Impero e Papato: la lotta per le investiture
Quando, nella lotta per le investiture, Enrico IV sollevò i vescovi tedeschi contro il papa, quest'ultimo lo scomunicò, facendo in modo che venisse abbandonato da molti suoi sostenitori.
All'imperatore non rimase che chiedere perdono: lo fece raggiungendo il castello di Canossa e inginocchiandosi davanti a Gregorio VII.
La guerra per le investiture continuerà anche dopo la morte di questi due uomini, ma l'atteggiamento di sottomissione mostra già la debolezza di un'organizzazione statale, quella imperiale, che di lì a poco sarebbe definitivamente decaduta.
Agli inizi del secondo millennio la Chiesa attraversava una profonda crisi.
Nella società feudale essa aveva svolto varie preziose funzioni: aveva mantenuto vivo il messaggio cristiano della pace e della fratellanza e tenuto sotto controllo l'irrequietezza dei cavalieri, aveva condannato le maggiori violenze e, in qualche caso, era anche riuscita a evitarle.
Ma la Chiesa, come tutte le istituzioni, era fatta di uomini, con le loro debolezze.
Molti erano entrati a farne parte senza un' autentica vocazione, per questioni di potere politico o, semplicemente, per trovarvi da vivere.
Col passare del tempo, insomma, la Chiesa sembrava aver dimenticato la propria missione spirituale.
Vescovi, abati, cardinali, gli stessi pontefici erano spesso governanti, amministratori, signori feudali, piuttosto che pastori di anime o capi di comunità religiose.
Parecchi di loro vivevano nella ricchezza e nel lusso e tenevano una propria corte come i principi.
Alcuni sacerdoti, poi, avevano famiglia, perché l'obbligo del celibato ecclesiastico (il divieto di prendere moglie) non veniva rispettato.
Non di rado le cariche ecclesiastiche, con le rendite e i poteri che procuravano, venivano acquistate e rivendute per denaro. Altre volte le autorità della chiesa assegnavano in beni e le proprietòà della chiesa stessa ad amici, parenti, sostenitori.
Si rese allora necessaria una riforma, i cui più tenaci assertori furono i monaci del più grande monastero deòòa Francia, quello di Cluny, fondato in Borgogna nel 910.
Essi pretendevano innanzitutto una maggiore severità e moralità nel comportamento degli ecclesiastici, e poi una maggiore autonomia dei monasteri rispetto ai vescovi-conti e ai signori feudali.
Le idee di rinnovamento di Cluny ebbero successo in tutta l'Europa: nel quadro di un' opera di moralizzazione, gli abati più corrotti e disonesti furono allontanati, fu proibita la vendita dei beni dei monasteri e si fece rispettare la regola del celibato. Dai monasteri si diffuse l'idea di una riforma della Chiesa.
Nuovi ed energici papi la sostennero: tra essi il più attivo fu Gregorio VII.
Gregario VII pubblicò nel 1075 un testo destinato a diventare famoso: il Dictatus papæ: (cioè, una dichiarazione del papa). In questo documento il pontefice proclamava la superiorità della Chiesa su qualsiasi autorità politica, in quanto ogni potere sulla terra era dovuto alla volontà di Dio, e questa volontà poteva essere legittimamente interpretata solo dal papa e dalla Chiesa.
Il pontefice e solo il pontefice, quindi, aveva il diritto di consacrare e deporre i sovrani, e lo stesso imperatore, nonché quello di liberare i sudditi dal dovere di obbedienza e di fedeltà verso i regnanti che giudicava indegni.
Riaffermata la superiorità della Chiesa su ogni altro potere, Gregario VII realizzò tutta una serie di riforme che miravano a esercitare nei fatti questa superiorità.
Egli costituì dei tribunali della Chiesa, che avevano lo scopo di giudicare tutti i processi in cui erano coinvolti rappresentanti ecclesiastici, togliendoli alla giustizia dei sovrani o dei signori feudali.
Creò inoltre un diritto ecclesiastico, cioè un insieme di leggi molto differenti da quelle civili, che i tribunali ecclesiastici dovevano applicare nei loro giudizi.
Gregario VII confermò anche, e anzi rafforzò, l'obbligo del celibato per gli ecclesiastici, con l'obiettivo di moralizzare i loro comportamenti, ma anche allo scopo di evitare che le ricchezze della Chiesa fossero usate da molti a fini personali e familiari.
Proclamò infine l'assoluta autorità della Chiesa di Roma e del papa sia sulle Chiese locali sia sulle assemblee e sui concili, per impedire che si diffondessero divisioni e separazioni.
Per comprendere i motivi per i quali Gregorio VII agì con tanta durezza e determinazione dobbiamo considerare la situazione del tempo. Lasciare le Chiese locali libere di regolarsi da sole significava anche lasciarle senza difesa in mano ai potenti del luogo. Sovrani, principi, signori feudali cercavano infatti di porle sotto il loro controllo, si impadronivano delle cariche ecclesiastiche, usavano i poteri e le proprietà della Chiesa per i propri fini.
Riprendendo direttamente il potere sulle Chiese locali, Gregorio VII volle evitare che ciò continuasse ad avvenire; egli pensava che in questo modo la Chiesa sarebbe stata libera dall'influenza di altri poteri e sarebbe stata capace di svolgere i suoi compiti: per Gregorio VII i principali tra questi erano diffondere il messaggio del Vangelo, pregare, aiutare i poveri, assistere i malati e i deboli.