La 2^ Rivoluzione Industriale
La rivoluzione del 1848 travolge nel suo fallimento sia i partiti di sinistra sia i governi liberali che si erano fatti portatori di riforme, riportando il potere nelle mani della borghesia conservatrice che si identifica con i regimi autoritari di Napoleone III, di Bismarck e con il governo dei conservatori inglesi guidati da Disraeli.
Questo clima politico porta ad una generale stabilità, sebbene animata da alcune guerre, e ad un diffuso sviluppo economico, favorito prima di tutto dalla politica imperialista.
I maggiori stati Europei, infatti, alla ricerca di prestigio e di materie prime, si lanciano nella conquista dei continenti Africano ed Asiatico, forti della potenza dei loro eserciti.
La politica di potenza favorisce gli industriali sia per l'abbondanza di materie prime sia per la facilità dei commerci sia per l'ingenza delle commesse statali, soprattutto nel settore degli armamenti.
La politica di potenza si identifica inoltre con il protezionismo, per cui l'industria nazionale, soprattutto in settori come la siderurgia o l'agricoltura meccanizzata, cresce favorita dai dazi doganali.
Causa e conseguenza dello sviluppo industriale è il notevole sviluppo tecnologico, che cambia in modo così radicale la società da porre questo periodo alla base della nascita della società tecnologica: l'energia del vapore viene sostituita dal motore a scoppio e da quello elettrico, l'elettricità garantisce l'illuminazione notturna stravolgendo i ritmi di vita nelle città, la produzione di massa, che trova in questo periodo piena applicazione assieme alla divisione dei lavori, rende più accessibile il benessere materiale.
A questo si aggiunge un generale aumento dei salari ed un miglioramento delle condizioni di lavoro, che si accompagnerà più tardi all'istituzione del suffragio universale maschile.
Assieme allo sviluppo della società la città cresce, dotandosi di una quantità sempre maggiore di servizi, crescendo notevolmente e sviluppando sempre più il commercio. La città però è spesso formata su un reticolo urbano antico o medioevale, completamente inadatto ad ospitare lo sviluppo di una città moderna con le sue necessità.
La situazione è inoltre aggravata dalla speculazione edilizia per cui si assiste soprattutto nel centro ad un aumento della densità di popolazione con un conseguente deteriorarsi delle condizioni di vita.
I governi di molti paesi si pongono di fronte al problema urbano stabilendo per la prima volta i ruoli definiti che l'autorità pubblica deve avere nella gestione della città.
Vengono definite quindi le condizioni di sfruttamento del terreno privato, che deve essere subordinato ai limiti imposti dal progetto di urbanizzazione: nell'impianto della città si vengono così a definire lo spazio da destinarsi esclusivamente alle vie di comunicazione ed all'estensione della rete di servizi (acqua, gas, fognature) e lo spazio in cui il privato può costruire.
Così ordinato, lo spazio cittadino aumenta di valore per la presenza di servizi e di negozi, che si concentrano ai piani bassi degli edifici. I vantaggi che i proprietari immobiliari ricevono ricompensano quindi il fatto che alcuni terreni debbano essere ceduti per far spazio alle infrastrutture: il maggior valore si ripercuote però sul costo delle abitazioni che sale, dando origine alla costruzione dei quartieri di periferia dove il minor costo del terreno permette di ottenere abitazioni economiche, anche se lontane dal centro. Le strutture più ingombranti e mutevoli, come le industrie, vengono allontanate a formare una fascia estrema di sobborghi che separa la città dalla campagna.
I problemi della nuova città sono però numerosi: il grande sviluppo edilizio nel centro comporta ancora un aumento della densità di popolazione in zone che diventano quindi insalubri e rumorose; inoltre i nuovi regolamenti favoriscono opere di riorganizzazione urbana (come il piano Hausmann), che portano ad un aumento degli spazi vivibili ma anche allo sconvolgimento del panorama urbano: gli edifici di valore artistico, anche se preservati con rispetto, si trovano inseriti in un contesto estraneo, come pezzi da museo; si assiste al sorgere continuo di nuovi edifici che, nel tentativo di mantenere l'aspetto originario della città tramite uno stile eclettico ed ispirato al passato, le conferiscono invece la caratteristica disarmonia e bruttezza. Il bello esce definitivamente dalla città per diventare esperienza momentanea da vivere nei musei, il cui sviluppo sta quasi a sottolineare la coscienza, nascosta ma non assente, di vivere in un mondo che non regge, dal punto di vista artistico ed estetico, il confronto con il passato.
La disarmonia del contesto cittadino deriva, oltre che dalla grande diffidenza nei confronti delle nuove tendenze artistiche da parte dei governi conservatori, anche dalla radicale divisione dei ruoli di tecnici ed architetti, i primi relegati a risolvere singolari problemi tecnici, senza una visione d'insieme in senso urbanistico, e formati in senso specificatamente matematico senza coscienza estetica, gli altri limitati dai committenti a dare una forma esteriore, peraltro non difforme da moduli predeterminati nelle accademie, senza poter intervenire sulla struttura. Lo stile architettonico, svuotato di ogni valenza funzionale, diventa monumentale e sterilmente eclettico, le strutture che la città necessita sono invece affidate all'opera di ingegneri che, eccetto in alcuni casi, sono anche totalmente estranei alla problematica urbana.
La società, soprattutto la società borghese, è però abbagliata dal raggiunto benessere e dai miti di pace e progresso, distratta dai mali della sua esistenza, o fiduciosa che la scienza li avrebbe risolti con il tempo, nella visione ottimistica del positivismo. In questa generale condizione di "allegra spensieratezza" passa il secolo e trascorre il primo decennio del novecento.
La Belle Époque, nonostante porti in se tutti i mali che ne causeranno la tragica fine, celebra le esposizioni universali come simboli della civiltà della tecnica, gode la città scintillante per l'illuminazione elettrica, vive nel lusso e nella spensieratezza di un'Art Nuveau svuotata di tutti i suoi presupposti teorici, entrata nella produzione in serie di oggetti di lusso con il suo stile retorico ed elegante, che si fa simbolo di un'intera epoca.
Tutto ciò finisce però improvvisamente allo scoppio della Grande Guerra, tutto il castello di illusioni di pace e benessere sfocia in una definitiva crisi, peraltro già avvertita dagli artisti più disillusi, che hanno rilevato per primi i mali della vita moderna: l'uomo nel suo animo è malato, vive una vita frenetica e veloce, in cui tutti i rapporti umani risultano alterati ed in cui il tempo passa senza che nessuno lo viva pienamente. Si avverte da molte parti il presagio della fine, l'inevitabile decadenza di una società distratta e malata. La città, simbolo della nuova civiltà con i suoi splendori e la sue luci, comincia ad apparire per la prima volta come un mostro, un labirinto infernale e desertico, un ambiente ostile e rumoroso in cui l'uomo non riesce a vivere.