Leopardi-Montale
Temi comuni

Negatività della vita

Leopardi

Nella seconda fase della produzione leopardiana si parla, in riferimento al pensiero del poeta, di pessimismo cosmico: la vita stessa, infatti, viene ormai considerata come infelice proprio per la sua organizzazione universale.

Gli uomini sono condannati al dolore e all’angoscia senza soluzione di continuità.

E la natura cosa fa per aiutare l’uomo? Niente, anzi, i sentimenti della natura sono di totale indifferenza, come espresso nel “ Dialogo della Natura e di un Islandese” dove la Natura dice: “E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”.

In un’altra composizione del 1833, “A se stesso”, si riscontra appieno questo tema della negatività della vita, soprattutto nei versi 9-10 dove si dice “ Amaro e noia La vita, altro mai nulla; e fango è il mondo”.

Montale

Le poesie di Montale hanno spesso, se non sempre, soluzione tragica, che svela la concezione negativa della vita che ha l’autore stesso.

Proprio la presenza di tale insistita negatività ha indotto qualche critico a fare il nome di Leopardi.

Il tema si riscontra già dal titolo di una famosa poesia: “Spesso il male di vivere”, dove il poeta racconta il male che ha incontrato nella sua vita.

I due poli di questa poesia sono “male” e “bene”, attorno ad essi sono costruite le due strofe. Nella prima tutto ruota attorno al “male” e difatti ci sono tre frasi che lo fanno capire chiaramente: il ruscello ostacolato dal suo corso; la foglia che si accartoccia e il cavallo stramazzato.

Nell’altra quartina, invece, Montale parla dell’indifferenza come dell’unico bene che si possa conoscere.

Nella poesia giovanile “Meriggiare pallido e assorto”, il tema è reso bene dalla figura del cammino assurdo lungo un itinerario di dolore che mai rivela la sua finalità, la vita è un destino ostile irto di invalicabili cocci di bottiglia.

Temi analoghi, tutti concentrati sul male di vivere, si leggono nelle due ultime raccolte di liriche, “La bufera e altro” (come ne “L'anguilla”) e in “Satura”.

Crisi del presente e sfiducia nel progresso

Leopardi

Leopardi, con le sue composizioni, critica più di una volta la situazione presente dell’Italia, nella quale non sono più possibili le illusioni che una volta servivano all’uomo per difendersi dalla negatività della vita: l’azione, infatti, è negata, negato l’impegno politico e civile, negata ogni prospettiva di coinvolgimento in azioni gagliarde e nobili.

Da questa critica del presente nasce, in modo quasi ovvio, un’innata sfiducia nel progresso, che non fa altro che allontanare gli uomini dalla civiltà degli antichi, negando loro qualsiasi felicità.

Questo punto si può ben riscontrare nell’idillio “La sera al dì di festa”.

Montale

Il poeta in questo periodo non si riconosce nel mondo che lo circonda, nella società di massa, nei suoi due maggiori partiti (la DC e il PCI); denuncia lo stalinismo ma vede un pericolo anche nella civiltà industrializzata americana.

In questa situazione non c’è da aspettarsi altro che la catastrofe della civiltà occidentale, incapace di difendere i valori da essa stessa elaborati.

Tuttavia, per questa civiltà e per questi valori, distrutti proprio dalla società borghese che avrebbe dovuto potenziarli e difenderli, non ci sono, per Montale, alternative possibili. Il limite della vita umana è sottolineato in un testo della raccolta “Ossi di seppia”, intitolato “Giunge a volte, repente”.

Qua la vita è descritta come priva di identità e di significato sicuro, è smottamento continuo, logoramento di ogni certezza, è priva di scopi certi, “mezzo non fine”.

La seconda e la terza strofa di un altro testo, “Incontro”, contengono una rappresentazione della vita massificata o della non vita dell’uomo del tempo.

Il tema della massificazione, dell’anonimato della vita cittadina, squallidamente ripetitiva, da un lato rimanda a un’ideologia volta a sottolineare ancora una volta il limite della condizione umana, ma dall’altro fa parte anche dell’ininterrotta polemica di Montale contro la modernità, da lui vista come nemica della vera vita.

Anche nei “Diari” la ricerca di Montale si conclude con un’aperta critica all’intera civiltà occidentale, alla fine descritta come “trionfo della spazzatura”.

“Dopo” e “Intermezzo” sono due brevi sezioni di passaggio che raccolgono i testi scritti fra il 1943 e il 1945: continua qui la polemica contro il presente cui si contrappone il passato, rappresentato dal padre, da personaggi eccentrici come Fadin e dal paesaggio ligure di Monterossso.

Tempo, memoria e giovinezza

Leopardi

L’immaginazione, nel pensiero leopardiano, si esercita soprattutto nella direzione della memoria, punto fondamentale della sua poetica. “Silvia, rimembri ancora…” dice Leopardi in “A Silvia” ma è soprattutto nei canti che la memoria (o, per usare le parole del poeta, la rimembranza) costituisce uno dei temi di spicco.

Essa occupa il centro della poetica leopardiana, essendo il passato per i moderni il catalizzatore unico possibile di ogni poesia: infatti, il poeta moderno deve trarre dal passato dell’umanità, cioè dalla sua fanciullezza, il rapporto immaginoso con la realtà e il sostegno delle illusioni, come espresso pure nelle “Ricordanze” e nella “ Sera al dì di festa”.

Per quanto riguarda invece il tema della giovinezza, forse nessun altro poeta ha saputo ritrarre con altrettanta intensità l’autentico sapore dell’adolescenza di quanto abbia fatto Leopardi per esempio in “A Silvia” dove di quella stagione vengono poi svelati la crudeltà e il necessario disinganno.

In parte affine al tema di “A Silvia” è “Le ricordanze” dove il parallelismo tra le due composizioni è dettato anche dall’introduzione di una fanciulla morta, Nerina.

Legata poi al tema della giovinezza è pure una canzone di datazione assai incerta, “Il passero solitario”.

Paragonando la propria vita a quella del passero solitario, il poeta vi riscontra numerose analogie: l’amore della solitudine, la propensione al canto, il rifiuto dei piaceri della primavera e della giovinezza.

Se però il passero, guidato da un inconsapevole istinto naturale, non rimpiangerà, trascorse la primavera e la giovinezza, di aver sprecato il tempo migliore della propria vita senza goderne, il poeta invece si rivolgerà indietro con rimpianto, pentendosi inutilmente.

Montale

Nella “Casa dei doganieri” una coppia oppositiva di grande importanza è rappresentata dal contrasto tra memoria e tempo. Il trascorrere del tempo costituisce una minaccia perché può cancellare i valori e i significati del passato, custoditi invece nella memoria, che tenta inutilmente di mantenere immutato e presente, cioè immobile, ciò che di necessità cambia e si allontana.

In molti testi tratti dalle “Occasioni”, Montale rievoca episodi della sua vita passata, amori, incontri di persone, riflessioni su avvenimenti, paesaggi ricordati non per nostalgia del passato e consolazione del presente, ma per analizzarle e capirle nel loro valore simbolico.

In una di queste poesie, “Non recidere, forbice”, Montale accenna alla forza disgregatrice del tempo, che ci porta via anche i ricordi più belli.

Nella memoria che si sfolla, da cui cioè svaniscono persone e cose care, non recidere, o forbice, invoca il poeta, l’ultimo volto caro che vi è rimasto.

Ma è inutile supplicare, un colpo di scure colpisce la vetta dell’albero e l’acacia ferita lascia cadere il guscio di una cicala nel primo fango di novembre.

Tutto dunque svanisce lasciando l’uomo in una fredda solitudine.

Supremazia della letteratura e ruolo dello scrittore

Leopardi

Leopardi attribuisce alla poesia, e alla letteratura in generale, un’importanza grandissima.

Tuttavia, egli interpreta il ruolo di scrittore in un modo assai lontano dai termini tradizionali dominanti fino a quel momento. Intanto, la condizione leopardiana dell’intellettuale non si fonda né su un privilegio sociale, né su una condizione istituzionale specialistica, né su una prospettiva ideologico – politica generale.

Il suo fondamento è individuabile soltanto nel rapporto tra coscienza individuale e mondo, cioè nella verifica dell’esperienza soggettiva e dei dati generali dell’esperienza.

Pertanto, lo scrittore si identifica come colui che esercita nella forma più intensa le prerogative del soggetto individuale, cioè colui che esprime il mondo concreto ed empirico del suo “Io” determinato.

Montale

Dopo la stesura di “Ossi di seppia”, “Le Occasioni” riflettono una situazione storica ormai mutata.

Il volontarismo utopico e il moralismo gobettiano non trovano più spazi in una condizione politica e letteraria che estrania gli scrittori dal contatto con la realtà sociale e con il pubblico, chiudendoli nella cittadella umanistica delle lettere.

La letteratura diventa l’ultima difesa e l’ultimo privilegio per una generazione di autori che trova nella religione della cultura e dell’arte e nella sublimazione che essa comporta l’unico risarcimento possibile.

Crisi della poesia

Leopardi

E’ soprattutto nella “sera al dì di festa” che si riscontra questo tema.

La donna dormiente simboleggia infatti la grande poesia degli antichi che non può più essere svegliata. Indifferente delle sofferenze dei poeti e degli uomini in generale, la poesia giace ormai abbandonata e non c’è modo di recuperarla dopo il tramonto della civiltà passata.

Montale

Montale vive in prima persona la crisi della poesia, chiudendosi in un ostinato silenzio poetico dal 1954 fino al 1964 e dedicandosi, in questo decennio, solo alla prosa.

Siamo, infatti, in un periodo in cui per la poesia non c’è più posto, o non ce ne sarà più fra breve tempo.

Non resta dunque che una poesia – prosa, che può nascere solo sulle macerie della tradizione lirica e dal suo ribaltamento.

“E’ ancora possibile la poesia?”, si chiede Montale nel discorso pronunciato a Stoccolma nel 1975 in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel per la letteratura.

Alla domanda, più volte ripetuta, il poeta non fornisce alcuna risposta, ma fa comunque intuire il proprio scetticismo. Tale visione scettica sulla possibilità di fare poesia era già stata anticipata in due importanti testi: “L’anguilla” e “Il gallo cedrone”.

Importanza dei paesaggi

Leopardi

Lo spazio che circonda le scene descritte assume in Leopardi un’importanza fondamentale, in relazione soprattutto alla visione meccanicistica del mondo cui l’autore aveva aderito.

È con i Canti in particolare che dal “paesaggio – stato d’animo” si viene a creare una nuova configurazione, quasi a sottolineare la tensione tra soggetto e paesaggio.

Per esempio, nel "L'ultimo canto di Saffo”, la natura è rappresentata nella sua bellezza e nella sua armonia ma ciò che caratterizza poi il movimento drammatico del testo è il contrasto tra questa bellezza e la bruttezza della protagonista.

Così la bellezza del paesaggio naturale assume una nuova accezione: dietro l’apparenza radiosa delle cose si nasconde l’infelicità cui ogni essere è dannato, quindi il paesaggio ha un doppio volto e la sua bellezza è ambigua.

Tale ottica si ritrova in altri testi leopardiani: nella “Sera al dì di festa” l’incanto notturno contiene l’angoscia del personaggio e, ancora, nel “Passero solitario” il ridente sfondo primaverile non tocca minimamente il passero indifferente.

In “A Silvia” il meccanismo utilizzato è un poco diverso: il maggio odoroso che corrisponde al tempo delle speranze si trasforma ben presto nell’inverno che porta la morte, come se il paesaggio fosse a doppio fondo, pronto cioè a trasformare la sua bellezza incantatrice in orrore e disperazione.

Alla stesso modo, nella “Quiete dopo la tempesta”, al paesaggio tumultuoso segue quello calmo che segna la fine del dolore, anche se qui viene intesa, con una certa inquietudine, come calma eterna o, in altre parole, morte.

La non corrispondenza tra io e paesaggio si può riscontrare anche nel “L’infinito” dove tutti gli elementi reali presentati servono solo per giungere alle idee di infinità cui possono far pensare.

In ogni caso, comunque, tutti questi elementi naturali del paesaggio, sono descritti con una certa tensione e negatività, quasi a costituire un teatro minaccioso al centro del quale si muovono i personaggi maledetti di Leopardi.

Questo nucleo negativo si ritrova anche nel “Canto notturno di una pastore errante per l’Asia” dove l’allegoria del vecchierello è descritta assieme ad una natura ostile ed estrema. Questo paesaggio non rispecchia poi per nulla lo stato d’animo del pastore, abbandonato al suo mondo interiore, ma serve solo ad aggravarne lo stato d’agitazione in cui già si trova.

In ultimo, nella “Ginestra”, la scena è affidata al paesaggio desolato del Vesuvio, che è il luogo simbolo della condizione umana sulla terra. Questo paesaggio costituisce un vero e proprio rovesciamento del topos del locus amoenus, su cui il protagonista fissa gli occhi per interrogarsi sul suo significato.

Montale

il paesaggio che fa da sfondo alle opere di Montale assume grande importanza dal punto di vista tematico e proprio per questo bisogna delinearne i vari cambiamenti che subisce.

Nelle varie opere, infatti, la natura tende progressivamente ad eclissarsi per lasciare il posto al deserto cittadino. Gli “Ossi di seppia” sono un libro marino, dominato dal paesaggio ligure e mediterraneo, in cui la terra è aggredita dalla minaccia del mare e che unisce la fissità rupestre alla mobilità delle acque.

La natura ha un duplice aspetto, è figura di vitalità ma anche di decomposizione ed anche il mare, oltre al primo aspetto positivo, nasconde in sé la pericolosità.

Il senso di disarmonia con la realtà, già presente in “Corno inglese”, rende precario il rapporto tra l’io e il paesaggio, che approda ad una rottura dolorosa in cui il poeta si sente isolato e perso.

Questo smacco è testimoniato dalla raccolta successiva, “Le occasioni”, dove il paesaggio ligure viene meno e riemerge solo nel ricordo e in forme non più solari ma notturne.

Animali e oggetti quotidiani

Leopardi

Nelle composizioni di Leopardi sono quasi sempre presenti oggetti comuni e, in particolar modo, animali che simboleggiano particolari condizioni.

Lampante è l’esempio della greggia descritta nel “Canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, o quello della gallina nella “Quiete dopo la tempesta”, o ancora quello del coniglio della “Ginestra”.

Ognuno di questi animali, dalla lucciola al leone che divora l’islandese, alle pecore del Canto notturno, al passero solitario, ai topi, pur nella loro umiltà, sono comunque guardati con la stessa dignità con cui sono descritti gli esseri umani, senza subordinazioni di alcun genere.

Montale

Data l’improponibilità di figure umanistiche e cristiane, Montale ad un certo punto della sua opera letteraria, arriva a fare di molti animali i soggetti delle sue poesie, presi dal fango della vita concreta e spesso utilizzati in chiave allegorica.

È solo infatti nel mondo del quotidiano che la poesia può trovare uno spiraglio di salvezza, identificandosi con la stessa forza biologica dell’uomo. L’anguilla di “La bufera e altro” è l’immagine più potente di questa forza.

Anche in “Finisterre” la realtà terrena, con le sue concrete pulsazioni, è rappresentata dagli animali, se si pensa ad esempio ai delfini di “Su una lettera non scritta” e ai cani di “L’arca”.

Sono poi le poesie di “Flashes e dediche”, per quanto stilisticamente sostenute, ad essere le più aperte al mondo basso e informe degli oggetti: vi compaiono infatti interni borghesi, cicche, lavandini, treni, aerei, scale mobili, cronache giornalistiche.

Tema dei morti

Leopardi

Sono presenti, nella produzione leopardiana, due canzoni sepolcrali, composte probabilmente tra il 1834 e il 1835 a Napoli, che affrontano entrambe il tema della morte, con una ripresa del precedente foscoliano dei “Sepolcri” e di una tradizione tematica assai diffusa nel periodo neoclassico e preromantico. La morte è vista però da Leopardi in tutta la sua dimensione tragica del lutto, tipica di certi scrittori classici.

“Sopra un bassorilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accomiatandosi dai suoi” s’interroga sul senso della morte, considerata a partire dal caso esemplare di una giovane donna.

Due le accuse rivolte alla natura e alla condizione umana: aver reso la morte orribile e temuta agli occhi umani e aver voluto e previsto la perdita delle persone care che viene a spezzare quei legami grazie ai quali l’uomo riesce faticosamente a dare senso alla sua vita.

“Sopra il ritratto di una bella donna scolpito nel monumento sepolcrale della medesima” si sofferma, invece, sul contrasto tra la bellezza della donna come ritratta sulla lapide e l’orrore della sua condizione da morta, che va decomponendosi.

Montale

La prima sezione di “La bufera e altro”è dedicata alla guerra, ai suoi orrori, alla rare apparizioni di Clizia, al tema dei lutti familiari.

Questi motivi ritornano nella seconda e nella terza sezione, dove compaiono anche quelli della malattia della moglie e dei ricordi della Liguria.

Comincia ad affacciarsi, in particolare associato alla memoria della Liguria e dell’infanzia, il tema dei morti, che già in “Finisterre” tendono ad assumere un valore positivo: sono i custodi di una civiltà perduta, contrapposta all’insignificanza e al disvalore del presente.