La società Indiana prima dello sbarco inglese

L’India era, agli inizi del secolo, un paese che andava lentamente destandosi da una quasi immobilità plurimillenaria.

Dalle origini della sua storia, o almeno da quando le popolazioni ariane invasero la parte settentrionale del paese intorno al 1500 a.C. e vi insediarono sottoponendo a sé le popolazioni aborigene di stirpe dravidica, la società indiana non aveva subito trasformazioni sostanziali. La popolazione indiana è sempre stata composta dall’80 al 90 per cento di contadini.

Agli inizi del secolo, circa 300 milioni di contadini indiani coltivavano la terra con l’ausilio di pochi attrezzi rudimentali, di qualche coppia di buoi, ma, soprattutto, con il beneplacito dei monsoni, che sono i veri arbitri dell’agricoltura indiana.

Vivevano come erano sempre vissuti: in centinaia di migliaia di villaggi, composti di case di bambù e fango. Il villaggio è rimasto per secoli in india una comunità chiusa ed autosufficiente.

Una agricoltura di sussistenza provvedeva ai bisogni alimentari degli stessi contadi, degli artigiani, del contabile, del sacerdote, della guardia, ecc., che prestavano la loro opera di beneficio della comunità del villaggio, secondo i bisogni dei singoli, ricevendone in cambio il sostenimento.

Prima dell’avvento degli inglesi, non esisteva in India la proprietà individuale della terra. La collettività del villaggio godeva del possesso stabile della terra che coltivava; aveva la proprietà invece dei suoi frutti il re, dedotta in una quota variante da 1/4 a 1/2 a seconda delle epoche chiamata la "quota del re", che veniva esatta o direttamente o, più spesso, attraverso intermediari chiamati zamidari, dal sovrano.

Questo era praticamente l’unico rapporto tra il villaggio ed il potere politico. Per il resto il villaggio oltreché mantenersi si amministrava da sé, e spesso si difendeva da sé.

Insieme al villaggio autosufficiente, gli altri due cardini della società indiana tradizionale erano la casta e la famiglia patriarcale.

Ogni casta costituisce una corporazione chiusa, che si governa con proprie leggi e statuti. La famiglia patriarcale è l’unità morale ed economica di base. Il patrimonio familiare assorbe i beni acquistati a qualsiasi titolo dai singoli componenti ed è amministrato dal consiglio di famiglia, di cui è capo rispettato il membro maschio più anziano. E’ lui che esercita su tutti i membri del gruppo poteri più ampi di quelli che in occidente si riassumono nella potestà.

Per due millenni il villaggio autosufficiente, la casta, la famiglia gentilizia hanno costituito la trama del tessuto sociale indiano, una trama così robusta da resistere al logorio ed alla consumazione delle strutture statali.

Il regime coloniale inglese

A partire dalla prima metà del ‘700 la compagnia britannica delle indie, costretta quasi suo malgrado a riempire il vuoto di potere causato dal declino dell’Impero Moghul e ad assicurare a essa le condizioni favorevoli allo sviluppo dei suoi traffici, si trasformò da grande impresa commerciale in una grande forza politica e militare e, assumendo il controllo del Bengala, pose la base dell’impero indiano, sotto la spinta della rivoluzione industriale in Gran Bretagna.

Il monopolio della Compagnia fu abolito nel 1813, il commercio con l’India fu liberalizzato e lo sviluppo economico dell’India fu piegato alle esigenze di sviluppo dell’economia britannica

L'industria indiana, prevalentemente artigianale, subì delle enormi modifiche dettate dal regime inglese, diventando così manifatturiera.

Anche nel campo agricolo vi furono dei cambiamenti: i piantatori inglesi costrinsero i contadini indiani a trasformare quella che era un'agricoltura prevalentemente di sussistenza e di autosufficienza, in un'agricoltura basata su piantagioni di cotone, indaco e the.

In questo modo, venne anche rivoluzionata l'economia indiana che basata soprattutto sull'agricoltura e di consumo divenne una economia fondata sullo scambio e sulla moneta. Le modifiche apportate però in campo agricolo non furono solamente queste: per esempio, per far sì che l'impero britannico potesse dispiegare in pieno il proprio dominio in India, fu introdotta la proprietà privata assegnando anche dei proprietari alle terre. Non solo, ma in base alla proprietà il governo inglese faceva pagare un'imposta fondiaria.

L'effetto di questa riforma fu che nello spazio di una generazione i possedimenti hindù passarono in mano ad imprenditori inglesi attraverso espropri, ipoteche e confische.

Insomma, l'economia indiana andava lentamente lacerandosi, visto che gli inglesi immettevano sul mercato i loro prodotti ad un prezzo bassissimo; il "colpo di grazia" venne dato da un forte aumento demografico che si verificò a partire da quel tempo.