Creta, Micene e gli albori della civiltà greca

L’isola di Creta tra mito e storia

Quasi al centro del Mediterraneo orientale, l’isola di Creta sembrava destinata dalla natura a divenire un punto d’incontro di diverse civiltà.

L’isola godeva di un clima molto caldo e assolato simile a quello dei paesi dove sorsero le civiltà dei grandi fiumi.

In questo luogo un popoio mediterraneo riuscì a creare una civiltà che durò dal 2600 fino al 1450 a.C.

Come i Fenici, e forse anche prima, i Cretesi svilupparono la tecnica delle costruzioni navali e della navigazione. Ciò permise loro di commerciare con le altre isole dell’arcipelago greco, con la Grecia peninsulare e con l’Egitto.

Alcune delle più antiche leggende del mondo greco si riferiscono a Creta. Nell’isola nacque Zeus, il padre e il signore di tutti gli dei greci.
Questi, trasformatosi in un toro, rapi la bella Europa, figlia del re dei Fenici, e la trasportò a Creta; poi, ripresa la forma umana, la sposò.
Da questo matrimonio nacque Minosse.
Sempre secondo la leggenda, Minosse divenne re di Creta e creò un grande impero commerciale: dal suo nome la civiltà di Creta fu detta minoica. In realtà, le leggende riportano fatti accaduti in tempi remoti, arricchiti e trasformati poi nei racconti.

Il rapimento di Europa si riferisce probabilmente a un episodio di pirateria, che infatti era praticata anche dai Cretesi.

Quanto al toro, in cui si era trasformato Zeus, esso era un simbolo religioso di fertilità, di potenza e di ricchezza e come tale veniva adorato a Creta e altrove, per esempio in Egitto.

Infine, il nome Minosse fu forse un titolo che si dette ai più antichi re di Creta.

La religione cretese non aveva santuari né templi: i luoghi di culto erano in grotte e boschi o presso le fonti. Venivano venerate diverse divinità femminili, e in particolare la dea madre della Terra.

Un ruolo importante durante le cerimonie veniva svolto dalle donne, che nella società cretese erano tenute in grande considerazione, tanto che il nome e il patrimonio della famiglia erano trasmessi ai figli dalla madre e non dal padre.

Una civiltà urbana pacifica e ricca di arte

I Cretesi furono un popolo di contadini, pescatori, artigiani e commercianti. Le loro città, tra cui primeggiavano Cnosso, Festo e Mallia, erano probabilmente indipendenti e in pace fra loro. Esse sorgevano intorno ai grandi palazzi dei re, composti di numerosi saloni, stanze, terrazze, scalinate, giardini. In essi trovavano sede gli uffici dell’amministrazione e della corte, i depositi dei viveri, i magazzini dei prodotti destinati al commercio. Erano, nello stesso tempo, residenze dei re e templi religiosi.

Nessun muro chiudeva il palazzo cretese e nessuna fortificazione lo difendeva: l’architettura dell’edificio si adattava in modo quasi naturale all’ambiente e all’andamento del terreno. Le pareti erano splendidamente decorate con affreschi dai colori vivacissimi che mostrano scene gioiose di vita quotidiana, raffigurata con grande spontaneità e nella quale la natura ha un posto di tutto rilievo. Sulle pareti del palazzo di Cnosso sono affrescate processioni religiose o scene di donne che partecipano a feste.

Abbiamo anche una rappresentazione di una giostra con il toro, un’audace prova di abilità consistente nell’evitare con un salto acrobatico la carica di un toro, simbolo di fertilità, potenza e ricchezza. Altrettanto preziosa e raffinata fu l’arte della ceramica cretese. Vasi lavorati con estrema abilità, decorati a colori con disegni geometrici o figure di animali o di fori e piante, venivano prodotti ed esportati dappertutto, dall’Egitto alla Grecia, all’Asia Minore e alla Mesopotamia.

Il mistero del crollo della civiltà cretese

Gli scavi archeologici a Creta furono iniziati nei primi anni del Novecento dall’archeologo inglese Evans. Vennero riportati alla luce i grandi palazzi, a cominciare da quello di Cnosso, e i prodotti di un artigianato prezioso e raffinato: vasi, unità di misura e di peso, oggetti d’argento e d’oro lavorati, armi, sigilli di anelli, tavolette scritte.

Grazie a questi scavi, si poté scoprire tra l’altro che i Cretesi utilizzavano un sistema di numerazione decimale e una scrittura con vocali e consonanti già simile a quella greca. Inoltre furono rinvenuti molti oggetti d’origine assiro-babilonese, egizia e fenicia, a dimostrazione degli intensi scambi commerciali intrattenuti dalla popolazione dell’isola con le civiltà vicine. Tuttavia ben poco sappiamo ancora oggi sul motivo per cui tale civiltà, verso il 1450 a.C., improvvisamente crollò.

Certamente l’isola fu invasa da più popoli; l’ultima invasione, appunto intorno al 1450 a.C, fu quella degli Achei, provenienti dalla città greca di Micene. Si parla anche di un terribile terremoto che distrusse almeno una parte dell’isola.

Questi avvenimenti segnarono la fine di una grande civiltà. Creta non fu più in grado di riprendersi, ma gran parte della sua tradizione e della sua cultura furono raccolte dalla vicina Grecia.

Il popolo degli Achei e la civiltà micenea

Verso il 2000 a.C. la Grecia venne invasa da popoli nomadi provenienti dalle pianure della Russia meridionale.

Uno di questi popoli, gli Achei, si stabilì nel Peloponneso, la penisola che costituisce la parte più meridionale della Grecia. Qui gli Achei fondarono alcune città: Micene, Argo, Tirinto, Pilo. Erano città-fortezze situate in posizioni strategiche, difese da imponenti mura con due o tre sole porte d’accesso.

Proprio dal nome di una di esse, Micene, la loro civiltà prese il nome di civiltà micenea. Gli Achei erano soprattutto guerrieri e il loro re era, in genere, il capo più valoroso. Questi distribuiva le terre e i bottini di guerra, amministrava la giustizia e l’economia, e decideva le spedizioni militari.

Ogni città era indipendente e spesso in guerra con le altre. La vita economica si svolgeva grazie al lavoro dei contadini, degli artigiani, degli schiavi. Tra il 1600 e il 1200 a.C. gli Achei divennero anche marinai, commercianti, probabilmente pirati. Le tombe dei principi hanno rivelato armi magnificamente lavorate, gioielli, maschere funebri d’oro, ceramiche decorate con scene di caccia e di guerra. Molti di questi oggetti erano il bottino di imprese militari.

E in effetti numerosi miti e leggende, così come i grandi poemi di Omero l’Iliade e l’Odissea, ricordano alcune imprese degli Achei. Tra queste la conquista di Creta e la di struzione di Troia (1230 a.C.), un’importante narra città situata sulla costa dell’Asia Minore, da dove controllava il commercio con il mar Nero.

L’invasione dorica e le sue conseguenze

Tra il XII e il IX secolo a.C. la Grecia fu invasa da popoli nomadi. Gli invasori più numerosi e forti, i Dori, riuscirono a provocare il crollo della civiltà micenea. I precedenti abitanti della Grecia (Ioni ed Éoli) si ritirarono nel Nord della penisola o fuggirono, emigrando verso l’Asia Minore.

Per circa 400 anni (1200-800 a.C.) la Grecia attraversò un periodo di crisi. Le manifestazioni artistiche e culturali perdettero la ricchezza del periodo cretese e miceneo. L’economia si basò per lo più sul pascolo, sull’allevamento del bestiame e sulla coltivazione del grano nelle scarse pianure.

L’organizzazione politica rimase dapprima quella degli Achei: ogni centro era governato da un re, scelto tra le famiglie nobili più importanti.

Oltre ai nobili, proprietari di terre e guerrieri, esistevano altri uomini liberi, che si dedicavano all’agricoltura e al commercio e avevano minore importanza nella società. Infine esistevano gli schiavi, utilizzati per i lavori agricoli e domestici.

La nascita della polis

La natura del territorio greco, in gran parte montuoso, impedì il formarsi di un unico grande Stato. Ogni piccola porzione di territorio faceva quindi capo a un diverso centro abitato, che non era mai molto vasto. Già nel periodo più antico, le città erano indipendenti l’una dall’altra e avevano governi autonomi.

Ciascuna città greca, insomma,rimase un piccolissimo Stato a sé, o, come dicono gli storici, una città-stato.

La città-stato, o "polis", era, prima ancora che un insieme organizzato di abitazioni, una comunità di cittadini, una società politica. La parola pélis racchiudeva, quindi, due importanti significati:

quello di "città" in senso materiale, vale a dire l’insieme degli edifici, delle vie e delle piazze, cinti di regola, ma non sempre, da mura fortificate;

quello, soprattutto, di città in senso giuridico, ovvero di comunità di uomini liberi, militarmente e politicamente organizzata per scopi comun

Di conseguenza, essere cittadini significava fare parte di un tutto, cioè di una collettività in cui anche le funzioni religiose erano comuni.

Tutta la vita pubblica era legata a formalità religiose, per cui l’empio (colui che non prestava ossequio agli dei) era escluso dalla comunità, come del resto il forestiero. Fare collettivamente sacrifici agli dei contribuiva a rinsaldare fra i cittadini quel sentimento di unione profonda e sacra che era alla base della stessa pòlis.

Le caratteristiche della polis

La polis sorgeva generalmente in prossimità di un’altura: nella parte alta, l’acropoli, avevano sede gli edifici pubblici o religiosi, come il tempio, mentre la vita comune si svolgeva prevalentemente nella piazza, chiamata agorà, situata al centro della città, nella parte bassa. L’agorà era il luogo dove si svolgeva la vita politica collettiva e dove si tenevano le assemblee.

All’assemblea (che si chiamava ecclesia ad Atene, apella a Sparta) potevano partecipare tutti gli uomini liberi, cioè coloro che godevano del diritto di cittadinanza. Questi erano i maschi adulti che possedevano beni, e che perciò non avevano bisogno di lavorare; molto a lungo appartennero a questa categoria solo i proprietari di terre, poi si aggiunsero anche i commercianti e gli artigiani.

Dalla vita pubblica erano in ogni caso esclusi i forestieri e le donne, ol- tre ovviamente agli schiavi. La piazza era anche la sede del mercato cittadino. La mattina presto vi arrivavano i contadini, gli allevatori e i pescatori, mentre artigiani e commercianti esponevano la loro mercanzia.

Nella ressa non mancavano imbroglioni e borsaioli, ma c’era anche una sorta di polizia addetta al controllo sia delle persone che delle merci. Cittadini della polis non erano però soltanto gli abitanti della zona urbana vera e propria, ma anche quelli di tutta la campagna circostante su cui si estendeva il controllo della città-stato.

L’ELOGIO DELLA POLIS

Il grande filosofo greco Aristotele, nella sua opera La politica, scrive un vero e proprio elogio della polis, che, in quanto comunità di uomini, è superiore sia al singolo individuo che alla famiglia. Risulta subito evidente che ogni città è una comunità e che ogni comunità si costituisce proponendosi per scopo un qualche bene [...]. La comunità che si costituisce per la vita di tutti i giorni è per natura la famiglia. La prima comunità, che deriva dall’unione di più famiglie volte a soddisfare un bisogno non strettamente giornaliero, è il villaggio.

La comunità perfetta di piu villaggi costituisce ormai la città (cioè la polis), che ha raggiunto quello che si chiama il livello di autosufficienza e che sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza. Perciò ogni città è un’istituzione naturale [...].

Da ciò dunque è chiaro che [...] l’uomo è un animale che per natura deve vivere in una città e che chi non vive in una città, per la sua propria natura e non per caso, o è un essere inferiore o è più che un uomo E nell’ordine naturale la città precede la famiglia e ciascuno di noi. Infatti il tutto precede necessariamente la parte [...].

È dunque chiaro che la città è per natura e che è anteriore all’individuo, perché se l’individuo, preso da sé, non è autosufficiente, esso sarà rispetto al tutto nella stessa relazione in cui lo sono le altre parti [...]. Per natura, dunque, c’è in tutti lo stimolo a costituire una siffatta comunità: chi per primo l’ha fondata è stato la causa dei maggiori beni. Infatti l’uomo, che, se ha realizzato i suoi fini naturali, è il migliore degli animali, quando non ha né leggi né giustizia è il peggiore.

Il lento passaggio dalla monarchia alla democrazia

L’organizzazione politica delle città nel periodo miceneo aveva forma di monarchia. L’invasione dei Dori distrusse invece la struttura monarchica della civiltà micenea: il potere fu preso dall’ aristocrazia, cioè dai nobili, gli unici ad avere la forza economica e militare per governare la polis, in quanto possedevano la maggior parte delle terre e fornivano il nucleo più importante dell’esercito della città.

L’economia della Grecia cominciò, però, a mutare nell’VIII secolo a.C. All’agricoltura e all’allevamento si aggiunse la produzione artigianale e si moltiplicarono i contatti commerciali marittimi con altri popoli. La fondazione di colonie, iniziata nel 750 a.C. circa, favorì l’esportazione di prodotti finiti e l’importazione di materie prime. Un importantissimo mutamento nell’economia della Grecia fu l’abbandono del baratto per l’introduzione della moneta (VII secolo a.C.): come strumento di scambio delle merci, ma anche come capitale per acquistare gli strumenti necessari per la produzione artigianale.

Il denaro, inoltre, cominciò a essere prestato con gli interessi a chi voleva iniziare un’attività. Per coniare le monete furono usati metalli preziosi (oro e argento), che si conservavano bene, occupavano poco spazio e avevano un peso relativamente scarso.

Nascevano, dunque, molti nuovi mestieri, e coloro che li praticavano, in numero sempre crescente, costituirono un nuovo gruppo sociale, che tra il VII e il VI secolo lottò contro il potere dell’aristocrazia. Il governo degli aristocratici, essenzialmente proprietari terrieri, era infatti entrato in contrasto con gli interessi del gruppo sociale dei commercianti e degli artigiani.

Questi vedevano nel governo aristocratico un’ oligarchia, cioè il potere oppressivo di pochi su tutti. Il primo frutto di questa lotta fu un mutamento nell’amministrazione della giustizia. Alle leggi conservate solo come consuetudini e tramandate oralmente furono sostituite leggi scritte (600 a.C.), la stesura delle quali fu affidata ad appositi esperti, i legislatori.

Sebbene le prime norme emanate da questi fossero rozze e severe, segnarono comunque un progresso rispetto a una situazione che riconosceva come lecita persino la vendetta privata. Un secondo importante mutamento fu l’estensione dei diritti politici, tra cui l’accesso alle cariche pubbliche, a tutti i cittadini che avessero un certo reddito minimo. Con queste conquiste politiche ebbe inizio, in alcune città greche, il mutamento che avrebbe condotto alla democrazia. Alla conquista di altre terre:la colonizzazione greca

Le colonie

Tra l’VIlI e il VI secolo a.C. molte città greche erano riuscite a raggiungere una certa potenza e prosperità. Ma il grande problema di tutte era la scarsità di terre coltivabili: ciò comportava conflitti, lotte civili, indebitamenti e carestie.

Questa fu la causa più importante di un grandioso movimento migratorio, che durò circa due secoli ed ebbe come effetto la creazione di un grande numero di colonie greche sulle coste di tutto il Mediterraneo e del mar Nero. Le città fondatrici di colonie furono dette metropoli. Le più importanti furono Mileto e Focea, che colonizzarono tutto il mar Nero, ma anche parte del Mediterraneo, dove fondarono l’odierna Marsiglia (Francia).

La maggior parte delle colonie greche furono fondate nell’Italia meridionale e in Sicilia, tanto che queste regioni furono poi indicate con un unico nome: Magna Grecia. In Magna Grecia furono fondate Napoli (chiamata allora Partenope), Paestum e Cuma in Campania; Taranto in Puglia; Metaponto in Basilicata; Sibari, Crotone, Locri e Reggio in Calabria; Siracusa, Milazzo, Messina (chiamata Zancle), Agrigento (Akragas), Gela, Catania, Lentini e Selinunte in Sicilia.

Le colonie ebbero una grandissima importanza economica. Grazie ai trasporti marittimi, infatti, aumentarono enormemente gli scambi commerciali. Dalle colonie sul mar Nero arrivavano pellicce, grano, pesce, metalli; dall’Italia meridionale sale, pesce, legnami. Ognuna di queste regioni richiedeva a sua volta i prodotti greci: ceramiche, tessuti, armi, oggetti lavorati. Le nuove colonie divennero ben presto indipendenti e, pur mantenendo buoni rapporti con la madrepatria, si diedero proprie leggi.

Inoltre, coloro che emigravano erano principalmente poveri, e quindi esclusi dai diritti civili. Di conseguenza, in assenza di aristocratici che tentassero di mantenere i propri privilegi, nelle colonie si diffuse una maggiore libertà. Non a caso, le prime leggi scritte furono emanate proprio nelle colonie.

La società cittadina e le lotte politiche e sociali

In ogni città greca esistevano dunque gruppi sociali diversi. Le famiglie nobili fornivano i combattenti meglio equipaggiati perché potevano procurarsi le armi migliori e più costose. Essi guidavano in genere le spedizioni militari, armavano piccole navi per la pirateria e il saccheggio.

Altri uomini liberi, di minor prestigio, coltivavano la terra, allevavano il bestiame, producevano oggetti lavorati e tessuti, praticavano il piccolo commercio, ma restavano esclusi dal governo. Inoltre esistevano uomini che non avevano diritti politici: i meteci gente proveniente da altri luoghi (oggi li chiameremmo "immigrati"), che col passare del tempo divennero molto numerosi e importanti. Essi infatti gestivano il commercio, l’artigianato, i lavori di sfruttamento delle miniere le attività bancarie e del credito, persino le prime assicurazioni marittime.

Esistevano infine gli schiavi: anch’essi all' inizio poco numerosi, divennero in seguito la base economica del lavoro cittadino. Tutti questi gruppi avevano interessi diversi e tentavano di farli valere. In particolare: gli aristocratici cercavano di mantenere il potere; gli altri uomini liberi volevano riequilibrare a proprio vantaggio la situazione politica; i meteci cercavano di entrare nella società con pieni diritti, data la loro importanza economica; gli schiavi avevano poche prospettive (alcuni potevano essere liberati dal padrone) e talvolta provocarono rivolte anche sanguinose. La storia greca di questi secoli è quindi anche la storia dei conflitti politici ed economici fra i diversi gruppi sociali all’interno delle varie città-stato.

La comparsa dei tiranni

Tutto ciò avvenne in un periodo di tempo assai lungo, che vide di volta in volta la vittoria dell’uno o dell’altro partito. Per risolvere i conflitti interni le città, a volte, si affidavano a un abile uomo politico che riuscisse a mantenere un giusto equilibrio politico e sociale. Questa figura fu il tiranno, parola che significava allora "signore". In genere, il tiranno era un aristocratico, perché inizialmente non esistevano esperti uomini politici di origine popolare. Ma, proprio per la loro capacità politica, i tiranni si resero spesso conto che do- vevano trovare un accordo con i democratici.

Questo per due motivi:

l’economia cittadina aveva bisogno anche del sostegno del popoìo che esercitava i vari mestieri;

gli aristocratici, poco numerosi, non erano più in grado, da soli, di costituire l’e- sercito cittadino

Le guerre sempre più frequenti comportavano il richiamo alle armi allargato a tutti i cittadini. La fanteria degli opliti (soldati rivestiti di pesanti corazze e con scudo tondo) divenne presto lo strumento militare più efficace delle città.

Nelle flotte delle città marittime occorrevano poi buoni marinai e forti rematori, attività dure e faticose, praticate in genere dai più poveri. In cambio della loro partecipazione alla guerra, i cittadini poveri chiesero e spesso ottennero la piena partecipazione alla vita politica, ma anche l’abolizione dei debiti e la distribuzione delle terre. I tiranni che accolsero le richieste del popolo si inimicarono tuttavia l’aristocrazia.

Si verificarono allora casi di dura lotta fra i tiranni e gli aristocratici. In sqstanza, molti tiranni finirono per esercitare un governo che, anche se portava vantaggi al popolo, era tuttavia duro e spietato (e da qui nacque il nuovo significato negativo della parola "tiranno"). Fu anche per questo che, una volta ridimensionato il potere degli aristocratici, il sistema di affidare il governo delle città ai tiranni venne abbandonato.

Quelli che erano ancora al potere furono esiliati e talvolta uccisi.

Un’economia in pieno sviluppo

Fra l' VIII e il VI secolo a.C. lo sviluppo economico delle città-stato greche fu intenso. In agricoltura, la coltura specializzata della vite e dell’olivo si aggiunse alla tradizionale coltivazione del grano, che dava bassi rendimenti a causa della natura del suolo greco, arido e sassoso.

Inoltre l’allevamento del bestiame, oltre a fornire carne, latte e formaggi, permetteva anche la lavorazione della lana e del cuoio. Furono le città greche dell’Asia Minore a promuovere i primi scambi commerciali di questi prodotti, grazie ai loro rapporti con i regni orientali. Il commercio si sviluppò così sempre di più. Gli artigiani greci impararono ben presto anche la raffinata tecnica orientale della manifattura dei tessuti utilizzando la lana delle loro greggi.

Perfezionarono inoltre la lavorazione del cuoio, del legno e dei metalli. Ma l’attività artigianale più importante di molte città greche fu la fabbricazione delle ceramiche. Vasi, coppe, anfore, piatti, a volte splendidamente decorati e dipinti, si diffusero presto in tutto il mondo mediterraneo.

Forse furono proprio il fiorire della vita economica e la varietà dei mestieri che essa consentiva a far sviluppare nei Greci quell’individualismo che rese il cittadino greco particolare e diverso dai suoi contemporanei.

La religione dei Greci: divinità, luoghi di culto e feste

I rapporti fra le diverse città greche furono anche religiosi. I Greci ebbero infatti una comune religione. Essi erano politeisti, credevano cioè in molte divinità, che immaginavano immortali e dotate di capacità soprannaturali, ma simili all’uomo nell’aspetto, nel carattere e nei sentimenti.

Secondo la mitologia greca, gli dei abitavano sul monte Olimpo (nel Nord della Grecia) in splendidi palazzi, mangiavano cibi (il nettare) e gustavano bevande (l’ambrosia) di particolare bontà, proteggevano o perseguitavano gli uomini e le città secondo il loro capriccio, erano imparentati fra loro ma spesso divisi da rivalità. Capo di tutti gli dei era Zeus (Giove per i Romani), dio del cielo, del fulmine e del tuono, con il quale nessuno poteva competere.

Egli stesso però era sottomesso al Fato (destino), una forza misteriosa e invisibile alla quale tutti sottostavano. Zeus era circondato da numerosi altri dei, ognuno con una propria funzione e con particolari attributi. Era (per i Romani Giunone), sua moglie, proteggeva le nascite e i matrimoni. Una figlia famosa di Zeus era Atena (la Minerva dei Romani); era la divinità della sapienza, la protettrice delle lettere e delle arti.

Apollo, altro figlio di Zeus, era il dio del sole. Amava e favoriva la poesia, la musica, le arti; conosceva il futuro e poteva predirlo agli uomini.

Sua sorella Artemide (Diana) fu identificata con la luna e proteggeva la caccia e le foreste

Anche Ermes (Mercurio) era figlio di Zeus. Egli si prendeva cura dei viaggiatori, dei commercianti, degli oratori e dei ladri. Era inoltre il messaggero degli dei: veniva rappresentato con un largo cappello alato e due piccole ali legate alle caviglie.

Dioniso (Bacco) era di bellissimo aspetto. Era il dio del vino e delle feste e prometteva ai suoi seguaci l’immortalità.

Ares (Marte) era invece il dio della guerra; veniva raffigurato sempre in armatura.

Afrodite (Venere), nata dalla spuma del mare, era la più bella fra tutte le dee e, ispirando l’amore, sottometteva alla sua volontà ogni essere, umano o divino.

Suo figlio Cupido, armato di arco e frecce, colpiva il cuore di chi voleva far innamorare.

Fratello di Zeus era Posidone (Nettuno), dio del mare, che poteva concedere una buona navigazione o scatenare tempeste violentissime.

Sotto il vulcano Etna, in Sicilia, aveva la sua officina il protettore dei fabbri e del fuoco, Efesto (Vulcano), che lavorava i metalli con l’aiuto dei Ciclopi, giganti con un occhio solo.

Ade (Plutone), altro fratello di Zeus, regnava sottoterra, dove vagavano le anime dei morti. Egli aveva rapito e portato con sé Persèfone (Prosèrpina), figlia di Demetra (Cerere), la dea della fertilità della terra e delle coltivazioni. Proprio il dolore di Demetra aveva allora reso sterile la terra. Un accordo era stato infine trovato: ogni anno, a primavera, Persefone sarebbe tornata dalla madre per qualche mese. Persefone divenne così il simbolo della vegetazione che ogni anno rinasce dal suolo.

Santuari e città sacre

I luoghi che si credevano frequentati dagli dei erano ritenuti sacri e venivano chiamati santuari. Nella Grecia antica erano famosi quelli dedicati al dio Apollo a Delo e a Delfi; all’interno di queste aree consacrate venivano costruiti tempietti o altari dedicati al dio. A Delfi inoltre ci si recava per interrogare lo stesso Apollo, nella convinzione che il dio potesse dare una risposta (oracolo) tramite una sua sacerdotessa.

La città sacra più nota fu tuttavia Olimpia, dove sorsero i grandi templi dedicati a Zeus e alla moglie Era. Qui, sembra a partire dal 776 a.C., venivano celebrati ogni quattro anni i giochi olimpici, vere e proprie gare sportive. Vi partecipavano tutti i Greci, che giungevano anche dalle colonie più lontane e che, per l’occasione (come nel caso di altre feste religiose), interrompevano le guerre in corso tra le città.

I templi furono costruiti in tre stili diversi, chiamati dorico, ionico e corinzio secondo le diverse forme dei capitelli e delle colonne. Sull’acropoli di Atene sorsero il Partenone e l’Erettèo, famoso per la loggia delle Cariatidi, statue di donne che sorreggono l’architrave al posto delle colonne. Anche nella Magna Grecia, cioè nell’Italia meridionale e in Sicilia, sorsero templi famosi, come quelli di Paestum, di Agrigento, di Segesta e Selinunte.

Una cultura più ricca delle altre

Oltre che una religione comune, i Greci ebbero una stessa lingua e una stessa cultura questo diede loro un senso di appartenenza a una stessa civiltà e, in definitiva, a una stessa grande madrepatria, che li portò a dividere gli abitanti del mondo allora conosciuto in Greci e barbari.

La cultura dei Greci raggiunse un livello altissimo, al quale nessun’altra civiltà di quel tempo può nemmeno lontanamente paragonarsì Per renderci conto della sua importanza occorre partire dalla filosofia, una di- sciplina che nacque in Grecia e che intende spiegare la realtà, l’origine e il perché delle cose con il ragionamento e non rifacendosi a una leggenda. Essa indaga anche sull’uomo, sul suo modo di essere, di pensare e di conoscere, sulle varie forme che la sua attività può assumere (politica, storia, arte, religione), su ciò che è bene e su ciò che è bello.

Moltissimi furono i filosofi greci degni di nota. Tra i più antichi si ricordano Talete di Mileto (VII-VI secolo a.C.), secondo il quale tutte le cose nascono dall’acqua, e Democrito, che nelV secolo a.C. sostenne che le cose sono composte di minuscole particelle chiamate atomi. Tuttavia i filosofi più grandi furono Socrate, che morì nel 399 a.C., Platone (427-347 a.C.) e Aristotele (384-322 a.C.). Fondamentali esponenti del pensiero scientifico furono Pitagora (571-497 a.C.), il fondatore della geometria Euclide (III secolo a.C.), Archimede di Siracusa (287-212 a.C.), l’astronomo Eratostene (275-195 a.C.) e Ippocrate (V-IV secolo a.C.), fondatore della medicina scientifica. Fu lui il primo ad affermare che è compito del medico scoprire ed eliminare quelle cause con cure appropriate.

La ricerca storica ebbe, a sua volta, almeno due grandissimi esponenti: Erodoto (V secolo a.C.), che per primo cercò di spiegare gli eventi storici con il ragionamento (e non come semplici manifestazioni del volere o del capriccio degli dei secondo le convinzioni diffuse nel suo tempo), e Tucidide (V-IV secolo a C) il primo a comprendere la necessita di controllare la fondatezza delle testimonianze e dei documenti (le cosiddette "fonti" delle notizie) ai quali sì riferiva.

Grandissima importanza ebbe in Grecia il teatro. Nacquero i due generi letterari della tragedia (con Eschilo Sofocle, Euripide) e della commedia con Aristofane. Il teatro fu in Grecia uno spettacolo popolare: nei grandi teatri all’aperto si rappresentavano spettacoli ai quali i cittadini più poveri potevano assistere gratuitamente. Finanziare con propri contributi gli spettacoli era un onore molto ambito dai cittadini più ricchi o da coloro che cercavano di conquistarsi una popolarità politica.

Infine, nel campo della poesia epica, dobbiamo almeno ricordare due grandi poemi l’Iliade, che narra la guerra di Troia, e l’Odissea, racconto del viaggio di Odisseo (o Ulisse) verso Itaca, la sua patria, dopo quel lungo conflitto.

Attribuiti a Omero, essi sono in realtà opere tramandate a voce per cinque o sei secoli da narratori o cantastorie (i rapsodi) che le cantavano nei banchetti e in altre feste collettive, arricchendole continuamente. Omero fu, forse, solo uno di questi cantori, particolarmente famoso. L’Iliade e l’Odissea furono trascritte solo intorno al VI secolo a.C.

È certamente in Grecia, infine, che nasce la poesia lirica, una poesia che descrive i sentimenti dell’individuo. Essa è in sostanza molto vicina a ciò che ancor oggi si intende per poesia. Furono grandi poeti lirici del VII eVI secolo a.C. Alceo, Archiloco, Anacreonte, Alcmane e la poetessa Saffo.