I Popoli Antichi dal neolitico all'antica Roma
LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO
Circa 20.000 anni fa, i cambiamenti del clima terrestre portarono alla scomparsa di alcuni tipi di piante e alla migrazione degli animali. Il fatto di non trovare cibo in abbondanza portò l'uomo a cambiare le sue abitudini. Nel paleolitico egli cacciava e raccoglieva cibo; ora invece doveva imparare a produrre da solo ciò che gli occorreva.. L'età neolitica (età della pietra nuova) fu caratterizzata da due grandi scoperte : l'agricoltura e l'allevamento .L'uomo imparare a coltivare le piante più utili .Costruì molti attrezzi adatti al lavoro dei campi : zappe di pietra, falcetti, aratri di legno. Imparò anche ad addomesticare e allevare gli animali.
Una delle conseguenze della nascita dell'agricoltura fu l'abbandono della vita nomade e il sorgere dei primi villaggi, Gli uomini diventarono sedentari e scoprirono i vantaggi di vivere in comunità più numerose , imparando a collaborare nelle varie attività di lavoro. A mano a mano che il villaggio si estendeva, infatti, nacque il bisogno di dividersi i vari compiti . Così accanto agli agricoltori, ci fu chi badava agli animali , chi si dedicava alla caccia, chi costruiva gli utensili. Nei villaggi nacque anche l'arte della ceramica, che permise la fabbricazione di recipienti adatti a conservare le provviste e a cuocere i cibi.
Così lo storico GORDON CHILDE descrive la divisione del lavoro nelle famiglie dei primi villaggi: "le donne, dovendo allevare i figli, avevano minore libertà di spostarsi per la caccia. Furono loro a scoprire i segreti della semina, della raccolta e della conservazione, nei vasi di argilla, di grano , orzo, mais. Nelle tombe gli archeologi hanno trovato armi, vicino ad ossa di uomini , vasi di ceramica e gioielli vicini ad ossa di donne".
Seminare i campi, controllare i cereali, raccogliere le messi sono attività che obbligano i gruppi umani a risiedere stabilmente in un territorio, almeno fino a quando questo resta produttivo. Gli accampamenti di tende, utili per una vita di nomadismo, si sono trasformati in villaggi con dimora stabili, più funzionali ad un modello di vita sedentaria. Le abitazioni molto semplici, simili a capanne: hanno una pianta circolare ed un'unica stanza, con al centro il focolare. Intorno sono circondate da muretti di fango e palizzate di legno. In una parte di questo recinto sono racchiusi capre e ovini. Anche il territorio del villaggio è delimitato da fosse o terrapieni con funzioni di difesa. Queste strutture sono necessarie per proteggere gli abitanti dagli assalti di alcune tribù che continuano ad avere abitudini nomadi e a vivere di caccia e di pastorizia. Per loro l'agricoltore è un nemico, perché fissa i confini dei campi ed impedisce la libera circolazione degli animali.
La terra non è più un bene comune: nasce la proprietà.
Nel paleolitico la terra era un bene comune, i frutti che da essa si ricavavano erano divisi fra tutti; ogni tribù era libera di spostarsi alla ricerca di zone per la caccia ora invece i campi coltivati sono un bene privato. Vengono recintati e si impedisce agli altri di passare. Il cibo raccolto è immagazzinato e protetto e viene spartito solo fra i membri della famiglia. Inoltre i pascoli si riducono sempre di più, gli agricoltori li occupano, li mutano in coltivi e poi li abbandonano una volta che li hanno resi infecondi. I gruppi nomadi allora privati di un mezzo per sostentarsi attaccano il villaggio per razziare i raccolti.
Per difendere il villaggio occorre un capo.
Non mancano poi i contrasti fra un villaggio e l'altro. Il veloce inaridimento dei terreni ha ridotto con il tempo quelli produttivi. Impossessarsene significa talvolta dover ricorrere alla forza. Gli uomini apprendono quindi a combattere e a costruire punte di pietra, lance, fionde. Nei villaggi acquistano un' importanza sempre più grande coloro che, grazie alla forza e al valore, primeggiano sugli altri : essi sono considerati dei capi.
Le donne del villaggio, oltre ad occuparsi della cura dei bambini e della preparazione del cibo fabbricano anche abiti per la famiglia e per se stesse con una tecnica nuova , la tessitura, utilizzando il lino e la lana.
In questa attività esse hanno un'abilità acquisita in precedenza nell'intrecciare i giunchi ed altre fibre presenti in natura per costruire ceste e stuoie.
Quest'arte si è però arricchita di elementi originali.
In primo luogo bisogna trasformare la materia prima: il lino viene strappato con le radici e i semi devono essere separati dal gambo mediante uno strumento a forma di pettine; poi viene macerato e infine lo si sbatte con mazzuole di legno su pietre lisce per eliminare i residui lignei del fusto. Si fa altrettanto con la lana raccolta dopo le tosature delle pecore.
Il vello va accuratamente lavato per rimuovere la sporcizia e il grasso, poi la lana viene pettinata con spazzole col dorso di cuoio dette << carde>>; infine si stendono parallelamente le fibre e si avvolgono su un bastone biforcuto (la conocchia) per filarle.
A questo punto le donne stirano il filo fino a dargli lo spessore voluto e lo avvolgono intorno ad un fuso.
Ottengono così delle bobine, che, dopo un curato lavaggio, sono tinte con sostanze vegetali.
Per fabbricare il tessuto esse adoperano un telaio, costituito da una cornice, entro il cui è fissata una serie di fili paralleli saldati generalmente ad un'asta orizzontale sopra una testa del tessitore e tenuti tesi da pesi attaccati a ciascuno di essi.
Con lo sviluppo delle città si ebbe un grande progresso tecnologico. La novità più importante fu rappresentata dalla lavorazione dei metalli che consentiva la fabbricazione di strumenti più resistenti di quelli di pietra. In questo periodo fu inventata la scrittura. Con questa invenzione, gli storici usano stabilire il passaggio dalla preistoria alla storia.
Fu uno dei primi prodotti ad essere lavorati. Esso veniva fuso ad alte temperature e colato in stampe di pietra, dove assumeva tutte le forme volute: quella di una coppa, di un pugnale, di una spilla, o di una fibbia. Gli strumenti in metallo che erano resistenti e duraturi, agevolavano il lavoro dell'uomo e permisero di produrre di più con minore fatica. La società cominciò a trasformarsi, gli uomini si organizzarono in comunità da agricoltori divennero fabbri e mercanti.
La vasta pianura dell'Asia compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate era chiamata dagli antichi Mesopotamia . Era una vallata fertile, che offriva condizioni favorevoli all agricoltura e al commercio. I suoi abitanti più antichi furono i Sumeri, che si stabilirono nella parte meridionale. I Sumeri non crearono uno stato unitario, ma fondarono tante città - stato indipendenti. Ogni città aveva un diverso dio protettore, che i Sumeri identificavano nelle forze della natura, come il sole, la pioggia, il vento. A queste divinità venivano dedicate le ziggurat, enormi templi a più piani...
I Sumeri furono abili nella lavorazione dei metalli e impararono ad usare la ruota e la vela, importantissime per il trasporto in terra e in mare. La loro invenzione più famosa fu la scrittura cuneiforme. Era formata da segni che somigliavano a piccoli cunei. Per scrivere, si incidevano tavolette di argilla molle, che poi venivano fatte seccare al sole. I caratteri erano incisi con uno stiletto metallico.
Il re presso i sumeri
Tra i compiti del re, vi era quello di celebrare i culti religiosi, di fondare i templi e di guidare l'esercito.
Intorno al 2000 a.C. i Sumeri furono sottomessi dai Babilonesi, che occuparono l'intera Mesopotamia.
Il re babilonese Hammurabi riunì in un grande impero le città stato che prima erano divise.
Da allora esse ubbidirono tutte a un solo sovrano , al quale versavano anche i loro tributi. La capitale fu Babilonia. Hammurabi diede al suo popolo una raccolta di leggi scritte, il codice di Hammurabi.
La società babilonese era fondata sul potere assoluto del re. Esisteva però una grande differenza tra le diverse classi sociali. Gli uomini liberi (rappresentanti del re, sacerdoti) avevano molti privilegi. Tutti gli altri facevano parte della classe dei dipendenti ( soldati, artigiani, contadini).
In fine , c'erano gli schiavi , addetti ai più duri lavori . I Babilonesi assimilarono la religione e la cultura dei Sumeri e approfondirono molte scoperte di quel popolo. Con l' osservazione del firmamento dalla alto delle ziggurat si sviluppò ' l' astronomia. L' anno solare fu diviso in mesi, settimane e giorni : nacque così il primo calendario. L' impero babilonese ebbe fine con l' invasione di un popolo bellicoso , gli Assiri. Con saccheggi e violenze, gli Assiri imposero il loro dominio su tutta la Mesopotamia.
I popoli mesopotamici erano molto religiosi. Per onorare e pregare gli dei innalzavano dimore maestose, alla cui costruzione lavoravano migliaia di persone per molti anni. In ogni città, in posizione dominante veniva eretta una specie di torre detta Ziqqurat, composta di piani sopraelevati, l'ultimo dei quali ospitava il tempio vero e proprio .
Nelle Ziqqurat risiedevano i sacerdoti, gli intermediari tra le divinità e gli uomini : essi che sapevano interpretare il volere degli dei e inoltrare le preghiere degli uomini.
Il tempio era il cuore della economia della città, un centro di raccolta e di distribuzione della ricchezza : riceveva offerte e tributi. Possedeva schiavi e soldati, giudicava le liti tra i sudditi.
La torre di Babele di cui parla la bibbia è forse la ziqqurat che doveva arrivare fino al cielo.
Le ziqqurat servivano anche per le osservazioni astronomico da cui le popolazioni mesopotamiche ricavavano informazioni sull'andamento dei raccolti.
I sacerdoti erano custodi di questa scienza; essi conoscevano il movimento dei astri e prevedevano i movimenti del sole e della luna.
Alle stelle essi attribuivano anche la capacità di influire sulle vicende umane e di predire il futuro, secondo i principi che ancora oggi sono utilizzati nell'astrologia, l'arte divinatoria che consiste nel prevedere gli eventi sulla base del movimento dei pianeti nelle diverse costellazioni.
I popoli mesopotamici, in particolare i Sumeri, inventarono una scrittura fonetica, in cui i segni corrispondevano ai suoni. Poiché le parole più usate erano composte da una sola sillaba, si stabilirono segni corrispondenti ai suoni di quelle parole , da utilizzare ogni volta che ricorreva una solo sillaba, anche in parole diverse.
Combinando i vari segni si potevano scrivere parole lunghe, il cui significato non corrispondeva più a quelle delle singole sillabe.
Per rendere veloce la scrittura, i segni furono semplificati e ridotti a circa 800.
I caratteri venivano tracciati con uno stilo dalla punta a forma di cuneo : ecco perché questa scrittura è detta cuneiforme.
La vita degli antichi Egizi dipendeva dal Nilo, il fiume che attraversava la regione desertica dell' Egitto, in Africa.
Periodicamente, infatti, il Nilo si ingrossava per le piogge che cadevano alle sorgenti e le sue acque allagavano i territori intorno.
Sul terreno rimaneva uno strato di fango ricco di sostanze fertilizzanti, il Limo, che concimava i campi e consentiva abbondanti raccolti.
Gli Egizi adorarono il Nilo come un Dio, perché da esso dipendeva la loro sopravvivenza.
A capo dello Stato egizio c'era il Faraone.
A lui tutti dovevano cieca ubbidienza perché era considerato il dio sulla terra.
Numerose iscrizioni geroglifiche ci dicono che egli era anche il sommo sacerdote del dio sole, suo padre, e capo supremo dell' esercito. Per mezzo di funzionari fedeli egli controllava la vita di tutto il popolo e faceva eseguire i suoi ordini. La popolazione era divisa in classi o caste.
Chi faceva parte di una di esse doveva rimanervi per tutta la vita. La casta più importante e potente era quella dei sacerdoti. Venivano poi i guerrieri, gli scribi, il popolo; per ultimi gli schiavi.
Geroglifici. Con questo termine greco, che significa segni sacri, si indica la scrittura egizia. Quest' ultima è stata decifrata solo nel secolo scorso con il ritrovamento di una stele che conteneva uno stesso testo scritto anche in egiziano e in greco.
Gli Egizi scrivevano generalmente su rotoli di papiro, lunghi fogli ricavati da una pianta che cresceva lungo il Nilo.
Alcuni dei segni corrispondevano a un suono, altri rappresentavano oggetti, animali o persone. Inizialmente i geroglifici venivano incisi sulla pietra; in seguito vennero dipinti con un pennello, sulla carta ricavata dall'arbusto del papiro.
La scrittura geroglifica venne decifrata alla fine del 1700 dallo scienziato francese Champollion, grazie alla scoperta di una pietra di basalto, nota come Stele di Rosetta; fu così possibile risalire all' interpretazione della scrittura egiziana.
Gli Egizi ritenevano che i defunti dovessero avere anche una casa. Per questo i faraoni si fecero costruire piramidi monumentali.
Lo storico greco Erodoto, vissuto nel V secolo a.C, ci ha lasciato una interessante testimonianza su come si costruiva una piramide in Egitto:
"Quando Cheope salì al trono, gettò l'Egitto nella più completa miseria
Egli obbligò tutti gli Egizi a lavorare per lui. Ad alcuni impose di trascinare pietre fino al Nilo dalle cave dei Monti Arabi. Ad altri ordinò di scaricare le pietre che avevano passato il fiume sui battelli e trascinarle fino ai Monti Libici, sul luogo della costruzione.
Ogni trimestre lavoravano a turno centomila uomini.
Il popolo si logorò dieci anni per costruire la strada sulla quale venivano trascinate le pietre.
Per la costruzione della piramide occorsero venti anni.Una iscrizione egizia fa sapere quanto si è speso in cipolle e agli per i lavoranti ".
Le piramidi furono costruite come sepoltura per i faraoni dell'Antico e del Medio Regno, per un periodo di circa 1500 anni.
In esse le mummie dei sovrani venivano deposte con favolosi tesori.
La tomba vera e propria era spesso al centro di un labirinto sotterraneo, ideato in modo tale da scoraggiare l'accesso a eventuali predoni.
Per edificare questi monumenti veniva utilizzata un'enorme quantità di manodopera: la piramide di Cheope, alta 146 metri e costituita di oltre 2 milioni di blocchi di pietra, fu costruita da centomila schiavi che vi lavorarono per trent'anni.
Le piramidi avevano anche un fine simbolico: dovevano esaltare la divinità del faraone, che incarnava l'unità e la forza dello stato.
Gli Egizi adoravano molte divinità. Essi credevano che gli dei fossero ovunque e guidassero ogni momento della loro vita. Le divinità personificano le forze benefiche della natura che davano ricchezza e benessere al paese. Il dio Sole era la divinità più potente, assieme a Osiride, dio dei raccolti e giudice dei morti.
Le divinità erano rappresentate spesso in forma di animali : Anubi , il dio dei morti, aveva la testa di cane; Api, il dio della Terra e del Nilo , aveva la forma di un bue .
Oltre agli dei propri di ogni villaggio, vi erano divinità venerate in tutto il paese: quando un faraone saliva al trono, spesso imponeva nuovi culti e nuovi dei.
Tra le divinità più venerate vi era il sole, che assumeva nomi diversi : Ra, Amon, Aton. Molto diffuso era anche il culto di Osiride, che simboleggiava la resurrezione della morte e la forza rigeneratrice della terra del Nilo. Il mito racconta che Osiride venne ucciso e smembrato dal malvagio fratello Seth, ma sua moglie Iside trovò i pezzi sparsi del suo corpo e li ricompose, facendo resuscitare il marito, con il quale concepì Horus. Questi sconfisse Seth e regnò sull'Egitto.
I faraoni venivano adorati come divinità, proprio perché erano considerati incarnazioni di Horus.
Gli Egiziani consideravano la vita dopo la morte come una continuazione di quella terrena.
Per questo nelle tombe dei defunti di alto rango venivano posti molti cibi, una mappa del mondo sotterraneo e delle statuine che, grazie ad apposite formule magiche, avrebbero lavorato per il defunto.
Per aspirare all'immortalità ,il defunto doveva sottoporsi ad un giudizio, davanti ad un tribunale presieduto dal dio Osiride.
Il cuore veniva pesato dal dio Anubi: se aveva condotto una vita virtuosa, il giudizio era favorevole. Per convincere Osiride, nella tomba veniva posto anche il Libro dei morti, che conteneva formule magiche propiziatorie, da pronunciare davanti al dio.
Poiché gli Egiziani ritenevano che l'anima, per sopravvivere , dovesse appoggiarsi al corpo, svilupparono le tecniche di imbalsamazione per conservare più a lungo possibile il corpo dei morti. Dopo essere stato privato degli organi interni, il corpo veniva trattato con oli, resine e profumi di elevato potere conservante e avvolto con bende di lino: ere così che si preparavano le mummie.
Gli Egizi pensavano dunque che l'anima dei defunti potesse sopravvivere dopo la morte.
Questo però avveniva solo se il corpo si conservava intatto.
Per tale ragione essi praticavano l'imbalsamazione, ossia trasformavano il corpo del morto in una mummia, per impedirne la decomposizione.
La mummia, avvolta da bende, veniva richiusa nel sarcofago, una cassa di legno a forma umana.
La tomba era considerata la casa della quale il defunto sarebbe vissuto per l'eternità.
Nelle tombe dei defunti in alto rango venivano posti molti cibi, una mappa del mondo sotterraneo e delle statuine che, grazie ad apposite formule magiche, avrebbero lavorato per il defunto. Per aspirare all'immortalità, il defunto doveva sottoporsi ad un giudizio, davanti ad un tribunale presieduto dal dio Osiride: se aveva condotto una vita virtuosa, il giudizio era favorevole. Per convincere Osiride, nella tomba veniva posto anche il Libro dei morti, che conteneva formule magiche propiziatorie, da pronunciare davanti al dio.
L'imbalsamazione prevedeva la completa asportazione delle viscere del cadavere, che venivano riposte in vasi. Poi si ungeva il corpo con olio di cedro, resine e bitume.
Infine il corpo, avvolto in bende e posto nel sarcofago , veniva deposto nella tomba.
CHI ERANO GLI AGRIMENSORI?
Quando il Nilo straripava, cancellava tutti i confini dei campi. Alcuni esperti chiamati agrimensori (cioè misuratori di campi) li ripristinavano. Si può dire che essi furono i primi geometri del mondo.
Il popolo dei Fenici visse in Asia, nella regione oggi chiamata Libano. In questa regione le terre coltivabili erano poche, così i Fenici furono spinti alla vita marinara.
Con il legname ricavato dalle foreste di cedri delle montagne, essi costruirono navi veloci e robuste e si dedicarono al commercio nel Mediterraneo.
Sulle coste fenicie sorsero porti attivissimi: Biblo, Sidone, Tiro. I Fenici furono anche artigiani abilissimi, capaci di ricavare dall'oro e dai metalli oggetti belli e raffinati.
I Fenici erano abili commercianti; ce lo conferma questo scritto di Diodoro Siculo, storico greco ( I secolo a. C ) :
" Si racconta che nei tempi antichi v'era in Spagna una grande quantità d'argento.
Gli indigeni ne ignoravano l'uso. I mercanti fenici, invece, esperti nel commercio, acquistarono questo argento in cambio di altre mercanzie. Di conseguenza i Fenici, portando l'argento in Grecia, in Asia e presso tutti gli altri popoli, ottennero grandi guadagni. Così, praticando tale commercio per molto tempo, i Fenici si arricchirono e fondarono numerose colonie "
Leggenda sull'origine del vetro
" Il fiume Belo mostra le sue sabbie quando esse sono rigettate dal mare: dopo essere state voltolate dalle onde, esse luccicano. Si racconta che qui approdò una nave di mercanti di nitro (sostanza usata per concimare il terreno ).
Non avendo pietre per preparare il focolare, presero dalla nave alcuni pezzi di nitro. Questi si accesero e si mescolarono con la sabbia del fiume. Allora si vide scorrere un liquido lucente.
Questa fu l'origine del vetro. "
Raffinati artigiani
Tra le mercanzie più pregiate dei Fenici vi erano le creazioni artigianali di lusso, come oggetti in pasta di vetro colorata, vasi per unguenti, o come quella che oggi potremmo definire bigiotteria o gioielleria. Essi producevano monili in oro di lavorazione molto raffinata, famosi per la loro eleganza fin dall'antichità. I Fenici infatti erano specializzati in quelle che attualmente vengono definite arti minori piuttosto che in quelle maggiori, come la pittura e la scultura.
I Fenici erano grandi navigatori. Le loro navi si spingevano in tutte le direzioni, giungendo perfino oltre lo stretto di Gibilterra.
Essi perfezionarono notevolmente le tecniche di navigazione, specializzandosi nel cabotaggio, cioè la navigazione a breve distanza dalla costa. Il loro metodo consisteva nell'assicurarsi numerosi approdi per il rifornimento di acqua e viveri. Molti di questi porti divennero importanti centri commerciali. La loro flotta comprendeva navi da trasporto merci e navi da guerra. Queste ultime erano più agili e terminavano a prua con un rostro che serviva a colpire le navi nemiche. I Fenici, infatti, praticavano la pirateria, assalendo le navi concorrenti e catturando il bottino, costituito da merci e da uomini, che venivano venduti come schiavi.
I Fenici erano politeisti. La loro divinità era Baal, dio della pioggia e della vegetazione, che veniva anche rappresentato sotto l'aspetto di un guerriero che impugnava con la destra il fulmine, con la sinistra la lancia.
Dal suo nome derivano le denominazioni attribuite dagli Ebrei agli esseri demoniaci : Belfagor e Belzebù .
Infatti Baal era anche considerato il simbolo delle forze più oscure e malefiche della natura, un po' come il diavolo per noi.
Accanto a Baal vi era Astarte, la maggiore divinità femminile fenicia.
Era il simbolo della fertilità e veniva raffigurata con una mezzaluna sulla fronte.
La pratica religiosa fenicia prevedeva anche sacrifici umani.
Un territorio di montagne e valli
Gran parte del territorio della Grecia è formato da montagne e colline, interrotte da strette valli con fiumi brevi e poveri d'acqua.
Nell'antichità, come pure oggi, l'agricoltura era praticata nelle poche pianure situate lungo le coste. Si coltivavano il grano, l'orzo, la vite e l'olivo, e venivano allevate pecore e capre. Questi prodotti, tuttavia, non erano sufficienti per nutrire l'intera popolazione.
In compenso la Grecia aveva una posizione geografica molto felice: dominava tutto il Mediterraneo orientale e le sue coste erano ricche di golfi e insenature. Per questa ragione i suoi abitanti si dedicarono al commercio sul mare e divennero in breve i padroni del Mediterraneo.
A causa della mancanza di strade interne, però, il territorio greco restò sempre diviso, e le comunità isolate le une dalle altre. Così ogni città divenne una città-stato o polis, con leggi e governi propri.
Nel periodo più antico le polis furono governate dai re. Successivamente il comando venne affidato ad un gruppo ristretto di persone di condizione nobile e ricca: l'aristocrazia, che in greco vuol dire "governo dei migliori". Le città-stato erano rivali tra loro e molto spesso combattevano. In alcuni casi, però, furono alleate, come nella guerra contro i Persiani.
Ecco un brano dello storico greco Tucidide:
" Nei primi tempi molti lasciavano la loro terra natale perché non avevano di che vivere, mancavano di denaro e non facevano semine. Decisero alla fine di cercare cibo, non importa dove. E così partirono…".
Ecco la descrizione che Diodoro Siculo fa di Agrigento:
" La colonia d'Agrigento era molto prospera per l'intensa l'attività commerciale.
Vi erano vigneti e uliveti. Si esportavano questi prodotti a Cartagine in cambio d'oro e argento. C'erano monumenti e templi grandiosi"
Le città cretesi che si affacciano sul mare dispongono generalmente di un doppio porto.
Ciascuno dei due è orientato in modo diverso, a seconda dei venti dominanti nella zona.
Per l'economia di Creta, incentrata sui traffici commerciali via mare, è infatti fondamentale che le imbarcazioni possano salpare e attraccare in presenza di diverse condizioni meteorologiche.
I porti cretesi sono dunque dei centri economici nevralgici e intorno ad essi orbita un grande numero d'attività.
Lungo le banchine dei porti i bastimenti sostano allineati, in attesa di sciogliere gli ormeggi.
Ve ne sono di diversi tipi. La lunghezza varia dai dodici ai ventuno metri, la larghezza dai due e mezzo ai quattro.
Hanno un solo albero, al quale viene fissata la vela, che può essere confezionata con la stoffa o con giunco e papiro intrecciato. Le imbarcazioni più piccole impiegano dieci marinai che manovrano i remi, quando il vento cala, stando seduti a coppie su cinque panche, più un timoniere che, in piedi a poppa, scandisce il ritmo.
Nonostante i differenti modi di governare, le città greche avevano molte cose in comune. La religione, per esempio: i Greci adoravano numerose divinità e le immaginavano simili agli uomini, con le stesse virtù e gli stessi difetti.
Gli dèi erano immortali e dall'alto del Monte Olimpo, loro dimora, guidavano le vicende naturali e umane.
A ciascuno era affidato un compito particolare: per esempio Ares era il dio della guerra, Afrodite, dea dall'amore, Atena, dea della sapienza, Poseidone, dio del mare.
Su tutti regnava Zeus, signore del cielo e della terra, che scagliava i fulmini e faceva cadere la pioggia.
I Greci li onoravano con sacrifici di animali e cerimonie.
La pratica sportiva era occasione per coltivare le qualità morali più apprezzate dai Greci: il coraggio, la volontà e lo spirito di sacrificio.b Periodicamente, in ogni città, si svolgevano gare e giochi. I più famosi giochi erano quelli Olimpici. Si celebravano a Olimpia ogni quattro anni ed erano dedicati a Zeus. Vi partecipavano atleti che gareggiavano nella corsa, nel lancio del disco e del giavellotto, nel pugilato, nella lotta, nel salto.
I giochi olimpici duravano cinque giorni. Il pubblico seguiva con entusiasmo le gare: le corse dei carri, il pentathlon ( lotta, corsa, salto in alto, lancio del disco e del giavellotto), gli incontri di pugilato. L'ultimo giorno era dedicato alle premiazioni, ai festeggiamenti alle cerimonie religiose.
I vincitori, che ricevevano una corona d'olivo e un ramo di palma, venivano spesso immortalati nelle poesie e nelle statue.
Il regolamento dei giochi olimpici
Leggi questi articoli tratti dal regolamento dei giochi olimpici :
" E' proibito intimidire l'avversario o offrirgli denaro perché si lasci vincere. Verrà frustato chiunque tenti di corrompere i giudici. E' proibito protestare contro la sentenza dei giudici, chi non la trovi giusta può ricorrere al Senato Olimpico ".
Secondo la tradizione, la prima Olimpiade risalirebbe al 776 a.C.
Alla competizione partecipavano i giovani di tutte le regioni.
Se due città erano in guerra, veniva proclamata la tregua sacra per garantire lo svolgimento dei giochi.
Le Olimpiadi attiravano spettatori anche dalle altre regioni del Mediterraneo.
Questi giochi diventarono talmente importanti che vennero utilizzati per contare gli anni con un criterio uguale per tutta la Grecia. Anche le Olimpiadi, infatti, contribuivano a mantenere vivo il sentimento di una patria comune.
Le due città stato più importanti dell'antica Grecia furono Sparta e Atene.
Ciascuna di esse ebbe delle proprie leggi, costumi diversi ed un particolare governo.
Città sempre in armi, Sparta veniva governata da leggi molto severe dettate dal famoso legislatore Licurgo.
Solo una piccola parte della popolazione possedeva delle ricchezze e poteva governare: gli Spartiati.
Essi erano i soli ad essere considerati veri cittadini e avevano il compito di combattere per difendere la città.
Le due classi rimanenti quelle dei Perieci (artigiani) e degli Iloti (servi), non avevano diritti politici e neppure potevano combattere.
Gli Ateniesi, invece, erano un popolo amante dell'arte, della bellezza e della cultura.
Ad Atene il potere non era concentrato nelle mani di pochi o di una sola persona.
I cittadini liberi eleggevano i loro rappresentanti e decidevano insieme del bene comune.
Questa forma di governo fu chiamata Democrazia.
L' acropoli era la parte alta della antiche città greche. Vi erano i templi ed il palazzo del governo.
Costituiva il simbolo della potenza della città. Ai piedi dell'acropoli c'era l'agorà, una grande piazza dove i cittadini si riunivano per i commerci e per discutere.
" In Atene, non appena un bambino è in grado di capire, la madre , la nutrice il precettore, il padre stesso gli ripetono ciò che deve e non deve fare. Dopo lo mandano da un maestro, da cui impara la buona educazione, e a leggere e a suonare la cetra. I genitori mandano anche il figlio da un maestro di ginnastica.
Così la mente educata si accoppierà con un corpo vigoroso e non gli mancherà il coraggio in guerra e nella vita." (testimonianza del tempo)
A Sparta invece i fanciulli, all'età di sette anni, vengono presi "in carico" dallo stato, che provvede alla loro educazione, finalizzata soprattutto a farne dei soldati coraggiosi.I giovani fanciulli greci in generale trascorrevano la maggior parte del loro tempo al Ginnasio, il principale luogo di educazione, inizialmente destinato agli esercizi ginnici in preparazione alle gare atletiche.
In seguito i ginnasi divennero luoghi di cultura, vere e proprie scuole nelle quali i più importanti filosofi, come Socrate e Platone, impartivano i loro insegnamenti.
Lo scopo principale dell'educazione era sviluppare delle qualità fisiche, come la bellezza e l'armonia, e qualità morali, come l'intelligenza e l'equilibrio razionale; i giovani avevano il compito di avvicinarsi il più possibile al modello greco di perfezione, riassunto nella frase "kalòs kai agatòs" cioè " bello e buono", con cui esprimeva lo stretto nesso morale che doveva esistere tra bellezza fisica e rettitudine morale e civica.
Per i greci era molto importante l'educazione del cittadino alla politica, che in greco significa " arte di governare la Polis ", la città. Ogni cittadino era chiamato a partecipare alle decisioni e al dibattito intorno ai maggiori problemi della vita pubblica
Le donne erano escluse dalla vita pubblica. Una volta sposate, esse passavano dalla tutela del padre a quella del marito. La loro vita si svolgeva essenzialmente nel chiuso della case , da cui uscivano per partecipare alle cerimonie religiose. Nella casa la parte riservata alle donne, detta gineceo, era posta lontano dalla strada: le sue porte venivano chiuse a chiave durante la notte.
Le donne non potevano assistere nemmeno agli spettacoli teatrali.
Ovviamente la situazione era diversa per le popolane che dovevano provvedere al loro sostentamento, lavorando come lavandaie, tessitrici, sarte e bottegaie.
Nella società spartana le donne godevano di maggiore libertà e considerazione: potevano amministrare il loro patrimonio, partecipare ad gare sportive e avere voce in capitolo nelle vicende familiari.
Pur essendo suddivisi in città indipendenti, i greci erano coscienti di appartenere ad una stessa patria , l'Ellade ( il nome greco della Grecia ), e si identificavano con il nome comune di Elleni . I sentimenti di una comune appartenenza ellenica erano favoriti dalle istituzioni politiche e religiose, e dalle forme di organizzazione sociale comuni a tutta la Grecia, ma soprattutto dal fatto che i Greci parlavano la stessa lingua.
La piazza, oltre ad essere un luogo di mercato, era anche il centro della vita politica e culturale della città. Era intorno all'agorà che sorgevano i più importanti edifici pubblici: la sede del Consiglio del Governo, l'archivio pubblico e le statue degli eroi leggendari, a cui venivano affisse le nuove proposte di legge che il popolo era chiamato a votare nelle assemblee. L'agorà era un luogo sacro e simboleggiava l'unità spirituale della polis: quando un cittadino aveva commesso un reato perdeva i diritti civili, e si doveva tenere lontano dalla piazza. Se non osservava questo divieto, chiunque poteva arrestarlo e portarlo davanti ai giudici per essere messo a morte.
Le rappresentazioni teatrali prendevano origine dalle danze e dai canti con cui i contadini celebravano il culto di Dionisio : avevano quindi un significato religioso.
Sembra che la parola tragedia derivi dal sacrificio rituale del capro, che in greco era detto tragos.
In seguito vennero composte tragedie e commedie attorno ad argomento, generalmente di carattere mitologico; narravano le vicende di personaggi famosi e miti e di poemi omerici come : Edipo, Antigone, Elettra, Agammennone , Oreste, Clitennestra.
I dialoghi dei personaggi, però, avevano sempre un significato morale e adombravano spesso un tema politico o un problema etico ed esistenziale: il significato dell'esistenza, il conflitto tra destino e libero arbitrio, i pericoli insiti nel potere, l'espiazione della colpa, la forza delle passioni.
Le rappresentazioni teatrali avevano un preciso intento educativo e venivano utilizzate per accrescere l'istinto creativo dei cittadini e per indirizzare la loro condotta morale.
Le tragedie raccontavano tre momenti successivi di uno stesso episodio mitico e ed erano caratterizzate da avvenimenti gravi e drammatici ; le commedie avevano invece un carattere comico e satirico, e prendevano di mira vicende di attualità politica e sociale.
I più importanti scrittori di tragedie furono : Eschilo , Sofocle, Euripide.
Questi tre grandi scrittori vissuti nel V sec. a.C., narravano spesso le vicende degli stessi personaggi mitologici, mettendo in evidenza caratteri personali e fisiologici diversi.
Il maggiore scrittore di commedie fu Aristofane, le cui composizioni deridevano vizi e debolezze dei governanti più in vista e le mode del momento. Gli spettacoli duravano dall'alba al tramonto.
Ogni giorno venivano rappresentate quattro tragedie ed una commedia come intermezzo comico.
Gli spettatori si portavano da casa il cibo, che poteva essere anche lanciato contro gli attori se lo spettacolo non era gradito. La partecipazione era infatti molto sentita.
Andare a teatro era considerato un diritto, al punto che lo stato pagava il biglietto ai nullatenenti.
Le spese delle rappresentazioni invece erano a carico dei cittadini più ricchi.
Il teatro greco era composto da gradinate disposte a semicerchio, dove sedevano gli spettatori.
L'azione si svolgeva su un palco di legno posto nella scena antistante,l'emiciclo.
Gli attori erano solo tre; ognuno di essi sosteneva più di una parte, mutando di maschera.
C'erano maschere per ogni situazione.
Non vi erano attrici: tutti i ruoli, anche quelli femminili, erano interpretati dagli uomini. Gli attori erano abbigliati con vesti lunghe e sfarzose, facevano sembrare maggiore la loro statura per mezzo di calzature dalla suola alta (coturni).
Un elemento fondamentale era il coro, formato da 12 o15 artisti abili nel suonare il flauto, nel canto e nella danza: aveva il compito di commentare l'azione tragica e di esplicitare le riflessioni politiche e morali degli attori, svolgevano spesso il ruolo di "voce fuori campo".
Il coro si esibiva nell'orchestra, lo spazio semicircolare collocato tra la scena e la gradinata.
I teatri greci erano enormi: i più grandi potevano contenere 30.000 spettatori.
Ciononostante avevano un'acustica eccezionale: in ogni punto delle gradinate si poteva sentire distintamente la voce degli attori. L'acustica era favorita anche dal fatto che la voce degli attori usciva amplificata dalla grande apertura boccale delle maschere, che fungevano così da megafono.
La maschera però aveva soprattutto il compito di caratterizzare i diversi tipi umani e sottolineare i differenti stati d'animo; poiché gli attori erano solo tre e le donne non potevano recitare, era la maschera che contraddistingueva i personaggi, conferendo all'azione una particolare intensità.
Le colonie potevano essere fondate da gruppi di privati cittadini o per iniziativa di una città. Erano preferite le località con pianure e costiere fertili ricche di giacimenti minerali e in grado di offrire buone possibilità di approdo e di controllo delle vie commerciali. I coloni partivano sotto la guida di un fondatore ufficiale, che arrivato nella nuova sede provvedeva a dividere la terra tra i nuovi venuti e a tracciare la pianta della città, fissando i principi dell'ordinamento sociale e politico del nuovo stato.
Alla partenza il distacco era definitivo e il colono era consapevole di iniziare una nuova vita.
I coloni conservarono il dialetto, i costumi e i culti della città d'origine e mantenevano con essa rapporti commerciali e culturali privilegiati.
Ciononostante le colonie non dipendevano né economicamente né politicamente dalla madrepatria.
Tra i coloni le gerarchie sociali erano meno rigide, in quanto vi erano maggiori opportunità di arricchimento e di mobilità sociale. Con gli indigeni i rapporti erano di diverso tipo: a volte le popolazioni del luogo convivevano pacificamente con la comunità greca, a volte si battevano per difendere il loro territorio dai nuovi venuti.
La colonizzazione non significò , però, solo occupazione ma anche scambio culturale: i Greci, infatti, facevano progredire le cultura dei popoli con cui erano entrati in contatto.
Mentre la Grecia attraversava un periodo buio, nelle colonie rifioriva la civiltà greca, come continuazione e sviluppo di quella micenea. La prosperità permise di dedicare tempo alle arti e alla poesia.
Fu nelle colonie che la poetessa Saffo scrisse le sue bellissime poesie d'amore e che vennero composte L'Iliade e L'Odissea .
Fu a Mileto, nella Ionia, che fece la sua comparsa la filosofia, che in greco significa "amore del sapere".
I filosofi Talete, Anassimandro, Anassimene furono i primi ad intraprendere una riflessione sulla natura della realtà umana e sulle grandi questioni esistenziali della vita.
La prima ondata colonizzatrice verso le coste italiane avvenne attorno al 775 a.C., quando gli abitanti dell' Eubea raggiunsero l'isola di Ischia, che essi chiamarono Pitecusa; da lì si trasferirono sulla terraferma, dove fondarono Cuma e Napoli, chiamata prima Partenope, dal nome di una mitica sirena, e poi Neapolis (Città Nuova). I Greci si diressero poi verso la Sicilia, dove vennero fondate Catania, Milazzo e Messina. Nel 733 a.C. coloni di Corinto fondarono Siracusa. Nel giro di pochi anni la coste ioniche dell'Italia si riempirono di colonie create dai Peloponnesiaci: le più importanti erano Sibari, Crotone e Taranto. I nuovi centri divennero prosperi e dettero a loro volta vita a nuove colonie. Sicché nel giro di un secolo tutte le coste dell'Italia meridionale furono disseminate di colonie greche che presero il nome di "Grande Grecia ", in latino "Magna Graecia".
Fu sempre nelle colonie greche che nel VII sec. a. C. vennero coniate, per la prima volta , le monete, un'innovazione destinata a cambiare radicalmente i commerci. Nei tempi più antichi gli uomini si scambiavano le merci direttamente, praticavano cioè il baratto. In seguito i prodotti si diversificavano a tal punto che non era più possibile lo scambio diretto: vennero così introdotte barre di metallo pregiato , il cui valore era determinato dal peso che serviva per pagare le merci .Ma i pesi non potevano essere falsificati ed il metallo adulterato, magari stendendo una mano di argento sulla superficie di un metallo di scarso valore. Gli stati iniziarono così a coniare le monete, per rispondere all'esigenza di garantire l'esatto valore del mezzo di pagamento.
Una regione a nord della Grecia, la Macedonia, era abitata da pastori e agricoltori che i greci chiamavano "barbari" e consideravano inferiori a loro . I Macedoni avevano un esercito forte e ben addestrato. Il loro re FILIPPO II, riusci' ad estendere il suo dominio su tutta la Grecia.
Figlio e successore di Filippo, venne chiamato Magno, cioè' "grande" per le sue eccezionali imprese .
Nei tredici anni del suo regno,Alessandro conquisto' l'impero dei Persiani e allargo' il suo dominio su un territorio immenso.
Durante le sue conquiste, Alessandro fece costruire e abbellire molte città', che presto divennero importanti centri di cultura, come Alessandria , in Egitto.
Egli volle diffondere la lingua e la civiltà' greche, di cui era un grande estimatore .
Suo maestro era stato un grande e famoso sapiente greco, Aristotele.
Le conquiste di Alessandro portarono all'unificazione popoli molto diversi tra loro.
L'incontro dei loro modi di vivere rese possibile un grande sviluppo nelle scienze e nelle arti.
La civiltà' che ne risulto' fu chiamata " Ellenismo".
Con la morte di Alessandro, a soli 33 anni, fini' anche quel grande impero.
Lo scultore Lisippo
Uno scultore greco, Lisippo , fu uno degli artisti della corte di Alessandro e divenne il ritrattista ufficiale del sovrano. Purtroppo, delle sue statue non ci e' pervenuto nessun originale, ma solo delle copie.
Da un discorso di Alessandro Magno al suo esercito, riportato dallo storico Curzio Rufo:
I vinti fanno parte dell'esercito insieme a voi, mentre, ci fossero trattati con superbia, si ribellerebbero…
Si dice che io trasferisco nei Macedoni i costumi dei vinti.
Io vedo che in molti popoli vi sono qualità' che non dobbiamo vergoniarci di limitare.
Non possiamo reggere un cosi' grande impero se non insegnammo qualcosa agli altri popoli e a nostra volta apprendiamo da essi qualcosa.
Questo documento e' un importante testimonianza sul modo di governare di Alessandro. Egli voleva fondare un impero dove tutti i popoli avessero uno stesso valore e vivessero insieme in pace.
La leggenda di Alessandro
Nei paesi conquistati da Alessandro si mantenne sempre vivo il suo ricordo.
Il coraggio e le imprese del sovrano, infatti, impressionavano non solo gli artisti e gli scrittori del suo tempo, ma anche quelli delle età' successive.
Alessandro Magno, cosi', divenne un personaggio leggendario.
Si definisce "classica" l'arte sviluppatasi in Grecia nel V e nel IV sec. a.C., poiché' è in questo periodo che le composizioni raggiunsero il più' alto grado di armonia e perfezione compositiva.
Nella statuaria prevalse il nudo maschile, che rappresentava il modo in cui gli atleti partecipavano ai giochi sacri, ma anche il simbolo della purezza e dell'incontro tra l'uomo e la divinità'.
E' attraverso il nudo che si vede come i Greci hanno raggiunto il pieno dominio della forma umana.G
eniali scultori come Fidia, vissuti attorno all'epoca di Pericle dettero alle figure una resa anatomica mai raggiunta prima.
Alla perfezione dei corpi si univa la forte carica di vigore e di energia espressa nelle figure. Attorno alla meta'del IV sec. a.C. con gli scultori del tempo, si approfondì in trisezione psicologica della figura umana: i volti esprimevano sentimenti e stati d'animo, mentre la struttura delle statue diventava sempre piu' complessa e raffinata.
Nel 447 a.C. Pericle fece iniziare i lavori della sua opera architettonica, il Partenone, il tempio dedicato ad Atena, affidando i lavori a Fidia. Il luogo della costruzione era l'Acropoli, l'altura sovrastante Atene. Il Partenone si presenta come un' opera maestosa. Il colonnato in stile dorico semplice risulta particolarmente elegante anche la grazia alla forma fusolata delle colonne che si restringono leggermente verso l'alto. L'elemento di maggior fascino del Partenone e rappresentato dai bassorilevi eseguiti da Fidia sui frontoni triangolari sorretti dai colonnati.
La morte di Alessandro Magno viene considerata l'inizio di una nuova epoca storica detta ellenistica, che duro' tre secoli fino a che Roma conquisto' l'Egitto. Con questo termine si fa riferimento alla diffusione alla civita' greca in gran parte del mondo conosciuto, grazie alla creazione dell'impero di Alessandro, che dette una nuova unita' culturale alle terre conquistate.
Anche se il centro di gravita' non fu piu' la Grecia, il greco divenne la lingua comune a tutti gli stati, utilizzata negli scambi commerciali, nelle discussioni intellettuali e scientifiche.
I nuovi grandi centri culturali divennero Alessandria in Egitto, Antiochia e Pergamo in Asia Minore: fu qui che si trasferirono il gusto artistico, archittetura e la mentalita' propria della Grecia.
La caratteristica originaria dell'arte ellenistica fu di prendere a "modello" le opere del periodo classico,facendole diventare un riferimento canonico, al punto che i modelli dei grandi maestri del passato diventeranno piu' importanti della realta' da riprodurre. Ne sono un esempio le statue di Lisippo lo scultore favorito di Alessandro Magno e suo ritrattista ufficiale, che divennero il punto di partenza di una vastissima produzione scultorea.
In generale, lo stile ellenistico rivela grande realismo nei ritratti e attenta cura nei dettagli.
Le figure perdono la compostezza dell'arte classica e assumono atteggiamenti complessi e movimenti spesso contorti, anche se sempre dotati di eleganza. I volti diventano piu' espressivi e intensi, mentre i corpi si fanno piu' morbidi e sinuosi.
La sfolgorante bellezza di Alessandria.
"Dopo tre giorni di navigazione giungemmo ad Alessandria.
Entrato per la cosiddetta Porta del Sole, subito mi veniva incontro la sfolgorante bellezza della citta' e mi riempii gli occhi di godimento.
Una fila di colonne si levava da entrambi i lati; nel mezzo delle colonne si stendeva la piana della citta'.
Molte vie l'attraversavano ed era intenso il movimento.
Quanto era lungo un ordine di colonne disposte in linea retta,altrettanto ne era lungo un altro disposto in senso trasversale.
Io dividevo i miei sguardi fra tutte le strade e non mi saziavo di ammirarle e non mi riusciva di vederne tutta la bellezza.
Occhi miei, siamo stati vinti!
Vidi due cose nuove e straordinarie, la gara tra la bellezza e la grandezza e la contesa tra il numero degli abitanti della città che si risolveva con la vittoria di entrambi, giacche' l'una, la città, era piu' grande di un continente e gli altri piu numerosi di una stazione".
Chi parla cosi e' il protagonista del romanzo, Achille Tazio e ha ragione.
Alessandria è infatti la città piu' ricca e interessante del periodo ellenistico.
Per le strade cittadine s'incontrano molti visitatori in cerca di divertimento, infatti c'e solo l'imbarazzo della scelta: si puo' andare a teatro o in alternativa si puo' assistere alle famose gare di atletica negli stadi o andare alle corse di cavalli negli ippodromi .
Chi ama la buona tavola non ha difficolta' a soddisfare i suoi desideri nei ristoranti, cantine e caverne che offrono un ottimo servizio.
I piu' sontuosi e raffinati sono quelli che organizza il sovrano, ai quali partecipano funzionari comandanti dell'esercito e amici.
Il numero degli invitati è tale che e' necessario avere a disposizione grandi spazi.
Lo stesso Alessandro Magno per il suo matrimonio aveva invitato più di duecento persone.
Usò tende da banchetto, abitudine che si diffuse presto in tutti i regni ellenistici.
Ad Alessandria si trova un prestigioso centro studi. Al suo interno c'è un'enorme biblioteca che mette a disposizione degli studiosi ben settecentomila volumi.
Si tratta per la maggior parte di opere greche, che sono state accuratamente trascritte a mano.
Nel tempio delle Muse non mancano sale di studio e laboratori.
Ce ne sono alcuni attrezzati per gli esperimenti di chimica, fisica, matematica; altri in cui i medici possono studiare il corpo umano, praticando l'autopsia sui cadaveri; altri ancora in cui i botanici esaminano le varie specie di piante. Tutto il patrimonio conoscitivo delle civiltà egiziana, babilonese, greca, viene confrontato, catalogato e sistemato.
Mentre fiorivano splendide civiltà, come quelle della Mesopotamia e dell'Egitto, in Italia vivevano popolazioni ancora arretrate.
Erano arrivate nella penisola attraverso migrazioni successive dall'Europa centrale.
Avevano usi e costumi molto diversi e parlavano lingue differenti.
I Liguri e i Veneti, per esempio, abitavano in capanne su palafitte.
Le antiche popolazioni della valle padana, invece, costruivano i loro villaggi su territori circondati da fossati pieni di acqua (terramare).
Non mancano, però , esempi di costruzioni più solide, come i nuraghi della Sardegna.
Sappiamo che i primi popoli italici davano grande importanza alla sepoltura dei morti.
Alcuni, come i Villanoviani, (da Villanova, vicino a Bologna), usavano bruciare i defunti e conservare le ceneri in appositi vasi (urne cinerarie).
In altre zone, specie nel meridione, i morti venivano sepolti in tombe a forma di dolmen, grandiosi monumenti formati da lastre di pietra conficcate nel terreno.
La prima grande civiltà della nostra penisola fu quella degli Etruschi. Essi occupavano l’Etruria, la zona dell’Italia centrale compresa tra i fiumi Tevere e Arno. Ci hanno lasciato numerose testimonianze della loro civiltà: tombe, resti di civiltà fortificate, oggetti di uso quotidiano. Della lingua etrusca, invece, ci rimangono poche tracce.
Per gli Etruschi la vita continuava anche dopo la morte. Per questo gli artisti e familiari cercavano di rendere comoda e gradevole la tomba del defunto, decorandola con pitture e oggetti che sarebbero stati usati dal morto nell'aldilà.
Le tombe erano collocate vicine, fino a formare vere e proprie città’ sotterranee, chiamate necropoli.
Gli Etruschi veneravano numerosi dei, ma soprattutto credevano nel destino, una forza misteriosa che dominava il mondo.
I sacerdoti cercavano di indovinare il futuro leggendolo nelle viscere degli animali e nel volo degli uccelli.
UN MISTERO ...
Da dove vennero gli Etruschi? Gli storici di tutti i tempi non hanno mai saputo dare una risposta precisa. Alcuni dicono che gli Etruschi siano arrivati dall’Asia Minore. Altri, invece pensano che questo popolo derivi dalla fusione di popolazioni italiche con gruppi provenienti dall’Oriente per via di mare.
Scrive lo storico greco Teopompo:
“Presso i Tirreni le donne hanno molta cura del loro corpo…
Stanno a tavola non vicino al marito, ma vicino agli ospiti e brindando alla salute di chi vogliono.
Sono molto belle da vedere e forti bevitrici.”
Vivere nel villaggio di Fratta, 3.000 anni fa
Il Polesine e’ la parte sud-orientale della pianura padana, dove il Po riversa le sue acque cariche di sabbia e detriti del mare Adriatico, con un ampio delta.
La terra, resa fertile dalle inondazioni del fiume, è coltivata a cereali, e ricca di frutteti.
Pascoli verdi offrono foraggio di buona qualità per mucche, pecore e capre.
In questo territorio favorevole all’ insediamento umano sorge il villaggio di Fratta.
L’abitato è costituito da capanne circondate da una palizzata. Le pareti sono rinforzate con un miscuglio di paglia pressata e argilla. Non ci sono finestre e l’unica apertura è quella di ingresso. Tutta l’ abitazione si riduce a un unico vano.
Accanto al focolare, in terra, sono disposti tazze, scodelle e pentole di varie dimensioni: sono tutte in ceramica grossolanamente lavorata a mano. Le donne, in questo spazio destinato alla cucina, preparano il cibo per la famiglia: carne, pesce e molluschi catturati nel fiume o in mare.
Nell'Italia centrale, tra gli Appennini, il mare e il fiume Tevere, si sviluppò la civiltà latina. I Latini furono soprattutto pastori e in breve occuparono tutta la regione del Lazio dove fondarono villaggi di capanne.
Sul colle Palatino, che sorge vicino al Tevere e all'isola Tiberina, sorse il primo nucleo di una città destinata a divenire grande e potente: Roma.
Secondo alcune leggende, la città fu fondata nel 753 a.C. da Romolo, figlio del Dio Marte e di Rea Silvia. Egli diventò il primo re della città, diede ai Romani le prime leggi e, sempre secondo la leggenda, quando morì divenne un dio.
Roma in realtà, nacque e si sviluppò a poco a poco, unendosi agli altri villaggi sorti sui colli confinanti.
La prima forma di governo a Roma fu la monarchia: tutto il potere fu affidato a un solo uomo, il re.
La tradizione ci ha tramandato i nomi di sette re, che si succedettero uno dopo l'altro.
I primi quattro furono di origine latina: Romolo, Numa Pompillio, Tullio Ostilio, Anco Marzio.
Gli ultimi tre re furono di origine etrusca: Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il Superbo.
Nel corso del VII secolo a.C., infatti, Roma fu conquistata dagli Etruschi, che vi introdussero le loro usanze e i loro costumi.
Il villaggio del Palatino, l'ambiente naturale che circonda il basso corso del Tevere , nel Latio meridionale , è ricco di contrasti . Alti pianori di tufo dei fianchi scoscesi si alternano a fondovalli acquitrinosi, che il fiume nelle sue piene stagionali inonda.
La palude è il regno delle zanzare e della malaria. Per questo i villaggi sono sorti in cima alle alture.
Su una di esse, il Palatino, si è stabilita una tribù, quella dei Latini, forse giunti in queste terre via mare, dall'Egeo.
La popolazione vive in capanne, circondate da un fossato per consentire all'acqua piovana di defluire e per impedirle di penetrare all'interno dell'abitazione. La struttura portante è in legno.
I materiali da costruzione sono quelli che la natura offre: tufo, erba secca, canne e argilla di fiume.
Davanti all'ingresso c'è talvolta una specie di riparo. Le capanne hanno piccole dimensioni e sono prive di suddivisioni interne.
La maggior parte delle attività si svolge all'aperto. Gli uomini si occupano di caccia, pastorizia, agricoltura; le donne dei lavori domestici e dei figli. In piccoli appezzamenti vengono coltivati l'olivo, la vite, i legumi, l'orzo e il farro, con la cui farina si prepara la puls, una specie di semolino, che insieme alle fave e ai piselli costituisce l'alimentazione base degli abitanti del villaggio.
Nucleo fondamentale dell'organizzazione sociale della comunità latina è la famiglia (l'insieme del marito, la moglie, i loro figli, i genitori, le sorelle, i fratelli, i nipoti) a capo della quale c'è il paterfamilias, il componente più anziano che la dirige con pieni poteri.
Più famiglie, unite da vincoli di parentela e discendenti da un antenato comune, formano la gens, il gruppo sociale più ampio al quale si appartiene. La vita del villaggio scorre, seguendo i ritmi stagionali.
La maggior parte del tempo è occupata dalle attività quotidiane.
Ogni tanto c'è uno scontro armato con i vicini villaggi per il possesso di un pascolo o per difendere un buon raccolto dai tentativi di razzie.
Ecco un brano dello storico Dionigi di Alicarnasso che ci informa sulla nascita delle differenze sociali a Roma:
"Romolo divise gli uomini distinti per nascita o benestanti per denaro dagli ignobili e dai bisognosi. Chiamò "plebei" quelli di sorte peggiore, mentre i nobili furono chiamati patres, cioè "padri", e i loro discendenti "patrizi". Romolo stabilì che i patrizi si dedicassero alla politica, che fossero sacerdoti, magistrati, giudici.
Stabilì che i plebei lavorassero la terra, allevassero il bestiame e commerciassero".
Ora, invece, ecco che cosa scrive Plutarco a proposito dei patrizi romani :
"Cento dei più eminenti patrizi vennero designati consiglieri del re e chiamati tutti insieme Senato. Senato significa assemblea degli anziani ".
I patrizi:
- potevano entrare a far parte del Senato
- potevano diventare magistrati e sacerdoti
- erano i discendenti degli antichi patres
I plebei:
- erano contadini, pastori, commercianti
- non potevano dedicarsi alla politica
La società romana arcaica era composta da famiglie patriarcali molto estese (le gentes) che formavano il ceto aristocratico dei patrizi (discendenti dai patres), possessori delle terre e detentori del potere sulla città. Ad essi erano sottoposti i plebei, che non potevano accedere alle cariche pubbliche.
Questi due gruppi erano nettamente distinti e inizialmente non potevano celebrare matrimoni misti.
L'unico modo per un plebeo di avanzare socialmente era diventare "cliente" di una famiglia patrizia, offrendo i propri servigi in cambio di aiuto e protezione.
I plebei, esclusi dalla partecipazione al potere, lottarono per ottenere maggiori diritti politici: organizzarono concili della plebe e minacciarono la secessione, cioè di abbandonare la città e di fondarne una nuova. Ma Roma aveva bisogno di disporre di tutte le forze possibili contro i nemici : per questo nel 494 a.C. vennero riconosciuti i tribuni della plebe , magistrati eletti dalla plebe , ai quali fu garantita l'inviolabilità; grazie al diritto di veto essi potevano impedire l'emanazione di leggi contrarie agli interessi della plebe .
Un altro importante successo delle lotte dei plebei fu la definizione di leggi scritte , che nel 451 a.C. vennero incise su lastre di bronzo dette le Dodici Tavole: grazie ad esse fu garantita la certezza dei diritti e dei doveri e venne ridotta l'arbitrarietà dei giudici, che essendo di origine patrizia davano spesso interpretazioni di parte.
Nella Roma delle origini, il potere politico e militare era nelle mani dei patrizi, dalle cui fila provenivano i consoli e i membri del senato.
Oltre alla attività pubblica, i patrizi si dedicavano alla amministrazione delle loro ricchezze e alle carriere più prestigiose, come quella di giudice, di avvocato e di sacerdote.
Conducevano una vita molto agiata: avevano al loro servizio numerosi schiavi che si occupavano di tutte le incombenze materiali; erano proprietari di svariate case in città e di ville in campagna.
Prima che la ricchezza, favorita dalle conquiste, diffondesse la smania per il lusso, la vita romana era ancora austera.
Il nucleo fondamentale era la famiglia, che comprendeva il marito, la moglie, i figli, i nipoti, i fratelli e le sorelle; a capo vi era il pater familias, il membro più anziano e dotato di potere assoluto (patria potestas), su tutta la famiglia, sugli schiavi e sui clienti.
La padrona di casa (domina) viveva all'interno della Domus, l'abitazione più o meno vasta a seconda del grado di benessere; aiutata dalle schiave, si dedicava alle faccende domestiche: filare e tessere la lana, cucire i vestiti, provvedere alla necessità della casa.
La sua vita doveva essere un modello di virtù e di dedizione alla famiglia.
Il suo abbigliamento era limitato alla toga, veste che originariamente era comune a uomini e a donne, composta da un unico pezzo di tessuto appoggiato sulle spalle e fermato da fibule.
Con il termine Civis Togatus ("cittadino togato") si faceva riferimento ad una persona di grande dignità e prestigio, in contrapposizione al tunicatus populus, con cui si indicavano i plebei, vestiti solo con la tunica, composta da due rettangoli cuciti e trattenuti in vita da una cintura.
I plebei erano generalmente artigiani, bottegai o contadini al servizio dei patrizi.
Conducevano una vita umile in alloggi modesti e privi di comodità , spesso posti sopra il luogo di lavoro.
I più poveri , quelli che non potevano contare su un'occupazione per pagarsi l'affitto ,vivevano all'aperto , nei tuguri dei quartieri più miseri della città , nei pressi dei negozietti, le tabernae, o nelle capanne di periferia.
In seguito alle trasformazioni economiche determinate dall'espansione territoriale, molti plebei riuscirono ad arricchirsi, mentre cadevano le barriere sociali tra patrizi e plebei: le distinzioni sociali iniziarono a basarsi sulla ricchezza e non più sulla nobiltà di nascita.
Via via che Roma diventava un polo di attrazione per le genti vicine e per i popoli vinti , affluivano nelle città tutti coloro che erano in cerca di fortuna: si moltiplicò così l'esercito dei diseredati , che vivevano in condizioni di promiscuità nei bassifondi cittadini.
I romani avevano tre nomi: il secondo, il nomen, si riferiva alla famiglia di appartenenza (per esempio, i membri della famiglia Claudia si chiamavano tutti Claudio, quelli della famiglia Giulia, Giulio).
Prima del nomen veniva il prenomen, il nome personale , come Caio, Lucio , Tiberio , Livia , Quinto.
Infine veniva il soprannome, cognomen , che prendeva spunto da una caratteristica fisica o dal luogo d'origine : per esempio Cincinnato significa "capelli ricciuti" (cincinni in latino), Coriolano "della città di Corioli"
Erano soprannomi anche Cesare e Cicerone .
Secondo la tradizione, nel 509 a.C. i Romani cacciarono il Re Tarquinio il superbo, abolirono la monarchia e fondarono la repubblica. Il governo della città fu affidato a magistrati eletti ogni anno.
Due di essi, i consoli, erano i capi dello Stato. Comandavano l'esercito e facevano rispettare le leggi.
Inizialmente la repubblica dovette difendersi dai popoli confinanti, Etruschi, Volsci, Equi.
In seguito, Roma conquistò l'Italia centrale e le colonie greche del meridione.
Avversari agguerriti furono i Sanniti, una popolazione che contendeva a Roma il possesso delle colonie.
Le continue guerre e le conquiste che ne seguirono avvantaggiarono soltanto le classi ricche, mentre la condizione dei plebei diventava sempre più misera.
Spesso essi erano costretti a contrarre debiti e, non potendo pagarli, venivano venduti come schiavi dai creditori.
Così i plebei si ribellarono e, per la difesa dei propri diritti, ottennero l' istituzione dei tribuni della plebe.
Ottennero anche delle leggi scritte e fu loro riconosciuta la possibilità di diventare consoli e senatori.
I tribuni della plebe erano magistrati nominati dai plebei: avevano l' incarico di difendere la plebe dagli abusi dei patrizi.
A essi era riservato il diritto di veto: potevano, cioè, bloccare qualsiasi decisione o legge del Senato che era contraria agli interessi della plebe.
I tribuni erano considerati inviolabili e duravano in carica un anno.
Anche i Romani, come tutti i popoli antichi, praticarono la schiavitù. Secondo le leggi romane, gli schiavi erano considerati come oggetti appartenenti al loro padrone e non come persone.
Ecco come tre scrittori latini consigliavano di trattare gli schiavi:
Orazio
"Dal momento che un prigioniero di guerra puoi venderlo, non lo uccidere".
Columella " Lascia che pascoli tra gli stenti e che ari, che trasporti cereali e derrate".
Catone
"Le abitazioni per gli schiavi che possono muoversi in libertà devono essere rivolte a sud; per quelli incatenati conviene possedere un "ergastolo" (dormitorio comune) nelle cantine degli edifici, con piccole finestre per la luce …"
Si vendano i buoi che sono invecchiati, i capi di bestiame e le pecore difettose, lo schiavo vecchio e lo schiavo malato e ogni altro peso morto".
Quali notizie ricaviamo dai documenti sullo stato degli schiavi a Roma?
Agli ultimi gradini della scala sociale vi erano gli schiavi. Si diventava schiavi se si era prigionieri di guerra o se si nasceva da madre schiava si poteva perdere la libertà anche per debiti o per assoluta mancanza di risorse.
Gli schiavi erano adibiti alle occupazioni domestiche (portieri, camerieri, fattorini, parrucchieri, lavandaie, cuochi), ai lavori manuali di fatica (muratori, allevatori, contadini, minatori),
ma anche a mansioni meno umili, come insegnanti, segretari, amministratori, medici, impiegati.
I più forti e meno domabili venivano avviati alla carriera di gladiatori: si dovevano battere con belve feroci o battersi con altri schiavi in duelli che terminavano con la morte di uno dei contendenti.
Gli schiavi impiegati in mansioni di fatica lavoravano spesso incatenati; facevano parte del patrimonio del padrone, che aveva su di loro diritto di vita e di morte.
Esistevano leggi che obbligavano gli schiavi a intervenire in difesa del padrone se questi si trovava in pericolo: l'omesso soccorso era punito con la morte di tutti gli schiavi, anche se il padrone ne possedeva a centinaia.
Gli schiavi erano infatti considerati strumenti di lavoro senza personalità e senz'anima e potevano essere eliminati o venduti.
Non vi era città in cui non vi fosse un mercato di schiavi. Il prezzo dipendeva dalle loro prestazioni, ma anche dai bisogni e dai gusti degli acquirenti: uno schiavo da fatica poteva valere meno di un letterato, di una bella fanciulla, di un cuoco o di un giovane atleta.
Nell'età antica, la vita dello schiavo era ancora abbastanza sopportabile: il padrone condivideva spesso le stesse sue fatiche e potevano sorgere legami fraterni.
Questo accadeva soprattutto nelle grandi tenute agricole, dove lo schiavo aveva l'opportunità di inserirsi nell'ambiente domestico e di essere benvoluto dal suo padrone.
Dopo la conquista dell'Italia, Roma si scontrò con la potenza di Cartagine, la città fondata dai fenici sulle coste dell'Africa.
Per oltre cento anni (dal 264 al 146 a.C.) le due città combatterono tre lunghe guerre.
Lo scopo era quello di assicurarsi il controllo dei traffici sul Mediterraneo.
Le guerre furono dette puniche da Puni, nome col quale i Romani chiamavano i Cartaginesi.
Una grossa difficoltà dell'esercito romano fu quella di imparare a combattere sul mare.
Venne allestita una flotta di 120 navi da guerra, attrezzate con ponti mobili, detti corvi, che permettevano di combattere come sulla terraferma.
Le guerre si conclusero con la vittoria dei Romani e la distruzione di Cartagine dopo un lungo assedio.
Roma diventò così la dominatrice del Mediterraneo.
L'avanzata delle legioni romane continuò verso Oriente. Anche la Macedonia e la Grecia furono sottomesse.
Tutti i territori conquistati vennero organizzati in province. A capo di ogni provincia fu messo un governatore romano. I Romani rispettarono le tradizioni delle popolazioni conquistate, pur sottomettendole alle loro leggi.
Per meglio controllare i loro domini, costruirono una fitta rete di strade, che, partendo da Roma, raggiungevano ogni punto dell'Italia e delle province.
I Romani crearono una vasta rete di strade allo scopo di collegare Roma con tutti i territori del loro dominio.
Le strade, infatti, arrivavano fino alla Gallia, alla Spagna, all'Asia Minore. Erano costruite con una tecnica che le rendeva resistenti ai danni causati dal tempo e dal traffico.
Durante la seconda guerra punica, i Cartaginesi erano guidati da un valoroso generale: Annibale.
Leggiamo che cosa ci dice di lui lo storico romano Tito Livio:
"Non aveva che nove anni Annibale, quando cominciò a pregare il padre di portarlo con sé in Spagna, dove i Cartaginesi combattevano contro i Romani. Il padre Amilcare accondiscese e durante il sacrificio gli fece giurare, sulla vittima sacrificata agli déi, odio eterno contro i Romani"
Nel 218 a.C. Annibale guidò il suo esercito dalla Spagna verso l' Italia per combattere contro i Romani.
Così lo scrittore Polibio racconta un episodio del valico delle Alpi:
"L'armata di Annibale, lungo il tragitto, subiva gli attacchi delle tribù della montagna. Tuttavia, quando i nemici attaccavano la colonna dei Cartaginesi, gli elefanti si rivelavano molto utili. I nemici erano così spaventati degli enormi animali che non osavano avvicinarsi".
Uno dei fattori che maggiormente contribuì alla forza e all'espansione romana fu l'efficienza militare, che poggiava su un esercito saldamente organizzato.
Originariamente, in caso di guerra, tutti i cittadini tra i 17 e i 46 anni dovevano abbandonare i loro affari e rispondere alla chiamata alle armi.
La partecipazione diretta alla difesa rendeva i soldati motivati e consapevoli del loro importante contributo alla potenza romana.
Oltre all'orgoglio patrio vi era anche un interesse economico: in caso di vittoria i soldati si spartivano il bottino di guerra e potevano arricchirsi considerevolmente.
Inoltre il servizio nell'esercito era indispensabile per accedere alle alte cariche politiche.
I cittadini chiamati alla leva prestavano giuramento solenne e da quel momento dipendevano completamente dai loro generali, che avevano su di loro diritto di vita e di morte.
Il rapporto della truppa con gli ufficiali era caratterizzato da grande fiducia e dedizione: i soldati eleggevano spesso i comandanti, che condividevano con loro rischi e disagi; se un ufficiale era inviso ai soldati veniva sostituito, perché altrimenti i combattenti non avrebbero avuto il necessario entusiasmo che un superiore apprezzato sapeva infondere.
L'ordinamento militare romano si basava sulla legione, che significava l'insieme dei cittadini armati.
A partire dal IV sec. a.C. la legione era composta da 6.000 uomini, divisi in 30 manipoli con a capo due centurioni.
Davanti alla legione erano schierato i velites, armati alla leggera. I manipoli erano distribuiti in tre file, in modo da essere molto agili e adatti alla guerra di movimento.
I soldati della prima fila erano gli hastati, che portavano spada (gladium) e giavellotto (pilum); i soldati della seconda fila erano i principes, con armatura pesante; in terza fila vi erano i soldati più anziani ed esperti, i triarii, armati di lance.
Alle ali si disponeva la cavalleria, con 300 cavalieri.
Fino al 123 a.C. i soldati dovevano armarsi e provvedere al loro sostentamento a spese proprie. In epoca repubblicana il comando supremo dell'esercito, l'imperium, era affidato prima ai consoli, in seguito ai pretori.
In casi eccezionali veniva nominato un dictator, che rimaneva in carica per un periodo limitato.
La forza organizzativa dall'esercito romano si rivelava anche nella costruzione di accampamenti, che venivano installati al termine di ogni marcia e che rappresentavano una novità per le altre popolazioni.
Venivano edificati in località facilmente difendibili, sopra un'altura o vicino ad un corso d'acqua.
Il terreno veniva suddiviso in tanti lotti e venivano tracciate perpendicolarmente due linee, ai cui estremi sorgevano le porte e attorno a cui si delineava un reticolo di strade.
Era circondato da un fossato o da una palizzata; al centro vi era la tenda del comandante (il pretorio), l'altare per i riti religiosi (l'ara), e il foro, il luogo d'incontro dei soldati. Gli alloggi potevano essere tende o baracche, in legno o in muratura in caso di accampamenti fissi. Le nuove città fondate dai Romani saranno edificate secondo lo schema del loro accampamento, cioè a pianta rettangolare, con due strade principali che si intersecano al centro ad angolo retto.
Può sembrare strano che Roma, diventata la principale potenza marittima del Mediterraneo, fosse arrivata tardi alla navigazione.
Furono infatti le necessità della difesa, della conquista e dell'amministrazione di un territorio sempre più grande a trasformare i romani, inizialmente legati ad una cultura di terra, in un popolo marinaro.
L'uso delle vie fluviali per il trasporto delle merci era diffuso praticamente dalle origini: all'isola Tiberina facevano scalo le navi e i mercanti fenici, greci ed etruschi, che scambiavano i loro prodotti con quelli locali, in particolare con il sale, di cui la zona era ricca.
I beni trasportati venivano generalmente conservati nelle anfore: si pensi che a Roma si è formato un monte, detto Testaccio, con i detriti di 86 milioni di anfore per prodotti agricoli, accumulati nel corso di tre secoli !
Se i traffici avevano favorito la navigazione fluviale e marittima commerciale, mancava invece una tradizione marina in campo militare.
Fu solo con la guerra contro i Cartaginesi che i Romani si dotarono di un'adeguata flotta navale, dimostrando anche in questo settore notevoli capacità inventive: essi catturarono navi Cartaginesi e le presero a modello per costruire le loro.
Apportarono però alcune modifiche e misero a punto l'innovazione del ponte mobile, che permetteva di agganciare le navi nemiche per abbordarle.
In tal modo riuscirono a puntare sulla battaglia corpo a corpo, nella quale erano decisamente superiori, piuttosto che su di uno scontro navale vero e proprio.
In poco tempo addestrarono gli schiavi alla navigazione: alcuni addetti insegnavano a remare a terra, simulando le posizioni da tenere sulla nave.
Anche se all'inizio erano poco agili e i marinai non avevano ancora acquisito una grande perizia di navigazione, questo enorme sforzo venne ricompensato: nel volgere di pochi anni Roma divenne una potenza navale, si dotò di una terribile flotta militare e incrementò la flotta mercantile, destinata a trasportare merci e persone da e per le province conquistate.
Il primo porto di Roma fu quello di Ostia, la cui edificazione fu attribuito ad Anco Marzio.
Però anche a causa della scarsa vocazione marinara delle origini, questo porto venne presto soppiantato da quello di Pozzuoli, che mantenne il primato fino a quando l'imperatore Claudio fece rifare le strutture portuali di Ostia, distante solo 35 km da Roma, un tragitto che poteva essere coperto con due notti e un giorno di viaggio via fiume.
Le grandi conquiste militari fruttarono molte ricchezze ai Romani.
Non solo c'era il bottino di guerra, ma anche i tributi che i popoli vinti dovevano pagare ai vincitori.
Queste ricchezze, però, furono divise solo tra i patrizi, che se ne servirono per acquistare terre. Così i ricchi si trovarono proprietari di immensi terreni, i latifondi, mentre i contadini, impoveriti dalle guerre, dovevano vendere i loro campi e diventare semplici braccianti. Tiberio e Caio Gracco, tribuni della plebe, presero le difese delle classi povere e proposero di consegnare una parte delle terre ai contadini.
Entrambi, però, furono uccisi. Ne seguì un periodo di lotte interne che fece cadere la repubblica nel disordine.
Il partito popolare fu sconfitto e il Senato cercò di ristabilire l'ordine affidando il comando a tre capi militari: Cesare, Crasso e Pompeo. Cesare era un valoroso condottiero: aveva conquistato la Gallia (l'attuale Francia) con le guerre galliche, procurandosi grande popolarità.
Appoggiato dal popolo, cercò di impadronirsi del potere in modo assoluto.
Sconfisse i rivali e si fece nominare dittatore a vita.
Il suo progetto era ambizioso, ma fu bloccato da alcuni senatori che temevano per le sorti della repubblica. Nel 44 a.C. Cesare fu ucciso in Senato.
La repubblica, però , non venne più ristabilita.
Secondo quanto racconta Plutarco, Cesare conquistò più di 800 città, sottomise 300 popoli, combatté contro 3 milioni di uomini.
Il grande condottiero ha raccontato la conquista dei Galli nella sua opera "La guerra gallica". In essa si trovano molte notizie sulla vita e le abitudini delle tribù galliche.
Erede di Cesare fu suo nipote Ottaviano, che alla morte dello zio riuscì a conquistare il potere.
Dopo aver eliminato i nemici di Cesare, Ottaviano riunì nelle sue mani tutte le cariche che nella repubblica erano divise tra i vari magistrati .
Così egli fu nello stesso tempo console , tribuno e pontefice massimo (capo della religione romana ). Venne anche nominato imperatore, cioè comandante dell'esercito , e il Senato gli concesse il titolo di Augusto , cioè "divino".
Augusto regnò a lungo: quarant'anni.
Per Roma fu un periodo prospero e felice , che mise fine alle guerre e ai disordini e restituì all'impero la pace .
Il Senato fece erigere in onore di Augusto l'Ara Pacis (altare della pace).
Augusto ampliò e rese più sicuri i confini dell'Impero; incoraggiò, inoltre, lo sviluppo delle industrie e dei commerci.
Non trascurò di dare un contributo allo sviluppo della cultura: i massimi poeti di Roma, come Orazio, Virgilio, Ovidio, e i grandi storici, come Tito Livio, sono di questo periodo.
Lo splendore dell'età augustea è anche testimoniato dai magnifici monumenti con cui Roma venne abbellita e dalle opere di utilità pubblica.
Nell'antica Roma le scuole erano private e i maestri venivano pagati dalle famiglie degli stessi alunni.
I bambini cominciavano a frequentare la scuola all'età di 6 anni.
Imparavano a leggere, a scrivere con bastoncini appuntiti (stili) su tavolette di cera, e a fare i calcoli.
Si esercitavano anche negli sport per crescere agili e sicuri
Le terme, o bagni pubblici, erano il luogo dove i Romani trascorrevano il tempo libero.
Ecco cosa ci dice il filosofo Seneca sulla vita che si svolge alle terme:
"Abito proprio sopra uno stabilimento balneare e puoi immaginare il chiasso, un vocio di gente che ti fa desiderare di essere sordo.
Se qualcuno si fa massaggiare, sento il picchiare della mano sulla spalla. Ci sono quelli che giocano a palla gridando.
Ci sono quelli che si tuffano nella piscina e fanno spruzzare l'acqua da tutte le parti".
Ecco un divertente resoconto dei cibi serviti durante una cena romana. Chi scrive è Petronio:
"Ci fu offerto innanzitutto un maiale con una corona di salsicce. Il piatto seguente fu una torta fredda con miele caldo.
Ci trovammo, poi, davanti ad un pezzo di carne d'orso.
Alla fine ci fu dato del formaggio tenero, della mostarda, una chiocciola per ciascuno, della trippa,del fegato al tegame, delle uova incappucciate.
Al prosciutto ci arrendemmo".
Per collegare le numerose province conquistate, Roma si dotò di un efficiente e capillare sistema di strade, che ebbe un'importanza fondamentale per l'organizzazione politica e sociale delle varie province per gli spostamenti degli eserciti e dei funzionari per il commercio, per le comunicazioni.
La manutenzione stradale era considerata un impegno essenziale: per questo la cura viarum era affidata ad alti magistrati, mentre le decisioni relative alla costruzione erano di competenza del Senato, dei consoli e dei censori, cui era affidato il compito di espropriare i terreni per realizzare le opere pubbliche
I vecchi tracciati delle strade più antiche avevano il fondo in terra battuta e seguivano integralmente l'andamento del terreno, risultando cosi molto tortuose ed irregolari.
A partire dal IV secolo A.C. si intraprese la costruzione di strade lastricate, fiancheggiate da marciapiedi, con una larghezza che andava dai 4 ai 5 metri.
Nelle strade di città vi erano massi sporgenti, posti al centro, per consentire l'attraversamento dei pedoni. Per rendere più rapido e agile il percorso, ed evitare dislivelli e curve troppo strette, venivano aperte gallerie e costruiti ponti con tecniche ingegneristiche ardite.
Lungo il tragitto venivano collocate le pietre milliari, blocchi di marmo su cui erano incisi il nome della strada e la distanza da Roma.
Il sistema vario di Roma era articolato a raggiera, in quanto tutte le strade più importanti si diramavano dal Foro. Le direttrici principali avevano larghezza che andava dai 5 ai 6 metri e mezzo; vi erano poi i clivi, le rampe che portavano sui colli, e gli angiporti, e i vicoletti la cui larghezza minima non poteva essere inferiore ai 3 metri, per consentire la costruzione dei balconi ai piani superiori delle case.
Lungo le strade erano situate le botteghe e le cauponae, l'equivalente dei nostri bar.
Per evitare gli ingorghi vennero stabiliti dei divieti:
- La legge Oppia vietava il transito della carrozza privata sulle strade pubbliche
- La legge Cesare proibì il transito dei carri dal sorgere del sole al tramonto, tranne che per il passaggio di carri destinati al trasporto dei materiali da costruzione destinati ai templi
Questo blocco del traffico portò all'utilizzo dei carri nelle ore notturne e tutto ciò affollava le città, disturbando quindi il sonno della popolazione. La testimonianza di Giovenale lamenta ciò:
"Il via vai dei carri nelle voltate degli strettissimi vicoli e lo schiamazzo delle mandrie che sostano toglierebbero il sonno anche alle foche".
I seguaci di Cristo diffusero il suo insegnamento nella Palestina e negli altri paesi dell'impero, facendo sempre nuovi proseliti.
Tra essi spiccavano gli Apostoli, gli "inviati da Dio", che a Gerusalemme organizzarono la prima Chiesa, cioè l'assemblea dei fedeli.
In particolare l'apostolo Paolo predicò la nuova religione in Siria, in Grecia, in Asia, in Egitto e a Roma, da cui poi si propagò nelle altre province.
Ovunque si formarono comunità cristiane, che inizialmente erano formate dai ceti più umili ed emarginati della società.
In seguito questa religione venne accolta con favore anche dalle classi più elevate; molti membri di famiglia in vista si convertirono e contribuirono, grazie alle loro risorse economiche e al loro prestigio, al consolidamento di una salda organizzazione. Ciò provocò una dura reazione delle autorità romane, che in genere erano tolleranti verso le divinità dei popoli conquistati.
I cristiani, però, si rifiutavano di venerare l'imperatore come un dio, poiché essi credevano in un Dio unico.
Iniziò così una serie di persecuzioni, che a ondate successive si proposero di colpire il cristianesimo sia nella sua organizzazione, sia nei suoi membri: coloro che morivano in nome della fede vennero detti martiri, testimoni, e il loro sacrificio consolidò sempre di più la nuova religione, che nel III secolo d.C. si era già espansa nella maggior parte del territorio dell' impero.
Era soprattutto nelle città che il cristianesimo faceva nuovi adepti: qui infatti era maggiore il numero degli emarginati e più sentita la sete di giustizia e di fratellanza. Nelle campagne, invece, perdurò più a lungo la religione politeista romana, che venne infatti detta paganesimo, dalla parola latina "pagus", che significa villaggio.
Le due più significative tappe verso il pieno riconoscimento della nuova religione furono l'editto di Milano, emanato da Costantino nel 380 d.C., con il quale il cristianesimo divenne religione di Stato.
Nel 394 d.C. fu abolito il paganesimo e spento il fuoco di Vesta.
Secondo la tradizione cristiana furono soprattutto quattro apostoli, seguaci di Gesù, a diffondere la sua predicazione e a chiarire il suo messaggio: Marco, Matteo, Luca, Giovanni.
A loro viene attribuita la stesura dei Vangeli (parola greca che significa "buona novella"), che secondo gli storici sono stati composti tra il 70 e il 100 d.C.
Alla diffusione del cristianesimo contribuì anche Paolo di Tarso, che viaggiò in tutto l'impero per far conoscere il messaggio di Cristo.
La nuova dottrina incontrò inizialmente l'adesione dei ceti più deboli, in quanto Cristo predicava la fratellanza, la solidarietà, l'amore per il prossimo, l'uguaglianza tra gli uomini, temi questi che davano una speranza ai diseredati, a tutti coloro che subivano l'oppressione arrogante dei potenti.
Le parole del Messia, infatti, dicevano:
"Beati i poveri, perché sarà loro il regno dei cieli…
Beati i misericordiosi, perché saranno consolati…
Beati i miti, perché erediteranno la terra…
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati…
Sono parole di consolazione, ma anche di grande forza morale: la giustizia, la mitezza, la misericordia, la povertà erano valori ignorati, se non addirittura avversati, nella Roma imperiale. In una società dominata da regole spietate e disumane, in cui il denaro era la fonte del potere e in cui esisteva un enorme massa di schiavi e di poveri, il cristianesimo portava una speranza di salvezza e di riscatto, non solo come promessa per il futuro, ma come garanzia per impostare la convivenza tra gli uomini su valori diversi.
Uno dei fattori che contribuì alla diffusione della fede cristiana fu anche la capacità organizzativa dei primi seguaci che si raggrupparono in comunità di fedeli, nelle quali venivano messi in comune i beni e dove si trovava solidarietà in caso di bisogno.
Ogni comunità aveva a capo un vescovo (parola greca che significa più o meno "superiore"), affiancato dai fedeli più anziani i presbiteri, da cui deriva la parola "prete". I vescovi si riunivano periodicamente in concili, nei quali venivano discussi i principali problemi dottrinali e pratici.
Questa capillare capacità organizzativa, unita ai valori di riscatto sociale insiti nella fede cristiana, rischiava di sovvertire i capisaldi su cui si fondava il sistema di potere romano; inoltre il cristianesimo, in quanto religione monoteista, era incompatibile con il politeismo di quella romana, su cui per altro si fondava anche il sistema politico. Per questo le autorità guardavano con sospetto la religione cristiana, mentre si dimostravano tolleranti con tutte quelle dei popoli sottomessi.
Questa diffidenza rese difficile per i cristiani avere luoghi di culto stabili: essi si riunivano nelle case dei fedeli o negli spazi offerti da affiliati benestanti; era qui e nelle catacombe, i cimiteri in cui venivano sepolti i loro morti, che nel II secolo d.C. comparvero i primi simboli e le prime raffigurazioni pittoriche della nuova religione.
Alla fine del II secolo d. C. il cristianesimo non era più una religione di pochi fedeli emarginati: era diventata una fede diffusa tra tutti i ceti sociali, comprese le famiglie romane più importanti. E' da esse che provenivano gli apologeti, uomini colti e preparati, che si sforzarono di far accettare la nuova religione alle autorità romane.
Ma non era un compito facile, dato che molte comunità cristiane avevano sviluppato posizioni rivoluzionarie nei confronti dell'ordinamento sociale.
Fu per questo che le autorità decisero di reprimere con la forza delle persecuzioni, che si attuarono in diversi modi: la persecuzione dei fedeli più facoltosi, con l'obbligo di rinunciare pubblicamente alla loro fede, con il carcere e con lo sterminio.
Diverse volte la persecuzione venne attuata con metodi raccapriccianti.
Lo storico Tacito ci racconta quello che faceva Nerone, quando incolpò i cristiani dell'incendio di Roma (probabilmente provocato da lui stesso), e li condannò a morte, sottoponendoli a crudeli torture:
"Ordunque, prima furono arrestati quelli che confessavano la loro fede; poi, dietro loro indicazione, una grande moltitudine di gente fu ritenuta colpevole non tanto del delitto di incendio, quanto di odio contro l'umanità.
E non bastò, fu aggiunto anche lo scherno; sicché coperti di pelli di fiera, morivano straziati dal morso dei cani o venivano crocifissi o dovevano essere dati alle fiamme perché, quando la luce del giorno veniva meno, illuminassero la notte come torce.
La repressione, però, non impedì ai cristiani di aumentare e di penetrare profondamente nella società: alla fine del IV secolo d.C. il cristianesimo divenne infatti la religione ufficiale dell'impero romano.
I cristiani seppelliscono i loro morti nelle catacombe.
I pagani seppellivano i loro defunti nelle necropoli, le città dei morti, o in tombe monumentali, destinate ai più facoltosi e poste lungo le strade che si dipartivano dalla città.
Era proibito seppellire i morti nell'abitato e ben presto si affermò l'uso di bruciare i corpi. I cristiani, invece, preferivano continuare l'uso dell'inumazione e decisero di costruire i cimiteri riservati ai fedeli e ai martiri, in cui poter celebrare i propri riti funebri.
Iniziarono così ad adibire a cimitero una località posta ai margini della via Appia, chiamata Catacumbas, che significa "presso la civiltà", poiché sembra che in quel luogo vi fossero cave di tufo che avevano provocato degli avvallamenti nel terreno.
E' proprio qui che ebbero origine quelle che oggi sono chiamate "catacombe", termine che viene esteso a tutti i cimiteri sotterranei.
Molti credono che le catacombe fossero luoghi di rifugio, in cui si nascondevano i cristiani per sfuggire alle persecuzioni. Ma questo non è esatto.
Le catacombe erano ben note alle autorità romane, che le tenevano sotto stretta sorveglianza.
Risulta poi difficile credere che si potesse vivere a lungo nei cunicoli senza aria scavati nella terra: nessuno sarebbe sopravvissuto.
E' vero invece che le catacombe, oltre ad essere destinate alla sepoltura, erano luoghi di culto, nei quali si celebravano i riti della comunità: la preghiera comune, l'Eucarestia, l'amministrazione dei sacramenti. Solo quando le persecuzioni si fecero molto violente, le catacombe potevano essere usate come rifugio omentaneo.
I primi nuclei cimiteriali sotterranei iniziarono ad essere scavati attorno alla metà del II secolo d.C.
Col tempo si formò una corporazione detta dei fossori che si specializzò nell'edificazione delle catacombe: vi erano gli addetti allo scavo e quelli esperti in decorazioni.
Le catacombe erano strutturate a più piani (potevano arrivare anche a 5), fino a giungere ad una profondità massima di 30 metri.
Le gallerie strette e lunghe, alte circa tre metri, erano collegate da ripide scale che formavano una rete molto intricata, un vero e proprio labirinto dove solo gli addetti potevano muoversi con facilità. Nelle pareti erano scavati i loculi, in cui venivano seppelliti i morti.
Dopo la deposizione, il loculo veniva chiuso da lapidi o da mattoni.
I cunicoli erano intervallati da stanze più alte, le cripte, vere e proprie chiese sotterranee.
La luce filtrava da aperture piccolissime ed era molto scarsa
Le pareti delle gallerie e delle cripte erano spesso decorate da affreschi, incisioni o mosaici, ed avevano un repertorio di raffigurazioni molto limitato e strettamente legato ai temi della fede. I cristiani amavano esprimere con simboli i valori di fondo della loro religione: la pace, la salvezza in Cristo, l'annuncio della buona novella.
I più comuni erano la figura del Orante e quella del Buon Pastore; vi era poi il pesce, la cui simbologia è legata al fatto che "pesce" in greco si dice ICTHYS, parola composta con le iniziali delle parole greche che formano la frase: Gesù (Iesus), Cristo (Christos), di Dio ( Theu), Figlio (Yios), Salvatore ( Soter).
Altri simboli molto frequenti erano la colomba con un ramo d'ulivo nel becco, che rappresentava la pace divina, l'Alfa e l'Omega, la prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, che indicavano Cristo come inizio e fine di tutto.
Numerose erano anche le iscrizioni, che testimoniavano la forte adesione ai valori religiosi e che intendevano tramandare il ricordo di vite umili ma esemplari nella fede. Da esse emergono importanti informazioni sui sentimenti, i dolori, le paure e le speranze dei primi cristiani.
Nei primi tempi della repubblica, i cittadini romani conducevano una vita semplice e priva di lusso.
Con le conquiste, però, Roma si arricchì e venne a contatto con i costumi raffinati dei Greci e dei popoli orientali.
La vita semplice di un tempo lasciò il posto al lusso: case comode, gioielli e abiti costosi, cibi ricercati.
La plebe abitava nelle insulae, caseggiati a più piani privi di comodità. I patrizi, invece, vivevano nelle domus, dimore ampie e confortevoli, con varie stanze su un solo piano.
Le insulae erano edifici cadenti, senza impianti per l'acqua corrente e senza servizi igienici. Alcune di esse erano alte più di venti metri e potevano avere anche sette piani.
Le domus erano circondate da giardini e protette dai rumori del traffico.
I luoghi in cui si divertivano i Romani erano tre: il teatro, in cui si rappresentavano vari spettacoli, l'anfiteatro, e il circo.
Nell'anfiteatro, si svolgevano crudeli combattimenti di gladiatori e battaglie navali. La pista allungata del circo, invece, ospitava le corse dei carri. Tutti gli spettacoli erano gratuiti.
Tra i divertimenti dei Romani, erano molto seguite le lotte dei gladiatori, che si svolgevano negli anfiteatri.
I gladiatori lottavano tra di loro, o contro le bestie feroci, suscitando l'entusiasmo della folla.
Lo storico e politico Dione Cassio ci racconta in questo brano il modo in cui combattevano i gladiatori:
"Alcuni schiavi a ciò addestrati, agilissimi e mezzo nudi , armati soltanto della rete, di un tridente e di un pugnale venivano inseguiti dai gladiatori armati di elmo, scudo, spada e armature pesanti.
Quando uno dei lottatori cadeva, ferito e vinto, se gli spettatori gli concedevano la grazia, alzavano il pollice verso l'alto; se lo volevano morto, puntavano il pollice verso il basso.
I gladiatori erano schiavi scelti tra i più forti.
Erano soggetti a un duro allenamento e ben nutriti. Se bravi e audaci diventavano veri campioni e idoli della folla "
Il panorama delle rappresentazioni teatrali era molto vario. Originariamente nella Magna Grecia si rappresentavano commedie e tragedie greche, mentre nell'antica Roma erano in voga spettacoli di origine etrusca e di carattere satirico, in cui gli attori si esibivano con maschere e con il viso dipinto di rosso.
In seguito si ebbe una fusione tra la tragedia greca e il più arguto e salace spirito romano, soprattutto nelle opere di due grandi commediografi, Plauto e Terenzio.
Nella Roma imperiale si preferivano opere di modello greco, che vennero però presto soppiantate dal mimo e dal pantomimo.Il primo era di soggetto comico, con molti elementi di satira politica che prendevano di mira i grandi del momento. Canti e balli si alternavano alla recitazione, in un linguaggio mordace e a volte anche volgare. Gli attori non indossavano le maschere ed erano presenti anche le donne.
Il pantomimo era invece di carattere tragico e aveva un protagonista un danzatore o un acrobata che mimava la storia accompagnato da un attore che la narrava e da musici e coristi.
In epoca imperiale andavano di moda anche spettacoli acquatici: con un complicato sistema di condotti si riempiva d'acqua l'orchestra del teatro, e in essa si esibivano nuotatori e nuotatrici, che in costumi succinti eseguivano balletti subacquei, vi si svolgevano anche le naumachie, le spettacolari battaglie navali.
I Romani hanno ripreso il modulo del teatro greco, a pianta semicircolare, modificandolo però con strutture portanti e autonome, in modo da non avere più bisogno di un terreno in pendenza su cui poggiare le gradinate.
Nelle rappresentazioni, che anche a Roma si svolgevano nell'arco di un intera giornata, si faceva largo uso di macchine teatrali e di effetti scenografici. Una piattaforma rotante, con al centro una struttura, che poteva essere una tenda, un trono o una casa, serviva per i fatti che non si pensava fosse opportuno di mostrare al pubblico e di cui si voleva far vedere solo l'esito finale, come per esempio il cadavere dopo un assassinio.
Molto usata era anche la macchina, formata da un gancio legato ad una carrucola e utilizzata per far comparire sulla scena esseri volanti o dei. Da qui deriva l'espressione 'deus ex machina' (il dio che compare per mezzo di una macchina), che indica una situazione di artificio, un trucco scenico.
Gli artisti e i mimi avevano compagnie teatrali stabili. Non percepivano stipendi molto elevati, tranne nel caso in cui la loro popolarità e bravura fosse determinante per il successo della rappresentazione. Vi erano infatti attori molto ricchi e amati dagli spettatori.
I mimi iniziavano la carriera fin da giovanissimi, imparando a raffinare espressione e gestualità, le doti necessari al loro ruolo.
I pantomimi dovevano invece sottoporsi ad una preparazione atletica, conoscere la mitologia e la storia e avere un forte senso della poesia e della musica.