L'Uomo Genetico <

L'Uomo Genetico

Se è vero che la scienza ha lo scopo di fornire all'uomo nuovi modi per controllare il mondo materiale producendo tecniche, pratiche, invenzioni con cui la qualità della vita può cambiare, la biologia molecolare e l'ingegneria genetica dimostrano di riuscirci.

Dalla scoperta di James Watson e Francis Crick nel 1953 della doppia elica del Dna, la matassa in cui è racchiuso il patrimonio genetico di ogni essere vivente, all'avvento negli anni Settanta delle tecniche di ricombinazione genetica per tagliare, scomporre e cucire sequenze di Dna, le frontiere si sono allargate.

La struttura dei geni che trasmettono i caratteri ereditari sembra averci infine svelato i meccanismi segreti che regolano la dinamica della specie, aiutandoci a capire "di che materia siano fatti gli uomini".

 È davvero tutto scritto nei geni? Salvo la breve interruzione dopo la seconda guerra mondiale, quando la scoperta dei crimini nazisti in nome di una "innata" inferiorità rese impopolare l'ipotesi di un destino biologico, l'idea che gli esseri umani siano determinati da fattori interni, cioè genetici, è tornata a interessare la scienza moderna.

Certo, i geni contano: la differenza biologica tra individui dipende in buona parte dal patrimonio genetico.

Il resto lo determinano la storia e l'ambiente. Non c'è nulla di fisso o di immutabile. Un essere umano non dipende solo dai "materiali genetici" che eredita dai genitori, contano anche temperatura, umidità, nutrizione, vista, odori, suoni e, anche, il contesto culturale, sociale e affettivo. Insomma, un organismo vivente, in qualsiasi momento della sua esistenza, è il risultato unico dell'interazione tra forze esterne, che possiamo chiamare ambiente, e interne.

Parte del macchinario biochimico contenuto in una cellula viene prodotto in risposta a fattori esterni. Come sostenere ancora che tutto è scritto nei geni? Anche se si conoscesse la completa composizione molecolare di ogni gene di un organismo, sarebbe impossibile predire l'evoluzione di quest'ultimo.

Anche perché durante lo sviluppo avvengono variazioni nella crescita e nella divisione cellulare, sulle quali l'elemento "caso" ha un ruolo non trascurabile.

Difficile dire di preciso cosa fanno i geni e come producono i loro effetti. Come scrive Evelyn Fox Keller, che insegna al Mit storia e filosofia della scienza, esiste una catena di reazioni tra l'attività diretta di un gene e il prodotto finale. Il Dna trasporta l'informazione genetica (perché dispone di un "programma") e i geni producono i loro effetti, fornendo le "istruzioni" per la sintesi delle proteine di cui sono fatti gli uomini.

Il gene, dice Fox Keller, è come una sorta di Giano bifronte, mattone fondamentale e forza animatrice assieme, e le strutture cromosomiche, per usare un'altra metafora, sono il progetto dell'architetto e gli abili costruttori assieme.

Ma come avviene poi tutto e dove risiede il centro di controllo, nei geni oppure nella complessa dinamica biochimica delle cellule? Forse, suggerisce la biologa americana, in sintonia con quanto afferma anche Lewontin, riconquistando "un buon senso biologico perso" si torneranno a studiare con interesse i processi di sviluppo dell'uomo e della fecondazione (embriogenesi) che a un certo punto, quando la biologia molecolare è emersa negli anni sessanta con la potenza delle sue metafore ("informazione genetica", "programma", "istruzioni"), sono sembrati fuori luogo per spiegare l'ereditarietà.

Queste riflessioni non rispecchiano l'ottimismo di certi biologi che risultano tra i principali azionisti di compagnie biotecnologiche. Più imprenditori che scienziati, si sono messi "a caccia" di geni e hanno già chiesto di coprire con brevetto sequenze di Dna.

Ma si può essere proprietari del genoma umano? Insieme alle grandi attese suscitate dalla ricerca genetica, sorgono rilevanti perplessità di tipo sociale, etico e giuridico. E intorno ai geni si sollevano entusiasmi, liti, dubbi, e si concentrano intanto enormi investimenti economici.

Il messaggio un po' naïf che pervade i mezzi di comunicazione è centrato sulle applicazioni, sui benefici, sulla ricaduta inevitabile di terapie che derivano dalle conoscenze rese possibili dalla biologia molecolare. Forse per la prima volta gli effetti di un'importante novità scientifica vengono "venduti" prima che si siano avverati, prima del loro impatto sull'uomo.

L'idea prevalente che sia l'ereditarietà a determinare la salute o la malattia, e che i comportamenti sociali abbiano radici nei geni, è dimostrata dall'impegno investito nell'intera decifrazione del patrimonio genetico umano.

La sequenza completa del Dna, la sostanza di cui sono fatti i geni, è stata affidata al Progetto genoma umano, un megaprogetto internazionale avviato nel 1990 che coinvolge Stati Uniti, Europa e Giappone e che ha come obiettivo la mappatura, cioè la localizzazione, di tutti i geni (da 50 a 100.000) che compongono il Dna umano, e la sequenza per ciascun gene dei nucleotidi o basi che formano la lunghissima matassa del Dna.

Tre miliardi di basi o di lettere, A, T, C, G, che stano per adenina, timina, citosina, guanina, scritte secondo migliaia di combinazioni. Il progetto dovrebbe completarsi in quindici anni, e costerà 3 miliardi di dollari.

Un armamentario di nuove tecniche, dai complessi programmi di computer, capaci di catalogare, immagazzinare, ordinare, recuperare, confrontare, riorganizzare le lunghe strisce di lettere del Dna alle nuove biotecnologie, forse permetterà di ultimare prima del previsto il colossale lavoro di decifrazione. I potenziali benefici che possono derivare dal Progetto genoma sono enormi, come la individuazione di anomalie genetiche e, in prospettiva, le terapie in grado di modificare, rimpiazzare o eludere il gene "difettoso".

Un sogno, il genoma umano, che è diventato una fede, come sottolinea Ruth Hubbard, biologa ad Harvard e membro del Council for Responsible Genetics. Perché la nuova religione della biologia molecolare è il genoma umano. E "dogma centrale" è chiamato lo schema del flusso unidirezionale dal Dna alle proteine che sembra non dare spazio nella sua formulazione a influenze esterne.

Lo si chiama anche "Santo Graal", e il "Libro dei libri", come la Bibbia. Alla mistica del Dna e al gene come nuova "icona culturale" si dedicano convegni, libri, film, perfino cartoni animati. Una dimostrazione di quanto la scienza riesca a permeare e a condizionare la cultura.

Tuttavia i problemi sociali che si nascondono dietro l'immagine rassicurante, quasi "magica" della doppia elica del Dna, così carica di aspettative, e i dubbi etici e scientifici sollevati dal Progetto genoma umano, sono finora superiori ai risultati ottenuti.

Per esempio, considerato che la posta in gioco, professionale ed economica, è così alta, che fine farà la circolazione di notizie scientifiche che potrebbero essere di interesse comune e portare alla scoperta di geni con implicazioni mediche importanti, se ai biologi sarà concesso di coprire con brevetto segmenti di Dna? Sicuramente aumenterà l'informazione sui geni responsabili delle 4-5000 malattie genetiche sinora note e sui geni che predispongono a malattie comuni in particolari condizioni ambientali, come diabete, aterosclerosi, cancro.

Test genetici saranno capaci di predire una anomalia in fase prenatale, permettendo di prevenire la nascita di un individuo con un genotipo non normale, ma là dove non è più possibile la prevenzione, quando l'individuo è già nato e non manifesta neppure i sintomi della malattia cui sembra predisposto geneticamente, che fare? Si allargherà sempre di più la forbice tra possibilità di predire il proprio futuro grazie al profilo genetico e possibilità di intervenire terapeuticamente.

Secondo i discepoli del Progetto genoma, avendo localizzato sui cromosomi gran parte dei geni difettivi che affliggono l'uomo e conoscendo la sequenza del Dna di molte anomalie genetiche, sarà possibile dedurre la causa di molte malattie e generare terapie opportune.

Una gran parte dei geni difettivi localizzati sono già stati mappati e per un piccolo numero di loro è stata ottenuta la sequenza del Dna. Per esempio, il gene la cui forma mutante causa la fibrosi cistica è stato localizzato, isolato, sequenziato.

La proteina codificata dal gene, ossia la sequenza degli amminoacidi che la costituiscono, è stata dedotta e la sua struttura ipotizzata. Un grande passo avanti nella ricerca che però non basta a curare la malattia.

La mutazione genetica che provoca la malattia di Tay-Sachs, con deterioramento progressivo del cervello e morte entro il terzo anno di vita, è ancor meglio compresa, perché l'enzima responsabile specificato dal gene ha una funzione semplice. Ma, anche in questo caso, nessuno ha suggerito finora una terapia.

La difficoltà di dedurre informazioni sulla causa delle malattie da sequenze del Dna consiste nel fatto che le stesse "parole" hanno significati diversi e funzioni multiple a seconda del contesto. Le promesse sono perciò molte, ma quanto e quando attuabili? Con le tecniche oggi disponibili si pretende di impiantare la corretta versione del gene e di indurre il macchinario cellulare di chi ha un'anomalia nella sua sequenza genica a utilizzare quel nuovo gene come fonte di informazione.

Queste "alterazioni o manipolazioni genetiche", che vanno sotto il nome di terapie geniche, possono avvenire sulle cellule somatiche, cioè del corpo, oppure su quelle non ancora differenziate (in somatiche o germinali) di un embrione. O, ancora, il gene correttivo può essere deliberatamente inserito nelle cellule germinali o della riproduzione (ovocita e sperma). In tal caso la modificazione genetica è trasmessa con i cromosomi alle generazioni future e non coinvolge più soltanto il singolo individuo che nascerà, come quando si interviene su cellule somatiche.

Modificazioni genetiche sia nella linea somatica che germinale sono state realizzate a scopo di ricerca su animali di laboratorio. Alcune alterazioni o terapie geniche su cellule somatiche sono state sperimentate anche sull'uomo (all'inizio degli anni novanta su un bambino che soffriva di una grave malattia immunitaria, l'adenosina deaminasi; su malati terminali di cancro per aumentare l'aggressività contro le cellule tumorali; su pazienti colpiti da fibrosi cistica) e numerosi sono i protocolli di ricerca in lista d'attesa.

Mentre nelle modificazioni su cellule somatiche non basta che sia "curata" una sola cellula ma tutte, cosa che le rende più difficili da attuare, quelle su cellule germinali in modelli animali, topi e vertebrati si sono dimostrate "tecnicamente" possibili. Il Dna estraneo si inserisce e può sintetizzare meglio le proteine funzionali corrispondenti nelle cellule di embrioni già al primissimo stadio. Lo ha dimostrato il famoso caso del gene per l'ormone della crescita umano inserito in embrioni di topo. Analoghe tecniche su linee germinali sono state utilizzate per migliorare le qualità nutritive di animali d'allevamento. Procedure per attuare manipolazioni genetiche sugli embrioni ancora in vitro prima di essere trasferiti in utero sono già pronte.

Quali i rischi "tecnici"? Prima di tutto non si può calcolare esattamente dove andrà a collocarsi il gene inserito all'interno di una cellula, e una combinazione inappropriata del gene nei cromosomi potrebbe avere conseguenze imprevedibili sia nell'embrione modificato che nei suoi discendenti. Si potrebbero involontariamente attivare geni pericolosi e introdurre una predisposizione al cancro o ad altre malattie.

Ma l'entrata della genetica in campo medico significa anche altri rischi: come verrà usata, da chi e, soprattutto, per quali fini? Le tecnologie per alterare i geni potrebbero servire anche a scopi eugenetici per selezionare e migliorare e non più solo per guarire. Uno degli obiettivi potrebbe essere la "purificazione" da geni deleteri del patrimonio genetico. Daniel E. Koshland, biologo molecolare ed ex direttore della rivista scientifica "Science", ha scritto: "Tenere in vita diabetici con l'insulina, aumentando il propagarsi di una malattia ereditaria, appare giustificato solo se poi si è disposti ad utilizzare l'ingegneria genetica per eliminare il diabete dalla linea germinale, liberando milioni di diabetici dall'angoscia e dai costi".

Un altro scopo della terapia genica sulle cellule germinali potrebbe essere quello di evitare i trattamenti multipli necessari con le modificazioni genetiche su cellule somatiche, come avviene con la fibrosi cistica. Ma c'è chi potrebbe guardare con impazienza a un futuro in cui fosse possibile introdurre nella linea germinale i geni per ottenere le caratteristiche desiderate dai genitori o percepite come bisogni futuri dalla società: prestazioni fisiche o abilità intellettuali.

Finora i genetisti hanno assemblato metà dei 3000 marcatori genetici che servono a comporre la mappa completa del genoma umano e hanno individuato numerose malattie. Hanno isolato, localizzato e fatto la sequenza di quei geni legati a determinate patologie, come per la fibrosi cistica (che colpisce un individuo su 2300), la distrofia di Duchenne (uno su 3000) e la corea di Huntington (uno su 10.000).

I test genetici oggi consentono di individuare prima della nascita e in età adulta i portatori di anomalie cromosomiche e genetiche. Con un prelievo del liquido amniotico alla sedicesima settimana di gravidanza o di villi coriali (un campione del tessuto della membrana che avvolge il feto) alla decima, è possibile scoprire le anomalie che riguardano il numero o la morfologia dei cromosomi, come nella sindrome di Down, o quelle che coinvolgono il Dna: assenza o anomala duplicazione di un gene, errore nella sequenza o assenza di un nucleotide. Sono 180 le anomalie genetiche che si possono rilevare attraverso l'amniocentesi, e circa 500 le malattie delle quali si conosce il gene che le provoca e quindi la sua struttura.

 Aumenta ogni giorno il numero delle patologie che è possibile diagnosticare preventivamente attraverso la tecnica dei marcatori genetici: una insolita sequenza che viene ereditata assieme a un gene presumibilmente "a rischio". Dalle cellule del sangue, utilizzando il Dna ricombinante, i genetisti ricavano il frammento da studiare che marcano radioattivamente e visualizzano con tecniche fotografiche. Il procedimento estremamente sensibile porta a disporre di sonde genetiche che servono come test per identificare la ragione del cromosoma dove il gene sospetto è localizzato. Il Dna deve essere ricavato da una famiglia con un'alta incidenza della malattia genetica e deve essere confrontato con quello di una famiglia sana. Se coloro che si ammalano di una certa malattia condividono la stessa particolare sequenza di Dna, si può dedurre che essa può fungere da marcatore per la malattia.

Utilizzando questa tecnica i ricercatori hanno individuato almeno 350 marcatori di malattie genetiche. Molti di loro sono legati a singoli difetti genetici, come nella corea di Huntington, X fragile, anemia falciforme, emofilia, retinoblastoma, fenilchetonuria, altri hanno rivelato legami a malattie molto più complesse e comuni. Gruppi di geni o geni specifici che predispongono a forme di cancro, enfisema, diabete giovanile, Alzheimer, malattie di cuore, disturbi mentali. Il potenziale di questo tipo di diagnosi suscita dubbi e perplessità etiche e sociali: difficile è stabilire un nesso di causa-effetto quando la malattia è provocata da più geni e soprattutto prendere decisioni di tipo preventivo.

A che serve localizzare e identificare geni specifici che predispongono a una malattia quando non ci sono terapie per curarla? Una donna "sana" che ha una storia familiare di cancro al seno e scopre di avere una mutazione di uno dei due geni, Brca-1 e Brca-2, che predispongono a sviluppare tumore alla mammella, può decidere per esempio di sottoporsi a mastectomia radicale preventiva. Ma se so di avere caratteristiche genetiche per sviluppare Alzheimer?

Anche il test genetico per la corea di Huntington oggi disponibile suscita una questione etica in un certo senso paradigmatica per la predizione di tutte quelle malattie genetiche che insorgono in età tardiva la cui predizione può essere prenatale ma anche avvenire da adulti. La corea di Huntington è una malattia autosomica dominante (cioè i figli di una persona affetta hanno il 50% di rischio di ammalarsi a loro volta) che si manifesta attorno ai quarant'anni (quando il gene può essere già stato trasmesso alla progenie successiva) e per un lungo periodo, che può durare anche vent'anni, si sviluppa gradualmente. Non c'è terapia, né preventiva né curativa, che possa ritardare o attenuare il suo decorso. Nei casi in cui viene identificata in epoca prenatale, la scelta è affidata ai genitori che possono decidere di abortire. Ma cosa fare se la si scopre dopo?

 La diagnosi prenatale su basi genetiche, quando c'è la certezza della anomalia, può essere vista come una benefica medicina preventiva che evita problemi futuri alle famiglie. Ma il rischio che presagiscono gli scienziati, interpretando i risultati della genetica in chiave anche sociale, è che le informazioni genetiche ricavate dai nuovi test e che individuano non lo stato attuale di salute ma la predisposizione o la probabilità a malattie diffuse, come il cancro o l'aterosclerosi, vengano usate fuori dall'ambito medico.

Chi avrà accesso a questo tipo di dati e per quali scopi? Ci sarà un profilo genetico accettabile anche per il datore di lavoro, per le compagnie assicurative che calcoleranno i loro premi in base alle caratteristiche genetiche dei clienti? Man mano che i test prolifereranno, diventando anche meno costosi, aumenteranno i problemi etici legati alla libertà di scelta (si può non desiderare di conoscere il proprio destino biologico) e i problemi legali ed etici connessi al diritto alla segretezza delle informazioni che riguardano la propria salute.

E quando i test genetici incoraggiano la ricerca di tratti della personalità e comportamenti (depressione, violenza, e perfino omosessualità), allora la preoccupazione che possano essere usati come strumenti di discriminazione diventa maggiore. Un timore che esprime chiaramente la sociologa americana Dorothy Nelkin in Dangerous Diagnostics, in cui analizza il potere sociale dell'informazione biologica. Nello scenario immaginato da Lewontin vi sono un ordine e una pace sociale che derivano dalla banca dati del Dna, in cui saranno "schedati" i profili genetici di violenti, criminali, diversi, disoccupati, alcolizzati, drogati e anche malati.

La salute futura significa maggiore produttività. Se il rischio futuro di ammalarsi dovesse diventare il criterio prevalente, gli individui si troveranno confinati in liste nere genetiche, come non adatti al lavoro. Nonostante l'uomo sia più dei suoi geni, la loro mappatura spingerà la società a muoversi in un "territorio genetico", prevede lo studioso di biodiritto George Annas, "e ad agire come se essi determinassero il nostro destino".

 Daniel J. Kevles, nella sua breve storia del Progetto genoma umano, The Code of Codes, esprime preoccupazione perché vede nella medicina genetica moderna una rivitalizzazione e una continuazione dell'eugenetica.

Da quella classica, formulata da Francis Galton nel 1883, di programma sociale "per migliorare e non danneggiare le caratteristiche razziali, sia fisiche che mentali, della popolazione in generale" a quella nuova che si è sviluppata nell'ambito della ricerca sulla genetica umana. Mentre quella classica, partendo dall'idea semplicistica che le leggi generali fossero alla base di comportamenti complessi, selezionava i caratteri migliori (eliminando con incroci selettivi e sterilizzazione coatta i portatori di caratteri negativi), la "nuova eugenetica" individua i caratteri legati a patologie ereditarie identificate da test genetici. Non programmi a lungo termine, ma obiettivi realizzabili subito. L'eugenetica rientra oggi dalla porta di sevizio, come dice il titolo del libro di Troy Duster, Backdoor to Eugenics, e si presenta come "buona". Diventa un programma di tipo familiare per fornire agli individui la possibilità di scelta genetica nelle decisioni riproduttive: per aiutare a eliminare malattie genetiche.

Anche se non ci sono in apparenza le ideologie razziali del passato, il loro fantasma incombe. Lo argomenta Kevles in In theName of Eugenics: "L'eugenetica, ossia 'buono alla nascita' o 'nobile di eredità', come vuole la radice greca della parola, ha perso il suo significato semantico per diventare altro".

È la pervasività della genetica contemporanea, con le sue prospettive di terapia e di prevenzione, che suscita le perplessità dei bioetici. Non si è di fronte a una eugenetica autoritaria, ma all'individuo è lasciata la possibilità di scegliere, scartando sia il feto che risulti afflitto da grave anomalia congenita, sia quello predisposto ad ammalarsi in età adulata. Le nuove tecnologie hanno creato certamente nuovi standard di perfezione e hanno alimentato il desiderio di un prodotto migliorato, di un figlio più che sano, perfetto. L'enfasi sociale alimenta un clima in cui attributi come una minore intelligenza, una possibilità genetica di malattia mentale stabilita su basi statistiche, una predisposizione all'alcolismo, all'obesità, l'eventuale rischio di sviluppare nella mezza età una malattia di cuore, possono diventare motivi per abortire o per eliminare l'embrione nella fecondazione in vitro.

I test genetici prenatali creano simili possibilità e possono incrementare il numero di quelli che semplicemente "non vanno bene": da scartare. In assenza di un counseling per genitori in attesa di un figlio, possono essere utilizzati anche in questo modo oppure, come già accade, per determinare e scegliere il sesso del nascituro.

Eppure i test genetici non sono infallibili e anche quando saranno migliorati in accuratezza e si saranno ampliate le possibilità di diagnosi, resteranno dubbi sull'interpretazione. Quale grado di correlazione deve esserci tra i marcatori genetici e le conseguenti manifestazioni patologiche, fisiche o di comportamento, prima che si decida ad esempio di escludere qualcuno dal lavoro? Chi stabilirà il giusto equilibrio tra il bisogno sociale e istituzionale di stabilità e i diritti dell'individuo? A chi sarà affidata la protezione della riservatezza? Come ridefinire chi è normale o anormale, abile o disabile, sano o malto? Se la predisposizione si trasformerà in anormalità e inabilità, un individuo sarà trasformato in "malato" senza che si manifesti la malattia. Il rischio è di ridurre tolleranza sociale e variabilità e di creare una "sottoclasse biologica" che distingue tra chi ha i geni "cattivi" e chi li ha "buoni".

Le premesse di Galton, dopo le aberrazioni nella prima metà del secolo in nome di una nuova scienza genetica, hanno continuato a persistere nelle dissertazioni di sociobiologi e psicobiologi. Tra le tesi sostenute quella, ad esempio, che l'intelligenza abbia basi genetiche. Un bene che si eredita e non si acquisisce.

Il tentativo di spiegare biologicamente le differenze sociali e di "trasformare lo status quo in una estensione della natura", come ha scritto Steven Jay Gould, biologo dell'evoluzione, è tornato a essere forte. Dalla misurazione dei crani, come fecero nel secolo scorso Samuel Morton e Paul Broca, per quantificare empiricamente l'intelligenza, si è passati poi ai test psicologici per stabilire con una singola quantità numerica il quoziente intellettivo. Ora il rischio è di affidarsi, con gli stessi pregiudizi ideologici, ai test genetici