TEMA
il processo di uscita della Gran Bretagna dall’UE




La Brexit è il processo di uscita della Gran Bretagna dall’UE, seguendo i risultati di un referendum tenutosi 23 Giugno 2016, il quale, con un risultato sorprendente, ha visto circa il 52% della popolazione esprimersi per il “Leave”, ovvero per l’uscita.

Il referendum è stato voluto dall’allora primo ministro James Cameron che in realtà, pur non volendo un’uscita dall’Europa, per avere maggior margine di manovra nelle trattative, scelse di chiamare gli elettori britannici a un referendum sulla permanenza nell’Unione: voleva mostrare a Bruxelles e ai partner europei la concretezza dell’opzione di uscita del Regno Unito dall’Unione, per renderli più malleabili nella trattativa in corso.

Il risultato, però, portò alle dimissioni dello stesso Cameron, sostituito dalla convinta euroscettica Theresa May.

Fin dall’adesione nel 1973 alla Comunità Economica Europea da parte dello Stato inglese, i rapporti tra UE e Inghilterra storicamente sono sempre stati indecisi e questa continua altalena è poi sfociata nella Brexit, risultato di un malcontento politico e sociale diffuso in realtà anche in altri paesi dell’Unione.

Dopo i risultati del referendum gli antieuropeisti hanno chiesto al Parlamento britannico di esercitare i propri diritti, secondo l’Art. 50 della Costituzione Europea, secondo il quale ogni Stato membro ha diritto, secondo le proprie norme della Costituzione, di recedere dall’UE.

Siccome solo il Parlamento inglese aveva il potere per rendere esecutiva una proposta del genere, duri dibattiti sono avvenuti in seguito tra i due schieramenti, che hanno portato persino ad un omicidio, da parte di un fanatico, di Jo Cox, deputata laburista schierata per il “remain”; in definitiva, il 24 gennaio 2017, la Corte Suprema del Regno Unito ha stabilito che il Parlamento solo poteva chiedere l’attivazione dell’Articolo 50, cosa avvenuta nel marzo 2017. Il governo britannico ha formalmente annunciato il ritiro dall'UE avviando i negoziati Brexit.

L'accordo di recesso e il Regno Unito ha lasciato l'UE alle 23:00 GMT del 31 gennaio 2020.

Ciò ha dato inizio a un periodo di transizione che si concluderà il 31 dicembre 2020, durante il quale il Regno Unito e l'UE negozieranno le loro relazioni future.

 Il Regno Unito rimane soggetto al diritto dell'UE e rimane parte dell'unione doganale e del mercato unico dell'UE durante la transizione, ma non fa più parte degli organi o delle istituzioni politiche dell'UE

Cosa pensare di tutto ciò? Di sicuro la Brexit andrà ad alterare fortemente gli equilibri socio-politico-economici della nazione britannica, e di tutta l’Europa.

Dal punto di vista economico, le previsioni sono di una diminuzione del Pil ed in generale dell’economia di tutto il continente, in quanto vi saranno delle difficoltà nell’import-export dei prodotti britannici ed anche delle nazioni europee tutte verso la Gran Bretagna: ci saranno quindi dei delicati equilibri economici da riscrivere totalmente.

Anche il turismo inglese sarà colpito, vista la difficoltà che ci sarà per gli abitanti dell’UE di recarsi sul suolo inglese. Fortunatamente, invece, i cittadini non britannici che vivono e lavorano in Inghilterra, manterranno gli stessi diritti che avevano in precedenza.

Il punto ancora aperto e il più difficile da sciogliere nel divorzio è quello del confine fra Eire e Irlanda del Nord. Per evitare che torni un muro, un vero confine, fra la Repubblica d’Irlanda e Belfast, che è parte del Regno Unito, l’UE chiede che l’Ulster resti nel mercato unico e nell’unione doganale.

Londra dice no perché il resto del Regno uscirà dal mercato comune e teme una richiesta di riunificazione da parte delle due Irlanda.

Ha già da gestire la contrarietà della Scozia alla Brexit e l’ipotesi, non vicina, di una nuova richiesta di indipendenza scozzese.

Un’altra paura, diffusa in Europa, è che questo crescente antieuropeismo possa diventare una moda che, seguendo il modello inglese della Brexit, porti altri paesi a chiedere la possibilità di esercitare l’articolo 50: non solo in Italia, anche i Paesi dell’Europa dell’Est, Ungheria, Austria ed altri non sono convinti delle ingerenze dell’UE nella loro gestione politica e non hanno come priorità la permanenza nell’Unione.