La società feudale

Il feudo

È alla base dell organizzazione territoriale e politica medievale.

Si tratta di un territorio più o meno esteso, concesso dal sovrano a nobili di provata fedeltà perché essi lo amministrino.

Costoro, però, non lo controllano direttamente, ma lo suddividono e ne assegnano le varie parti a feudatari di minor prestigio.

Lo scopo è quello di riuscire difendere la terra in un' epoca nella quale manca un solido potere centrale capace di farlo.

Nasce e si sviluppa la società feudale

Nel lungo periodo di tempo che va dall'incoronazione di Carlo Magno (800) all'affermarsi del Sacro Romano Impero germanico (962) la società europea subì una profonda trasformazione: nacque e si consolidò il sistema feudale, basato sul feudo, che, a partire dai territori dell'impero carolingio, via via si estese a molti paesi del continente.

In quel periodo diverse autorità politiche governavano i territori europei: l'imperatore, il pontefice, molti principi e sovrani.

Lo stesso imperatore bizantino possedeva alcune regioni italiane e la penisola balcanica.

L'investitura: privilegi e doveri del feudatario

L'assegnazione di un feudo avveniva con una cerimonia solenne chiamata investitura.

Essa iniziava con il giuramento di fedeltà e di obbedienza.

Colui che doveva ricevere il feudo (il vassallo) rendeva omaggio a chi lo concedeva (il signore) mettendosi in ginocchio, disarmato e a capo scoperto.

Egli giurava quindi di essergli fedele, di aiutarlo a combattere i suoi nemici, di mettere al suo servizio anche la propria famiglia e i propri amici.

Dopo il giuramento, il signore "investiva" il vassallo del beneficio: gli affidava cioè il territorio del feudo, ponendo nelle sue mani i simboli dei poteri e delle ricchezze ma anche dei suoi obblighi (una zolla di terra, una spiga di grano, una spada, una chiave, una sciarpa o un vessillo con i propri colori o stemmi.

Insieme al feudo il sovrano concedeva al vassallo alcuni importanti privilegi, le cosiddette immunità: l'autorità sugli abitanti del feudo, il potere di comando civile e militare, il diritto di amministrare la giustizia, direttamente o tramite suoi giudici.

Il vassallo poteva inoltre riscuotere le tasse, sia per sé che a nome e per conto del signore dal quale aveva ricevuto l'investitura.

Nei confronti del signore, il vassallo aveva un assoluto dovere di fedeltà, a prezzo della sua stessa vita. Il signore, a sua volta, doveva difenderlo e proteggerlo con tutta la sua potenza.

Il feudalesimo comportava quindi un rapporto personale e diretto fra il sovrano e i feudatari; lo stesso tipo di rapporto via via si allargava verso il basso, fino a raggiungere il valvassino.

Quando un vassallo tradiva questo rapporto, si macchiava del delitto di tradimento o fellonìa.

Il vassallo traditore (fellone) poteva essere privato del feudo, che veniva concesso a un altro vassallo, più fedele.

In questo caso egli perdeva ogni diritto e privilegio e veniva cacciato

 LA FEDELTÀ DEL VASSALLO

Riportiamo una parte della lettera con cui nel 1020 Fulberto, vescovo di Chartres, spiega a Guglielmo, duca di Aquitania, quali sono i doveri del vassallo nei confronti del signore da cui ha ricevuto in concessione il feudo.

Chi giura fedeltà al suo signore deve sempre avere presenti queste cose: salvezza, sicurezza, onore, interesse.

Salvezza vuol dire che nessun danno deve patire il signore nel suo corpo.

Sicurezza vuol dire che nessun danno deve patire la sua residenza, o i luoghi forti che la rendono sicura. Quanto all' onore, nulla dev'essere fatto a danno della sua giustizia o di altre cose che riguardano il suo onore.

Quanto all'interesse, nulla che possa nuocere ai suoi beni. Conviene al vassallo guardarsi dal mancare a queste norme; ma ciò non basta per essere meritevole del feudo. Infatti, non basta astenersi dal male, bisogna fare anche il bene.

Bisogna adunque che nelle cose sopradette egli presti fedelmente consiglio e aiuto al suo signore, se vuole parere degno del benefizio e degno della fede giurata. Anche il signore deve in tutte queste cose rendere la pari al suo vassallo.

Se non lo farà, sarà giustamente chiamato malfido (= traditore) e così pure il vassallo, se sarà convinto di perfidia e di spergiuro per avere mancato a una di quelle cose.

L'economia curtense, un' economia autosufficiente

Ciascuno dei numerosissimi castelli e monasteri presenti sul territorio europeo costituiva il centro politico, economico e sociale di una piccola regione.

Poiché i trasporti erano difficili e pericolosi, la produzione modesta, il denaro in circolazione altrettanto scarso, tutti i castelli e i monasteri tendevano a diventare autosufficienti, consumando alloro interno ciò che producevano, in modo da garantire la sopravvivenza dei propri abitanti e di quelli delle terre vicine, in un' epoca in cui le guerre, le scorrerie, le epidemie e le carestie rendevano la vita difficile.

Gli acquisti e le vendite delle merci erano rari e di modesto valore. Essi si realizzavano solo su base locale e nel luogo relativamente più ricco e più sicuro, dove si incontravano i contadini, gli artigiani e i mercanti: si trattava della corte del signore feudale del luogo o il più vicino monastero.

L'economia del tempo che ebbe tali caratteristiche, è definita dagli studiosi "economia curtense".

Contadini e servi della gleba

L'agricoltura era l'attività principale di castelli e monasteri. Il signore, come anche l'abate del monastero, faceva direttamente coltivare parte delle proprie terre; in genere le più vicine, da servi; costoro erano legati alla terra, che non potevano abbandonare, e venivano comprati e venduti con essa.

Chiamati servi della gleba essi vivevano in condizioni misere e potevano essere liberati soltanto dal proprietario.

Altre terre del feudatario o del monastero, in genere più lontane, venivano affidate a famiglie di contadini, per periodi lunghissimi.

L'affidamento di queste terre era regolato da contratti particolarmente rigidi, che legavano i contadini alla terra per molto tempo.

Tuttavia i contadini, spesso lontani decine di chilometri dal monastero proprietario della terra, a volte riuscivano, col tempo, a impadronirsi definitivamente del terreno loro affidato.

Talvolta lo riscattavano pagando somme di denaro; in altri casi lo usurpavano con l'aiuto dei nobili locali, anch'essi desiderosi di ingrandire i propri domini a svantaggio di quelli dei monasteri.

DOCUMENTO - IL GIURAMENTO DEL SERVO

In questo documento dell'VIII secolo un contadino toscano promette a un signore di divenire servo della gleba nella sua proprietà.

" In base a questa carta io, coi miei figli e i miei nipoti, prometto che dovremo abitare i giorni della nostra vita in quella casa e migliorare le cose di detta casa. E per ogni anno dobbiamo dare per ciò a te e ai tuoi successori due moggi (antica unità di misura agraria) di grano, due moggi di farro, cinque anfore di vino, metà delle olive, il maggese (terreno lasciato a pascolo) per un animale, a Pasqua un paio di polli, dieci uova, e dovremo fare quei servizi che per consuetudine fanno anche gli altri massari (contadini) del luogo. Prometto poi coi miei figli e nipoti a voi e ai vostri successori che, se non ci caccerete via e non ci graverete più di ciò che è stato fissato, ove da parte nostra non si osservasse quanto sopra è stabilito o mancassimo in qualche cosa nei vostri confronti, pagheremo trenta soldi d'oro. E di quanto stabilito tra noi vengono fatti due atti scritti dello stesso tenore rogati" (scritti e firmati da un notaio).

Le classi sociali nell' età feudale

Ai filosofi e agli studiosi dell' epoca la società appariva divisa in tre grandi ordini o classi di persone. Si trattava di:

- coloro che combattevano per difendere il feudo e la sua popolazione: i nobili (cioè feudatari e cavalieri)

- coloro che pregavano: gli ecclesiastici

- coloro che lavoravano per procurare il cibo: i contadini.

Questa distinzione così netta non rappresenta tutte le situazioni presenti nella società feudale.

Esistevano, infatti, anche altre figure, come i notai, i mercanti, i giudici, i medici, gli artigiani.

I contadini, che rispetto ai servi della gleba erano liberi, erano in genere poveri, ma qualcuno di essi poteva essere relativamente benestante.

Inoltre, vi erano aristocratici nobili che non possedevano altro che le armi e il cavallo. Alcuni di questi, combattendo, riuscivano a loro volta a conquistarsi un feudo. Anche nella Chiesa, a fianco di vescovi o abati ricchi e potenti, esistevano moltissimi parroci o monaci privi di qualsiasi ricchezza o fortuna.

D'altra parte, vi furono poveri monaci che divennero abati, vescovi o persino papi.

Una nuova classe:sociale: la cavalleria

Come abbiamo appena visto, non tutti i nobili erano ricchi e potenti.

Infatti, quando i feudatari ottennero il diritto di trasmettere il feudo in eredità ai propri figli, adottarono il sistema di lasciarlo tutto intero al solo figlio maggiore, per non indebolirlo frazionandolo.

Ai figli minori (o figli cadetti) restavano due possibilità: servire nella Chiesa e tentare di farvi carriera oppure diventare combattenti di mestiere, come cavalieri, e cercare fortuna e ricchezza in altri luoghi.

Proprietari soltanto delle armi e del cavallo, ma spesso assai abili nel combattere, i cavalieri si posero al servizio di altri nobili o di città o di monasteri, oppure si trasformarono in veri e propri mercenari.

Non di rado si resero responsabili di violenze e saccheggi.

La Chiesa seppe abilmente sfruttare la propria autorità per fare della cavalleria una vera e propria classe sociale, dando ai cavalieri un peso e un ruolo nella società, ed evitando, così, la loro eventuale ostilità.

L'investitura o consacrazione del cavaliere divenne una cerimonia religiosa. La Chiesa dette all'ordine cavalleresco un vero e proprio codice morale di comportamento.

Alla base di tale codice furono posti i valori della religiosità, della lealtà, della giustizia e della difesa delle categorie più deboli (vedove, orfani, malati, poveri), contro la violenza, la prepotenza e l'ingiustizia.

La cavalleria ebbe un successo enorme in tutta l'Europa del tempo.

Nacquero allora i più importanti poemi cavallereschi e racconti legati alle imprese dei cavalieri erranti, uomini intrepidi e generosi, senza macchia e senza paura, che viaggiavano in cerca di avventure.

La vita quotidiana di contadini e feudatari

La società feudale ci appare come una società rozza, dura e spesso violenta, dominata dalla povertà e dalla preoccupazione di assicurarsi la sopravvivenza.

In particolare le condizioni di vita dei contadini furono quasi sempre assai difficili.

Essi vivevano in catapecchie, non sempre avevano abbastanza da mangiare, dovevano cedere al signore non solo una parte dei prodotti, ma anche delle giornate di lavoro gratuito (le Corvee).

Pagavano tasse di ogni genere: per l'uso dei ponti, delle strade, dei pascoli, dei boschi per raccogliere la legna, dei mulini e dei forni per il pane: tutto era di proprietà del signore.

Potevano anche pagare tasse per il solo fatto di essere al mondo, o per avere il permesso di sposare una donna di un altro villaggio.

In questa società povera e talvolta crudele, la Chiesa rappresentva spesso un'opportunità per migliorare la propria vita.

Per sincera devozione religiosa, ma anche perché c'erano poche alternative, molte persone si rifugiarono nei monasteri, dove era possibile ottenere vitto, rifugio, alloggio, abiti, istruzione e trovare anche occasioni di lavoro.

Persino la vita del più fortunato fra gli individui del tempo, il signore feudale, non appare come una vita comoda.

Egli disponeva di cibo in abbondanza e possedeva servi, cavalli, terre, castelli. Tuttavia viveva in una situazione di continuo pericolo e doveva guardarsi da nemici che in qualsiasi momento potevano aggredirlo.

La guerra, che a quel tempo era soprattutto scontro fisico, corpo a corpo, fu e rimase il suo ambiente naturale.

Persino i suoi passatempi, quando non combatteva, non se ne allontanavano di molto: si trattava soprattutto di caccia e di tornei cavallereschi, scontri con armi vere che non avevano lo scopo di uccidere l'avversario ma di atterrarlo e sottometterlo. Benché non prevedessero lo spargimento di sangue, i tornei si concludevano spesso con feriti più o meno gravi e talvolta con la morte di qualche partecipante.

I numeri arabi in Occidente

Abbiamo ricordato che numerose scoperte o innovazioni si diffondono a volte molto lentamente, come avvenne nel caso dell'alfabeto o della moneta. l'introduzione dei numeri arabi (o indiani, perché furono ideati in India) nell'Europa occidentale, pur essendo considerata una delle più importanti innovazioni che dobbiamo al Medioevo, avvenne a prezzo di forti resistenze e opposizioni.

 Secondo lo storico e matematico inglese John Barrow l'avvento dei numeri indo-arabi è stata la più grande rivoluzione dell'ultimo millennio. E la dobbiamo al papa Silvestro II che aveva studiato in Spagna e insegnò il nuovo modo di contare a generazioni di ecclesiastici. Fu una battaglia epica ma alla fine i numeri arabi ebbero il sopravvento; erano più pratici e funzionavano meglio.

In effetti ancora oggi, quando scriviamo per esempio Ottone III o Silvestro II, utilizziamo la numerazione romana. In tale numerazione il numero I (uno) con il proprio valore di unità qualsiasi posizione occupi: così, IV (quattro) vale come "uno meno di cinque", in XII (dodici) valeuno e uno più di dieci e così via. Nella numerazione indo-araba, invece, un numero come III ha un valore completamente diverso dalla somma delle singole cifre: vale infatti centoundici e non tre, come il numero III della numerazione romana.

Proprio a causa di una differenza così grande non solo nella scrittura, ma proprio nel modo di pensare i numeri, per lungo tempo mercanti e banchieri si opposero ai numeri arabi. Secondo loro, i nuovi numeri si prestavano agli inganni e alle falsificazioni, mentre quelli romani erano molto più sicuri.

E tuttavia, se è vero che il papa Silvestro II conosceva e faceva conoscere i numeri arabi, non fu lui a diffonderne l'uso in Europa. Ci vollero infatti almeno altri due secoli prima che essi venissero adottati, grazie ai lavori di alcuni studiosi come lo spagnolo Gondisalvo e l'italiano Fibonacci. Il primo scrisse un Libro dei numeri degli Indi e il secondo un Libro dell'abaco, due opere che furono utilizzate per tutto il Duecento. In esse si parlava di geometria, aritmetica, come pure di equazioni di primo e secondo grado. Il vero successo fu dovuto quindi alla necessità dei mercanti e dei banchieri del tempo di utilizzare tale numerazione a fini pratici. E infatti, secondo il cronista Villani, a Firenze nel 1340 ben mille ragazzi studiavano nelle scuole di abaco della città.

La numerazione araba, inoltre, fu adottata dai naviganti e dagli astronomi per i loro calcoli.

Il monastero e le sue terre

I monasteri, intorno all'anno Mille, erano divenuti grandi centri di potere. L'abate - capo religioso e politico del territorio controllato dal monastero - e i suoi monaci detenevano notevoli estensioni di terre e per poterle lavorare avevano bisogno dell'aiuto di molti contadini. Questi potevano essere uomini liberi, proprietari o affittuari, che in ogni caso pagavano un tributo al monastero; o, per lo più, dipendenti diretti, liberi e servi, che dovevano prestare anche il loro lavoro a favore dei monaci.

Chi lavorava alle dipendenze di un monastero godeva di condizioni di vita migliori in quanto i monaci erano meno esigenti dei grandi feudatari; essi erano infatti solo gli amministratori delle terre e non i diretti proprietari. Spesso inoltre le distanze dei poderi dal monastero erano molto grandi e i contadini vi si recavano una sola volta l'anno.

Talvolta erano le stesse famiglie contadine che si mettevano sotto la protezione del monastero. Questo infatti poteva garantire una certa sicurezza, difendere dalle prepotenze dei signori, fornire il bestiame da lavoro e gli aratri, anticipare il grano per la semina. Ogni monastero era inoltre un vero e proprio centro di produzione e di scambio: quello di Farfa, per esempio, aveva un laboratorio di tessitura dove lavoravano 55 donne.

La distinzione fra uomini liberi e servi era comunque valida anche per il monastero: i primi in genere coltivavano poderi, pagando un tributo annuale. I secondi invece lavoravano solo per il monastero, ma avevano in cambio vitto, alloggio e il vestiario. Nelle terre del monastero si rispettava rigidamente il riposo domenicale e quello delle feste religiose, circa 30 in tutto l'anno. Il vitto dei servitori consisteva in pane, minestre, verdure e una certa quantità di carne di maiale. Le vesti erano molto semplici: tuniche e tonache di lana, a volte un mantello per quelli che lavoravano all'aperto.

Non sempre le condizioni di vita erano dure: a volte il monastero aveva bisogno di nuovi lavoratori, per dissodare le foreste o introdurre colture specializzate. Allora si concedevano alle famiglie condizioni molto più favorevoli, che in genere venivano rispettate. Inoltre i contadini di un monastero potevano integrare le loro risorse con gli usi comuni. La legna dei boschi, i pascoli, la caccia e la pesca erano di godimento comune e offrivano così sia una risorsa materiale che una distrazione ai tanti giorni di lavoro e di fatica.

I cristiani a Costantinopoli

Fra il 532 e il 537 l’imperatore fece costruire a Costantinopoli la celebre basilica di Santa Sofia, impiegandovi il lavoro di ben 10.000 operai. La costruzione di un tempio tanto gigantesco significò anche il definitivo trionfo della fede cristiana: infatti nella capitale dell'impero d'Oriente vi erano quattordici chiese, tutte attivamente frequentate dalla vasta popolazione cittadina.

Le feste cristiane si celebravano con grandi processioni, alle quali interveniva lo stesso imperatore con la sua famiglia. Le case venivano benedette durante la Pasqua, mentre i pescatori davano nomi di santi alle loro barche e i contadini chiedevano la benedizione del raccolto e degli animali. Nelle piazze e nelle strade si discuteva spesso di religione; secondo un cronista del V secolo: "questa città è piena di artigiani e di schiavi che predicano nelle botteghe e nelle strade. Se chiedi il prezzo del pane, ti spiegheranno perché il Figlio differisce dal Padre. Se vuoi cambiare della moneta, ti diranno che il Figlio è stato creato dal nulla."

Tra il popolo era molto diffuso il culto delle reliquie: si veneravano frammenti della croce di Gesù, la lancia che lo aveva ferito, la tavola dell'Ultima Cena. Tutte queste reliquie, insieme quelle dei santi, erano conservate nelle chiese, dove venivano ammirate dal popolo. Nelle proprie case, invece, il popolo pregava davanti a immagini della Madonna, del Cristo o dei santi dipinte su legno, le celebri icone.

Molto rispettati da tutti erano gli eremiti e gli asceti, uomini di fede ritiratisi in luoghi isolati a vivere in penitenza. Per esempio, proprio a Costantinopoli, il monaco Daniele viveva in cima a una colonna alta venti metri, dove restò per ben trentatré anni, fino alla morte.

I religiosi erano per la maggior parte monaci, che vivevano e lavoravano nei monasteri, dove creavano splendidi mosaici, trascrivevano antichi testi greci e latini, componevano musica sacra. Nelle chiese invece venivano tenute le più importanti cerimonie della vita cristiana: qui veniva praticato il battesimo, si celebravano i matrimoni e si tenevano le messe per i defunti, che venivano sepolti nei cimiteri posti fuori dalla mura della città.

Il castello e le sue terre

 

Il signore viveva con i suoi familiari in poche stanze buie, fredde, quasi prive di mobili, che si trovavano nel mastio, la più imponente delle torri del cortile.

Le finestre e le aperture erano poche, per potersi difendere meglio dai nemici ma anche dal freddo. Sul tetto, sulle torri, sulle mura venivano realizzati camminamenti e luoghi di vedetta per le sentinelle.

Le mura terminavano in alto con dei merli per riparare gli uomini. I primi castelli vennero costruiti interamente in legno; solo dopo il Mille si cominciò a usare la pietra, più solida e sicura, ma più costosa.

Su questo cortile si affacciava la sala grande, un vasto locale usato per banchetti e ricevimenti, riscaldato da un camino e spesso decorato con stemmi e trofei.

Sempre nel cortile si trovavano i magazzini per i viveri e le stalle, gli alloggi dei servi e talvolta degli artigiani (fabbri, falegnami, maniscalchi) e una cappella per le funzioni religiose. All'interno delle mura, in caso di pericolo, potevano trovare rifugio anche gli abitanti dei territori vicini.

Come vivevano le famiglie contadine prima dell'anno Mille?

Le condizioni di vita non erano uguali per tutti e potevano esserci a volte anche differenze molto grandi.

Le terre di una signoria infatti si dividevano in due categorie: le terre dominicali (appartenenti direttamente al signore) e quelle beneficiate, che da lui venivano concesse in affitto (o censo). I contadini che gestivano queste ultime terre dovevano quindi pagare un censo annuo, che spesso era basso ma era corrisposto in denaro, oltre ad alcuni altri tributi, perlopiù modesti.

I contadini che invece lavoravano le terre dominicali pagavano sia il censo che una lunga serie di tributi e di servizi, arrivando talvolta a lavorare esclusivamente nell'interesse del signore anche tre giorni alla settimana. Dovevano inoltre pagare le imposte annuali e versare la decima per la Chiesa. In molti castelli, inoltre, questi contadini erano obbligati a macinare il grano presso il mulino del signore e a tagliare la legna nelle sue foreste, e in entrambi i casi dovevano ricompensarlo per l'uso del mulino e del bosco. Molto spesso, infine, dovevano consegnargli un certo numero di animali ogni anno.

La proprietà era divisa in tanti poderi, spesso molto sparsi, tanto da occupare le terre di più villaggi. La famiglia contadina era piuttosto numerosa, formata in media da circa dieci persone, a volte con qualche servo. Non tutti i contadini infatti erano servi: molti erano liberi (ingenui) e si erano sottoposti volontariamente al signore in cambio di aiuto e protezione.

Il signore, infatti, accoglieva i contadini nel castello in caso di pericolo, amministrava con la sua autorità la giustizia, facendo rispettare appositi statuti approvati d'intesa con i capifamiglia. Coordinava anche l'attività agricola, facendo dissodare i terreni strappati alle foreste e introducendo nuove colture, come l'olivo e la vite. Non bisogna inoltre dimenticare che ogni corte signorile era isolata: rapporti commerciali e scambi erano quasi inesistenti. E nella corte i contadini potevano scambiare i loro prodotti con i fabbri, i falegnami e altri artigiani.

La casa contadina era piccola, con una sola porta. Le finestre erano poche e molto strette, per ripararsi dal freddo. Un grande camino dominava la cucina, affiancata dalla stalla per gli animali, che serviva d'inverno da luogo di raduno. In altre due camere dormiva il resto della famiglia. L'acqua veniva presa da un pozzo o una sorgente e i bagni erano all'aperto. Le condizioni di vita tuttavia potevano variare anche molto da regione a regione.