I Longobardi
Longobardi, popolo del gruppo dei Germani orientali. (L'origine del nome non è sicura: forse dalla lunga alabarda o, meno probabilmente, dalla lunga barba. Il loro nome più antico era Vinili.)
Stanziati nel I sec. lungo il corso inferiore dell'Elba, travolti più tardi dagli Unni, migrarono poi lentamente verso SE giungendo nei primi decenni del VI sec. nella Pannonia, regione mediodanubiana già sfruttata e abbandonata dagli Ostrogoti e parzialmente occupata dai Gepidi, pure germanici, e dagli Avari, provenienti dalle steppe russe.
Nomadi rozzi e bellicosi, in parte pagani in parte ariani, sotto il re Alboino abbatterono i Gepidi con l'aiuto degli Avari (566-567); ma per la difficoltà della convivenza con questi, più forti e aggressivi, poco dopo emigrarono in massa (da 200 a 300.000, di cui forse 40 o 50.000 armati) verso l'Italia bizantina contro la volontàdell'imperatore Giustiniano, che ne aveva riconosciuto lo stanziamento in Pannonia.
Sotto la guida di Alboino, entrati in Italia dal passo del Predil (568), occupata Forum Iulii(Cividale del Friuli), si sparsero per la Val Padana senza incontrare apprezzabili resistenze, salvo che a Pavia, che cadde dopo un lungo assedio (571) e venne eletta a capitale. Seguendo la dorsale appenninica, in Toscana e di là si diffusero nei territori di Spoleto e di Benevento, stabilendo stanziamenti irregolari, senza un piano prestabilito; i Bizantini poterono conservare tutte le coste e larghi tratti del retroterra veneto, emiliano-romagnolo (Esarcato) e marchigiano (Pentapoli), la Puglia, la Calabria, il Napoletano, il ducato romano, la Liguria e una zona trasversale di fortezze tra la Pentapoli e il ducato romano: un complesso di regioni che divideva la penisola a mezzo, avendo al centro la Romania, cioè i territori appartenenti all'Impero bizantino, e da una parte e dall'altra la Longobardia o Langobardia, ossia i territori occupati dai Barbari. I nomi di Romagna e di Lombardia, allora apparsi, assunsero nei secoli seguenti gli attuali significati restrittivi.
Il regno dei Longobardi, territorialmente e politicamente incoerente, mantenne soprattutto all'inizio il carattere negativo di una occupazione militare da parte di una casta guerriera privilegiata, senza riuscire ad assumere quelli di un vero Stato, nonostante che, nell'ultimo periodo (VIII sec.), i più illuminati fra i sovrani longobardi si sforzassero, assimilando gli elementi della popolazione locale, di creare una maggior coesione fra i sudditi e cercassero, nella comune fede cattolica (dopo la conversione dall'arianesimo, iniziata col VII sec.), un rafforzamento interno, contrastato però proprio dai pontefici, timorosi di un eccesso di potenza del regno. Quest'ultimo durò dal 568 al 774, provocando in sostanza la definitiva rottura dell'unità dell'Italia e ritardandone sotto molti aspetti il progresso civile anche se alcuni storici moderni, attenuato il severo giudizio di un tempo, hanno posto in luce le difficoltà obiettive di fronte alle quali si arenarono i tentativi longobardi.
Ai primi due re, Alboino (572) e Clefi (574), entrambi assassinati, seguì un decennio di anarchia, nel corso del quale i duces, ossia i capi militari che avevano concorso alla conquista dell'Italia e se l'erano divisa (pare fossero 35 o 36, quattro alla testa di grandi ducati, quelli del Friuli, di Trento, di Spoleto e di Benevento, gli altri alla testa di ducati minori o minimi), governarono senz'alcuna intesa tra loro, come altrettanti sovrani indipendenti; fu in questo periodo che la popolazione subì dagli invasori le più gravi violenze, specialmente le classi più abbienti che andarono incontro a un vero e proprio sterminio. Si riferisce appunto a ciò un oscuro e controverso passo di Paolo Diacono (che fu lo storico dei Longobardi e rimane la principale fonte di quell'epoca) secondo cui in quei tempi molti nobili romani furono uccisi per cupidigia.
Gli altri furono divisi per hospites e fatti tributari con l'obbligo di dare ai Longobardi la terza parte dei loro prodotti. (His diebus multi nobilium Romanorum ob cupiditatem interfecti sunt. Reliqui vero per hospites divisi, ut tertiam partem suarum frugum Langobardis persolverent, tributarii efficiuntur.) Questo passo venne a lungo interpretato nel senso che tutta la popolazione italiana sarebbe stata resa in condizione di completa servità e privata di ogni diritto, almeno per un certo tempo; ma non sembra, alla critica moderna, che ciò potesse esser possibile, e probabilmente la frase si riferisce solo ai grandi proprietari terrieri: la generalità degli Italiani avrebbe avuto, invece, la condizione giuridica di aldi. Comunque quest'epoca di interregno dovette certo essere durissima per le popolazioni soggette; alla minaccia di un'azione congiunta di Bizantini e Franchi alleati contro di loro, i duchi s'indussero a restaurare la monarchia ed elessero re Autari (584-590) accettando una relativa soggezione alla sua autorità e concedendogli per esercitarla una base economica (terre demaniali, amministrate da castaldi regi nei singoli ducati) e militare (prestazione di servizio sotto le insegne reali) e altre, sia pure limitate, prerogative.
Non insensibile alle suggestioni della civiltà latina, Autari (che assunse il gentilizio imperiale di Flavio) si adoperò per dare un certo ordine e una certa disciplina al regno e per frenare gli arbitri dei duchi nei confronti del re e dei sudditi, pur conservando l'assoluta supremazia dei Longobardi sui Romani. Ma, grazie al suo matrimonio con la principessa bavarese Teodolinda, cattolica, che regnò anche dopo la morte di lui come moglie del successore Agilulfo (591-616), ebbe inizio la conversione dei Longobardi al cattolicesimo, di cui fu attivissimo zelatore il papa Gregorio Magno, la cui opera risultò limitata per l'influenza dell'abate Secondo di Non, che aderiva allo scisma tricapitolino ed era la guida spirituale della regina. Sotto Agilulfo, auspice il papato, si stabilì un regime di pacifica convivenza tra Bizantini e Longobardi, che contribuì a tener fuori dei confini d'Italia altri Barbari (Franchi, Avari, Slavi). Ad Agilulfo succedettero un re cattolico, Adaloaldo (616-626), quindi due ariani, Arioaldo e il più famoso Rotari (636-652),che,approfittando delle difficoltà di Bisanzio, riprese la politica di espansione in Italia e conquistò Oderzo nel Veneto e la Liguria, e legò il suo nome al celebre editto (643) che codificò le antiche consuetudini del popolo longobardo, non senza temperamenti dovuti all'influenza romana e cristiana.
Dopo Rotari, i re della cosiddetta dinastia bavarese, iniziata da Ariperto nipote di Teodolinda, precipitarono di nuovo il regno nell'anarchia per ben sessant'anni (653-712), funestati da guerre per la corona, da violenti contrasti tra la parte cattolica, in progressivo aumento, e la parte ariana, da attacchi ai confini e da tentativi bizantini di ricuperare l'Italia (spedizione di Costante II, 663-668). Le sorti del regno furono risollevate da Liutprando (712-744) che, assumendo come fervente cattolico la veste di difensore del papa nella guerra dell'iconoclastia sferrata dall'imperatore bizantino, ritenne tempestiva e giusta una grande azione intesa a liberare definitivamente l'Italia da Bisanzio e a ridurla tutta in potere dei Longobardi. Ma, pervenuto attraverso i domini imperiali fino al castello di Sutri, fu fermato dal papa Gregorio II che, per tenerlo lontano da Roma (dove il potere imperiale era già da molto tempo praticamente, se non formalmente, decaduto, e sovrano di fatto era il pontefice), lo indusse a ritirarsi e a fare la celebre donazione ai santi Pietro e Paolo del castello medesimo di Sutri (728, anno assunto come data di nascita del dominio territoriale della Chiesa).
Liutprando ripeté più tardi l'impresa, e ancora vi rinunciò, di fronte a papa Zaccaria, e donò agli apostoli altri castelli (742). Il consolidamento del potere temporale del papato, subìto o voluto in buona fede da Liutprando, preparò tuttavia fin da allora la fine del Regno longobardo, mentre gli storici d'oggi rimproverano a Liutprando di aver sciupato una preziosa occasione per unificare l'Italia e costituire un solido Stato. Il successivo sovrano Astolfo (749-756), divenuto re dei Longobardi dopo un periodo di crisi seguito alla morte di Liutprando, riprese la politica di conquista dell'Italia bizantina, ma col proposito, benchè ormai tardivo, di non cedere più di fronte al papato: occupati Ravenna e l'Esarcato, la Pentapoli e Spoleto, e risoluto a spingersi fino a Roma, provocò la decisiva alleanza tra il papato e il regno dei Franchi (già preparata da tempo) e l'intervento in Italia di Pipino il Breve, il quale, con due vittoriose spedizioni, costrinse Astolfo a cedergli i territori tolti ai Bizantini e li donò all'apostolo Pietro (756, Promissio Carisiaca), creando così, regnante papa Stefano II, il nucleo degli Stati della Chiesa (parte dell'Emilia, Marche, Umbria parte della Toscana, Lazio), destinati a durare undici secoli.
Gli estremi tentativi di Desiderio (756-774), associato nel regno col figlio Adelchi, di rompere l'alleanza franco-papale e di svolgere una politica, se non di espansione, di conservazione del regno, naufragarono; portarono anzi al consolidamento di quell'alleanza e all'intervento in Italia di Carlo (Carlo Magno), sollecitato da papa Adriano I. Il sovrano franco, presentatosi in veste di protettore della Chiesa, sconfisse alle Chiuse di Susa l'esercito longobardo, fece prigioniero Desiderio dopo aver conquistato Pavia e costrinse all'esilio Adelchi, rifugiatosi per un'estrema resistenza a Verona (774). Carlo assunse il titolo di re dei Longobardi, ma in effetti il regno dei Longobardi cessò di esistere: vinte le successive ribellioni dei duchi e sostituitili coi suoi comites franchi, sventato un disperato tentativo di Adelchi di riaffermarsi in Italia, Carlo cedette la corona ferrea (l'insegna del regno dei Longobardi) al figlio Pipino (781).
Il regno dei Longobardi prese allora il nome di Regnum Italiae, e dopo l'800 entrò organicamente a far parte del Sacro romano impero conservando Pavia come capitale. Degli antichi ducati longobardi rimase in vita solo quello di Benevento, ma sotto l'alta sovranità franca, anche nei suoi successivi frazionamenti (Benevento, Salerno, Capua), e le dinastie originarie vi sopravvissero sino agli scorci dell' XI sec. Monarchia elettiva, come si è visto, quella dei Longobardi non raggiunse mai, nemmeno nei suoi anni migliori (la prima metà dell' VIII sec.), organicità, coerenza e fisionomia di Stato, sia per la discontinuità territoriale, sia per lo spirito d'indipendenza dei duchi, sia per la tenace sopravvivenza nel popolo delle tradizioni germaniche originarie. I re, residenti a Pavia, avevano come collaboratori diretti dei fedeli (gasindi) e dei funzionari (castaldi o gastaldi). Le forze militari erano fornite dai duchi; l'amministrazione finanziaria, rudimentale; la giustizia, esercitata dapprima secondo le consuetudini germaniche non scritte, dopo l'emanazione dell'editto di Rotari (integrato da alcuni dei suoi successori) s'incanalò verso forme meno barbare.
La società comprendeva i liberi, qualificati dall'appartenenza alla milizia (exercitales, arimanni), i semiliberi (aldi, liti) e i servi. La cellula della società era la famiglia; ma le famiglie si raggruppavano in unità più complesse, legate da vincoli di parentela (fare). Di religione ariana, i Longobardi si convertirono gradualmente al cattolicesimo e, a cominciare da Teodolinda, alcuni re e nobili gareggiarono nelle concessioni a favore della Chiesa; ma non si spensero mai focolai di arianesimo, come espressioni di orgoglio nazionale e di disprezzo verso i Latini vinti e sottomessi. L'economia, essenzialmente rurale e piuttosto chiusa, non solo non ebbe impulso in età longobarda, ma nel complesso subì un processo di involuzione. Il problema, lungamente dibattuto e al quale abbiamo già accennato, delle condizioni giuridiche dei Romani, cioè degli Italiani, sotto i Longobardi, trova forse la soluzione più probabile nella tesi che a essi fosse riservato lo status di semiliberi (o aldi), in quanto esclusi dalla milizia (necessaria per avere la pienezza della libertà e la conseguente partecipazione alla vita pubblica), ma ammessi all'esercizio di tutte le professioni civili e autorizzati a regolare i loro rapporti secondo le norme del diritto romano. Sotto questo profilo, la separazione tra i vincitori e i vinti, nonostante qualche naturale affiatamento di fatto determinato dalla convivenza, rimase rigida durante tutto il periodo della dominazione longobarda, si attenuò e scomparve molto lentamente dopo la sua fine.