Tema
Il Lavoro Minorile

"Gli Stati riconoscono il diritto di ogni bambino ad essere protetto contro lo sfruttamento economico e a non essere costretto ad alcun lavoro che comporti rischi o sia suscettibile di porre a repentaglio la sua educazione o di nuocere alla sua salute o al suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale o sociale[…]"


Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, art. 32

Nel mondo, 211 milioni di bambini e bambine lavorano. Hanno meno di 14 anni, dovrebbero andare a scuola, giocare, avere tempo per riposare, e invece lavorano: nei campi, nelle discariche, sulla strada, ovunque vi siano opportunità di guadagnare qualcosa per aiutare a sopravvivere sé e la propria famiglia.

Alcuni riescono a trovare il tempo per frequentare la scuola, ma la maggior parte di essi non ha mai messo piede in un’aula scolastica, ed è probabile che non lo farà mai.
A meno che qualcuno li aiuti.

Le stime più recenti ci dicono che i bambini lavoratori vivono soprattutto in Asia, ma che è l’Africa il continente in cui, in proporzione, è più alta la probabilità che un bambino sia costretto ad un’occupazione precoce.

Tuttavia, i baby-lavoratori sono numerosi nei paesi a medio reddito (5 milioni nell’Est europeo, e il dato è in crescita a causa della difficile transizione all’economia di mercato), e non mancano neppure nei paesi industrializzati: in Italia, l’ISTAT ne ha censiti circa 145.000, mentre la CGIL ne fa una stima quasi tre volte superiore

Il lavoro minorile è un fenomeno assai complesso, e non esistono soluzioni semplici.

Anche se tutti abbiamo imparato a conoscerlo attraverso le storie e i volti dei piccoli fabbricanti di tappeti, come Iqbal Masih, soltanto un bambino lavoratore su 20 è impiegato nell’industria che produce beni destinati all’esportazione.

Le vittime dello sfruttamento economico vanno ricercate altrove, nei meandri nascosti dell’economia informale: agricoltura (70% del totale), lavoro domestico, commercio al minuto, prostituzione, attività illegali.

In questa zona d’ombra dove povertà, ignoranza e discriminazione si incrociano con l’assenza di qualsiasi forma di assistenza sociale, non è sempre facile dare un volto e un nome a chi sfrutta: ma, di certo, per ogni bambino o bambina che lavora c’è un diritto umano negato.

L’UNICEF è in prima linea nella lotta al lavoro minorile, con programmi di sensibilizzazione, prevenzione e recupero.

Il primo compito è quello di promuovere a tutti i livelli (governo, autorità locali, società civile) la conoscenza e il rispetto dei diritti dei bambini, valorizzando il ruolo che essi possono avere per lo sviluppo a lungo termine.

I più giovani sono la vera ricchezza di un paese povero: l’istruzione è il miglior modo per farla fruttare, mentre il lavoro precoce non lascia loro alcuna prospettiva che non sia altro sfruttamento.

Questo messaggio positivo viene comunicato in mille forme dall’UNICEF, attraverso campagne di informazione con il coinvolgimento dei leader comunitari, sindacali, religiosi e con il contributo fondamentale delle associazioni locali.

La scuola è il luogo in cui si gioca la partita decisiva della prevenzione del lavoro minorile.

Generalmente, tutti i bambini desiderano andare a scuola e quasi tutti gli adulti attribuiscono all’istruzione un importante valore di promozione sociale.

Per le famiglie più disagiate, tuttavia, anche il costo dei libri o dei pasti di metà giornata può diventare un ostacolo insormontabile.

E spesso una scuola di cattiva qualità può indurre i genitori a ritirare i propri figli per mandarli a lavorare, ritenendo improduttivo il sacrificio economico da sostenere per la frequenza scolastica.

Oltre a promuovere riforme in favore dell’istruzione gratuita e universale in tutti gli Stati, l’UNICEF investe somme importanti nel risanamento delle scuole e nella formazione degli insegnanti.

In alcuni casi, soprattutto durante le emergenze, l’UNICEF si fa carico anche della distribuzione di materiali didattici e delle refezioni scolastiche.

Liberare i bambini dal giogo del lavoro significa offrire loro alternative valide e realistiche.

Il reinserimento scolastico è la soluzione ottimale, ma bisogna anche tenere conto dello stato di necessità che aveva spinto la famiglia, o il minore stesso, a compiere la scelta del lavoro precoce.

Spesso, il bambino ha l’esigenza di continuare a svolgere un lavoro almeno per una parte della giornata.

L’UNICEF finanzia numerosi progetti di scolarizzazione per bambini lavoratori, ex-bambini soldato o bambini di strada, che prevedono orari flessibili, metodologie didattiche partecipative e un apprendimento che contempla competenze utili per la vita quotidiana (life skills) e per la formazione professionale.

La variegata galassia dell’“istruzione non formale” è la sede per eccellenza del recupero educativo e sociale delle giovanissime vittime del lavoro minorile.

A queste attività si affianca spesso il microcredito, esperienza ormai consolidata di piccoli prestiti a basso tasso di interesse e rivolti a nuclei familiari indigenti per avviare piccole attività generatrici di reddito.

Non è pensabile che il lavoro minorile scompaia dal mondo oggi, e neppure domani.

Crisi economiche, conflitti, spostamenti di popolazione per cause naturali e non, e soprattutto la pandemia dell’HIV/AIDS creano continuamente nuovi spazi per lo sfruttamento economico dei più piccoli.

Segnali positivi sono però visibili.

Il fenomeno del lavoro minorile, pressoché ignorato dalla comunità internazionale fino a metà anni Novanta, è oggi compreso e affrontato con strumenti mirati, e le strategie di contrasto fanno tesoro di esperienze sempre più numerose e significative.

Dal 1999 sono ben 132 gli Stati che hanno ratificato la Convenzione n. 182 dell’OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro) sull’abolizione delle forme peggiori di sfruttamento economico dei minori.

Sono i primi segni di successo dell’impegno messo in campo in questi ultimi anni, e che soltanto la volontà degli Stati e la solidarietà dei cittadini potrà rendere duraturo.