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Interculturalità e razzismo: quando l'altro è alla porta

Una miscela di culture. Anche la nostra scuola guarda alla diversità.


Sono trascorsi molti anni da quando i più importanti scienziati e genetisti del mondo hanno rivelato pubblicamente la pseudo scientificità del razzismo.

Nonostante ciò, mai come in questi ultimi anni, dal dopo guerra in poi, il razzismo si è trovato nell’occhio del ciclone, facendo parlare di sé dai mas media dei principali paesi europei, ma anche sobbalzare chi lo riteneva ormai estinto.

I motivi sono diversi, ma sicuramente i principali sono quelli legati alle ondate migratorie nel continente europeo, a partire dal 1989.

Quando mezzo milione di persone, provenienti soprattutto dall’Europa dell’est e dagli stati nord africani, abbandonarono il proprio paese d’origine con la speranza di un futuro migliore.

Da allora il fenomeno si è allargato a macchia d’olio, toccando quote di circa cento mila immigrati l’anno.

L’Italia si è vista coinvolta sin dall’inizio, a causa della sua configurazione naturale e posizione geografica, fungendo da “ponte” fra numerosi paesi con gravi difficoltà economiche e la ricca Europa.

Attualmente, gli immigrati presenti nel nostro paese sono un milione e duecentomila, concentrati soprattutto in regioni come il Veneto, la Lombardia, il Lazio e la Puglia, caratterizzati da un proprio bagaglio di cultura, tradizioni, mentalità, lingua, diverso dal nostro.

E così, il cittadino italiano è dovuto entrare in contatto con realtà anche profondamente diverse dalla propria, nel mondo del lavoro e nella vita di tutti i giorni, sentendo i propri figli raccontare di nuovi compagni di banco “venuti da lontano” ed assistendo al sorgere di luoghi di culto diversi da quelli abituali.

Molti sono stati assaliti da un senso di forte diffidenza, timorosi di un possibile cambiamento dei propri valori, modi vita e della propria sicurezza.

La paura ed il timore dell’altro, tanto vicino, ma nello stesso tempo distante e “diverso” dal proprio modo di essere, ha incrementato un male, spesso inconscio, dal quale gli italiani si ritenevano immuni: il razzismo.

All’improvviso, reazioni emotive di varia natura hanno puntato a riaffermare l’identità nazionale “minacciata” e ad una difesa disperata di un anacronistico spirito di conservazione.

Mentre in Italia la situazione sembra comunque essere sotto controllo, nonostante alcuni vuoti legislativi per l’integrazione degli stranieri, alcuni paesi europei, quali la Germania e l’Austria, sembrano non avere ancora fatto i conti con un passato di intolleranza, di antisemitismo e di xenofobia.

E il rigurgito del nazismo si è fatto sentire.

Dopo la caduta del muro di Berlino, a causa di tensioni sociali, di alti livelli di disoccupazione, di scarsa riflessione critica sulla storia più recente, di fenomeni di revisionismo e di negazionismo, emblematico a proposito il caso Faurisson (1978), è ricomparso il lato più violento e negativo dell’intolleranza nei confronti degli stranieri, alimentato da gruppi di estrema destra, legati ideologicamente al Terzo Reich.

E Così, nel giro di pochi anni, sono quadruplicati titoli di giornale come: “I naziskin tedeschi scatenati nel week-end”, “Neonazismo in Germania, un silenzio allarmante”, “Se l’intolleranza aumenta, ce ne andremo”, creando grande scalpore tra l’opinione pubblica.

Nel corso dell’ultimo decennio sono stati elaborati dai governi dei vari paesi, interessati dai fenomeni di migrazione di massa, proposte per integrare al meglio il cittadino straniero.

Una delle prime è il “MELTING POT” degli USA, in altre parole quella del sincretismo, della fusione di popoli di diversa etnia, religione, cultura al fine di creare un tutto omogeneo dal quale dovrebbe nascere il buon cittadino americano.
Questo modello è in parte fallito quando le minoranze etniche hanno rivendicato le proprie origini e la propria identità, dimostrando come la semplice giustapposizione delle etnie non sia in realtà una risposta alla multiculturalità di fatto.

L’Italia, diversamente dagli USA, ha imboccato un’altra via: l’INTERCULTURALITA’. Inter-culturalità significa incrocio di culture diverse (inter=tra) che cercano di inter-agire e di comprendersi, senza imporre il proprio punto di vista, ma aprendosi all’altro accogliendone anche le differenze e cercando un terreno comune su cui cominciare una relazione.

Cardine dell’interculturalità è la consapevolezza che l’interazione con l’altro può essere motivo di crescita culturale, di ricchezza personale e di “dono” per noi, cercando di mettere da parte ogni forma di pregiudizio, di etnocentrismo e di egocentrismo.

L’interculturalità permette all’individuo di riconoscere e di apprezzare la presenza di altri orizzonti culturali, previene e contrasta il razzismo, la xenofobia, l’apartheid che considera forme negative di comportamento sociale.

Necessita di un atteggiamento cosmopolita, che considera il mondo come una grande città di cui tutti siamo cittadini.

Sostiene l’empatia, il saper mettersi nei “panni dell’altro”, sentire come sente l’altro e vedere il mondo come lo vede l’altro, senza per questo rinunciare alla propria identità e cultura. Ma anche la tolleranza, la transculturalità, il decentramento, indispensabile per promuovere il pluralismo e la democrazia.

Altri aspetti rilevanti dell’interculturalità sono la transitività cognitiva, vale a dire uno spiazzamento del proprio orizzonte e la metaculturalità, che comporta una visione ampia e distaccata delle diverse culture, dei loro rapporti di interdipendenza e di reciprocità.

In questi ultimi anni si è molto parlato anche di pedagogia interculturale, in cui acquistano grande importanza il linguaggio, le relazioni, gli atteggiamenti, il decentramento, il metodo comparativo e gli scambi e i viaggi interculturali, che producono una serie di benefici in un contesto di globalizzazione.

A proposito significativa è stata la mostra interattiva “Solo andata”, dove si sono cambiati abiti ed identità, cui hanno partecipato numerose scolaresche da tutta Italia, tra cui diverse classi del nostro istituto.

Importanti sono anche gli scambi con culture altre mediate da Associazioni Non-Governative di volontariato come, per esempio, “Un ponte per…”.
Da tempo, infatti, la scuola ha promosso uno scambio culturale con studenti e studentesse iracheni/e per comprendere l’ingiusto isolamento che vivono i giovani iracheni, a causa di embargo che in Iraq sta causando un genocidio.
La musica è il tema di base dello scambio.