PUBLIO VIRGILIO MARONE


Andes (Mantova), 15 ottobre 70 a.C.
Brindisi, 21 settembre 19 a.C.

Publio Virgilio Marone nacque presso Mantova nel 70 a .C. e morì a Brindisi nel 19 a .C.

Di famiglia contadina benestante, ebbe modo di ricevere una buona formazione frequentando le scuole a Cremona, a Milano e poi a Roma, dove fu discepolo del retore Epidio e conobbe l'allor giovane Ottavio, il futuro Ottaviano Augusto.

Ultimati gli studi, dopo un tentativo infruttuoso di praticare l'eloquenza, si dedicò allo studio della filosofia presso l'epicureo Sirone a Napoli.

Qui conobbe e frequentò illustri rappresentanti del mondo culturale dell'epoca, da Vario Rufo a Plozio Tucca, da Quintilio Varo a Orazio.

Contemporaneamente alla sua formazione filosofica fiorì la sua vocazione poetica.

All'inizio del suo soggiorno partenopeo (fra il 42 e il 39 a .C.) compose le Bucoliche, una idealizzazione della vita pastorale, che lo segnalarono all'attenzione di Mecenate e di Ottaviano che gli accordarono il loro favore.
Sotto la loro protezione Virgilio portò a termine, fra il 37 e il 30 a .C., le Georgiche, un poema didascalico sulla vita contadina in quattro libri, dedicati rispettivamente alla coltivazione dei campi, alla coltura degli alberi e dalla vite, all'allevamento del bestiame e all'apicoltura.

Successivamente si dedicò per il resto della sua vita alla sua opera più importante, l'Eneide, poema epico che narra le vicende delle peregrinazioni di Enea dopo la fuga da Troia e del suo sbarco in Italia.
Dopo la prima stesura di quest'opera, prima di procedere a una revisione, Virgilio decise di compiere un viaggio in Grecia e in Asia Minore per visitare i luoghi dove si svolgeva l'inizio del poema.

Si imbarcò quindi, ma giunto ad Atene vi incontrò Augusto che tornava dall'Oriente e che lo convinse a seguirlo in Italia. Durante il viaggio di ritorno fu colto da un accesso febbrile e, giunto a Brindisi, peggiorò e morì.

Fu sepolto a Napoli lungo la via per Pozzuoli, e sulla sua tomba fu posta questa epigrafe che la tradizione attribuisce allo stesso poeta morente:

"Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope: cecini pascua, rura, duces."
(Mantova mi generò, la Calabria mi rapì, e ora mi tiene Napoli; cantai i pascoli, le campagne, i condottieri).