La Rivoluzione Messicana
FELIPE RAMOS - Intervista (99 ANNI)
Dopo la dichiarazione d’indipendenza del vicereame della Nuova Spagna (Messico) avvenuta nel 1821, il paese attraversò alcuni anni caratterizzati da sommosse popolari. Agli inizi del 900’ era guidato da Porfirio Dìaz, giunto al potere nel 1876 in seguito a un’insurrezione in cui si chiedeva il "suffragio effettivo, non rielezione", sebbene egli stesso venisse rieletto per ben otto volte.
In questo periodo, si giunse a una stabilità politica e a una prosperità economica che fecero del Messico, agli occhi della comunità internazionale, un paese idoneo agli investimenti.
Dìaz basò la sua gestione sulla corruzione e sulla repressione, quest’ultima diretta in particolare contro il malcontento dei contadini, che spesso si traduceva in rivolte violente.
Nel 1910 Dìaz, ormai ottantenne, non intendeva riproporre la propria candidatura nelle elezioni di quell’anno. Si astenne però dal designare un successore, anche perché nel 1908 aveva dichiarato di voler consentire la nascita di un partito di opposizione.
Emerse allora la figura di Francisco Madero un ricco proprietario terriero del nord, che avviò una campagna elettorale con il vecchio motto " suffragio effettivo, non rielezione".
Madero e il suo "Partito Antirielezionista" dovettero però fare i conti con una sempre più dura repressione: il presidente avviò una campagna contro di lui costringendolo ad espatriare negli Stati Uniti.
Dìaz venne rieletto. Nel frattempo in Texas Madero stilò il cosiddetto "Piano di San Luis de Potosì", un appello all’insurrezione armata con la promessa di restituire ai contadini le terre usurpate dai grandi latifondisti. Tale progetto attrasse rivoluzionari come Emiliano Zapata che sosteneva la restituzione delle terre.
Quando Madero rientrò in Messico scoppiò la rivoluzione.
Dìaz rassegnò le dimissioni il 25 maggio 1911 e si mise in viaggio per la Francia. Madero entrò nella capitale il 7 giugno. Da quel momento il paese entrò in una convulsa fase di rivoluzione e di guerra civile che durò sette anni, cui seguirono altri trent’anni di instabilità e di caos.
Madero venne eletto presidente nel 1911. Cadde ben presto nel mirino degli attacchi della sinistra e della destra, i settori antirivoluzionari si allearono con l’esercito federale.
Questo esercito riuscì a sedare tutte le rivolte ma non quella dello Stato di Morelos, fino al febbraio del 1913, quando i conservatori giunsero al potere capeggiati dal generale Victoriano Huerta.
Questi trovò un alleato nell’ambasciatore statunitense in Messico Henry Lane Wilson, il quale, inizialmente sostenitore di Madero, iniziò a temere i contraccolpi negativi che la rivoluzione poteva avere sugli interessi statunitensi.
I tre anni successivi videro l’infuriare della guerra civile a causa della scissione tra coloro che si opponevano a Huerta: da un lato i seguaci di Venustiano Carranza, dall’altro quelli di Zapata e da un altro ancora quelli di Pancho Villa. Carranza con un’azione militare si auto proclamò presidente spodestando Huerta.
Lo stesso Venustiano Carranza nel 1917 concesse al Messico una Costituzione con cui si istituzionalizzava la rivoluzione. La Carta prevedeva il controllo messicano sulle risorse del paese ( ne seguì lì a poco la nazionalizzazione del petrolio ) e sanciva un sistema presidenziale forte con uno stato a partito unico e l’obbiettivo politico dell’integrazione indigena. Inoltre, sebbene la riforma agraria non fosse stata così radicale come avrebbe voluto Zapata, conferì tali vantaggi ai contadini che questi finirono con l’appoggiare il fronte rivoluzionario.
(San Miguel Anenecuilco, Messico, 1883 - Chinameca, Messico, 1919)
Rivoluzionario e uomo politico messicano. Partecipò alla rivoluzione di Francisco Madero per rovesciare il presidente Porfirio Dìaz, ma successivamente si mise a capo di un’insurrezione contro lo stesso Madero ritenendo che il nuovo leader messicano non avesse tenuto fede alle promesse di riforma agraria. nel 1914 marciò su Città del Messico insieme ad un altro rivoluzionario, Pancho Villa. Grazie alla sua ferma richiesta di restituzione della terra agli indios, Zapata godette di un appoggio incondizionato da parte di queste popolazioni, con le quali formò uno degli eserciti più agguerriti della rivoluzione messicana.
Durante la presidenza di Venustiano Carranza, giunse a controllare metà del paese e, nelle zone che dominava, proclamò il Piano Ayala di restituzione della terra agli indigeni.
Sconfitto da Alvaro Obregòn si ritirò a Tlaztizapàn, dove istituì una rete di servizi pubblici e scuole indipendente dal governo centrale.
Il suo motto era " Tierra y Libertad " sosteneva che era meglio "morire in piedi che vivere in ginocchio" e da Salinas De Gortari (l’ex presidente in esilio in Irlanda) è stata un disastro. E la liberalizzazione che rimette sul mercato le terre distribuite da Zapata sta riportando al latifondo
Morì assassinato in un’imboscata tesagli dal colonnello Jesùs Guajardo, alleato del presidente Carranza, il 10 aprile del 1919.
(San Juan del Rio, Durango 1877 - el Parral 1923)
Doroteo Arango è il vero nome di Pancho Villa.
Prende parte alla rivoluzione del 1910-1911 contro la trentennale dittatura di Porfirio Diaz, organizzando, a capo di bande contadine, la guerriglia nello stato di Chihuaha e contribuendo alla vittoria del liberal-progressista Francisco Madero. Dopo il colpo di stato del generale reazionario V. Huerta e l’assassinio di Madero (1913), si unisce ai costituzionalisti di V. Carranza per mettere fine al governo reazionario. Venuto in contrasto con lo stesso Carranza, perché lo considera troppo moderato, appoggia, insieme al rivoluzionario Emiliano Zapata , il progetto di una grande riforma agraria (piano di Ayala, 25 novembre 1911), fino a conquistare tutta la regione del nord del Messico. Approfittando del periodo di confusione nel paese riesce ad occupare Città del Messico (1914-1915). Subisce quindi una sconfitta da parte del comandante Obregon a Celaya nel 1915, e successivamente anche ad opera del costituzionalista Calles, partigiano di Obregon. Attaccato dai nordamericani quando il presidente Wilson riconosce ufficialmente il governo del Carranza, riesce tuttavia a sottrarsi alla spedizione del generale Pershing. In seguito depone le armi sotto il governo di Adolfo de la Huerta e si ritira in una fattoria a Durango. Muore assassinato il 20 luglio 1923 a Parral (Chihuahua). Il suo assassinio fu determinante per il sistema politico messicano.
(San Pedro de las Colonias 1873 - Città del Messico 1913)
Ricco proprietario terriero, studia negli Stati Uniti e in Europa. Tornato in Messico, si impegna nella politica del suo paese sostenendo un programma di riforme politiche e sociali in opposizione al presidente Porfirio Diaz, cui si oppone per via dei metodi dittatoriali di governo adottati. Presenta la sua candidatura alle elezioni presidenziali dell’aprile del 1910. Nel luglio di quello stesso anno, durante la campagna elettorale, viene fatto arrestare e imprigionare dal presidente Diaz. Riesce ad evadere dalla prigione e dà vita insieme a Pancho Villa e a Emiliano Zapata alla lotta armata contro il governo (novembre 1910). Conquista nel mese di maggio del 1911 Ciudad Juarez e vi stabilisce il suo governo, costringendo Diaz alle dimissioni (26 maggio). Il primo ottobre Madero assume la presidenza della repubblica. Non riesce tuttavia a contenere la corruzione dilagante dei funzionari di governo e della burocrazia e ad attuare quindi le riforme sociali e politiche programmate. Si trova così a dover fronteggiare due rivolte, la prima, popolare, capeggiata da Emiliano Zapata nel sud; l’altra, militare, diretta dal nipote dell’ex presidente, il generale Felix Diaz nel nord del paese (1912). Il 9 febbraio del 1913 insorge anche il presidio militare di Città del Messico, e poco dopo gli si rivolta contro il suo stesso comandante V. Huerta. Viene arrastato dagli insorti (19 febbraio) e fucilato a tradimento dopo tre giorni.
(da: "IL VENERDI" di Repubblica; articolo di Carlo Pizzati)
Felipe Ramos 99 anni
Era il 1913, Felipe Ramos aveva solo 12 anni ma aveva già capito da che parte stare. Tre anni prima, quando la rivoluzione di Emiliano Zapata e Pancho Villa era appena iniziata, Felipe tornava dai campi assieme a suo padre, tutti e due carichi di troppi chili sulle spalle. Lavoravano per un latifondista trasportando fasci di canna da zucchero per quattro chilometri. Il padre si fermò a riposare e il "catapaz" lo prese a bastonate perchè voleva che si sbrigasse. Felipe cercò di aiutarlo e si prese anche lui una buona dose di botte dall’aguzzino. " In quel momento compresi che eravamo tutti vittime di una gigantesca ingiustizia ", racconta adesso Felipe Ramos, 99 anni compiuti da poco, seduto su un sasso della catapecchia dove vive con la famiglia " e giurai che prima o poi mi sarei vendicato ". Sono almeno sei gli ultra-centenari, o quasi, che lottarono al fianco di Emiliano Zapata e che un giovane documentarista messicano, Francesco Taboada Tabone a scovato ed intervistato per un documentario dal titolo Gli ultimi zapatisi.
Nel 1913, due zii di Felipe lasciarono casa per unirsi all’esercito zapatista che s’era sollevato contro il dittatore Porfirio Dìaz in nome di una riforma agraria che lasciasse un po’ di terra anche ai "campesinos". " Arrivammo al quartier generale degli zapatisti " dice Felipe " Veniamo a metterci ai vostri ordini", dichiarammo appena ci ricevette Emiliano Zapata in persona. Il comandante mi disse: "E tu, piccolino?". Ma poi, invece di ridere di un bambino così determinato, mi squadrò, ordinò di darmi un fucile calibro 44 e mi mise in mano un pugno di pallottole. Così iniziò la mia carriera da rivoluzionario.
Da quel giorno, per il piccolo Felipe, cominciò una vita fatta d’accampamenti, di battaglie, di sangue e di violenza. Erano appena 74 uomini, capitanati da Zapata in persona, che correvano a cavallo per le campagne messicane. E quando il cavallo si stancava, gli tiravano un colpo in testa per mangiarselo e rubavano altri animali.
" Soffrimmo molto e mangiavamo poco. I soldati contro i quali ci battevamo erano stipendiati dallo stato, noi dovevamo arrangiarci, dipendevamo dalla generosità della gente ". Per preparare le bombe dovevamo rubare una vacca, scuoiarla e riempire la pelle di pezzi di ferro e polvere da sparo. Così si costruivano le prime bombe zapatiste. Mesi che si trasformavano in anni lottando senza mezzi, usando le armi rubate all’esercito nemico. Ma per un bambino di 13 anni cosa significava dover uccidere? " I morti ammazzati in battaglia non si contano " racconta il vecchio Felipe " ma mi ricordo di un colonnello e di come lo colpii in mezzo alla fronte e poi sparai al suo cavallo ". Felipe s’interrompe, si guarda i sandali rotti, le dita dei piedi rugosi e aggiunge: " Povero cavallo ". Poi il vecchio Ramos, per dimostrare che qualcosa l’ha rischiata anche lui, si tira su la maglietta e mostra la cicatrice che ha vicino all’ombelico. Una pallottola gli è entrata nella pancia uscendo dalla natica sinistra. Ha anche una cicatrice in mezzo alla fronte, una pallottola che di rimbalzo si è conficcata nel teschio senza penetrarlo. " Me la sono strappata da solo ed è uscito un po’ di sangue ", spiega. La famiglia di Ramos un pezzettino di terra l’ha avuto, dopo la rivoluzione. Il letto del rivoluzionario è un pagliericcio con qualche vecchia coperta e un tempietto di santini e di foto ingiallite (immancabile quella di Zapata). Felipe non è l’unico sopravvissuto dell’esercito che lottò nella prima rivoluzione del secolo, una sollevazione popolare ammirata anche da Lenin e da Castro. Uno di loro Manuel Carranza, presidente del fronte Zapatista, arrivato a 101 anni di età, è morto proprio sul set del documentario a metà gennaio 99’. "Senza volerlo questi contadini, alcuni dei quali sono ancora analfabeti, sono diventati dei teorici della terra. Sono diventati degli esparti sui diritti della riforma agraria", spiega il documentarista la cui famiglia è originaria di Licata, in Sicilia. Gli anziani combattenti che Tabone ha ritrovato, vivono con una pensione di appena 100 mila lire al mese, spesso in condizioni di vita difficili. Ma allora, è valsa la pena di rischiare la vita per ritornare alla miseria? "Molti di loro si stanno rendendo conto di essere stati presi in giro dal governo" spiega Tabone "E che la terra oggi è disprezzata dai politici. La riforma neo-liberale voluta dagli americani, dal Fondo monetario internazionale
Messico meridionale, primavera del 1910: i contadini di Anecuilco hanno mandato al governatore dello Stato di Morelos, Pablo Escandòn, una serie di petizioni in cui rivendicano il diritto di coltivare la terra comunale. Più disperati sono gli appelli, più vaghe si fanno le risposte. Alla fine, la grande hacienda Hospital manda i braccianti del villaggio di Villa de Ayala a coltivare quella terra. Il presidente municipale di Anecuilco, al ritorno dalla hacienda Torre v Mier dove era stato a domare i cavalli, trova i comuneros in fermento: ascolta le lamentele, raduna 80 uomini armati e si dirige ai campi dove quelli di Villa de Ayala sono già al lavoro. A questi dice che nessuno ha interesse a combattere, ma che la terra è
di Anecuilco e che perciò la coltiverà la gente di Anecuilco: e di fronte a queste parole sorveglianti e peones si ritirano e la terra viene distribuita ai contadini di Anecuilco.
Quel presidente municipale si chiama Emiliano Zapata. E forse fu proprio allora che comprese due cose essenziali: che i titoli di proprietà terriera dovevano essere sostenuti dai fucili e che questi fucili dovevano essere sempre più numerosi di quelli dei sorveglianti e dei rurales di Porfirio Dìaz. Bisognava, dunque, amare i contadini e creare comitati di autodifesa (gli stessi comitati che ancora oggi sono l'unico strumento per una radicale applicazione delle leggi di riforma agraria in America latina).
Mentre Zapata dava vita al movimento "agrarista" nello Stato di Morelos, nel nord del Paese maturava il movimento rivoluzionario di Francisco Madero, il quale esponeva i suoi obbiettivi politici nel programma di San Luis de Potosì, una sintesi delle numerose rivendicazioni avanzate dai movimenti e dalle categorie che si opponevano alla dittatura di Dìaz. Il Plan de Luis de Potosì è presentato a Zapata da Pablo Torres Burgos, un rappresentante dell'opposizione maderista di Villa de Ayala, dove il comitato di difesa ha forte influenza, e che morirà fucilato da una pattuglia dell'esercito coi suoi due figli. Tra l'altro, dell'articolo 3, esso diceva: "Con l'abuso della legge sui terreni incolti numerosi piccoli proprietari, in buona maggioranza indigeni, sono stati spogliati delle loro terre, con l'accordo della Segreteria del Fomento o per sentenza dei tribunali della Repubblica.
Poiché è un atto di giustizia restituire agli antichi proprietari i terreni di cui furono privati in modo così arbitrario, si dichiarano soggetti a revisione tali dispositivi e sentenze e si esigerà da coloro che li ottennero in modo così immorale, o dai loro eredi, che li restituiscano ai primitivi proprietari, ai quali pagheranno anche un indennizzo per i danni sofferti. Solo nel caso in cui questi terreni siano passati a una terza persona prima che questo piano fosse approvato, gli antichi proprietari riceveranno un indennizzo da coloro che si avvantaggiarono della spoliazione". Il piano viene discusso con molti capi contadini dello Stato, e fra essi Rafael Merino, che poi combatterà per lungo tempo a fianco di Zapata. Questo piano piace a Zapata, anche se il problema della terra vi viene affrontato solo dal punto di vista della "moralità" e della "giustizia" della classe al potere; ma l'ingiustizia nelle terre di Morelos è tanto grande e tanto forte il desiderio degli zapatisti di poter lavorare in pace che quell'articolo 3 già sembra loro sufficiente per partecipare al movimento "antipofirista" e per la libertà.
Alla vigilia della cosiddetta rivoluzione maderista, le forme principali di proprietà terriera erano tre:
1) la hacienda: un vero e proprio latifondo, i cui peones ricevono salari bassissimi e per sopravvivere devono contrarre i debiti nei magazzini dell'hacienda stessa, dove acquistano merci scadenti ad alto prezzo: un peòn non può lasciare il lavoro se non ha liquidato i suoi debiti e quindi è legato a quella terra per tutta la vita;
2) il rancho: la piccola proprietà privata ( Zapata è un ranchero )
3) la proprietà comune (ejido) dei pueblos: una pratica che risale ai tempi della Conquista, quando gli spagnoli in alcuni casi sancivano il diritto dei villaggi a coltivare la terra comune, e vive ancora oggi nell’usanza di ridistribuire ogni anno l’ejido in particelle agli abitanti in grado di coltivarle.
Quest’ultima forma di proprietà viene di continuo minacciati dai grandi latifondisti, che tentano di impadronirsene con il pretesto che i titoli di proprietà non sono validi. Secondo lo studioso nord-americano McBride, nel Messico del 1910 il 92% dei capifamiglia rurali non ha terra (le haciendas di oltre mille ettari sono 8.245).
Tutto ciò porta Zapata a stilare due documenti fondamentali del suo movimento: il Plan de Ayala (1911) e la Ley Agraria (1915).
I due testi contengono una lunga premessa politica: nel primo vi è la critica contro l’improvvisazione di Madero, che non portò a termine la sua rivoluzione per timore o per debolezza.
La legge agraria dichiara confiscati tutti i beni dei nemici della Rivoluzione.
Gli articoli 6, 7, 8 e 9 del programma di Ayala riguardano in modo diretto la questione della terra: si chiede la restituzione di " terrenos, montes y aguas " usurpati a coloro che ne avevano i titoli di proprietà, in genere pueblos e piccoli coltivatori; l’espropriazione del latifondo per sviluppare l’agricoltura ed eliminare la disoccupazione e la miseria; la nazionalizzazione dei beni di quei proprietari che si oppongono all’esecuzione del programma, applicando le leggi messe in vigore da Benito Juàrez per i beni ecclesiastici.
La Ley Agraria, composta di 35 articoli, conserva la sostanza di quella di Ayala e in più da' alle autorità municipali il potere e gli strumenti per metterla in esecuzione. Questa legge sarà confermata dalla Costituzione di Carranza del 1917 che, oltre a ribadire la preminenza del benessere della comunità sui diritti dell’individuo (Art. 27: "La nazione avrà ogni momento il diritto di imporre sulla proprietà privata le restrizioni che l’interesse pubblico eventualmente richiede"), sancisce il diritto di sciopero e la giornata lavorativa di 8 ore.
Sia la Costituzione del 1917, sia la Legge agraria del 1915 sono tuttora in vigore in Messico. Ma Emiliano Zapata, l’eroe dei contadini del sud, è morto assassinato in un’imboscata del governo, il 10 aprile del 1919, per mano dell’ufficiale traditore Jesùs Guajardo. E, alla sua morte, la riforma agraria aveva distribuito solo poco più di 70 mila ettari di terra tra 15.817 contadini.