Storia del Cinema

Introduzione

STORIA DELLA CINEMATOGRAFIA EUROPEA

Francia

Italia

Danimarca

I FRATELLI LUMIERE

Georges Melies

UN GRANDE DEL NOVECENTO: CHARLIE CHAPLIN

 CHARLOT: UN OMINO SOLO PER VINCERE UN MONDO CATTIVO

TECNICA CINEMATOGRAFICA

CARATTERI GENERALI

LA SCENEGGIATURA

GLI STRUMENTI

COME SI REALIZZA UN FILM

I TRUCCHI

LA MACCHINA DA PRESA

L’ INQUADRATURA

PIANI E CAMPI DI INQUADRATURA

SCENA E SEQUENZA

LA DISSOLVENZA

CAST

LA CINEMATOGRAFIA DIGITALE

LO STAR-SYSTEM

MARILIYN MONROE

Mr. OSCAR

Curiosità, numeri e primati

I GRANDI REGISTI

ALFRED HITCHCOCK

VITTORIO DE SICA

FEDERICO FELLINI

RIDLEY SCOTT

FRANCIS FORD COPPOLA

MARTIN SCORSESE

STEVEN SPIELBERG

I GENERI

MUSICAL

WESTERN

HORROR

LA COMMEDIA ALL’ITALIANA

ALBERTO SORDI


Introduzione

La storia del cinema ha un ritmo travolgente, da romanzo di avventura: in pochi decenni questo formidabile mezzo di espressione e di comunicazione si è affermato, si è imposto ed è entrato a far parte della nostra vita quotidiana.

Come tutte le grandi scoperte che hanno inciso profondamente sul comportamento e sul destino dell'umanità, anche l'avventura del cinema ha le sue origini ed una precisa data di nascita : l'anno 1895.

Da allora, è con il lavoro di tante persone in ogni parte del mondo che una conquista così straordinaria, prodotto del nostro tempo perchè indissolubilmente legata al progresso tecnico, è maturata negli anni ed ha regalato frutti meravigliosi che ne hanno segnato la storia .Oggi il cinema è ormai diffuso ovunque e quasi tutti lo conoscono.

Il cinema non usa solo immagini ma anche parole, rumori e musica. Il cinema è un'arte.

La recitazione degli attori, la costruzione delle scene, la varietà dei costumi, la qualità della fotografia, l'umanità della vicenda, la perfezione della tecnica, la verità e la poesia della regia, la vivacità dei sentimenti, l'armonia della musica possono creare un film che può stare a confronto con le più grandi opere prodotte dal genio dell'uomo.

Il cinema si è creato i propri mezzi combinando assieme quelli di quasi tutte le arti : romanzo, teatro, pittura, architettura, musica, poesia, ecc. Senza esagerare si può dire che la cinematografia sia la più bella nuova arte che tecnologia e modernità abbiano portato agli occhi di tutti.

E forse il semplice fatto che il cinema sappia arrivare a toccare l'attenzione di tutti, ha per lungo tempo allontanato l'idea del cinema come arte sublime, espressiva dell'uomo e del suo potenziale di fantasia e creatività. Il cinema che ci ha regalato momenti di grandezza mai vista, che ha messo in immagine storie finora sempre e solo lette, ci ha mostrato gli eventi della storia, l'amore, la guerra, il futuro.

Il cinema ha saputo già da subito metter terrore coi grandi classici dell'horror (Frankeistein, Nosferatu, Freaks), ha saputo nel silenzio del muto e nel fascino del bianco e nero far ridere come mai più si è riso grazie al "gigantesco" Chaplin; ha saputo immolare la storia dei popoli per risvegliare lo spirito di nazioni e grandi paesi.

In eterna metamorfosi, il cinema, che nasce muto e ombroso (fine Ottocento), che cresce nel sonoro e nel colore (anni Trenta e Quaranta), che s'ingigantisce negli effetti di riproduzione (anni Settanta), che diventa irraggiungibile grazie alle tecnologie virtuali (anni Novanta)... Ma che mai perde il fascino della fantasia.

STORIA DELLA CINEMATOGRAFIA EUROPEA

Francia

L’ industria cinematografica francese dominava in questo periodo il mercato internazionale e i suoi film erano i più visti del mondo.

Le due principali società, la Pathè Frères e la Gaumont, continuavano a espandersi.

La Pathè fu una delle prime ad avere una concentrazione che comportava il controllo della produzione, distribuzione ed esercizio dei film da parte della casa.

Questa società costruiva le sue macchine da presa e i suoi proiettori, produceva film e fabbricava la pellicola su cui stampare le copie da distribuire. A partire dal 1907 cominciò a distribuire i suoi film dandoli in noleggio e non più vendendoli.

I film di maggiore successo di questa società erano le serie che avevano come protagonisti comici famosi: la serie di Boireau, e soprattutto la serie di Max Linder.

Anche l’espansione della società rivale della Pathè, la Gaumont, fu rapida. Dopo aver finito di costruire un nuovo studio nel 1905, assunse nuovi registi. Da ricordare Alice Guy-Blanche Che insegnò loro il mestiere e lei stessa cominciò a realizzare i film più lunghi.

Sull’ esempio di Pathè altre società e singoli imprenditori aprirono nuove sale, una di queste, la Film Art , ebbe un influsso significativo. Fondata nel 1908, una delle sue prime produzioni fu " l’assassinio del duca di Guisa". Il film racconta di un celebre episodio della storia francese. Proiettato in molti paesi del mondo, ottenne un notevole successo. Ciononostante la Film Art perse molti soldi nella maggior parte delle sue produzioni e fu venduta nel 1911.

Italia

L’ Italia arrivò un po’ più tardi sulla scena della produzione cinematografica, che a partire dal 1905 si sviluppò rapidamente. Nel giro di pochi anni l’industria cinematografica italiana cominciò ad assomigliare a quella francese.

Alcuni film italiani erano imitazioni se non addirittura remake di film francesi.

Nel 1910, l’Italia era probabilmente seconda solo alla Francia per numero di film esportati all’estero.

I produttori italiani furono tra i primi a realizzare film di più di un rullo ( quindi lunghi più di quindici minuti).

Nel 1910 Giovanni Pastrone, uno dei maggiori registi dell’ epoca, girò " La caduta di Troia" in tre rulli.

A partire dal 1909 i produttori italiani ricominciarono però ad imitare i francesi realizzando parecchie serie comiche.

Danimarca

Un piccolo Paese come la Danimarca svolse un ruolo importante nell’ ambito del cinema internazionale grazie all’imprenditore Ole Olsen.

Nel 1906 fondò una casa di produzione, la Nordisk, e cominciò presto ad aprire uffici di distribuzione all’ estero, raggiungendo il successo nel 1907 con "Lovejagten" (caccia al leone), un film di finzione sul Safari.

I film della Nordisk in breve tempo divennero famosi in tutto il mondo per l’eccellente recitazione e i pregi produttivi.

Si specializzò nel poliziesco, nel dramma e i melodrammi in qualche modo sensazionalistici, comprese storie di prostituzione.

La Nordisk aveva un set che riproduceva un circo e che rimaneva permanentemente installato: alcuni fra i principali film della compagnia erano infatti i melodrammi sulla vita del circo, come "I quattro diavoli" del 1911 e "Salto mortale a cavallo sotto la tenda del circo" del 1912. In quest’ultimo, un conte perde tutta la sua fortuna per saldare i debiti di gioco di un amico.

Anche se questa piccola casa di distribuzione tentò di avviare un’attività durante questo periodo, Olsen riuscì a comprarla o a farla uscire dal mercato.

L’industria danese fu fiorente fino allo scoppio della prima guerra mondiale che chiuse molti dei suoi mercati di esportazione.

I FRATELLI LUMIERE

Louis e Auguste Lumière, industriali di Lione, avevano costruito un apparecchio da presa e da proiezione chiamato cinematografo. Nel marzo del 1895, ad un convegno sullo sviluppo dell’industria fotografica francese, proiettarono, con l’apparecchiatura da loro inventata e brevettata il 15 febbraio dello stesso anno, un breve film: L’uscita dalla fabbrica.

L’attività dei Lumière, e di Louis in particolare, restò legata soprattutto al documentario e al comico; i loro furono tutti film molto brevi, che non richiedevano una sceneggiatura elaborata o la collaborazione di attori che non fossero familiari, gli amici o i dipendenti. Dalle loro brevi pellicole emergono soprattutto la vita di una certa vita sociale, gli usi e i costumi della borghesia benestante, gli avvenimenti di un epoca. Louis possedeva un’ottima tecnica fotografica e una particolare sensibilità nello scegliere l'inquadratura e il soggetto, ma l’importanza della sua attività è dovuta anche al fatto che egli inventò la tecnica del montaggio, sia pure limitato all’unione, mediante incollatura, di diverse pellicole.

Nel 1895 unì, in un unico film, quattro episodi sulla vita dei pompieri: "Uscita della pompa", "Montaggio", "Assalto al fuoco", "Salvataggio". Il Film che doveva però avere una grande importanza nel campo della tecnica cinematografica fu L’arrivo di un treno alla stazione Ciotat nel quale, benché l’inquadratura rimanesse fissa(in quei tempi infatti l’apparecchio da ripresa era fermo e si filmava soltanto quello che avveniva entro l’angolo di visuale costante della macchina), è possibile osservare i diversi piani cinematografici, a partire dal piano generale , dove si vedono in lontananza il treno e la stazione, fino al primo piano dei viaggiatori che, scesi dal treno ormai arrivato, passano davanti alla camera e, stupiti, si fermano per un attimo di fronte ad essa.

Importante inoltre, non tanto per la qualità intrinseca del film quanto perché da il via al genere comico è "L’innaffiator innaffiato" del 1896. Merito di Lumiere è quello di aver riunito intorno a sé, anche se per breve tempo, alcuni operatori che diedero vita al cinema di attualità, al reportage, nel quale svilupparono la tecnica del montaggio, ottenendo i l loro migliore risultato con "La incoronazione del re Nicola II"; fra questi operatori va ricordato Alexandre Promio al quale si deve l’ invenzione del "travelling", cioè della carrellata.

Verso la metà del 1896, però, il pubblico non si accontentava più di vedere dei reportages; iniziò allora un’ imponente produzione che si ispirava alle opere teatrali più conosciute, ai più noti avvenimenti storici o che sviluppava i temi comici iniziati da Lumiere: il cinematografo diventa così spettacolo.

Georges Melies

Il primo artista del cinema fu Georges Méliès, espertissimo in trucchi e macchinari. Affascinato dalla magia del nuovo strumento, si mise subito in concorrenza con i Lumière, dapprima adottando la loro concezione di riproduzione della natura, poi (dal 1899) volgendosi decisamente verso i soggetti fantastici. Nel suo teatro di posa di Montreuil studiò nuove tecniche, dalla sovrimpressione alla dissolvenza, dal montaggio alla ripresa al rallentatore, abbandonando quindi gli esterni (e il realismo) per l'assemblaggio in studio di fantasie fiabesche; il teatro Houdin, dove venivano proiettate le sue pellicole, divenne il tempio della finzione. Semplici minuziose e rigorose le sue ricostruzioni (per lo più disegnate o ricopiate) di ambienti immaginari si sposavano a meraviglia con le storie attente a sogni e leggende secolari: dalla favolistica per l'infanzia (Cendrillon), dal romanzo d'avventura (La conquête du Pole, in cui gli esploratori si imbattono nel gigante delle nevi), al romanzo di fantascienza (Le voyage dans la lune, al Le voyage à travers l'impossible).

I suoi film ebbero un successo strepitoso a partire dal 1905. Schiacciato dal nascente trust cinematografico che lo aveva copiato, si ridusse a una mediocre routine; diresse in tutto più di cinquecento film, ma nel 1913, ormai sorpassato smise di girare, e dopo la guerra aprì un negozio di giocattoli; morì, povero e dimenticato in un ospizio.

I suoi capolavori sono i viaggi fantascientifici su sfondi lussureggianti, in cui Méliès può sbizzarrirsi per quel che concerne sia la sceneggiatura sia la scenografia. Gli astronomi che giungono a bordo di un razzo sulla luna scoprono un mondo invernale popolato di seleniti e di giganteschi funghi; oltre alla descrizione delle meraviglie lunari il film si basa sulla suspense dell'avventura (gli uomini catturati dai seleniti, fuggono portando sulla Terra un esemplare di selenita e poi compiono delle peripezie sui fondali oceanici) e sul sogno centrale, in cui sfilano pianeti e firmamenti impersonati da uomini e donne in costume. Il pubblico rimase sconcertato nel vedere proiettare qualcosa che non era mai accaduto. Il film era molto più lungo del normale.

Il viaggio nell'impossibile è invece verso il sole, ed è diretto con uno spirito più comico, quasi auto-parodistico: l'astronave è un treno volante che viene lanciato da una montagna come da un trampolino. Sul sole gli astronauti finiscono dentro una ghiacciaia, al ritorno precipitano come al solito nell'oceano da dove un'esplosione li catapulta di nuovo nello spazio. Ma in entrambi i film la trama è solo un pretesto per i funambolismi della regia.

Méliès inventò la messa in scena, senza la quale il cinema non sarebbe mai servito ad altro che al reportage; nella moltitudine di imitatori seriosi di Lumière, nella quantità di treni a vapore, signorine a passeggio e bambini sorridenti ripresi dal vivo, Méliès giunse come l'eretico e il ciarlatano, coi suoi mostri e i suoi pionieri dello spazio, con i suoi mondi fantastici; imparò e insegnò a violare la logica della concatenazione delle azioni, a riprodurre i sogni piuttosto che la realtà (celebri le stravaganze della testa decapitata). Fu il primo a concepire il film come una successione di fotogrammi adiacenti e non soltanto come una copia carbone della scena filmata.

Il mago di Montreuil fu soprattutto un creatore di giocattoli, che poi faceva muovere in un contesto mutuato dal teatro féerie (per esempio il volto ammiccante della luna), dalla prestidigitazione, dai giornali illustrati (p.es. il calendario astrologico) a cui dava vita cioè con il suo ampio repertorio di trucchi. Méliès giunge al suo massimo virtuosismo quando usa il cinema stesso, il singolo fotogramma, come giocattolo.

Il film stesso era in fondo una serie di numeri di varietà (balletti, giochi di prestigio, sketch, parodie, commedie in costume, acrobazie, etc,). Rispettoso delle convenzioni della rappresentazione teatrale (la disposizione degli oggetti e degli attori nella scena, la priorità della cronologia delle scene sulla cronologia degli eventi), ma i suoi studi Méliès è sull'uso tecnico del cinematografo, l'adozione dei primi basilari procedimenti filmici, lo pongono al di fuori del teatro e già dentro il cinema (tanto più che egli individua subito nel rapporto regista-pubblico e non attore-pubblico l'asse portante dello spettacolo cinematografico), per cui la sua personalità risulta il punto di passaggio dal teatro al cinema, dove ancora non esiste una vera consapevolezza del cinema, ma il nuovo mezzo obbliga a cercare anche nuovi modi espressivi.

Negli anni venti gestiva un negozietto di giocattoli e soltanto nel 1932 i suoi meriti artistici gli vennero riconosciuti.

UN GRANDE DEL NOVECENTO: CHARLIE CHAPLIN

Charlie Chaplin, nato a Londra nel 1889, cominciò la sua carriera ancora bambino come attore di music hall e di pantomime. Nel 1910 si recò in tournée negli Stati Uniti con una compagnia di comici, e decise di rimanervi. Fece la sua prima apparizione sullo schermo nel 1913 in un film del regista Mack Sennet. Introdusse il personaggio, oggi famoso in tutto il mondo, del piccolo vagabondo dai pantaloni larghi e sformati, grosse scarpe, bombetta e bastone da passeggio: nel corso della sua carriera, Chaplin avrebbe interpretato questo ruolo ormai classico in più di settanta film.. Nel 1919 collaborò alla fondazione della United Artists Corporation , con la quale continuò a lavorare sino al 1952.

Tra i film più importanti bisogna ricordare Il vagabondo (1915), La febbre dell’ oro (1925), Tempi moderni (1936), Luci della ribalta (1952).

L’attore inglese mise a punto uno stile di recitazione del tutto personale, derivato dai clown circensi e dai mimi; in cui combinava eleganza acrobatica, ricchezza gestuale, espressività facciale e un infallibile senso dei tempi comici. Venne definito "attore tragicomico", ma reagì politicamente allo avvento del sonoro nel cinema facendo rimanere muto il suo Charlot in Luci della città e Tempi moderni; in seguito al personaggio che lo aveva reso famoso e si dedicò ad altre caratterizzazioni.

Nella messinscena dei propri soggetti, Chaplin mescolava satira e pathos, rivelando una profonda partecipazione sentimentale per le vicende dei personaggi.

Tra la fine degli anni quaranta e l’inizio dei cinquanta, in piena epoca maccartista, Chaplin fu criticato per le sue idee politiche giudicate eccessivamente di sinistra: lasciati gli Stati Uniti nel 1952, si stabilì definitivamente in Svizzera. Nel 1972 tornò per un breve periodo in America per ricevere alcuni premi, tre i quali n Oscar per il suo contributo all’industria cinematografica.

 CHARLOT: UN OMINO SOLO PER VINCERE UN MONDO CATTIVO

Un posto fondamentale nella storia del cinema occupa Charlie Chaplin per la genialità che dimostrò nel costruire quello che doveva diventare il più grande e il più conosciuto personaggio del cinema: Charlot. Chaplin adattò alle vicende del personaggio una struttura narrativa che nella sua semplicità doveva raggiungere una perfezione rara; seppe creare una unità pressoché perfetta tra il contenuto della narrazione e il modo di tradurre in immagini tale materia. Chaplin interpretò 34 films nei quali il personaggio di Charlot andò mutando nel carattere, nell’abbigliamento e nella recitazione mimica. Dapprima Charlot abbandonò l’abito del gentiluomo per indossare un paio di scarpe grosse e un paio di pantaloni troppo grandi per il suo corpo minuto; cambiò poi il cappello a cilindro con la bombetta, si vestì di una redingotte consunta e un gilet a quadri; sostituì i baffi con il pizzo , in un primo tempo, quindi con i caratteristici baffetti. Indossò tale costume per la prima volta nel film Charlot e il parapioggia. Charlot inizialmente è un cinico privo di illusioni che ricorre a bassi espedienti per poter resistere alla violenza della società in cui vive. Lentamente però si va trasformando in un uomo pieno di illusioni che cerca inutilmente di inserirsi nella società borghese, un vagabondo che deve affrontare le difficoltà della vita fidando unicamente nella sua astuzia e nella sua fantasia. Il contrasto tra illusione e realtà, lo sforzo che egli compie per realizzare il sogno e la situazioni paradossali in cui viene a trovarsi, costituiscono l’ ossatura della sua comicità e, al tempo stesso della sua critica sociale. A Chaplin interessava divertire, ma anche spiegare al pubblico che i mali che colpiscono Charlot sono gli stessi che opprimono l’uomo.

TECNICA CINEMATOGRAFICA

CARATTERI GENERALI

Dal punto di vista tecnico, il fenomeno su cui si basa la cinematografia è quello della persistenza delle immagini sulla retina, per cui una serie di immagini viste in successione sufficientemente rapida rende l’illusione del movimento. Questa teoria fu elaborata nel 1829 da J. A. F. Plateau che nel 1832 realizzò il fenachistoscopio, il primo apparecchio per la visione di immagini in movimento;contemporaneamente von Stampfel realizzò un apparecchio simile chiamato stroboscopio.Nel 1877 E. Reynaud costruì il prassinoscopio, che perfezionò poi nel 1888 ponendo le basi del thèatre optique che rimase in auge fin al 1900. Nel frattempo ebbe notevole sviluppo la cromofotografia, nella quale si utilizzarono alcuni degli apparecchi menzionati per la ricostruzione del movimento mediante fotografie anziché con disegni. Nel 1889 G. Eastman realizzò le prime pellicole trasparenti al nitrato di cellulosa la cui affermazione consentì, ne 1891, a Th. A. Edison la messa a punto definitiva del suo cinetografo con il quale riprendeva film che venivano proiettati mediante il cinetoscopio. Partendo dall’idea di Edison i fratelli Luis e A. Lumiere, noti produttori di materiali fotografici, perfezionarono (1895) il cinematographe di L. Boulli .Lo sviluppo commerciale della cinematografia si può far iniziare nel 1896 con le proiezioni pubbliche dei fratelli Lumière. A partire da tale data si sono avuti continui perfezionamenti delle tecniche cinematografiche, fino all’introduzione del c. sonoro e poi del colore.I primi risultati soddisfacenti furono ottenuti solo nel 1904 quando E. A. Lauste ebbe negli anni successivi, l’epoca del c. sonoro ebbe inizio però nel 1926 con il Don Juan della Warner Brothers, che utilizzava ancora la registrazione del suono dei dischi. Agli albori del c. risalgono anche le prime applicazioni del colore, che però non veniva ottenuto con tecnica fotografica, ma colorando a mano ogni fotogramma. Successivamente furono messe a punto diverse altre tecniche di produzione dei colori tra cui occupano una posizione di particolare rilievo i vari procedimenti della technicolor, il più importante dei quali, rimasti quasi invariato fino ai nostri giorni, fu lanciato nel 1933 con il film Flowers and Trees di W. Disney. L’esigenza di proiezioni cinematografiche spettacolari richiese fin agli inizi lo sviluppo di sistemi di proiezione su grande schermo. Il prima sistema soddisfacente di proiezione su schermo panoramico fu messo a punto da A. Gance nel 1927 e va considerato il precursore del cinerama. Si impiegavano tre proiettori mossi da un unico motore che proiettavano su uno schermo largo tre volte oppure una panoramica ripresa da tre cineprese sincronizzate. Con questi sistema vennero realizzati il film Napoleone vu par e altre pellicole, ma non ebbero seguito. I sistemi di proiezione su schermo panoramico si svilupparono dopo la II guerra mondiale: nel 1952 apparve il cinerama seguito nel 1953 dal cinemascope e successivamente dal technirama, dal panavision, dal vistavision, ecc. Un’esigenza è stata la realizzazione dei film stereoscopici. A questo scopo sono stati impiegati svariati sistemi, il primo dei quali, ideato da A. d’Almeida nel 1858. Il soggetto veniva ripreso con una macchina stereoscopica su due pellicole attraverso filtri di colore complementare. I positivi da proiezione, colorati come filtri, venivano osservati attraverso occhiali con lenti del medesimo colore.

La cinematografia stereoscopica è ora abbandonata in favore dei sistemi di proiezione su schermo panoramico per motivi di costo e per le difficoltà inerenti alla proiezione e alla visione.

LA SCENEGGIATURA

La sceneggiatura è la trascrizione ordinata della storia (o del fatto) che si vuole rappresentare con film, corredata di annotazioni tipiche della tecnica cinematografica. La sceneggiatura rappresenta lo sforzo che fa il regista (colui che finanzierà i lavori) perché un racconto scritto con "la penna" o recitato " a voce", sia elaborato nei minimi particolari in una forma adatta ad essere rappresentata sullo schermo. Ad essa si arriva per passaggi progressivi, che non hanno tuttavia uno schema obbligato, per ogni regista e per ogni film: l’importante è raggiungere lo scopo finale trasformare cioè il " racconto scritto o parato" , in "racconto filmabile".

Come prima fase si abbozza in poche pagine e nelle linee essenziali, l’azione da raccontare nel film ( sinossi o scaletta); si descrive, poi , la stessa azione in una forma più ampia, cercando di raggruppare fatti che, insieme, formino dei gruppi cronologicamente o logicamente legati, e nello stesso tempo mettendone in evidenza la loro possibilità di essere tradotti visivamente in immagini (trattamento); quindi, si scende maggiormente nei dettagli, precisando scene, luoghi, psicologia dei personaggi, ecc., ottenendo già una certa continuità nel racconto, che prima risultava più spezzato, quasi un’indicazione di grossi capitoli (continuità o fase di presceneggiatura); l’ultima fase del lavoro è costituita dalla sceneggiatura vera e propria, in cui la storia viene definita in tutti i dettagli, sia per quanto riguarda il dialogo che per quanto concerne il linguaggio filmico.

I fogli della sceneggiatura sono divisi in due parti: in una sono trascritti i dialoghi, i rumori, la musica (il sonoro); nell’altra sono riportate le indicazioni tecniche, riguardanti le inquadrature, i movimenti di macchina, la posizione degli attori, le riprese che vanno effettuate nei teatri di posa e quelle che vanno girate in un ambiente naturale.

GLI STRUMENTI

Gli strumenti che permettono la ripresa e la proiezione delle immagini del cinema sono principalmente i seguenti: la macchina da presa (dotata di obbiettivi vari, di magazzini per le pellicole e di altri accessori), la pellicola a colori e in bianco/nero, su cui vengono impresse le immagini e viene inciso il suono (o proiettore), che serve per proiettare la pellicola sviluppata, e lo schermo, di colore bianco, su cui viene proiettato il film.

Per realizzare un film bisogna eseguire tre tappe successive: 1)la progettazione e la preparazione; 2) la presa ;3) il montaggio visivo e sonoro.

COME SI REALIZZA UN FILM

Un film si suddivide in tempi, le singole parti del racconto sono costituite da sequenze formate da una successione di scene, ognuna delle quali è composta da varie inquadrature. Per la preparazione delle operazioni necessarie alla ripresa, si parte da un soggetto intorno al quale si costruisce una trama, oppure da un racconto preesistente. Segue la preparazione della scaletta, ossia uni schema della struttura narrativa del film, con cui viene definita la successione delle azioni principali. In base alla scaletta si prepara la sceneggiatura, che oltre alla descrizione dell’azione, deve anche riportare tutte le indicazioni necessarie alla realizzazione delle riprese. Inoltre la sceneggiatura serve anche in fase di montaggio per ricostruire l’esatta successione delle inquadrature, che generalmente vengono riprese in tempi diversi secondo una successione determinata unicamente da ragioni economiche e organizzative. Prima di procedere alla ripresa è necessario preparare l’ambiente in cui si svolge la scena e sistemare la macchina da presa nel posto indicato dalla sceneggiatura. Se la ripresa è sonora,occorre anche sistemare i microfoni e gli apparecchi di registrazione. Viene poi approntato l’impianto di illuminazione, che può essere necessario anche nelle riprese in esterno per schiarire le ombre o per ottenere effetti particolari. A questo punto si passa alla prova dell’inquadratura per controllare che l’azione , l’illuminazione e i movimenti di macchina corrispondano a quanto richiesto dalla sceneggiatura. Al termine delle prove, si avvia il motore della macchina da presa, si riprende il ciack e si inizia l’azione. Ogni azione viene ripresa più volte, anche da più macchine sistemate in posizioni diverse, in modo da poter scegliere le inquadrature migliori in sede di montaggio. Nel corso della realizzazione delle riprese si prende nota di tutti quei particolari che possono cambiare tra una ripresa e l’altra( es. la disposizione degli oggetti, gli accessori dei costumi, la posizione del Sole o degli orologi, l’illuminazione, l’esposizione), in modo da evitare errori in continuità. Al termine delle riprese il materiale filmato viene inviato al laboratorio di sviluppo, eventualmente accompagnato da indicazioni per il trattamento. Lo sviluppo dei negativi esposti viene ottenuto mediante sviluppatrici automatiche e da esso si ricavano successivamente le copie positive che servono per il montaggio, con il quale viene organizzata la struttura del film, stabilendo la successione definitiva delle immagini. La prima copia montata , ancora priva della colonna sonora, viene detta copia di lavorazione. Da questa, passando attraverso un negativo intermedio, si ottiene un certo numero di duplicati (dette copie lavanda) . La colonna sonora definitiva viene ottenuta combinando opportunamente le colonne sonore parziali in cui sono incisi i dialoghi, i rumori e le musiche (missaggio) . Dalla copia lavanda e dalla colonna sonora missata si ottengono le copie per la distribuzione

I TRUCCHI

Per realizzare le scene fantastiche di una fiaba, per creare particolari effetti di tensione, per girare scene che nella realtà non è possibile riprodurre, quando la narrazione prevede delle situazioni pericolose in cui gli attori potrebbero subire gravi danni, si ricorre ai trucchi. Per far credere ad esempio che un personaggio è stato trasportato in un altro luogo, si ricorre al trucco per sostituzione, che consiste nel sostituire alcuni elementi della scena durante l’interruzione di una ripresa, mentre gli attori rimangono fermi nella loro posizione; a sostituzione avvenuta si ricomincia a girare con il nuovo scenario provocando un’improvvisa metamorfosi nella scena. Per ottenere degli effetti di comicità si ricorre al trucco del film rovesciato oppure agli effetti rallentati o accelerati. Il primo consiste nell’inserire un pezzo di film avvolto alla rovescia, in modo che quando si effettuerà la proiezione si vedranno succedere gli avvenimenti nell’ordine contrario a quello con il quale sono stati ripresi. Gli effetti di accelerazione o di ritardo si ottengono effettuando le riprese ad una velocità diversa da quella di proiezione. Un altro trucco è quello di inserire durante il montaggio un pezzo di pellicola con le immagini capovolte. Ricorrendo alla doppia esposizione si può filmare un episodio in cui le parti di due personaggi che compaiono insieme sono interpretate dallo stesso attore: ciò si ottiene girando, una prima volta, la scena con una metà dell’obbiettivo coperta mentre l’attore recita la parte del primo personaggio; solo metà della pellicola rimane così impressionata mentre l’altra metà è vergine. Questa viene utilizzata per riprendere, in un secondo tempo, la stessa scena; si coprirà con l’altra metà della pellicola già impressionata mentre l’attore interpreta il ruolo del secondo personaggio. Importante è il trucco della ripresa fotogramma per fotogramma: questa tecnica permette di agire sulla scena dall’esterno tra un fotogramma e l’altro, senza che la causa delle eventuali variazioni venga filmata. Da ricordare il trasparente, una lastra di vetro smerigliato o di materiale plastico, sul quale, dal di dietro viene proiettato il paesaggio in cui si vuole ambientare l’azione. Vi sono poi dei trucchi che servono ad imitare i fenomeni atmosferici: la neve fatta di bambagia,, la pioggia ottenuta con i getti d’acqua, il vento riprodotto con grandi ventilatori.Per riprodurre, invece, i rumori di una battaglia, di un bombardamento, si ricorre alle registrazioni di vere battaglie e di veri bombardamenti.

LA MACCHINA DA PRESA

Lo spettatore vede tutto ciò che la camera ha filmato: la macchina da presa si sostituisce dunque all’occhio umano, ma con possibilità e funzioni diverse. La più significativa di queste sue possibilità è che essa può, spostandosi in movimenti successivi, osservare un oggetto da posizioni diverse; uguale effetto si può ottenere ricorrendo a più macchine in uno stesso istante. Inoltre la camera funzionando da lente di ingrandimento ci fa osservare dei dettagli che certamente sfuggirebbero all’occhio umano.

L’ INQUADRATURA

L’ inquadratura è il modo di vedere e di filmare un oggetto, un paesaggio, una situazione. Ogni figura presenta aspetti diversi a seconda di come la si osserva e a seconda di come la si situa in un ambiente; perciò, inquadrare un oggetto in un modo piuttosto che in un altro equivale a una scelta precisa del regista per dare un particolare significato all’ immagine, per esprimere un certo sentimento, ecc. L’inquadratura si sofferma alcune volte su uno stesso soggetto, isolandolo dal resto della scena, concentrando quindi la nostra attenzione su di esso, creando su di noi un emozione particolare.

PIANI E CAMPI DI INQUADRATURA

Il movimento della macchina può variare continuamente le inquadrature e quindi le dimensioni degli oggetti che compaiono nel quadro. Il campo lungo o piano generale presenta la figura umana a circa 30 metri di distanza. Si usa per contenere un paesaggio, una folla, o per descrivere l’ ambiente in cui si svolge l’azione. Il campo medio presenta la figura umana in una dimensione tale da non toccare né con la testa né con i piedi i limiti inferiore e superiore del quadro, e serve a concentrare maggiormente l’attenzione sugli attori, pur essendo ancora l’ ambiente parzialmente visibile. Nel campo lunghissimo le figure appaiono all’orizzonte.

Nel campo totale non ci si riferisce alla distanza delle figure della macchina da presa, ma al fatto che sono visibili tutte le persone di una determinata inquadratura.   Il piano americano taglia la figura umana all’ altezza del ginocchio. Serva ad avvicinare i personaggi allo spettatore, così da dare loro maggiore caratterizzazione psicologica.    Il primo piano riprende la figura all’ altezza del petto.    Il primissimo piano riprende solo la testa del personaggio.   Questi ultimi hanno un’importanza grandissima portando al massimo la tensione emotiva.    Il dettaglio o particolare ingrandisce un oggetto o una parte di esso fino a fargli occupare tutto lo schermo.

SCENA E SEQUENZA

La scena indica un blocco narrativo, più o meno lungo, composto da più inquadrature, caratterizzato da unità di spazio e di tempo. Può rappresentare un’unita narrativa completa o fare parte, insieme ad altre scene, di una sequenza. La sequenza si distingue dalla scena per il fatto che può incorporare inquadrature realizzate in luoghi diversi . un caso particolare è la cosiddetta "scena a episodi" che è un insieme di piccole scene, ognuna in se autonoma e rappresentativa di un certo periodo di tempo, separate da grandi ellissi (cioè da evidenti e sostanziosi salti temporali), ma spesso collegate da sottolineature visive.

LA DISSOLVENZA

Effetto cinematografico che consente di far apparire gradualmente dall’oscurità un’immagine o di farla sparire gradualmente nell’oscurità. La sovrapposizione della seconda alla prima dà la dissolvenza incrociata. La dissolvenza che nella sintassi filmica indica un passaggio spaziale o temporale costituisce uno dei modi di collegamento fra una scena e la successiva.

CAST

Gli strumenti che permettono la ripresa e la proiezione delle immagini del cinema sono principalmente i seguenti: la macchina da presa, dotata di obbiettivi vari, di magazzini per le pellicole e accessori vari , la pellicola a colori e in bianco/nero, dove vengono impresse le immagini e viene inciso il suono, la macchina da proiezione (o proiettore), che serve per proiettare la pellicola sviluppata e lo schermo, di colore bianco, su cui viene proiettato il film.

Le tre tappe fondamentali per la realizzazione del film, sono: 1) la progettazione e preparazione;2) la ripresa;3) il montaggio, sia visivo che sonoro.

Il cast è composto da:

REGISTA: colui che dirige artisticamente l’opera

PRODUTORE: colui che finanzia i lavori

DIRETTORE DI PRODUZIONE: colui che cura l’aspetto amministrativo ed è un punto di riferimento ben fermo per non uscire dalle spese preventivate e non aumentare i costi

SCENOGRAFO: ha il compito di preparare l’ambiente e svolge la funzione di architetto e pittore

DECORATORE: sceglie i mobili, le decorazioni e tutti gli oggetti che dovranno apparire nella scena

SEGRETARIO DI PRODUZIONE: deve essere in grado di fornire tutto ciò che gli viene richiesto

COSTUMISTA: stabilisce o sceglie i costumi adatti per gli attori

TROVAROBE: colui che deve saper procurare qualunque cosa si renda necessaria al momento giusto

DIRETTORE DI FOTOGRAFIA: studia la sistemazione dei proiettori, l’intensità luminosa e il colore della luce occorrente alle varie scene, decide il tipo di pellicola da usare

SEGRETARIA DI REDAZIONE: garantisce al film una continuità di svolgimento. Conosce fin nei più piccoli particolari la situazione del lavoro, annota le caratteristiche di tutte le scene (ricordare cioè l’aspetto degli attori, la loro posizione sulla scena) perché, in caso di interruzione delle riprese, si possa riprendere il lavoro senza errori.

ATTORI: sono la "materia artistica e umana" da cui prende vita il film.

Questi ultimi si differenziano in attori professionisti e attori non professionisti.

I primi sono legati a un fenomeno che oggi tende a scomparire tipico dell’ industria cinematografica: il mito, lo star system, che consiste nel mitizzare la vita di un attore o di un’attrice (divi, star) assegnando loro un carattere, un atteggiamento e uno stile ben definiti, che il pubblico ritroverà, immancabilmente in ogni loro film.

Il secondo, invece, è il suo opposto.

CONTROFIGURA: la persona che sostituisce l’ attore professionista, cui assomiglia fisicamente, nelle scene in cui è richiesta un’ abilità specifica (acrobatica, ad esempio), o in cui vi è qualche pericolo (come nelle cadute da cavallo, nelle zuffe, negli scontri automobilistici)

COMPARSA: la persona che compare in una o più scene, non pronuncia alcuna battuta, ma ha solo il compito di fare da sfondo umano (es. battaglie).

LA CINEMATOGRAFIA DIGITALE

Gli anni Novanta hanno visto l’ingresso sempre più massiccio dell’ elettronica e dell’informatica nella tecnica cinematografica. Anche se il supporto finale di un film è rimasto lo stesso, tutto ciò che ne è a monte è stato profondamente rivoluzionato. L’uso delle tecniche digitali si è inizialmente esplicato nella realizzazione di effetti speciali, al posto dei pupazzi meccanici utilizzati in passato. Gli effetti vengono realizzati al computer con immagini sintetiche e successivamente uniti, alla scene reali girate in maniera tradizionale. Con il sistema digitale le immagini non vengono impresse più sulla tradizionale pellicola, ma registrate direttamente su hard disk o su dischi laser,attraverso camere ad alta definizione. Lo sviluppo della cinematografia digitale, quindi, ha portato in questi anni a realizzare sempre più film con scene virtuali. Il termine virtuale, legato alla storia del cinema a partire dagli anni Novanta, ha in realtà una doppia valenza. Da un lato, infatti, indica un preciso nuovo genere cinematografico, dall’altro ha invece un significato prettamente tecnico.

Il primo esempio di film che si occupa della realtà virtuale risale al 1982, ovvero due anni prima che lo scrittore William Gibson, vero e proprio guru del genere, creasse il termine "cyberspazio". Ma Tron diretto da Stiven Spielberg, benché contenga per la prima volta sequenze completamente realizzate in computer grafica, è allo stesso tempo visivamente troppo innovativo e narrativamente troppo poco coraggioso per colpire nel segno. Passeranno quindi dieci anni prima che il cinema provi ad affrontare nuovamente il tema. Il nuovo tentativi, Il tagliaerbe (1992) di Bert Leonard, ha invece la fortuna di uscire nelle sale quando Internet inizia già ad essere un fenomeno e usufruisce inoltre di tecnologie più sofisticate e meno costose. Il tagliaerbe apre la strada a riflessioni più alte e più complesse sulla realtà virtuale, come quelle presenti in Strange Days (1995) dove virtuali diventano le emozioni. Abitualmente però il cinema sulla realtà virtuale sceglie una strada meno filosofica e di puro intrattenimento come Matrix (1999)di Larry e Andy Wachowski, che mescola kung fu e l’estetica dei videogiochi. Grandi protagonisti del nuovo cinema virtuale sono compagnie di effetti speciali, in grado di creare veri e propri set digitali tridimensionali , che permettono di dimezzare i costi e aumentare la grandiosità.Il connubio tra informatica e cinema , comunque, negli anni Novanta, ha condotto anche lo sviluppo del cosiddetto restauro elettronico di vecchi film, a cui sono stati restituiti il colore e il sonoro originale.

LO STAR-SYSTEM

Lo star-system è sistema che utilizza l’immagine degli attori a fini commerciali. La possibilità di sfruttamento economico del potere degli attori sull’immaginario popolare si fanno largo nelle menti dei produttori degli studios americani nei primi anni ’10, a fronte della morbosa e crescente volontà del pubblico di conoscere i nomi dei propri beniamini, fino ad allora segregati alla produzione per tenere basso il potere contrattuale degli attori. Gli studios ribaltano la prospettiva di lì a poco, acconsentendo non solo a pubblicare il nome degli attori, ma a fare di questi i principali strumenti di promozione, calcolando che i compensi dei divi sarebbero stati, come di fatto sarà, superati dai ricavi di film e indotto. Il divismo e il compenso degli attori esplodono alla fine del decennio con l’affermarsi di M. Pickford, che si disse che fece innamorare un popolo intero, D. Fairbanks e C. Chaplin, i quali, forti del proprio carisma si consorziano in una autonoma casa di produzione. Altri due casi emblematici di divismo prodotto in breve tempo ma destinato a fama imperitura è quello di Rodolfo Valentino e, in anni successivi, di Marilyn Monroe. Fino alla metà degli anni ’50 , il sistema con l’avvicendarsi dei divi muta poco di sostanza, reggendosi su un fragile ma comunque vitale rapporto di forza tra majors e attori, i quali "controllati" economicamente tramite contratti lunghi e piuttosto rigidi negli emolumenti, e vengono spesso indirizzati dalle majors anche nella loro vita privata. Con la crisi delle majors e la crescita degli agenti cinematografici, i divi sono più liberi di passare da un produttore all’altro, partecipano qualche volta agli utili dei film, e gestiscono più autonomamente carriera e immagine.

MARILIYN MONROE

Nasce a Los Angeles nel 1926 e muore a Brentwood, California 1962. L’ultima grande star di Hollywood e uno dei suoi più grandi simboli. Figlia illegittima , cresciuta in orfanotrofi, sin da piccala insegue con tutte le forze quel mito della "grande attrice" che sulla soglia dei trent’anni incarna trionfalmente, ma soltanto per scoprirne la deludente e pericolosa inconsistenza. Dapprima modella fotografica e goffa attrice, si trasforma, nel giro di pochi anni, in ammaliante regina dello schermo, passando da qualche breve, ma giustificata apparizione alla impegnative prove drammatiche di Niagara (1953) e La magnifica preda (1954) e alle deliziose interpretazioni di Gli uomini preferiscono le bionde e Come sposare un milionario entrambi del 1953, e Quando la moglie è in vacanza (1955). Dopo la crisi profonda che la porta al divorzio dal campione di baseball Joe Di Maggio, all’iscrizione all’Actors Studio e al frenetico tentativo di "farsi una cultura" sotto la guida del commediografo Miller ( poi suo marito), interpreta Fermata d’autobus ( 1956) , e lo sfortunato Il principe e la ballerina (1957). Attrice di trascurate possibilità, splendida nelle commedie a sfondo amarognolo, Marilyn Monroe ha rivestito un ruolo di primissimo piano nella storia del costume, non soltanto per aver incantato, con il suo fascino, milioni di spettatori, ma per aver liquidato definitivamente il mito hollywoodiano della vamp sostituendolo con una sensualità spiritosa e candida. Poco dopo aver divorziato da Miller, e proprio quando le riprese di un nuovo film sembravano prepararle un grande rilancio professionale, muore in circostanze oscure, forse suicida. La sua tragica scomparsa crea uno shock per lo star system hollywoodiano, che perde lucentezza e credibilità e si avvita su se stesso, incapace di tornare ai fasti che proprio lei aveva incarnato ai massimi livelli. Resta il simbolo insuperato dell’età aurea della storia del cinema.

Mr. Oscar

 Nome: Academy Award 
Classe: 1928 
Altezza: 34 cm 
Peso: quasi 4 Kg

In origine era l’Academy Award of Merits, voluto da Louis B. Mayer come tangibile riconoscimento ai più bravi attori della stagione precedente. Con il passare del tempo, però, tutti presero a chiamarlo familiarmente Oscar, Non si sa bene quando, ma intorno alla fine degli anni ’30 il nomignolo si è diffuso con successo: il premio perde l’aura di solenne sacralità e guadagna in simpatia con quel nome dal suono familiare e spiritoso insieme, senza che, tuttavia, si appanni la sua qualità di riconoscimento ambitissimo.

Con certezza si sa che è stato disegnato da Cedric Gibbons e forgiato dallo scultore Goerge Stanley, quanto alla scelta del patronimico, con il quale è famoso in tutto il mondo, poco si conosce. La leggenda vuole che una segretaria dell’Academy, guardando la statuetta, abbia notato un’incredibile somiglianza con suo zio Oscar.

La consegna dei premi Oscar è molto più di un semplice fenomeno di intrattenimento, è diventata un mastodonte dello star-system che fagocita diversi milioni di telespettatori. Nel 1937 Edgar Bergen ne ha portato a casa uno di legno con la mandibola mobile per aver creato il personaggio di Charlie Mac Carthy. L’allora giovanissimo Mickey Rooney, invece, ha vinto un oscar in miniatura e sette piccolissime statuette hanno affiancato quella a dimensione naturale assegnata a Walt Disney per Biancaneve.

Non sono rimasti molti quelli che riescono a confezionare un manufatto tanto particolare. Alla R.S. Owens di Chicago ci vogliono 12 persone e circa 20 ore per dare vita ad una statuetta. Ogni anno, da questa fabbrica, escono tra le 50 e le 60 statuette.

Gli oscar,chiusi in anonimi pacchi percorrono centinaia di chilometri. Poi,dopo un’indimenticabile sera andranno a finire dove i loro nuovi proprietari riterranno opportuno.

Curiosità, numeri e primati

Alla prima cerimonia per gli Academy Awards, all’Hollywood Roosevelt Hotel, parteciparono 250 persone. Il prezzo del biglietto era di 10 dollari, una bella cifra per l’epoca. Inutile dire che oggi la partecipazione è rigorosamente riservata agli invitati e che non ci sono biglietti da comprare.

Fino al 1940 i nomi dei vincitori venivano annunciati in modo riservato ai giornali, con un leggero anticipo sulla premiazione, in tempo per consentire loro di riportarne notizia nell’ultima edizione. Quell’anno, però, accadde che il Los Angeles Times pubblicò i risultati con troppo anticipo, privando di suspence la cerimonia. Fu così che l’anno seguente venne introdotto il sistema delle buste sigillate, usato fino ad oggi.

Il creatore dell’ormai mitica e ambitissima statuetta, fu lo scultore George Stanley, al quale andarono per l’occasione 500 dollari. La statuetta rappresenta un uomo in piedi su una bobina cinematografica con una spada stretta nelle mani. Nel corso del tempo, l’unico cambiamento nella forma della statuetta ha riguardato il piedistallo, che è divenuto più alto.

Per quanto riguarda, invece, la sua materia prima, all’inizio l’Oscar era di bronzo, poi – a causa della carenza di metallo dovuta alla II Guerra Mondiale – fu di gesso. Oggi è realizzato in una lega di stagno e antimonio ed è placcato in oro. Il tutto pesa circa 3,8 chili, per un’altezza di 34 centimetri.

Il nome ufficiale della statuetta è ‘The Academy Award of Merit’. Come si sia arrivati al soprannome Oscar, universalmente noto, è cosa piuttosto oscura. Si racconta che una bibliotecaria dell’Academy, Margaret Herrick trovasse una somiglianza tra la statuetta e suo zio Oscar e che a partire da questo tra il personale dell’Academy fosse invalsa l’abitudine di usare, in modo informale, il soprannome. Nel 1934 un cronista di Hollywood usò il nome ‘Oscar’ per riferirsi ad una vittoria di Katherine Hepburn. Nel 1939 il nome cominciò ad essere usato dall’Academy.

Tutti sanno che Titanic ha ottenuto il record di 11 statuette (su 14 nomination) uguagliando, quasi quarant’anni dopo, Ben Hur, che però aveva avuto ‘solo’ 12 nomination. Molti ricordano anche che sono stati solo tre film a vincere in tutte e cinque le principali categorie (miglior film, regista, attore protagonista, attrice protagonista, sceneggiatura): si tratta di Accadde una notte di Frank Capra (1934), di Qualcuno volò sul nido del cuculo di Milos Forman (1975) e de Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme (1991). Ma esistono anche record molto meno gratificanti: Due vite una svolta di Herbert Ross e Il colore viola di Steven Spielberg detengono quello del maggior numero di nomination senza alcuna vittoria (11) mentre tra gli attori Geraldine Page, Richard Burton e Peter O’Toole sono stati ‘nominati’ ben sette volte, ma non hanno ricevuto nemmeno una statuetta.

Katherine Hepburn e Meryl Streep sono le attrici con il maggior numero di nomination: ben 12. La prima ha vinto quattro volte (1933, 1967, 1968, 1981), la seconda due. In campo maschile il record delle nomination spetta a Jack Nicholson (11) seguito da Laurence Olivier (10), che ha anche ottenuto una nomination come regista.

La più giovane vincitrice di un Oscar? L’attrice Tatum O’Neal, premiata nel 1973 per Paper Moon: aveva allora dieci anni. Il primato opposto, quello del vincitore più anziano, spetta a Jessica Tandy, ottantenne quando fu giudicata migliore attrice per A spasso con Daisy, nel 1989. Questo se non si tiene conto dell’Oscar alla carriera assegnato nel 1973 a Groucho Marx, che di anni ne aveva ottantatrè.

Whoopi Goldberg, che nel 1990 è stata la prima attrice afro-americana a vincere un Oscar dai tempi lontani di Hattie McDaniel (1939 – Via col vento), nel 1993 è divenuta la prima donna a presentare la cerimonia di premiazione.

Roberto Benigni, miglior attore per La vita è bella è stato il secondo a ricevere uno dei premi riservati ad attori recitando in un film in lingua straniera. La prima fu, neanche a dirlo, quella stessa Sophia Loren che ha consegnato l’Oscar a Benigni: vinse come migliore attrice per La ciociara nel 1961.

Emma Thompson è l’unica ad avere avuto l’onore della nomination contemporaneamente come migliore attrice e migliore sceneggiatrice (entrambe per Ragione e sentimento, nel 1995). Ha ottenuto, però, solo il secondo Oscar.

La bella e la bestia è stato, nel 1991 il primo cartone animato ad entrare nella cinquina dei migliori film.

Curioso il destino del western, il ‘genere’ per eccellenza del cinema americano. Prima di Balla coi lupi, premiato come miglior film nel 1991, solo un altro western ha ottenuto lo stesso risultato in tutta la storia degli Oscar: I pionieri del West, nel lontano 1931.

Nel 1938, La grande illusione di Jean Renoir diviene il primo film straniero ad avere la nomination per il miglior film. All’epoca non esiste ancora il premio al film in lingua straniera, che viene aggiunto nel 1948: il primo a vincerlo è Monsieur Vincent di Maurice Cloche, cui fa seguito nel ’49 Ladri di biciclette di Vittorio De Sica.

Nel 1961 il premio per la migliore regia viene diviso in due da Robert Wise e Jerome Roberts, entrambi registi di West Side Story. È la sola volta in cui questo è successo.

Al film sovietico Guerra e pace, vincitore nel 1968 come miglior film in lingua straniera, va la palma del più lungo film vincitore di Oscar: 7 ore e 33 minuti!

La più lunga standing ovation della storia dell’Oscar rimane quella che gli invitati dell’Academy Awards tributarono nel 1971 a Charlie Chaplin, che ritornava negli Stati Uniti dopo oltre vent’anni di volontario esilio per ricevere l’Oscar alla carriera. Gli applausi durarono oltre 5 minuti.

Nel 1976, Linda Wertmuller, con Pasqualino Settebellezze, ha l’onore di essere la prima donna ad ottenere la nomination come miglior regista. Solo Jane Campion, nel 1993, riuscirà ad uguagliare l’impresa della Wertmuller, con Lezioni di piano.

La storia della cerimonia dell’Academy Awards è fatta anche di celebri rifiuti e assenze. Nel 1971, George C. Scott fu scelto come migliore attore per Patton ma, da sempre estremamente critico nei confronti dell’Academy, rifiutò il premio che fu ritirato in sua vece dal produttore Frank McCarthy. L’anno dopo toccò a Marlon Brando. Premiato per il suo ruolo da protagonista ne Il padrino, Brando non accettò la statuetta, intendendo così protestare per il trattamento che l’industria cinematografica americana riservava agli indiani d’America. Come dimenticare, poi, l’assenza di Woody Allen alla cerimonia del 1978? Allen disertò la premiazione sebbene per Io e Annie avesse ottenuto tre nomination. Era stata invece forzata, nel 1938, l’assenza di Alice Brady, costretta a casa da una caviglia rotta. La Brady vinse il premio come migliore attrice non protagonista, ma la statuetta, al suo posto, fu ritirata da … un estraneo che scomparve nel nulla; sicché Alice Brady non ebbe mai il piacere di vedere il suo Oscar.

In tre casi dei consanguinei hanno vinto l’Oscar nello stesso anno. Nel 1930 Norma Shearer fu migliore attrice e suo fratello Douglas miglior ingegnere del suono. Nel 1948, per Il tesoro della Sierra Madre, John Huston vinse come regista e suo padre Walter come attore non protagonista. Infine nel 1974 Francis Ford Coppola vinse tre Oscar per Il Padrino 2 e suo padre Carmine fu premiato per le migliori musiche originali. In questo caso anche la sorella di Coppola, Talia Shire, ebbe una nomination come migliore attrice non protagonista, ma non vinse. Ci sono anche famiglie i cui membri hanno vinto in anni diversi. Tra le coppie sposate ricordiamo per esempio Laurence Olivier e Vivien Leigh. Lionel ed Ethel Barrymore e le due sorelle Joan Fontaine e Olivia De Havilland sono le sole coppie di fratelli e/o sorelle ad aver vinto come attori/attrici.

Tre sono i casi eccezionali in cui la cerimonia dell’Academy Awards è stata rinviata. Nel 1938, a causa delle catastrofiche inondazioni che colpirono Los Angeles, il rinvio fu di una settimana. Nel 1968 la premiazione slittò di due giorni in coincidenza con i funerali di Martin Luther King. Nel 1981 si ritardò di 24 ore per l’attentato contro il presidente Reagan.

I GRANDI REGISTI

ALFRED HITCHCOCK

Alfred Joseph Hitchcock è nato il 13 agosto 1899 a Leytonstone in Inghilterra ed è morto il 2 aprile del 1980 a Los Angeles in California. È stato cresciuta con una rigorosa educazione religiosa ed ha frequentato il duro Collegio Cattolico di Saint Ignatius. I suoi studi proseguirono con l’iscrizione alla scuola di Ingegneria e che dovette abbandonare per motivi economici nel 1914 quando suo padre morì. Fin da questi anni Hitchcock manifestò un grande interesse per il mondo del crimine e verso gli omicidi collezionando saggi ed articoli tratti dai giornali. Nel 1915 trovò lavoro presso la "Heneley telegraph and cable Company". Il suo primo impiego nel ramo cinematografico è datato 1920 quando venne assunto come disegnatore di titoli in un nuovo studio londinese, il "Players-Lasky-Studios"; Hitchcock disegnò i titoli per tutti i film prodotti dal suddetto studio nel corso dei successivi due anni. Nel 1922 quando il regista di "Always tell your wife" si ammalò, Hitchcock terminò di girare il film al suo posto mettendosi immediatamente in luce per le sue buone qualità. Gli viene affidata la prima regia con il film "Number 13" che però rimase incompleto perché lo studio chiuse la sua sede londinese. Nel 1923 Hitchcock fu assunto dalla compagniapiù tardi conosciuta come Gainsborough Pictures. Durante i tre anni successivi Hitchcock lavorò nell’ombra per numerosi films ed i suoi compiti erano moltissimi: sceneggiatore, disegnatore di titoli e scenografie, scrittore, montatore ed aiuto regista. Fu finalmente nel 1925, quando la compagnia gli affidò la regia del film "Il labirinto della passione" che la brillane carriera di Alfred Hitchcock ebbe inizio. Venne soprannominato il "mago del brivido" per la sua grandissima capacità di far irrompere l’orrore nella normalità. Ma in una lunga carriera dedicata quasi interamente al trhiller, Hitchcock ha dimostrato che non esistono limitazioni nel cinema di genere. I suoi film hanno saputo raccontare a volte con ironia, il silenzio improvviso e le sfumature di tenebra dell’animo umano. Voleva che il suo cinema fosse emozione e, data una situazione di partenza, immaginava scene indelebili, che mostrassero il protagonista, spesso uomo qualunque, immerso nelle spirali di un incubo. Nel suo primo film "L’inquilino"(1926) per visualizzare il rumore dei passi dell’assassino al piano superiore, aggirò l’assenza del sonoro rendendo invisibile il soffitto mostrando il minaccioso vagare dei piedi dell’uomo. Una caratteristica di Hitchcock era quella di comparire in tutti i suoi film, come per caso,in una breve inquadratura.

 FILMOGRAFIA

I suoi film più importanti sono: L’INQUILINO, IL DECLINO, CHAMPAGNE, LA MOGLIE DEL FATTORE, RICATTO, OMICIDIO, FIAMMA D’AMORE, L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO, GIOVANE E INNOCENTE, LA TAVERNA DEL DUBBIO, NODO ALLA GOLA, DELITTO PER DELITTO, IO CONFESSO, LA FINESTRA SUL CORTILE, IL DELITTO PERFETTO, LA CONGIURA DEGLI INNOCENTI, CACCIA AL LADRO, LA DONNA CHE VISSE DUE VOLTE, PSYCHO, GLI UCCELLI, IL SIPARIO STRAPPATO, TOPAZ,COMPLOTTO DI FAMIGLIA.

VITTORIO DE SICA

Nasce a Sora il 7 luglio del 1901 e muore a Parigi il 14 novembre del 1974. Esordisce in teatro nel 1923, nella compagnia di T. Valvola, e tre anni dopo nel cinema. Nel 1933 forma una compagnia con la moglie e con S. Tofano, specializzandosi nel repertorio comico-brillante, ma non trascurando temi più i impegnativi come Il matrimonio di figaro e I giorni della nostra vita. Nel cinema si afferma prima come attore "amoroso", ottenendo un enorme successo in alcune garbate commedie piccolo-borghesi di M. Camerini (Gli uomini,che mascalzoni...,1932; Grandi magazzini,1939). Alla lezione di Camerini si rifanno le sue prime esperienze di regia. L’incontro con lo sceneggiatore C. Zavattini contribuisce alla sua maturazione di artista che inizia col drammatico I bambini ci guardano (1943) e si manifesta pienamente, nell’atmosfera stimolante del dopoguerra, in una serie di capolavori che figurano tra i risultati più alti della stagione del neorealismo: Sciuscià, commovente indagine sulla triste condizione dei ragazzi abbandonati; Ladri di biciclette, struggente analisi del mondo dei disoccupati; Umberto D, forse il suo capolavoro, sull’amara emblematica vicenda di un vecchio pensionato. A questi film, nei quali la dolente sincerità dell’ispirazione e dell’impegno civile si accompagna alla scoperta di una realtà dimessa ma poeticamente vibrante, e a un ritmo narrativo e di straordinaria esattezza e sobrietà, De Sica cercò di dare un seguito con Satzione Temini (1953) e Il tetto (1956), ma con risultati assai meno convincenti, se non proprio sfuocati, forse anche per l’influsso di una situazione oggettiva via via più ambigua e complessa. Più calibrati e felici, almeno dal punto di vista della resa spettacolare, risultano L’oro di Napoli (1954) e La ciociara (1960). Nella produzione successiva spicca la decorosa trascrizione di Il giardino dei Finzi Contini (1971). In tutti questi anni, intensissima è la sua attività come attore: nei suoi stessi film e in opere di altri autori (Roma città libera, 1948 e Il generale Della Rovere, 1959), spesso appartenenti a una produzione assai corrente. Consegue una grande popolarità con Pane, amore e fantasia(1953), dove indossa i panni di un maresciallo dei carabinieri alle prese con la grazia di una giovanissima Gina Lollobrigida in uno sperduto villaggio delle montagne d’Abruzzo.

FEDERICO FELLINI

Federico Fellini è nato a Rimini il 20 gennaio 1920 ed è morto a Roma il 31 ottobre del 1993. La famiglia d'origine è piccolo-borghese: la madre Ida Barbiani, romana, è casalinga e il padre, Urbano, che proviene da Gambettola, è rappresentante di commercio, soprattutto di generi alimentari.
Fellini frequenta il liceo classico della città e comincia a fare i primi piccoli guadagni come caricaturista: il gestore del cinema Fulgor gli commissiona ritratti di attori celebri da esporre come richiamo. Nell'estate del 1937 Fellini fonda, in società con il pittore Demos Bonini, la bottega "Febo", dove i due eseguono caricature di villeggianti.

In questi anni Fellini vive già stabilmente a Roma, dove si è trasferito nel gennaio 1939, con la scusa di iscriversi a giurisprudenza. Fin dai primi tempi, frequenta il mondo dell'avanspettacolo e della radio, dove conosce,Giulietta Masina che sta interpretando il personaggio di Pallina, ideato dallo stesso Fellini, nella commedia Le avventure di Cico e Pallina: nell'ottobre di quell'anno i due si sposano. Per il cinema ha già iniziato a lavorare fin dal 1939, come "gagman": scrive le battute di alcuni film girati da Macario fra la fine degli anni trenta e l'inizio dei quaranta (Lo vedi come sei, Non me lo dire e Il pirata sono io).Subito dopo è fra i protagonisti del neorealismo, sceneggiando alcune delle opere più importanti: con Rossellini scrive i capolavori Roma città aperta e Paisà, con Germi In nome della legge, Il cammino della speranza e La città si difende, con Lattuada Il delitto di Giovanni Episcopo, Senza pietà e Il mulino del Po. L'anno successivo Fellini dirige il suo primo film da solo, Lo sceicco bianco: per la prima volta, attraverso l'infatuazione di una giovane provinciale per un eroe dei fotoromanzi, affonda il suo sguardo ironico e partecipe all'interno del mondo piccolo-borghese e dei suoi sogni. Con I vitelloni (1953) il suo nome varca i confini nazionali e viene conosciuto all'estero. Il regista ricorre per la prima volta ai ricordi, all'adolescenza riminese. Nel 1953 partecipa anche a un progetto messo in piedi da Zavattini, un film a episodi intitolato L'amore in città. L'episodio diretto da Fellini, Agenzia matrimoniale, è fra i più riusciti. L'anno dopo con La strada, uno dei suoi film più teneri e poetici, arriva il primo Oscar. Il secondo Oscar arriva nel 1957 con Le notti di Cabiria. Come in La strada, la protagonista è Giulietta Masina, che ha avuto ruoli di diversa importanza in tutti i primi film del marito. Con La dolce vita (1959), Palma d'oro a Cannes e spartiacque della produzione felliniana, si acuisce l'interesse per un cinema non legato alle tradizionali strutture narrative. Alla sua uscita il film fa scandalo, soprattutto negli ambienti vicini al Vaticano. Nel 1963 esce , forse il momento più alto dell'arte felliniana. Vincitore dell'Oscar per il miglior film straniero e per i costumi (Piero Gherardi), è la storia di un regista che racconta, in modo sincero e sentito, le sue crisi di uomo e di autore, le difficoltà nell'armonizzare i molteplici aspetti della sua professione, la paura di deludere le aspettative, la fatica nel regolare il traffico dei fantasmi, dei ricordi e dei volti del passato, e nel farli convivere pacificamente con il presente. Il 1983 vede l'uscita di E la nave va. L'idea di partenza, il funerale per mare di una famosa cantante lirica, diventa il pretesto per un viaggio attraverso la vita. I personaggi che popolano la nave, in gran parte amanti della musica, costituiscono un vario assortimento di caratteri: li accomuna quel piacere dell'armonia in grado di superare ogni dolore e turbamento. Con Ginger e Fred (1985) diventa aspro il tono della polemica nei confronti della società contemporanea. Attraverso il ritorno alla ribalta di due anziani ballerini d'avanspettacolo, ospiti di una trasmissione televisiva, Fellini racconta del progressivo degrado dei costumi, dell'abbrutimento di una società schiava del cattivo gusto e della pubblicità, della disumanizzazione dei rapporti fra gli individui.

L'ultimo film è La voce della Luna (1990), tratto da Il poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni. Fellini torna con i suoi pazzi nella campagna per ascoltare le sue voci, i suoi bisbigli, lontano dal clamore della città. La nostalgia di Fellini è tutta per una cultura diversa, fatta di confidenze sottovoce, di dubbi, di magia. Il film rispecchia in pieno questi dati. Qualche mese prima di morire, nella primavera del 1993 Fellini riceve il suo quinto Oscar, alla carriera.

RIDLEY SCOTT

 Nato il 30 novembre 1937 a Northumberland, in Inghilterra, Ridley Scott ha studiato al West Hartpool College of Art, e al London’s Royal College of Art. All’inizio degli anni sessanta, ha cominciato a lavorare come scenografo alla British Broadcasting Company, e in seguito ha diretto alcuni show della BBC, come il serial poliziesco "Z Cars".
Abbandonata la BBC, Ridley Scott inizia una carriera da freelance e realizza centinaia di spot pubblicitari. Nel 1977, debutta come regista cinematografico con il film I duellanti, interpretato da Keith Carradine e Harvey Keitel, e vince il premio per la migliore opera prima al festival di Cannes. Il film successivo, Alien (1979), rivoluziona la tradizione maschile della fantascienza mettendo una donna (Sigourney Weaver) al centro dell’azione, e grazie anche all’alieno disegnato da H. R. Giger e alle scenografie di Les Dilley e Roger Christian, inizia una profonda trasformazione del genere. Con Blade Runner (1982), liberamente tratto dal romanzo di Philip K. Dick 'Il cacciatore di Androidi', Ridley Scott porta a compimento la mutazione della sci-fi, proponendo una tenebrosa visione del futuro, poco attenuata dal finale consolatorio imposto dalla produzione.

Gli altri film realizzati negli anni ottanta, Legend (1985), Chi protegge il testimone (1987), e Black Rain – Pioggia sporca (1989), sono certamente meno originali dei primi, ma nel 1991 Thelma & Louise è uno straordinario successo commerciale, e ottiene sei nomination dell’Academy Award.

Dopo il clamoroso flop di 1492 – La scoperta del paradiso (1992), Scott tocca i punti più bassi della sua carriera con Albatros – Oltre la tempesta (1996) e Soldato Jane (1997), uno spot militarista con Demi Moore. Nel 2000, Ridley Scott è tornato al successo con Il gladiatore, interpretato da Russell Crowe, e subito dopo ha realizzato Hannibal (2001), con Anthony Hopkins e Julianne Moore.

FRANCIS FORD COPPOLA ( Detroit 1939)

Regista e produttore statunitense. La sua prima opera, Terrore alla tredicesima ora (1963) viene prodotta e finanziata da R. Corman.

Nel 1966 dirige il pungente Buttati Bernardo! E due anni dopo Sulle ali dell’arcobaleno (1966), un musical stravagante di cui è protagonista un maturo F. Astaire. Il suo talento si rivela pienamente con il graffiante Non torno a casa stasera (1969), che mette in scena la crisi di una giovane sposa e il suo vagabondaggio lungo la strade di un’America profonda, dissociata e lacerata da incertezze e conflitti. Già in questo film si delinea la felice "doppiezza" del suo modo di intendere il mestiere: l’idea, cioè, che la produzione di opere esteticamente autonome e personali –vale a dire fuori standard- debba contare esclusivamente sugli introiti di un cinema di grande consumo. Gira quindi Il padrino (1972), un enorme successo che si ripete negli episodi successivi, contraddicendo per altro ( soprattutto per il secondo episodio) la nozione stessa di "cinema commerciale", per l’ampio respiro narrativo e la cruda visione del mondo criminale-patriarcale-mafioso.

Grazie agli incassi Il padrino realizza La conversazione (1973), che ottiene consensi dalla critica, ma non dal pubblico, che evidentemente non ne coglie la profondità, ma solo la freddezza dello sguardo, quasi da entomologo, stiticamente distante dai canoni hollywoodiani.

Intanto fonda una sua casa di produzione, la Zeotrope, e si accinge all’impresa di Apocalypse Now, alla libera rielaborazione del romanzo Cuore di tenebra di J.Conrad che richiede due anni di riprese e lo porta alle soglie della follia. Il film irrompe sugli schermi nel 1979 come un’opera epocale che pone fine a un’intera stagione, quella cosiddetta "altra Hollywood", inglobandola e oltrepassandola. Il Vietnam, con il suo agghiacciante orrore spettacolare,non è solo lo scenario di una guerra perduta, feroce crudele come tutte, ma è uno sprofondamento nelle oscurità della coscienza, nel "cuore di tenebra" dell’intimo umano. Se con Apocalypse Now Coppola rischia il fallimento finanziario, la sua vena narrativa e il suo occhio da esploratore non vengono certo meno. Lo sperimentale Un sogno lungo un giorno (1982) è un’opera del tutto inconsueta, anticonvenzionale, con effetti di suggestione destabilizzante. Dirige quindi una serie di film con risultati alterni, ma sempre di grande densità tematica e di elevata qualità stilistico-formale, tra i quali Rusty il selvaggio e I ragazzi della 56° strada, due film sull’inquietudine e sulla devianza giovanile americana negli anni ’60, ambedue del 1983, Cotton Club (1984), omaggio all’età del jazz e al mitico locale degli anni ’30, costruito su un’esile trama e sempre in bilico fra musical e gangster-movie., Peggy Sue si è sposata (1986), Giardini di pietra (1987), Dracula di Bram Stoker (1992), L’uomo della pioggia (1997). In parallelo prosegue la sua attività di produttore, soprattutto indirizzata ai giovani registi di talento. Al festival di Cannes del 2001 presenta l’edizione integrale di Apocalypse Now, allungata di ben 52 minuti dall’originale.

MARTIN SCORSESE

Nasce a Flushing il 17 novembre del 1942. di origini italiane, cresce a Little Italy. Ostacolato nella sua vocazione religiosa ( viene espulso dal seminario per l’amicizia dei delinquenti dei frati), si avvicina al mondo del cinema di cui subisce il fascino sin da ragazzino. Esordisce con il film drammatico Chi sta bussando alla mia porta?che annuncia le tematiche principali della sua successiva produzione: la predilezione per le storie sulla vita violenta dei bassifondi dove prevalgono la fisicità dei personaggi e le loro pulsioni autodistruttive, la costante presenza autobiografica ( dall’ossessiva educazione cattolica alle contraddizioni della cultura italoamericana), la sapiente fusione dei dialoghi e voci fuori campo, l’ironia dei risvolti inquietanti. Consolidano un successo sempre crescente i drammi crudi e realistici dal sapore autobiografico: America 1929, Sterminateli senza pietà, Mean street- Domenica in chiesa, lunedì all’inferno e l’inteso ritratto femminile Alice non abita più qui(1974). Nel 1976 vince la palma d’oro a Cannes con il film che decreta il suo successo: Taxi driver, con uno strepitoso Robert De Niro testimone della violenza della vita notturna metropolitana. Seguono la nostalgica rilettura del musical New York,New York (1977) con Robert De Niro e Liza Minelli e il documentaristico e decadente L’ultimo valzer ( 1978). Gli anni ’80 lo vedono impegnarsi in prima persona in una campagna di sensibilizzazione per la conservazione del film e del colore, che le nuove tecnologie rischiano di inficiare totalmente. Prosegue intanto di successo in successo, spesso con la presenza dell’amico e attore Robert De Niro: da Toro scatenato(1980)sulla vita di un pugile italoamericano; alla cinica analisi dei mezzi di comunicazione di massa Re per una notte (1983), dall’allucinante odissea urbana e notturna di Fuori orario (1985) al visionario L’ultima tentazione di Cristo (1988); dall’anomala gangster story sulla mafia Quei bravi ragazzi (1990, Leone d’argento a Venezia) al cupo e allucinato Cape Fear- Il patrimonio della paura (1991), dal dramma in costume L’età dell’innocenza (1993) al patinato ma anticonvenzionale Casinò (1995) ultimo è Gangs of New York (2002). Sperimentatore instancabile, affiancato da un team di collaboratori abituali, di film in film continua a riflettere sul male, sulla morte e sul senso di colpa che pervadono la società americana contemporanea, un’originalissima visione che fonde le proprie radici religiose e culturali con una percezione vivissima, di volta in volta dolente e nevrotica , delle contraddizioni della modernità.

STEVEN SPIELBERG (Cincinnati, Ohio, 1947)

 Regista e produttore statunitense. E’ indubbiamente il più popolare e affermato regista contemporaneo (suoi i più grandi incassi della storia del cinema), ma è anche un grande maestro del racconto, capace di influenzare pesantemente l’immaginario di tutto il secondo Novecento. Al culmine di una fortunata esperienza televisiva, gira il film tv Duel (1971), geniale evoluzione del road-movie che si contamina con l’incubo grazie a un controllo della narrazione che già indica la grandezza del regista. Debutta al cinema con Sugarland Express (1974), originale rivisitazione del tema dell’inseguimento fra poliziotti autoritari e marginali post-hippies, cui segue il celebre Lo squalo (1975), intelligente unione di tensione emotiva e senso dello spettacolo. Il successo economico del film, che rivista alcuni archetipi dell’immaginario occidentale, dal leviatano a Moby Una scena tratta da E.T. l’extraterrestre

Dick, narrando di una cittadina balneare americana minacciata dalle aggressioni di un gigantesco squalo, consente a Spielberg di usufruire di ingente budget per i lavori successivi e di realizzare così nel 1977 Incontri ravvicinati del terzo tipo, poetica e teorica incursione nei territori della fantascienza che analizza in chiave ottimistica il contatto con gli extraterrestri. Nonostante l’insuccesso del bizzarro 1941-Allarme a Hollywood (1979), sublime impasto post-moderno e demenziale sulla paura americana di un’aggressione imminente, Spielberg diviene, insieme all’amico G. Lucas (i due producono anche numerosi film contribuendo al lancio di celebri registi fra i quali Zemeckis), il più potente regista di Hollywood, e il dittico I predatori dell’arca perduta (1981), e E.T. l’extraterrestre 81982) non fa che rafforzare la sua fama e ricchezza: Spielberg mette infatti in mostra gli ingredienti del suo successo, cioè senso dell’avventura (incarnata nel celebre indiana Jones che sarà protagonista poi di Indiana Jones e il tempio maledetto, 1984, e Indiana Jones e l’ultima crociata, 1989), perfetta conoscenza dei tempi del racconto, sapiente equilibrio fra commozione e autoironia, elaborazione in chiave moderna di elementi leggendari e favolistici che si fondono in una perfetta macchina spettacolare, producendo un’autentica mitologia contemporanea,in cui i personaggi assolutamente "ordinari" si trovano all’improvviso alle prese con situazioni "straordinarie" ed eccezionali. I film seguenti confermano il talento e l’originalità del regista: Il colore viola (1985) è un sentito ritratto di due sorelle afroamericane, L’Impero del sole (1987) un robusto romanzo di formazione tratto da J. Ballard, mentre meno riuscito è il magniloquente e retorico Always- Per sempre (1989). Torna a temi meno intimisti con Hook- Capitan uncino (1991), variazione sulla favola di Peter Pan, e con Jurassic Park (1993), che utilizza straordinari effetti speciali per immaginare il ritorno sulla terra dei dinosauri. Ma il progetto cui tiene maggiormente è Schindler’s List (1993), uno straordinario viaggio nella memoria dolorosa della Shoah, un film (premiato con sette Oscar, fra i quali miglior film e regia) che emoziona, commuove, indigna e soprattutto, rilegge

con straordinario senso della fiction la più cruda pagina della nostra storia. Nel 1997 gira Il mondo perduto- Jurassic Park e l’antirazzista Amistad, mentre nel 1998 è la volta di Salvate il soldato Ryan ( con cui ottiene il suo secondo Oscar, viaggio dentro la seconda guerra mondiale che insinua più di una parentesi nelle pieghe di un racconto teso e a tratti brutali (clamorosa è la forza espressiva della lunga sequenza iniziale dello sbarco in Normandia). Nel 2001 condensa tutti gli elementi del suo cinema nel fantascientifico A.I. Intelligenza Artificiale, in cui riprende un progetto di Kubrick per mettere in scena un mondo futuro in cui è possibile la clonazione di essere umani. Segue, nel 2002, Minority Report, tratto da un racconto di P. Dick, inquietante e allarmata interrogazione sulle forme di totalitarismo rese possibili dall’avvento di nuove tecnologie di controllo e di manipolazione della personalità.

Steven Spielberg è considerato il regista più rappresentativo del cinema hollywoodiano a cavallo fra il vecchio e il nuovo millennio.

I GENERI

MUSICAL

Alla loro seducente e barocca magniloquenza la RKO rispondo con il dance musical in cui i "numeri danzati" diventano parte integrante della narrazione e servono a metaforizzare la gioia dei protagonisti e il loro mutuo appartenersi. Nel 1939 con Il mago di Oz (primo film con alcune sequenze a colori) A. Freed e V. Fleming trasformano anche i numeri musicali in momenti espressivi degli stati d’animo dei personaggi. Altrettanto fanno, da quel momento, tutti i registi della MGM: da V. Minelli, che firma grandi successi come Incontriamoci a Saint Luis (1944), Spettacolo di varietà (1953), Brigadoon (1954) a G. Kelly e S. Donen, che con Un giorno a New York (1952). Proprio nella seconda metà degli anni ’50, il musical comincia però a mostrare forti segni di stanchezza, solo in parte attutiti dai dieci oscar di West side story (1961)che, adattando in chiave di sfondo etnico fra statunitensi e portoricani Romeo e Giulietta , per la prima volta nella storia del genere elimina il tradizionale happy end. Il grande successo del film è però una sorta di "canto del cigno" poiché da quel momento la storia del genere sarà più che altro la storia di singole opere che, di tanto in tanto, ripropongono il tema classico, in ambientazioni e con tematiche rinnovate.

Nel frattempo il genere vira verso la formula del "film con canzoni" che, inaugurata da Tutti per uno (1964) con i Beatles, si sviluppa con film di vario genere e tenore come La febbre del sabato sera (1977) di J, Badham, Saranno famosi (1980) A. Parker , The Blues Brothers(1980) di J. Landis, e, infine Flashdance (1983) di A. Lyne. Parallelamente con L’ultimo valzer di M. Scorsese, si sviluppa il filone del "film concerto", che vede come interpreti tutti i maggiori gruppi musicali degli ultimi trent’anni e che, indirettamente, produce il risultato anomalo di un film quasi unico nel suo genere come The Wall (1982) di A. Parker.

WESTERN

E’ un genere del cinema americano di carattere avventuroso con aspirazioni epiche in cui confluiscono avvenimenti storici, fatti di cronaca, letteratura colta e popolare, folclore musicale. È il solo genere che abbracci interrottamente l’intero arco del cinema statunitense, dall’inizio ai giorni nostri: in L’assalto al treno (1903) di E.S.Porter, che dura una decina di minuti, la nascita del cinema narrativo e quella del western coincidono.In senso stretto il West è geograficamente situato tra il Mississippi e il Pacifico: più esattamente, "West" è il territorio s ovest del 98° grado di longitudine, un territorio quindi che copre quasi metà della superficie degli Stati Uniti; cronologicamente, L’epopea del West si svolge negli ultimi decenni dell’Ottocento. Per il cinema, però, lo spazio del West travalica spesso nell’Est (nei film sulla guerra di secessione, per esempio), e va dall’Alaska al Messico, e il suo tempio spazia dal XVII secolo fino ai giorni nostri. I tre temi maggiori del West sono il conflitto, l’itinerario e la biografia, e comprendono le varie guerre (da quelle franco-indiane del Settecento a quella di secessione, con estensione anche alla rivoluzione messicana), la fioritura e la repressione del banditismo, la marcia verso l’Ovest, la colonizzazione della terra, il feudalesimo agrario, la costruzione della ferrovia transcontinentale, la corsa all’oro e soprattutto, la lotta contro i pellirosse.

Nella storia del genere si possono distinguere schematicamente due fasi principali: l’una elementare, primitiva, mitica che arriva fino agli anni ’30; l’altra stilisticamente più consapevole e attenta alle ragioni della storia e della psicologia. Nelle herse-operas ("racconti a cavallo") del muto, prodotte in serie e per la maggior parte di breve o media lunghezza, l’egemonia è dell’attore cow-boy. Il primo è Broncho Billy Anderson, già presente in l’assalto al treno; il più popolare, soprattutto in Europa, è T.Mix, cui seguono K.Maynard, W.Farnum, B.Jones, G. O’Brien, ma il più significativo, l’incarnazione più tipica dell’eroe"forte e silenzioso" del West è W.S.Hart ("Rio Jim") . Se i pionieri del genere sono D.W.Griffith e T.Ince, cui si deve, tra l’altro, The Heart of an Indian (1912), il primo western che affronta con serietà storica il problema del genocidio dei pellirosse, i registri più rappresentativi di questo primo periodo sono J.Cruze (I pionieri, 1923) e J.Ford (Il cavallo d’acciaio 1924).Con l’avvento del sonoro il genere il genere è confinato nella produzione minore, finchè intorno al 1930-40 si ha una fioritura di western di prestigio: Ombre rosse (1939) Jess il bandito (1939), L’uomo del West (1940), Passaggio a Nord-Ovest (1940), La via dei giganti (1939). Dopo la seconda guerra mondiale il genere pone sempre più l’accento sulla storia a spese del mito, con un nuovo interesse per i nodi problematici della società, del sesso e della razza e una maggiore comprensione – che arriva talvolta ad un’ambigua identificazione – per i pellirosse, mentre il tradizionale eroe, l’invincibile e generoso re della prateria, si trasforma in personaggio problematico, talvolta alieno dalla violenza, e persino in antieroe.

Da L’amante indiana di D,Daves e Il passo del diavolo di A.Mann, entrambi del 1950, i primi film del dopo guerra ad assumere un atteggiamento più corretto e critico verso i pellirosse, si arriva al Piccolo grande uomo di A.Penn, in cui la smitizzazione è radicale.                                                                                                                                           Il ventennio 1940/1960 non è soltanto la grande stagione di J.Ford, ma vede all’opera H.Hawks, A.Mann, J.Sturges, W.Wellman, B.Boetticher, D.Daves, R.Walsh, N.Ray, F.Lang, e comprende alcuni film di grande richiamo che, in vari modi, rinnovano il genere: Il mio corpo ti scalderà (1943), Duello al sole (1946), Mezzogiorno di fuoco (1952), Il cavaliere della valle solitaria (1953).Negli anni ’40 il processo di revisione critica si accentua: nei film di S.Peckinpah, A.Penn, R.Brooks, A.Polonsky, si trova un nuovo senso della storia, un’analisi delle origini di una civiltà che investe e smonta il mito stesso della conquista dell’Ovest. I  solitari sono ormai vecchi e stanchi come nel premio Oscar L’uomo che uccise Liberty Valance (1962) di J.Ford, centrato sui ricordi di un senatore che torna nel West per il funerale di un semisconosciuto che ha finito i suoi giorni in miseria, o addirittura indeboliti da malattie e dall’alcool come in El Dorado (1967), dall’altro con una conversione cultural-ideologica – conseguente alla riflessione post-Vietnam e all’influenza degli spaghetti-western italiani- che spinge i nuovi autori a mostrare la reale violenza del West in film dall’atmosfera cruda e spietata o a raccontare storie di antieroi come il giocatore d’azzardo e la prostituta di i compari (1971) di A.Altman o , infine, a una totale rivalutazione dei nativi americani, visti ora come depositari di una cultura diversa, virile e orgogliosa ma non selvaggia, in un corposo filone del vago sapore storico etnografico che, iniziato dal vecchi J.Ford con il grande sentiero (1964), si sviluppa nei primi anni ’70 con opere come il citato Piccolo grande uomo (1970), Soldato Blu (1970), Un uomo chiamato cavallo (1970) e il seguito La vendetta dell’uomo chiamato cavallo (1976), Corvo Rosso non avrai il mio scalpo (1972) e molti altri. Opere che si pongono come prototipi culturali e stilistici per i pochi sparuti film dei genere negli anni successivi, fra cui Silverado (1985), Balla coi lupi (1990) dell’attore regista K.Costner, primo film in cui i nativi americani parlano la loro lingua, che vince sette Oscar e altre cinque nomination.

HORROR

È un genere cinematografico da sempre legato al lato oscuro dell’animo umano, l’orrore è evocato fin dai classici greci e plasmato attraverso i secoli da svariate correnti artistiche.

Il cinema occupa dagli albori quella parte di inconscio dello spettatore suscettibile alla fascinazione dell’inspiegabile e della diversità delle sue forme più bizzarre e mostruose, ricavandone un "genere" che dagli anni ’20 arriva fino al nuovo millennio. Terreno di cultura è l’impressionismo tedesco, preceduto dai terrori ancestrali già elaborati dal cinema scandinavo e trasfusi nelle atmosfere sinistre di Il carretto fantasma (1921) di V. Sjostrom. In questo periodo prendono vita i fatidici "archetipi" – vampiri , esseri abnormi, luoghi lugubri, meccanismi raccapriccianti – che i registri tedeschi poi emigrati oltreoceano contribuiscono a sviluppare e a rendere popolari in tutto il mondo grazie allo sfarzo hollywoodiano.

I freddi mostri espressionisti lasciano così il ristretto, per quanto autorevole, spazio di un’ erudita corrente di una vecchia Europa gotica e dilagano nell’immaginario del grande pubblico. È la casa di produzione Universal , con l’avvento del sonoro, a sfornare titoli e personaggi già celebri in letteratura e ora visibili nella loro mostruosità.

Dracula ( 1931 ) di T.Browning e Frankeinstein ( 1931 ) di J. Whale, seguiti da licantropi, mummie tornate in vita e uomini invisibili, sbancano il botteghino, codificano uno stile e specializzano uno stuolo di registri e attori - B.Lugosi e B. Karloff su tutti – ai quali si ispira il cosiddetto " cinema della paura " dei decenni a seguire.

La declinazione del genere si amplia e si arricchisce con gli anni ’40, quando si insinua la suspense a mitigare gli eccessi orrorifici che già avevano dato il via alle parodie comico-grottesche. È il caso di Il bacio della pantera ( 1942 ) di J.Tourneur, in cui non si vede praticamente mai l’inquietante protagonista trasformarsi in pantera, ma se ne coglie la presenza dalle ferine ombre che scivolano sui muri e dai misfatti testimoniati dai graffi degli artigli e dalle vittime riverse in chiaroscuri di morte violenta. Anche l’Inghilterra, patria della "ghost story", dà il proprio contributo con la casa di produzione Hammer Film che, per almeno un ventennio , dagli anni ’50, laurea registri come T.Fischer e interpreti del calibro di C.Lee (celeberrimi i suoi Dracula) e P.Cushing.

Nello stesso periodo l’Italia dice la sua in virtù del genio dei due maestri R.Freda e M. Bava, i quali con mezzi scarsi e inventiva sconfinata ridisegnano incubi e devianze e fondono i codici aprendo la strada alla contaminazione dell’ horror con generi contigui come il thriller. Con gli anni ’60 e l’apporto dello statunitense R.Corman, che ricorre a E.A.Poe come ispirazione e agli eccessi shakespeariani di V.Price come mattatore, il genere si risolleva dalla crisi in cui era piombato e comincia ad arruolare fra i propri sostenitori anche critici e studiosi fino ad allora estranei.

A.Hitchcock, C.Chabrol, R.Polanski, S.Kubrick e anche F.Fellini, "sporcano" parecchie loro storie con elementi horror, fino al punto che registri successivi meno autoriali firmeranno storie della paura non più genericamente etichettabili, in quanto magari prive di mostri propriamente detti, ma pervase di angosce, oppure affollate di demoni, capaci di instillare inquietudine o sgomento nello spettatore o ancora rese meravigliose da arditi effetti speciali che giustificano ogni inverosimiglianza o, infine, traslate sul piano sociologico della cultura della diversità, incarnata da zombie quali metafora della società dei consumi. In tal senso, la carrellata di alcuni titoli-simbolo parte da La morte dei morti viventi (1968) di G.A.Romero e tocca L’esorcista(1973) di W.Friedkin, Non aprite quella porta (1974) di T.Hooper, iniziatore con le sue traculenze del cosiddetto sottogenere gore poi splatter, Alien (1979) di R.Scott, La cosa (1982) di J.Carpenter, Night-mare (1984) di W.Crafen fino al Il silenzio degli innocenti (1991) di J.Demme, Vampires (1998) di J.Carpenter e La vera storia di Jack lo Squartatore(2001) di Albert e Allen Hughes.

LA COMMEDIA ALL’ITALIANA

Genere cinematografico brillante e satirico. Nasce in Italia a cavallo degli anni ’50 e ’60, fondendo insieme elementi della commedia di costume, del comico e del dramma per trattare argomenti di interesse sociale e politico in una cornice "leggera" e in chiave satirica, con un evidente intento didattico-moralistico.La genesi è alquanto complessa: nel dopoguerra, sotto l’influsso del neorealismo e strizzando l’occhio sia al comico, sia al cinema "serio", la commedia in Italiani suddivide in diversi filoni, tutti di grande successo popolare: dal "neorealismo rosa" (Due soldi di speranza, 1951, e le serie dei Poveri ma belli e dei Pane, amore e…) alla commedia bozzettistica di costume (Anni difficili, 1947, Anni facili,1953, L’arte di arrangiarsi, 1954 di Zampa; Prima comunione, 1950 e Domenica d’agosto, 1950, di Emmer) a quella parapolitica (Abbasso la miseria, 1945, Abbasso la ricchezza, 1946, ambedue di Righelli; L’onorevole Angelina 1947, di Zampa e la serie su Peppone e Don Camillo), fino a un filone particolare in cui si sperimenta la commissione di comico e tragico (Vivere in pace, 1950, di Steno e Monicelli).Da questi differenti modelli, ma in particolare dall’ultimo, alla fine degli anni ’50 nella commedia italiana si sviluppa una nuova tendenza che, abbandonata la centralità della coppia amorosa e del lieto fine, si fonda sull’osservazione di comportamenti e fenomeni socialmente diffusi e sulla rilettura della storia con occhi contemporanei, disincantati e spesso cinici, che portano a una "denuncia" moralistica dei disfatti sociali. Si è solito datare la nascita del genere dal 1958 con il film I soliti ignoti di Monicelli, parodia del gangster-movie che narra di alcuni ladri di polli che vorrebbero fare un grande furto in una banca; i personaggi, pur essendo tipizzati e in parte macchiettistici, presentano non pochi risvolti psicologici e risultano rappresentativi di "tipi sociali" effettivamente esistenti in un’Italia in cui rubare è un mestiere per campare e non una filosofia di vita. Al di là del prototipo, è importante sottolineare che lo sviluppo della commedia all’italiana s’intreccia con la storia civile –presente e passata- dell’Italia, con gli umori politico-sociali del momento e che, almeno nella sua fase più qualificante, il genere mostra una preoccupazione quasi didattica nel mettere alla berlina i comportamenti e gli atteggiamenti poco civili degli italiani, tanto che ogni film si propone come momento di stimolo e di dibattito su temi di grande rilievo per il Paese. Storia patria passata e contemporanea, contraddizioni della crescita economica, conflitto dei sessi ed emancipazione della donna, sindacalismo e lotta di classe, contrapposizioni politiche fino la terrorismo: non c’è aspetto o tema della vita sociale italiana che non venga preso in rassegna e trattato in un filone che denuncia mali e contraddizioni del vivere associativo e spinge per un loro superamento in positivo. Fra i film che preparano la nascita del genere prendendo spunto dalla storia, i più importanti sono Il generale della Rovere di Rossellini e la Grande guerra di Monicelli che nel 1959 vincono ex aequo il Leone d’oro alla mostra di Venezia, mettendo in scena la catartica trasformazione in eroi di personaggi che per indole e comportamento si mostravano vili e opportunisti. Ovviamente il fascismo è il periodo storico che viene maggiormente preso in considerazione da questi film, con titoli come Tutti a casa (1960) di Zampa con N. Manfredi, La marcia su Roma (1962) di Risi con la coppia Gassman-Tognazzi e, soprattutto, Il federale (1961) di Salce, ancora con Tognazzi che fornisce una delle sue più convincenti interpretazioni nella rappresentazione del fascista Arcovazzi che non vuole arrendersi alla sconfitta, che non capisce la democrazia e che, nel finale, non sa che fare di quella libertà che gli viene "tirata addosso" senza che lui l’abbia mai voluta o desiderata. L’interesse principale della commedia all’italiana è però rivolto alla società contemporanea nata nel dopoguerra e figlia del boom economico. Nei quindici anni che dividono Una vita difficile (1961) di Risi con A. Sordi che C’eravamo tanto amati (1974) di Scola. Per quanto riguarda il conflitto fra i sessi e l’emancipazione della donna, i film più importanti sono: Divorzio all’italiana, In nome della legge, primo film di denuncia sulla mafia, Sedotta e abbandonata, L’ape regina, La ragazza con la pistola; Romanzo popolare, La parmigiana, Io la conoscevo bene; mentre per il genere politico-sociale, film come In nome del popolo italiano, Mordi e fuggi, Caro papà,Un borghese piccolo piccolo.

L’impossibilità di proseguire sulla via della commistione tra comico e drammatico è tutta rappresentata nella distanza –temporale, sociale ed emotiva- che separa due film a episodi: I mostri (1963) e I nuovi mostri (1977) ambedue di Rini. Nel primo il regista, Oltre a denunciare la colpevole complicità dei politici in merito alla corruzione, la stupidità di chi è diventato schiavo della televisione, l’avvilente pratica delle raccomandazioni, la lentezza della burocrazia e, in generale, l’universale opportunismo, nell’episodio L’educazione sentimentale mette in scena un padre che educa il proprio figlioletto, timido e gracile, a rubare nei negozi, a picchiare compagni, a ingannare il prossimo con mille sotterfugi. Nessuna meraviglia, quindi, se alla fine il figlioletto, una volta cresciuto, ammazza il padre. Lo spettatore è il complice (iperbolico) di un delitto, ma può riderne perché il padre si è meritata e guadagnata alla fine. Nell’episodio Senza parole di I nuovi mostri, invece, una bella hostess viene circuita da un aitante straniero dalle fattezze meridionali che non parla italiano, né alcun altra lingua occidentale; nonostante l’impossibilità di comunicare pienamente, nasce una dolce storia d’amore e quando lei parte lui-arrivando in ritardo e trafelato all’aeroporto- le regala un mangiadischi con la canzone che ha accompagnato il loro incontro. Tutto è suadente e fa sognare, ma l’aereo esplode subito dopo il decollo e dalla televisione si viene a sapere che la bomba era nascosta in un mangiadischi. L’episodio, anche in questo caso, fa riferimento a un aspetto reale della società contemporanea, il terrorismo internazionale, ma stavolta la satira risulta troppo amara e cinica per un riso liberatorio. Qui, infatti, c’è una strage di vittime innocenti e non più il meritato ( anche se sproporzionato) castigo di un irresponsabile.

La commedia all’italiana ha il suo termine verso gli anni ’70, anche se delle sfumature compaiono anche nei film degli anni ’80, trovando nuovi interpreti e nuovi autori.

ALBERTO SORDI ( Roma1920-Roma 2003)

Attore e regista italiano. Comincia a recitare a metà degli anni ’30 dividendosi fra l’avanspettacolo, il teatro di rivista e piccole comparse al cinema ( doppiatore di Ollio/O. Hardy). Il primo film da coprotagonista è I tre aquilotti (1942) di M. Mattoli, anche se negli anni ’40 i maggiori successi gli vengono dal teatro leggero e dalla radio, medium nel quale Sordi sperimenta e costruisce una galleria di personaggi che porterà infinite volte e con grande successo al cinema, ritraendo un uomo banalmente medio la cui apparente cattiveria nasconde una malcelata ingenuità, un cialtrone sostanzialmente vigliacco, uno sbruffone succube delle circostanze, un individuo in bilico tra la tragedia e la farsa.

Federico Fellini si accorge del suo immenso talento e lo chiama a interpretare il meschino divo dei fotoromanzi di Lo sceicco bianco (1952) e il nullafacente Alberto in I Vitelloni (1953). La consacrazione definitiva arriva con Un americano a Roma (1954) di Steno, in cui Sordi interpreta Fernando Morioni detto "l’americano" (personaggio già proposto in un episodio di un altro film dello stesso Steno), grottesco manifesto dell’utopistico provincialismo italiano.

Grazie ai tanti volti della sua maschera attoriale e alla fortunata collaborazione con lo sceneggiatore Sonego, diventa in breve il principale artefice del successo della commedia all’italiana, recitando in numerosissimi film che compongono un mosaico nel quale si riflette l’Italia di questi anni.

Nel 1959 è nelle commedie Il vedovo di Risi e Il Moralista di Bianchi, oltre a mostrare il suo lato più dolente in La grande guerra di Monicelli; seguono altri successi in commedie e film più sofferti come Tutti a casa (1960) di Comencini, Una vita difficile (1961) di Risi, Il Mafioso (1962), Il maestro di Vigevano (1963), il boom (1963), Detenuto in attesa di giudizio (1971) E Lo scopone scientifico ancora di Comencini.

Nel 1966 debutta alla regia con Fumo di Londra, cui seguono numerose altre prove non sempre all’altezza della bravura del Sordi attore.

Pur insistendo sulle tonalità istrioniche che hanno costruito il suo successo e la sua grandezza, come dimostra ad esempio con i toni fermamente grotteschi di Un borghese piccolo piccolo (1977) di Monicelli, dal romanzo di V. Cerami, nella seconda parte della carriera (dalla seconda metà degli anni ‘70 in poi) Sordi sfronda il suo cinema dalla cattiveria e dalla stira feroce, per assumere invece irrisolti toni moralisti e atteggiamenti piattamente paternalistici quali quelli che emergono in film come Un tassinaro a New York (1987), Nestore, l’ultima corsa (1994) e Incontri proibiti (1998), tutti da lui diretti.

Diresse tre film con protagonista Monica Vitti oltre se stesso: Amore mio aiutami (1969), Polvere di stelle (1973) e Io so che tu sai che io so (1982).

Tra gli altri lavori dietro la macchina da presa rimangono Un italiano in America, insieme con Vittorio De Sica (1967), Finché c'è guerra c'è speranza (1974) e l'episodio Le vacanze intelligenti dal collettivo Dove vai in vacanza? 

Affrontò anche libere trasposizioni di Molière (Il malato immaginario del 1979 e L'avarodel 1990)

Da non dimenticare la commedia storica Il marchese del Grillo di Mario Monicelli (1981), dove Sordi si cala nel doppio ruolo di un nobile romano dedito alle burle e di un popolano carbonaro suo sosia.

Lavorò inoltre con Carlo Verdone (da alcuni considerato il suo naturale erede, pur perseguendo stili e tematiche assai diverse) nei film In viaggio con papà, con regia di Sordi (1982) e Troppo forte, diretto da Verdone (1986). Significativo fu inoltre il ruolo di un giudice incorruttibile e spregiudicato nel film Tutti dentro del 1984, con al centro i temi, anticipatori dei fatti di Tangentopoli, della corruzione politica dilagante e dell'esposizione mediatica della magistratura.

Resta comunque l’importanza decisiva di un artista che, come pochi, ha saputo raccontare l’Italia del secondo Novecento riuscendo a specchiare e influenzare i molti vizi e le poche virtù dell’italiano comune.