Tema
Vivere a scuola: quali problemi?

E sì, sono già passati ben 11 mesi da quando varcai per la prima volta le porte di questo edificio.

Ricordo come ero insicura e titubante di fronte ad una vita scolastica che mi aspettavo completamente nuova e diversa da quella che avevo vissuto fino a poco tempo prima.

Ed in effetti è stato proprio un brutto colpo.

Tra noi compagni i rapporti non erano tra i più belli, perché non ci conoscevamo: ognuno andava per la sua strada, indifferente agli altri.

Si pretendeva di giudicare solo dall’aspetto fisico e dai pochi interventi che venivano fatti in classe.

Tra di noi si comunicava poco e quando parlavamo l’unico argomento erano i compiti assegnatici.

Io ero particolarmente chiusa in me stessa, per colpa del mio carattere che è sempre poco socievole all’inizio di una nuova amicizia.

Col tempo, fortunatamente, dalla mia corazza, si è aperta una finestrella ed ho cominciato a comunicare con i miei compagni.

Ho scoperto con mia meraviglia di non essere sola a battermi per salvarmi nella tempesta della vita scolastica, ma che siamo tutti nella stessa barca.

Mi ha dato molta forza il sentirmi parte di un’unica grande famiglia.

Da quel momento ho guardato i miei compagni con una visione nuova ed ho scoperto che ognuno ha qualcosa di buono da insegnarmi.

Così ho cominciato ad essere più aperta e sono entrata nella vita di classe.

Non si può dire che eravamo amici, ma lo stavamo diventando.

S’erano formati gruppettini composti da poche persone, quasi sempre vicini di banco, che passavano insieme la ricreazione, si telefonavano, si aiutavano.

Verso metà anno è arrivata una nuova compagna dal Copernico e la classe ha reagito molto bene a questo nuovo arrivo.

Credo proprio che Elena si sia trovata bene, perché tutti noi abbiamo cercato di aiutarla a recuperare quello che non era stato svolto nell’altra scuola e ad ambientarsi nella nostra.

Alla fine dell’anno era sorto un problema abbastanza grave: i professori erano convinti che nella nostra classe ci fosse troppa tensione; ed avevano trasmesso anche a noi questa convinzione.

Dico “trasmesso” perché noi non ce ne eravamo neanche accorti, non la consideravamo una cosa strana.

In questo periodo ci siamo sentiti veramente uniti, contro le persone che ci accusavano di essere anormali.

Abbiamo cominciato a parlare veramente, abbiamo anche litigato, e siamo diventati amici, nel vero senso della parola.

Regnavano ancora i gruppi, ma nelle ore buche spesso ci trovavamo tutti seduti per terra a chiacchierare del più e del meno.

E’ stato soprattutto negli ultimi giorni di scuola che mi sono accorta che eravamo una classe speciale.

Speciale perché avevamo i nostri problemi, individuali e collettivi, ma ci volevamo bene.

L’ultimo giorno di scuola è stato bellissimo, poiché buona parte della classe ha confessato di essere tristissima per la tanto attesa separazione estiva.

Durante l’estate si è organizzata una gita a Gardaland, ma sfortunatamente eravamo in soli 5 compagni di classe: i migliori, tra parentesi.

Quest’anno abbiamo perso due compagni, ma ne abbiamo guadagnati tre.

Le cose sono cambiate rispetto all’anno precedente.

Le cose sono cambiate, non siamo più una classe speciale.

Siamo cambiati nel senso che siamo più divisi e uniti nello stesso tempo.

Più divisi perché si sono formati due gruppi.

Questo fatto, secondo me, può essere considerato il problema più grosso della nostra classe.

I ragazzi con interessi comuni si sono divisi dagli altri che avevano interessi diversi dai loro.

Il fumo, in questo caso, è l’interesse comune di un gruppo; ma sotto il fumo credo che ci sia un modo di pensare e un modo di affrontare la vita scolastica diverso da quello dell’altro.

Ho detto che siamo più uniti perché si discute di più.

Ci siamo dati da soli questa opportunità, perché la maggior parte della classe ha scelto di non seguire il corso di educazione religiosa e così trascorriamo un’ora insieme parlando del più e del meno.

Mercoledì scorso, quando sono tornata da un giretto per l’edificio scolastico con Michela, mi si è presentata davanti agli occhi un’immagine bellissima.

Molti miei compagni erano nell’ingresso, seduti sul tavolo, sulle sedie o appoggiati ai caloriferi e parlavano, si ascoltavano, ridevano.

A me e a Michela si è colmato il cuore di gioia e anche un po’ di commozione, perché ci siamo sentite parte di una classe unita.

Ho riscontrato anche un altro problema.

Durante le discussioni, sia con i professori che senza, espongono solo alcuni le proprie idee e queste, in genere, valgono per tutta la classe.

E’ bello vedere che qualcuno non ha peli sulla lingua, che sa cosa vuole, che è estroverso, ma purtroppo ci sono anche le persone codarde.

Queste spesso hanno paura di manifestare ciò che pensano, nel timore di essere giudicati male.

Questa parte della classe, che è la più grande, vorrebbe intervenire, ma i più estroversi non gliene danno la possibilità.

Ho assistito più di una volta a lotte verbali.

Ci si azzanna, ci si picchia, ci si umilia a parole, per poi essere convinti ancora della propria idea iniziale.

I più deboli in questo campo non hanno il coraggio di entrare nell’arena e se ne stanno in disparte, sugli spalti.

Questo non è giusto.

Non è giusto che solo in pochi decidano per tutta la classe, spesso neanche interpellandola.

Per migliorare questa situazione credo che bisognerebbe aiutare le pecorelle, incitandole ad esporre il proprio parere, tenendo in gabbia i leoni.

Ci sono poi altri problemi, ma non li considero importanti al punto tale da essere esposti.

Si possono benissimo risolvere con la semplice educazione e con il rispetto degli altri.

In una classe normale deve essere questa la prima legge: il rispetto degli altri e delle loro idee.