TEMA
Considerazioni sulla Guerra e sulla Pace




Viviamo in una società dove la distruzione produce benessere materiale ad alcune persone.

Come può esservi la pace in un tale sistema?

A scuola si studiano la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, gli ultimi conflitti che hanno sconvolto l’Europa. Un altro scontro, vicino ai nostri confini, si è consumato nei Balcani (in particolare in Serbia, Bosnia, Croazia e Kosovo) nei primi anni Novanta. Da allora non si sentiva più parlare di una guerra così vicina a noi come in questi giorni in cui c’è una crisi alle porte dell’Europa, in Ucraina.

Durante la Seconda Guerra  si è ricorsi a mezzi di distruzione di massa mai usati prima, ovvero le bombe atomiche lanciate sulle città di Hiroshima e Nagasaki.

Firmati gli accordi che ponevano fine alle ostilità, il mondo intero è rimasto talmente sconvolto da questi eventi da decidere di creare organizzazioni internazionali a tutela di essa, in particolare l’ Organizzazione delle Nazione Unite, il cui scopo principale è il mantenimento della pace. Questo ente è abilitato a intervenire, anche militarmente, per porre rimedio a crisi particolarmente acute che mettono a rischio la sicurezza degli Stati che vi hanno aderito e non solo.

Gli attentati terroristici sono una vera e propria forma di guerra non tradizionale i cui fronti sono costituiti dallo Stato Islamico (l’Isis), un gruppo radicalizzato della religione islamica, e dai “Paesi Occidentali” (Europa e America). La loro violenza è caratterizzata dall’imprevedibilità sia di tempi che modalità; infatti tendono a colpire direttamente la popolazione civile nei luoghi dove svolge le sue attività quotidiane.

Collegata all’Isis è anche la sanguinosa guerra in Siria che sta devastando il Medio Oriente e mietendo un altissimo numero di vittime molte delle quali bambini.

Oltre ai giornalisti che ci raccontano dal fronte gli episodi, la produzione letteraria di  molti autori famosi del Novecento che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza della guerra: Gabriele D’Annunzio, spinto dall’ambizione di rendere l’Italia forte e grande agli occhi delle altre Nazioni era interventista, mentre Primo Levi descrive nelle sue poesie la durezza della vita dei soldati nelle trincee.

Chi fa la guerra ha la necessità di giustificarla: che essa venga fatta per aver lo spazio vitale, per salvare degli alleati, per esportare la democrazia o per i diritti umani, la guerra è quel qualcosa che non è mai giusto ma che sempre viene presentato come tale.

La storia ci insegna che prima della Grande Guerra vi erano i neutralisti e gli interventisti: i primi non volevano immischiarsi nella guerra mentre i secondi erano a favore di un intervento armato.

Alcuni di questi ultimi magari lo facevano per senso dell’onore o della giustizia, ma anche per tanti interessi: la guerra porta lavoro e, se si ha un’industria, è facile far cannoni e venderli allo stato.

Con i cannoni si distrugge il nemico, il quale distruggerà il nostro paese con le sue armi: finita la guerra bisognerà ricostruire tutto nuovamente, e questo creerà ulteriore lavoro e – paradossale solo a pensarlo – ricchezza!

Ma è proprio l’interventismo che causa le guerre mondiali, ma noi ce ne siamo dimenticati.

Chi dice sia colpa della Nato, dell’Ucraina o chi invece accusa completamente la Russia, rischia poi di fare degli ideali o degli interessi, una scappatoia per legittimare ciò che andrebbe ripudiato: la violenza fisica.

Ma anche se ripudiamo la guerra, ci fa comodo convincerci che, questa volta, essa è giusta.

Noi pensiamo sempre di essere dalla parte giusta, ma questa arroganza di essere migliori forse è la principale responsabile della reiterazione delle violenze nel corso dei secoli.

Non si tratta tra il decidere se tale guerra abbia senso o meno: chi si definisce pacifista non partecipa a nessuna guerra.

La guerra produce devastazione fisica e mentale sia per i vinti che per i vincitori, ma come fare in modo che non vi sia più la guerra?

Bisognerebbe insegnare che la guerra è sempre sbagliata, ma basta un po’ di propaganda che tutti ci ricascano nuovamente.

Forse bisognerebbe smettere di produrre armi, ma tale ipotesi viene reputata folle, e la realpolitik si fa sentire: ma ci attaccherebbero se fossimo inoffensivi!

Ammissione implicita che, ora come un tempo, l’attacco è la migliore offesa.

Viviamo in una società che si fonda sulla menzogna, che poggia le sue fondamenta su schemi di potere, che poi producono tragiche conseguenze.

Accettare questa dura realtà può sembrare una sconfitta, ma anche un punto di partenza per non ripetere i soliti disgraziati errori.

Rimane la speranza che un giorno riusciremo a non farci ingannare dalla propaganda, a riconoscere che ogni guerra è sbagliata e che le armi, a fin di bene, non possono essere usate.

Quel periodo però è lontano, remoto, e tanta strada va ancora percorsa. Oggi, come è sempre stato, vige una sola parola d’ordineammantata di buonismo: Intervenire per portare la pace!