa un problema del proprio essere. In questo modo indiretto, ma ancor più perentorio, riesce a vivere oggettivandosi in una rappresentazione motivata. Pirandello esprime molti concetti nel romanzo facendo spesso ricorso alla filosofia o alla psicoanalisi.

Uno dei principali temi trattati nel romanzo è quello della solitudine. Considera la solitudine in maniera molto particolare, ma non per questo confusa o astrusa. Infatti afferma che non è possibile essere soli se ci si trova in un ambiente in cui non vi sono presenti altre persone o cose con cui si ha qualche rapporto. Infatti dice che la solitudine non è con l'uomo, ma è senza l'uomo ed inoltre non è possibile essere soli tranne nel caso in cui ci si trova in presenza di cose o persone che ci ignorino completamente.
Quindi una persona, se si trova in un ambiente a lei familiare, anche se privo di alcuna presenza umana, non si può considerare tormentata dalla solitudine.

Poi tratta il rapporto che c'è tra l'aspetto fisico e la personalità, nonchè il carattere. Secondo lui le persone non sono sempre come appaiono e tantomeno non sono le stesse per tutte le persone che le circondano. Infatti la personalità di ognuno di noi ha molteplici sfumature che variano da persona a persona e addirittura in relazione allo stato d'animo e all'ambiente che ci circonda. Anche a noi stessi presentiamo personalità differenti che rimangono celate o riemergono a seconda delle situazioni in cui ci troviamo coinvolti.

Si può dunque ipotizzare che ognuno di noi indossa una maschera non presentando così mai il suo vero "volto". Si può perciò pensare che gli altri ci vedano in maniera differente l'uno dall'altro e da noi stessi. In effetti il comportamento delle persone è in stretto rapporto con l'aspetto fisico anche se questo non è determinante perchè, ad esempio, se una persona ha un aspetto fisico sgradevole si comporta come tale perchè riconosce di essere tale. Pertanto non si possono analizzare le due caratteristiche separatamente, ma una in relazione all'altra.

Poi si può giungere al tema centrale del romanzo che è quello che gli dà il titolo.
Una persona può essere per se stesso nessuno, per una persona in particolare uno, ma per la gente può essere centomila, cioè per ogni persona che conosce è una persona diversa e ben distinta. Per questo una persona, come ad esempio è capitato a Moscarda, rischia di non essere più se stesso, ma solamente la somma delle opinioni altrui o addirittura un personaggio modellato e costruito da altri e, allo stesso tempo, manovrato come pare e piace. Pirandello esprime anche molte considerazioni sulla natura.
Parla degli uccelli e li invidia perchè possono volare naturalmente, senza bisogno di artifici o di "apparecchi", come invece è costretto a fare l'uomo, anche se alla fine non concepisce l'essenza del volo perchè non risulta una cosa spontanea ed inoltre perchè è solo un sogno ambito per vanità e per umana presunzione. Mostra anche il suo disappunto nei confronti del fenomeno del disboscamento e critica il fatto che si fa delle piante ed in generale della natura ciò che si vuole per le comodità degli esseri umani senza curarsi che anche le piante, pur non essendo esseri animati e quindi pensanti, hanno lo stesso diritto di vivere in pace come gli uomini.
Quindi il rapporto uomo-natura è solo a vantaggio del primo e quindi si può pensare che non esista realmente un rapporto del genere perchè privo di comunicazione e di rispetto da parte di uno nei confronti dell'altra. In seguito l'autore espone il suo concetto di Divino e di spirito religioso. Ritiene che esistano due tipi di divinità, sempre restando nell'ambito della religione cattolica. Il primo è il classico Dio di cui si parla in chiesa e di cui si legge nella Bibbia e nei Vangeli, mentre l'altro è una sorta di spirito divino che è allocato in ognuno di noi e che, di conseguenza, ognuno di noi considera a modo suo.

Effettivamente questo spirito potrebbe far parte della nostra coscienza perchè, secondo Pirandello, ognuno di noi ha un suo Dio personale che si tiene dentro, quasi gelosamente, e che raramente manifesta agli altri poichè, se si trovasse in disaccordo con il sentimento religioso più comune, potrebbe rischiare di essere preso per pazzo. Infatti il Dio del clero non è solamente un essere superiore da adorare e venerare, ma è anche un insieme di interessi economici e politici che stanno a cuore di molti.
La gente inoltre non è capace di tenere dentro di sè i propri sentimenti, ma deve costruirvi delle "case" (in questo caso le chiese), il più possibile maestose ed imponenti, in cui alloggiarli e tenerli custoditi oltre che metterli in mostra. Però queste non potranno mai essere le case dei nostri sentimenti, ma quelle dei sentimenti di tutti e perciò non avrebbe più valore la nostra coscienza perchè sarebbe sempre più estranea a noi.

Le ultime considerazioni fondamentali che Pirandello fa sono quelle sul tempo e sulla vanità della vita. Secondo lui non possiamo mai prendere in considerazione un attimo della nostra vita, come non possiamo fermare una nostra immagine allo specchio, perchè per fare ciò dovremmo fermare la nostra esistenza, uscire dal nostro corpo ed analizzare. Questo non è dunque possibile e tantomeno possiamo considerare una nostra foto viva perchè nell'istante in cui è stata scatta è come se il tempo fosse stato fermato e quindi in un certo senso la nostra stessa vita è stata fermata perchè la fotografia non continua a vivere, cioè a rappresentare il soggetto mentre invecchia, ma lo mostra sempre nelle stesse condizioni fisiche in cui si trovava al momento in cui è stata impressionata la pellicola. Perciò la vita si muove in continuazione e non può mai veramente vedere se stessa.

I Temi Pirandelliani

Pirandello è uno scrittore complesso, talvolta cervellotico nell'immaginare le situazioni in cui colloca i suoi personaggi, ma sempre ricco di inventiva e capace di sollecitare la partecipazione del lettore o dello spettatore. I temi su cui egli ha maggiormente insistito nei suoi lavori letterari sono quello della solitudine dell'uomo e quello dell'illusorietà e dell'instabilità dei rapporti interpersonali. Per Pirandello, ogni individuo presenta agli altri una fisionomia molteplice e cangiante, innafferrabile proprio per la sua continua mutevolezza. È come se ciascuno di noi avesse una, ma molte personalità, tutte diverse. A tizio appariamo in un certo modo, a Caio in un altro, a seconda dei nostri umori; ma anche a seconda del loro umore, che contribuisce a farci risultare in una luce sempre diversa. Persino a noi stessi il nostro io manifesta, secondo i momenti, un volto differente: siamo capaci di bontà e di cattiveria, di generosità e di viltà, di affetto e di invidia. Come si vede, Pirandello avverte acutamente una certa crisi d'identità che il soggetto prova nei confronti di un mondo caotico e in continua trasformazione di una società (quella industriale) che ha distrutto la stessa possibilità di un'autentica intesa tra le persone. Egli avverte, anche, una forte crisi di fiducia nell'oggettività delle cose e delle idee. Tutto ciò che rientra nel raggio della nostra esperienza non è che un'apparenza illusoria; non ci sono certezze (tanto meno certezze scientifiche), ma solo dubbi, e una costante e convulsa ricerca di qualcosa che possa appagare il nostro desiderio di felicità. E si pensi che egli scriveva in un'epoca caratterizzata da grandi entusiasmi per le possibilità nuove offerte dalla scienza: ma a cosa servono le conoscenze scientifiche, se l'uomo stesso è così fragile ed inafferrabile? Quasi a reagire a questo perenne senso di incertezza, i personaggi teatrali di Pirandello dialogano fittamente tra di loro. Essi vivono interamente in questo loro dialogo, che è tutto intessuto di amare confessioni, di angosciose richieste, di finte indifferenze che celano in realtà il desiderio di sollecitare l'interessamento degli altri per i propri casi. Ma è un dialogare tra sordi, tra gente che non si comprende: il vero volto di ciascuno sembra continuamente sfuggirci e quello che prima ci appariva uno strano burlone, magari un pò folle, di colpo ci appare come un uomo disperato, che porta dentro di sè una tragica esperienza. La narrativa di Pirandello si ispirava, agli inizi del novecento, ai canoni del verismo. Inoltre apprese presto le regole del verismo seguendo la scia di Luigi Capuana, il quale rappresentava obiettivamente e descriveva attentamente ogni minimo particolare. Una delle leggi fondamentali era il principio dell'impersonalità. La realtà veniva ricostruita secondo una sua meccanica interna, attraverso la concatenazione rigorosa di causa ed effetti. Alla sua base si trovava una tendenza di natura vagamente sociale, un interesse per gli ambienti e le figure della piccola borghesia e del popolino, una spiccata predilezione per la casistica sentimentale e passionale al livello più comune, pur senza esclusione di situazioni tese e di colpi di scena spesso melodrammatici.

Anche per Pirandello, come per il contemporaneo Svevo, vale la definizione di scrittore isolato, difficile da costringere negli schemi di uno specifico movimento letterario.

La singolarità di questo autore è dovuta, in parte, alle vicende spesso travagliate della sua vita, che contribuirono a orientarlo fin dalle prime opere a una riflessione sull'esistenza, sul ruolo dell'uomo nella società e sul destino che lo attende, per giungere a concludere, con una sorta di distacco, che non è possibile trovare alcuna soluzione positiva alla crisi che coinvolge e sconvolge i singoli individui, il tessuto sociale, le istituzioni. Intellettuale che rifiuta il ruolo positivo e attivo in cui credono altri uomini di cultura del primo Novecento, nel suo pessimismo radicale Pirandello si riserva solo il compito di osservatore lucido e penetrante, di testimone attento e consapevole della crisi in cui si dibatte la sua epoca, e coglie acutamente la spersonalizzazione e l'alienazione dell'uomo moderno, senza credere nella possibilità concreta di un cambiamento o di un riscatto.

La poetica pirandelliana si basa su alcuni complessi nuclei concettuali, che cercheremo di esporre con la massima linearità possibile.

Il primo cardine del suo pensiero è il cosiddetto vitalismo, vale a dire la tesi secondo cui la vita non è mai né statica né omogenea, ma consiste in un continuo, inafferrabile divenire, in una incessante trasformazione da uno stato all'altro.

Nella vita e nel suo flusso eterno, Pirandello avverte da un lato disordine, casualità e caos, dall'altro percepisce disgregazione e frammentazione. Questi elementi, però, non si fermano alla realtà esterna: anche l'individuo, al suo interno, manca di unità e di compattezza, si sfalda e si disgrega in frammenti incoerenti. Tuttavia, secondo lo scrittore, ciascuno di noi tende a fissarsi e irrigidirsi in una forma che vorrebbe presentarsi come unitaria, organica e compatta. Inoltre, tutti coloro che ci osservano, ci attribuiscono una forma diversa da quella in cui noi stessi ci riconosciamo; per di più, anche la società, con le sue regole e istituzioni, ci impone una "maschera". Di conseguenza, ognuno tende a deformare la realtà secondo la personale visione del mondo, e l'immagine di ciascuno cambia con il mutare della prospettiva. Solo l'ipocrisia delle istituzioni, delle ideologie e delle regole che l'uomo stesso si è dato tiene uniti questi frammenti in una apparenza, dietro la quale tuttavia scorre inarrestabile la vita. L'uomo, a dispetto dei suoi sforzi, non riesce a penetrare fino in fondo nel labirinto delle apparenze, né a conoscere ciò che è racchiuso in quelle forme di cui egli è responsabile ma anche prigioniero; per questo si dibatte, impotente, nella loro trappola, ed è costretto a subire quelle leggi che sente false, ma che rappresentano la sua unica possibile identità.