Il Viaggio di Marco Polo

Giovinetto di diciassette anni, Marco Polo (Venezia 1254-1324) accompagnò il padre e lo zio Matteo nel secondo viaggio nella lontana Cina.

Raggiunta per mare Lajazzo, allora frequentatissimo porto (l'odierna Ayas sul golfo di Alessandretta), i Polo iniziarono nel 1271 il viaggio verso l'interno, con la compagnia di due domenicani inviati dal papa che però, spaventati dalle prime difficoltà incontrate sul cammino, tornarono indietro quasi subito.

Attraversata l'Anatolia e l'Armenia, i Polo scesero al Tigri, toccando probabilmente Mosul e Bagdad, oppure Tabriz, e giungendo al porto di Ormuz, forse con l'intenzione di proseguire il viaggio via mare; decisero invece di continuare lungo la via terrestre e, attraverso la Persia e il Khorasan, raggiunsero Balkh e il Badakhshan; in quaranta giorni di durissimo cammino superarono il Pamir (il cui nome compare per la prima volta nel Milione) e scesero poi verso il bacino del Tarim, toccando Kashgar, Yarkand, Khotan e Lop, senza tuttavia vedere il Lop nuur; attraversato il deserto di Gobi con grandissima difficoltà, pervennero ai confini del Catai, nel Tangut, la provincia più occidentale della Cina (odierna Gansu), da dove proseguirono lungo la parte settentrionale dell'ansa del Fiume Giallo (Huang he) arrivando infine a Khanbalik (la Cambaluc di Marco Polo), l'odierna Pechino, dopo un viaggio durato tre anni e mezzo circa.

I Veneziani furono ricevuti con molta festa da Kubilay (che Matteo e Niccolò avevano già visitato nel loro primo viaggio), il quale non solo li accolse alla propria corte, permettendo loro di osservarne la vita in ogni particolare, ma si affezionò talmente a Marco, che ne fece il suo uomo di fiducia, cui affidava missioni ufficiali o personali anche nelle regioni più remote del suo Impero, fino in Birmania.

Marco ebbe così modo di conoscere assai bene le condizioni di vita e i costumi di molte regioni dell'Asia, e svolse il suo compito con grande cura, raccogliendo le notizie che potevano interessare l'imperatore e osservando tutto con scrupolosa precisione.

Dopo diciassette anni di soggiorno nel Catai i Veneziani sentirono il desiderio di tornare in patria: l'occasione si presentò quando Kubilay li incaricò di accompagnare in Persia la bellissima principessa Cocacín, promessa sposa del sovrano di quel regno.

Attraversato il Mangi, cioè la Cina meridionale, la spedizione giunse al porto di Zayton (probabilmente presso l'odierna Amoy), donde nel 1292 si imbarcò su tredici navi, veleggiando quindi lungo le coste dell'Indocina (chiamata Ciampa da Marco Polo), della penisola di Malacca, di Sumatra ("Piccola Giava"), di Ceylon, dell'India, dove avvistò anche le Nicobare e le Andamane, e infine della Persia, fino a Ormuz. La missione alla corte persiana fu compiuta consegnando la principessa non al promesso sposo, che nel frattempo era deceduto, ma a suo nipote.

Dopo una lunga sosta i Polo ripresero il cammino lungo il percorso già noto, e ritornarono infine a Venezia nel 1295, dopo ventiquattro anni di assenza.

Scarse sono le notizie su Marco negli anni posteriori al ritorno.
Si suppone che, fatto prigioniero nella battaglia di Curzola (7 settembre 1298), combattuta tra Veneziani e Genovesi, egli trascorresse un breve periodo di prigionia a Genova, durante il quale dettò il racconto dei suoi viaggi a Rustichello da Pisa, che li narrò, non senza interventi personali, in francese. Tornato in patria a pace conclusa, sposò Donata Badoer, di nobile famiglia, e da lei ebbe tre figlie. La stessa data di morte (8 gennaio 1324) è stata accertata soltanto di recente.

I contemporanei e i posteri immediati, che poterono leggere nella redazione originale Le livre de Messer Marco Polo, citoyen de Venise, appelé Milion, où sont décrites les Merveilles du monde, furono coloro che ne poterono apprezzare tutta la grandezza.

Un giudizio significativo è quello dato da Pietro d'Abano: "Marco il Veneziano, l'uomo che ha viaggiato di più e che meglio ha conosciuto il nostro globo": sembra di leggere in queste parole una celebrazione del grande viaggiatore simile a quella dettata da Dante per il suo Ulisse.

La ricchezza delle notizie fornite dal Milione dischiudeva agli uomini dell'Occidente i misteri dell'Asia sconosciuta e sterminata e perciò il libro ebbe presto rinomanza in tutti i paesi, ed esercitò un'enorme influenza sia sui mercanti, dei quali sollecitava la sete di guadagni, sia sui missionari, a cui ispirava il desiderio di raggiungere quelle terre per propagarvi la fede, e fu strumento prezioso per la redazione delle carte dell'Asia, che utilizzarono i dati in esso riferiti.