Giovanni Verga
Mastro Don Gesualdo

Scritta da Giovanni Verga nel 1889, la vicenda è ambientata a Vizzini, una località della provincia di Catania, nel periodo compreso tra il 1819 e il 1848.

Protagonista è Gesualdo Motta, un uomo del popolo, umile lavoratore, tenace ed accorto che dedica la vita al lavoro per accumulare terre, denari e ricchezze.

La fortuna raggiunta lentamente è stata veramente sudata e meritata, anche se non cambia il carattere di Mastro Don Gesualdo che rimane onesto e generoso, sempre pronto ad aiutare parenti ed amici.

Per aumentare ulteriormente il suo potere, Gesualdo sposa Bianca Trao, ragazza di nobile famiglia in decadenza.

Purtroppo il matrimonio si rivela un cattivo affare per l'uomo. Tutti gli sono contro: i familiari, benché da lui aiutati, lo ritengono un traditore perché li ha abbandonati per un mondo diverso; i parenti nobili lo disprezzano.

Anche Bianca, che ha accettato il matrimonio solo per salvare l'onore macchiato dopo i suoi amori con il baronetto, suo cugino, Ninì Rubiera, non riuscirà mai a vincere un'istintiva freddezza nei confronti del marito.

Anche la figlia Isabella, in realtà nata dalla relazione di Bianca con Niní, risulta essere molto ostile al padre.

La ragazza, infatti, innamorata del cugino Corrado La Gurna, poeta e spiantato, è ostacolata dal padre nel suo amore e finirà per cedere al suo volere sposando il Duca di Leyra, un uomo spietato, che non la amerà mai, ma dissiperà tutta la dote della ragazza in ricevimenti.

Dopo la partenza di Isabella per Palermo, parenti, amici, vicini, tutti si accaniscono a gettar fango sulle ricchezze di Gesualdo. La moglie, Bianca, muore poco dopo consumata da un male inesorabile, la tisi, e dalla lontananza dalla figlia. Don Gesualdo rimane solo, sofferente e torturato da atroci dolori di stomaco. Il genero, che lo detesta e lo disprezza, ma che vuole a tutti i costi venire in possesso dell'eredità, lo costringe a seguirlo a Palermo.

Morirà di cancro qualche tempo dopo nell'indifferenza generale, solo e abbandonato, accompagnato nelle ultime ore dalle parole malevole di un servitore, unico testimone della sua agonia.